Direttore: Fabio Marri

* Per accedere o registrarsi come nuovo utente vai in fondo alla pagina *

Fabio Marri

Fabio Marri

Probabilmente uno dei podisti più anziani d'Italia, avendo partecipato alle prime corse su strada nel 1972 (a ventun anni). Dal 1990 ha scoperto le maratone, ultimandone circa 280; dal 1999 le ultramaratone e i trail; dal 2006 gli Ultratrail. Pur col massimo rispetto per (quasi) tutte le maratone e ultra del Bel Paese, e pur tenendo conto dell'inclinazione italica per New York (dove è stato cinque volte), continua a pensare che il meglio delle maratone al mondo stia tra Svizzera (Davos e Interlaken; Biel/Bienne quanto alle 100 km) e Germania (Berlino, Amburgo). Nella vita pubblica insegna italiano all'università, nella vita privata ha moglie, due figli e tre nipoti (cifra che potrebbe ancora crescere). Ha scritto una decina di libri (generalmente noiosi) e qualche centinaio di saggi scientifici; tesserato per l'Ordine giornalisti dal 1980. Nel 1999 fondò Podisti.net con due amici podisti (presto divenuti tre); dopo un decennio da 'migrante' è tornato a vedere come i suoi tre amici, rimasti imperterriti sulla tolda, hanno saputo ingrandire una creatura che è più loro, quanto a meriti, che sua. 

17 marzo – In una giornata che (a parte la maratona di Roma dei quindicimila) proponeva anche in zona gare competitive di prestigio - una nella stessa provincia di Parma - invece a Carzeto (frazione di Soragna, che non arriva a 300 abitanti dissetati da una fontanella scoperta da un rabdomante negli anni Trenta) si sono ritrovati soprattutto i camminatori, che in grande maggioranza hanno scelto il percorso dei 13 km con partenza diluita tra le 8 e le 9,30, e un picco di partenti alle 8,30; cosicché quando mi sono mosso io alle 9 ormai non c’era quasi più nessuno. Al ristoro del km 15, appena sceso dallo scenografico argine dello Stirone (il torrente caro alle storie di don Camillo e alla parte centrale della maratona verdiana di Chittolini, che a Roccabianca si fonde con la Rigosa proveniente da Busseto per gettarsi in Po), ho chiesto se ero l’unico, e l’addetto mi ha risposto: “sei il sesto”. Dopo di me, non credo altri: un paio di km più avanti ho sorpassato un camminatore, ma gruppi di gente li ho ritrovati solo verso il 18 quando mi sono ricongiunto con quelli della 13. Vabbè, i chilometri sono chilometri sia che tu paghi 40 euro, sia che ne paghi 4.50 “con dono”: decisamente apprezzabile, e arricchito nel ristoro finale, a richiesta, da un profumato panino con mortadella del panificio Magnani di San Secondo (classificato come produttore del miglior panettone della regione), e annaffiato da un bianco frizzante che è un peccato lasciare lì.

Siamo nella zona dove si mangia meglio di tutta Europa (non a caso, la frazione più vicina è Samboseto, già sede del mitico Cantarelli, che ti saluto le tre stelle dei ristoranti da 500 euro a pasto), dove si respirano la musica di Verdi e le storie di don Camillo. Una delle più famose (ma non abbastanza) la racconto a Dervis Montanari mentre camminiamo sul primo argine (credo, del Canale Grande, che viene da Fontanellato e finisce nello Stirone verso la già citata Roccabianca, comune natale di Guareschi): è la storia di un grandioso noce di Soragna, scelto come luogo di vedetta da un soldato tedesco durante l’ultima guerra; soldato che ci tornò dopo la guerra per dormirci in tenda con la sua sposa Gerda. Un’altra storia, del 1960, è quasi del tutto sconosciuta, ma a cominciare dal titolo Il giro viziato sembra quasi una mappa del percorso lungo di oggi, coi suoi riccioli e deviazioni e immancabili sorprese.

Peppone, appena eletto sindaco, pensa alle opere di pubblica utilità: “Il popolo lavoratore, per andare a Solagna, che è a sud-est, deve mettersi in viaggio verso nord-ovest; poi, arrivato al Crocilone, girare a destra e procedere in direzione nord-est fino alla Stra Lunga dove gira ancora a destra e dopo 14 km raggiunge finalmente Solagna. La quale, se invece andasse verso sud e arrivato al Ponte Nuovo, girasse a sinistra costeggiando il Canalaccio, si troverebbe dopo 2 km e mezzo al Ponte del Mulino Vecchio che dista da Solagna km 8 soltanto. Totale km 11,5 al posto di 22. In altre parole: il popolo lavoratore è costretto a compere un giro viziato che gli costa la bellezza di km 10,5”.  Effettivamente, commenta Guareschi, “si trattava di una faccenda squinternata”, perché a impedire la prosecuzione della strada c’era il terreno del vecchio mulino, che il proprietario non voleva cedere; al che Peppone spedisce in zona “una banda di scatenati armati di vanghe, badili e picconi” per buttare giù quello che serviva ad aprire la strada nuova. Il proprietario si rivolge a don Camillo, che in tre giorni di lavoro scava una buca e ci costruisce una tomba etrusca, poi ricoperta di terra; cosicché, quando gli spicconatori arrivano al dunque, la “scoprono” e i lavori si devono arrestare. Don Camillo suggerisce a Peppone un’idea luminosa: “spostare” la tomba etrusca appena fuori dal tracciato stradale progettato. Salvo che dal nuovo scavo emerge un’intera villa romana con “mezza biolca di pavimento” a mosaico, stavolta autentica. Alla sana incavolatura di Peppone, distrutto dalla fatica degli scavi (“Se non avessi le ossa rotte, fra cento anni qui si scoprirebbe una tomba etrusca con dentro un prete!”: mettete a confronto una battuta così fulminante con quelle dei giornalisti pseudo-umoristi di oggi, da Gramellini a Bottura ecc.), segue un ragionamento più pacato, di realismo non propriamente socialista con cui si chiude la storia, numero 304 su 346: “Ancora oggi gli esperti stanno sondando la zona archeologica del Mulino Vecchio, e intanto il popolo lavoratore che deve recarsi a Solagna è costretto a fare il solito “giro viziato” di cui parlò Peppone nel 1946. Come passa presto il tempo”.

Questa domenica di 78 anni dopo, noi popolo non-lavoratore siamo infatti stati instradati, nel nostro giro, sulla via di Parma, ma dopo 3 km dirottati a sinistra, fatti salire sull’argine del Canale Grande, poi ridiscesi, poi risaliti sull’argine dello Stirone, tortuosissimo, erbato, con bei panorami, campanili, fattorie, laggiù; da lì, al km 12 quelli del giro “medio” sono discesi verso Carzeto, noi (cioè io solo, ormai) abbiamo proseguito sull’argine giusto fino a Soragna, scendendo a nostra (cioè mia) volta al km 15, ultimo ristoro – molto ricco, e sovradimensionato dati i frequentatori -, poi un tratto asfaltato che attraversava una casa colonica sulle cui rotoballe si erano issati a giocare tanti bambini, fino a ricongiungersi per un breve tratto coi camminatori dei 13, che però andavano al traguardo lungo un canale, mentre gli stakanovisti erano invitati a una lunga circonvallazione del territorio chiusa da 500 metri di campi dove l’erba era stata rasata appositamente. Segnalazioni con frecce a terra e su paletti precisissime, con l’aggiunta di sbandieratori umani; 3 ristori intermedi e quello ricchissimo finale: insomma, si fa presto a recuperare le 1900 calorie bruciate (secondo il mio orologino): tanto più che qui in zona ci sono ristorantini meravigliosi, il Voltone di Soragna (suggeritomi dalla ristoratrice finale di Carzeto), l’Ardenga di Diolo o il Vernizzi di Frescarolo indicatimi da Angelo Giaroli, mio consulente sicuro quanto a trattorie e a podiste accoglienti. Ma già il paninazzo alla mortadella è tale da saturare e soddisfare i cinque sensi.

“Bravo, mi dice uno degli organizzatori: farne 21 alla tua età…”. – Perché, qual è la mia età?, chiedo. Mi squadra bene e mi dice “Sess… sessanta”. Il resto, mancia carzetana.

10 marzo – Sarà stata la 37^ edizione come dice la classifica ufficiale di Atleticando (cioè l’Uisp Reggio, responsabile dell’eccellente organizzazione), o la 39^ come dicono il manifestino, il sito del comune di Albinea (che oltretutto scrive “LA Mimosa cross”, come se Cross fosse femminile), e ripeteva lo speaker, però la gara piace: il percorso lungo di quasi 23 km con 500 metri di dislivello è stato affrontato da 200 competitivi (più molti non competitivi o senza pettorale; siccome avevamo quasi tutti l’impermeabile, non si poteva verificare), cui si aggiungono i non competitivi sulle distanze minori di 5 e 12, da Giangi ad Angelo Giaroli (da cui ho invano atteso il rituale sorpasso al km 5), dalla reginetta Emilia Neviani a vari esponenti della famiglia Gandolfi/Spina.

Un primo punto a favore è il prezzo d’iscrizione: a parte i 2,50 per le gare non competitive, la competitiva costava 10 euro, con la gestione di Atleticando, che significa 10-euro-10, non 10+2,50 per creste varie di segreteria. Addirittura i soldi non dovevamo anticiparli, ma semplicemente versarli la mattina all’atto del ritiro pettorali. E, a parte i servizi in gara (davvero numerosi i segnalatori umani lungo il percorso, a supplire un po’ la risparmiosità delle frecce; tre ristori con tè caldo e saporoso, più banane, crostatine e arance… da sbucciare; e velocissima la diffusione delle classifiche), nel pacco gara ci siamo portati a casa un bel vasetto di miele, oltre ai biscotti su cui spalmarlo.

In questo periodo in cui le gare calano di numero, e quelle che restano hanno prezzi stratosferici (per stare in un raggio di 50 km, oggi a Pieve di Cento 25/30 euro; domenica prossima a Reggio Emilia, 35/40), una maratonina “abbondante” e panoramica come quella di Albinea diventa una mosca bianca, che fa veramente onore all’etichetta di “sport popolare” con la quale è nata.

Si aggiunga che per noi maratoneti con qualche anno sul groppone, Albinea è la William-Govi-City; la partenza era vicina alla chiesa dove l’abbiamo salutato per l’ultima volta, dieci anni fa, ed è un peccato che qui a casa sua lo stiano dimenticando. Se hanno intitolato Grazzano a Badoglio, credo che si potrebbe aggiungere il nome Govi ad Albinea… ma sì, stiamo ancora aspettando l’adempimento della promessa del sindaco di allora, di cambiare il nome di via Togliatti in Via della Maratona n° 500. 
Attraversando Borzano e attaccando la bellissima salita dei gessi e di Cavazzone in compagnia di un podista locale (non competitivo!), si parlava dell’anello di Borzano, i 12 km che William percorreva tutti i giorni, uscito dal lavoro, alle 17,30. E del suo contributo alla nascita del Gir par Bursan, una trentina d’anni fa.

Torniamo con nostalgia ad oggi, per dire della netta vittoria di Filippo Capitani (39enne Modena Runners, società giovane che fa strage di trofei e di cuori) con 1.25:31, davanti a Robert Ferrari (Team 3.30, altro modenese) in 1.26:44, e Patrick Francia in 1.28:11.

I reggiani si sono rifatti con le donne, grazie all’Avis Novellara che ha segnato una doppietta: ha prevalso la 27enne Caterina Filippi in 1.44:39, due minuti abbondanti sulla compagna Natalia Pagu, e 5 su Eleonora Turrini della Guglia di Sassuolo. La città di Sassuolo ha chiuso gli arrivi con l’immancabile Cecilia Gandolfi, il cui figlio Gianluca Spina era arrivato esattamente un’ora prima.

La pioggia, ampiamente prevista e caduta per tutta la notte, ci ha graziato o quasi: i primi hanno corso completamente all’asciutto, semmai bagnandosi i piedi nelle pozzanghere e nei tratti un po’ pantanosi all’interno del parco, a quota 460 metri; per noialtri, una pioggia non intensa né continuata  ha cominciato a scendere dopo un’ora e mezzo: ma bastava un cappellino per non sentirla o quasi. Un altro insegnamento per quegli organizzatori che si prostrano di fronte alle previsioni meteo (in zona, leggasi Albareto di Modena, rinviata da domenica scorsa a oggi, dove sono andati in quattro gatti): snobbati dai fotografi ufficiali che erano tutti ad Albinea, ed hanno aspettato il quasi sprint tra il sottoscritto e Lucio Casali della Formiginese, conquistatore del cammino di Santiago nonché (ai suoi bei tempi) 2.59 alla maratona di Cesano Boscone, e che oggi mi è andato via in salita senza più lasciarsi recuperare, sebbene il suo ruolo fosse quello di pacemaker per la signora Neva da Monte San Pietro.

Ce ne andiamo soddisfatti, anche Pietro Boniburini lo scarparo di nicchia (malgrado la Juventus), sotto una pioggia che aumenta, ecchìssene: Scende la pioggia ma che fa…? - Amo la vita più che mai - appartiene solo a me - voglio viverla per questo!

2 marzo – Il Parco detto di Monza (ma che, a essere esatti, è condiviso da tre o quattro comuni brianzoli, ognuno col proprio ingresso, e “goduto” anche da altre comunità non direttamente confinanti, come Concorezzo) ha felicemente ospitato, in una mattina di sabato incredibilmente risparmiata dai nubifragi, la “prima fase”, quella competitiva, della Run for life. Manifestazione idealmente orientata, “ad apertura della settimana dedicata alle donne, per promuovere la parità di genere e il rispetto reciproco quale condizione necessaria per una convivenza civile” (come recita il foglio ufficiale redatto dalla squisita Beatrice Di Virgilio, vertice sportivo dell’evento), e praticamente, concretamente rivolta a uno scopo più immediato e concreto: “il ricavato, al netto dei costi organizzativi, sarà devoluto all’associazione il Veliero di Monza per contribuire alla ristrutturazione di Villa Valentina, che diverrà luogo di aggregazione e di inclusione per persone con disabilità fisiche o cognitive”.
E per dimostrare che non sono chiacchiere, “sono state “coinvolte nel processo organizzativo 80 persone disabili che si sono occupate dalla composizione dei pacchi gara, della gestione dei ristori e della distribuzione delle medaglie ai partecipanti”.
Disabili loro? A ragion veduta dico che i disabili siamo noi, pseudoatleti dall’eccessiva autostima, che ci esaltiamo se l’ultimo km l’abbiamo fatto ai 5:30 e magari ci lamentiamo se ai ristori non c’era il tè caldo. Se ci sono delle cose che hanno funzionato perfettamente, oggi, sono proprio quelle elencate; cui aggiungo volentieri anche l’organizzazione tecnica, con le due distanze competitive (10 km e 21,097, quest’ultima inserita per la prima volta nell’evento) comprese nel calendario Fidal nazionale, dal percorso omologato e tanto di chiodini regolamentari infissi nell’asfalto, e due distanze non competitive (10 km cronometrata e 5 km ad andatura libera) che si svolgeranno domenica prossima 10 marzo, causa slittamento prudenziale di una settimana vista la possibile chiusura del Parco causa eventi meteo.

Ed ecco i risultati: la maratonina è stata un assolo di Mirko Partenope (Lib. Saronno), che con 1.09:23 ha inflitto 9 minuti e mezzo al secondo, Nicolino Catalano (Atl. Solidale), a sua volta davanti 16” a Davide Meani.

Tra le donne invece hanno prevalso le “straniere”: doppietta emiliana, con Cristina Ballabio (Casone Noceto, ma il cognome è lombardo) che in 1.23:52 ha prevalso di un minuto esatto sulla bolognese Francesca Battacchi (Acquadela), di 15 anni più anziana. Più staccata è giunta la francese, tesserata Atletica Due Perle, Lisa Alice Julien, 1.28:33. I classificati sono 524, di cui 113 donne.

Nella 10 km, partita contemporaneamente alla maratonina e conclusa da 375 podisti -e, hanno vinto Matteo Borgnolo (Sport Project VCO) in 31:49 e, tra le 111 donne, la trentina Silvia Brun (Val di Cembra) in 38:37.

Come dicevo, gara sostanzialmente risparmiata dalle intemperie: alla partenza non pioveva, e solo dopo mezz’ora è cominciata una pioggerellina (per intenderci, da tergicristalli in modalità intermittente) durata sì e no un’oretta, dopo di che è spuntato perfino qualche raggio di sole. Percorso (uno o due giri) asfaltato almeno al 90%, con qualche pozzanghera da evitare, pochi passaggi fangosi, e un solo tratto di un centinaio di metri che nella prima tornata era allagato e abbiamo dovuto evitare salendo su un argine, mentre nella seconda si è potuto percorrere sia pure stando attenti a un passaggio scivoloso.

Giro totalmente all’interno del parco, non solo oasi di aria buona ma anche paradiso dei podisti (come mi spiegava Roberto Mandelli, che ha partecipato alla misurazione ipertecnologica di un tratto che serve a tarare tutti gli altri), anche grazie alla esatta segnatura di una maratonina promossa dalla Reale Mutua: mi chiedevo perché le organizzazioni che allestiscono delle 6 o 24 o 48 ore su asfittici percorsi da 1 o 2 km non vengono qua, dove è già tutto misurato, omologato, direi addirittura benedetto. Sarebbe la volta che anch’io verrei a correre gare del genere: intanto, oggi sono venuto qui grazie alla riapertura delle iscrizioni, a furor di liste d’attesa (dopo che una prima chiusura era stata annunciata giovedì), ma anche per l’intercessione (non dirò costrizione) del sullodato Roberto Mandelli, che in vacanza come fotografo (domani l’aspetta il fango di Brugherio) ha curato lui le procedure di iscrizione, ritiro pettorale e pacco gara, nonché di navigatore automobilistico fino allo svincolo di Concorezzo, e poi  ha funto da NCC (Uber) privato fino alla stretta di mano con la signora Beatrice, con Michele Cecotti di Affari e sport (inatteso simpatizzante della città e territorio di Carpi), che organizzava il servizio pacer, e coi due speaker: uno, Marco Stracciari, ricordava il nostro incontro da Tiffany a New York esattamente vent’anni fa; l’altro era nientemeno che Gianni Mauri, presidente regionale Fidal Lombardia, che non si limita a tagliare nastri o firmare delibere, ma collabora in prima persona alle iniziative, specie se benefiche come questa. E ci fa sperare in una Fidal più vicina ai podisti e alle società.

Tutto perfetto? Nooo, c’è sempre qualcosa da migliorare: per cominciare, il comune o l’ente preposto potrebbe consentire il parcheggio gratuito alle auto dei concorrenti; e per continuare, potrebbe sistemare meglio la Cascina San Fedele, centro gara ottimamente organizzato quanto a distribuzione pettorali e custodia bagagli, più carente per l’aspetto ‘igienico’, con toilette prive d’acqua e nauseabonde fin dal mattino, e docce rapidamente raffreddatesi e mai più riscaldate (ma notate la “differenza di genere”: i maschietti si rifiutavano di andare sotto la doccia, tutt’al più sciacquandosi le gambe infangate; mentre al di là della parete le signorine si fiondavano coraggiosamente sotto il getto d’acqua, come si poteva arguire dai loro gridolini e commenti durante l’abluzione). Infine, non sarebbe stato sgradito, all’interno degli abbondanti ristori in gara e alla fine, anche una bevanda calda (disponibile sotto forma di caffè solo a pagamento, in zona premiazioni). Per quanto riguarda il cronometraggio, non starò a discutere sulla dozzina di secondi in più che la classifica mi assegna rispetto al cronometro, ma sulla valutazione dei tempi intermedi, dove il rilevamento del km 18,5 è stato dichiarato del km 16, col risultato di farci apparire tutti lentissimi tra l'8 e il presunto 16, e delle frecce tra questo 16 e l'arrivo, magari suscitando il sospetto dei benpensanti (come, andavi agli 8 a km e gli ultimi 5 li hai fatti ai 4??).

A proposito di premiazioni: citerò in chiusura Marco Brillo, glorioso Road Runner Milano, vincitore degli M 65 con 1.48:48, e il supermaratoneta Paolo Solfrizzo, non per il suo 2.04 ma per l’appartenenza ai Gamber de Cuncuress che sono stati componente essenziale della gestione di questa bella giornata. Quanto a Concorezzo, guardatevi le foto di Mandelli qui sotto, che descrivono non solo la gara ma anche l’umanità brianzola (a cominciare da Gabriella Panetta, altra “gambera” e sorella di tanto nome) che l’ha animata in pieno spirito di servizio.

25 febbraio – In una giornata che, a livello regionale, era contrassegnata dalla gloriosa maratona verdiana Salsomaggiore-Busseto, con le sue tradizionali distanze complementari, e da una non competitiva ad Anzola posticipata di due mesi rispetto alla collocazione tradizionale, ha provveduto Rubiera – a una settimana di distanza dalla sua classica – a dare ospitalità ai podisti vecchio stampo, mettendoli di contorno alla “Festa del podista” dedicata essenzialmente alle categorie giovanili sotto la gestione della Uisp provinciale (dunque Cristian Mainini, Vidmer Costi, Alberto Iotti, Nerino Carri, Paolo Giaroli e la bella compagnia che per tutto l’anno “lavora dove noi ci divertiamo” – per dirla come i ginecologi).

Bella giornata di sole, splendido spettacolo dei nostri appennini innevati, mentre ci si interroga se quelle macchie blu all’orizzonte dalla parte opposta siano le alpi veronesi o lo smog mantovano; iscrizione gratuita per noi “complementari”, avviati su due percorsi da 5 e 10 km in direzione opposta rispetto al giro della Carretera, cioè sull’argine del Secchia verso nord, con una conversione finale a U che ci porta esattamente alla partenza della Verdelaghi di Campogalliano; e poi ritorno sulla stessa asta di fiume.

Qualche pozzanghera, poco fango, e mentre il seriosissimo Leandro Gualandri si invola verso un successo di categoria che nessuno gli riconoscerà, a fondo gruppo scambiamo chiacchiere a volontà con Dervis, parmigiano ma in una inguardabile maglia rossonera (effetto-Sacchi?), con Nerino sulle pretese della tal fotografa sovrappeso di togliere da Fb le foto delle gare da lei acquisite, e più in lungo con Angelo Giaroli, oggi esentato dall’obbligo di superarmi al km 5 e dunque largo di consigli su fondi di investimento e podiste disinvolte dalle altalenanti possibilità d’investimento.

Addetti a sufficienza per l’unico attraversamento a rischio; un ristoro al giro di boa e uno al traguardo, con tè saporito e perfino biscotti: bisogna dirlo al parsimonioso Giangi, che oggi era tutto gratis e ti davano il ristoro. Senza nasconderci che il tutto era dedicato essenzialmente ai bambini, che nel frattempo si cimentavano su distanze varie in un circuito a fianco dell’eccellente impianto sportivo di Rubiera. Per noi, volendo, c’era una liquidazione di cimeli delle passate maratone di Reggio, comprese le rare canottiere della special edition riservata ai top nell’anno del Covid.

In aggiunta, l’Iren di Rubiera (nella miglior tradizione reggiana, contro l’avarizia della Hera modenese) offre acqua refrigerata e gassata gratuitamente. Cosa vogliamo di più, che nel bicchiere ce la versi la Ferragni?

E mentre i nostri amici più bravi cominciano a mandare foto da Busseto e dintorni, ce ne torniamo a casa ascoltando un Jimmy Fontana d’annata (1965), testo di Gianni Meccia, musica di Fontana (Sbriccoli) stesso ed Ennio Morricone: “Ho aperto gli occhi per guardare intorno a me - E intorno a me girava il mondo come sempre - Gira, il mondo gira nello spazio senza fine - con gli amori appena nati - con gli amori già finiti - con la gioia e col dolore della gente come me…- Il mondo - non si è fermato mai un momento - La notte insegue sempre il giorno - ed il giorno verrà!”.

Ma sì, verrà il giorno di una competitiva tirata col cuore in gola: intanto, viva Rubiera.

18 febbraio – Settima edizione della “Maratona del Marmo bianco” (ma si sa, i titoli inglesi sono più trendy), gara cominciata nel 2017 e annullata solo nel 2021 del Covid. Percorso leggermente cambiato rispetto ai primi anni (quando si saliva a Massa, superando un dislivello più notevole), oggi divenuto abbastanza monotono (vedi foto 29-30 del servizio messo insieme dall’immancabile Mandelli)  con passaggi e ripassaggi negli stessi luoghi e prevalenza di interminabili rettilinei sul lungomare fino a Forte dei Marmi, dove ci siamo praticamente congiunti con l’arrivo delle quattro maratone “Seafront” del mese scorso.

Unico tratto pittoresco (se escludiamo la vista delle Apuane e del biancore delle cave di marmo nello sfondo est) l’avant-indree sui due argini del fiume Frigido, che scende da Massa e sfocia a Marina: qui, sembrava quasi di essere ad Amsterdam (come ricordava Massimiliano “Nube” Montecchi, che causa la sua impresa marmifera, a Carrara è di casa: foto 27), o più modestamente alla maratona di Classe del S. Silvestro 2022 secondo i ricordi di Maurizio Colombo dei Road Runners Milano.

Percorso, peraltro, totalmente libero dal traffico e con forti limitazioni nella sosta (la foto 16 raffigura un’auto letteralmente impacchettata dai vigili a una decina di km dal traguardo; nelle 12-13 abbiamo il tracciato già perfettamente a punto la vigilia), e misurato stavolta perfettamente, oltre ogni ragionevole dubbio dal momento che ogni 5 km c’erano i chiodi federali piantati sull’asfalto: e la differenza di 150 metri o giù di lì che danno i Gps è semplicemente l’approssimazione fisiologica (qualcuno dice: voluta) dei nostri cronometri.

Due o tre chicanes servivano per ottenere la lunghezza prescritta; crudele per noi maratoneti quella attorno al km 39, quando vedevamo i colleghi dei 10, 21 e 30 km svoltare verso il traguardo, che già si vedeva in fondo al vialone – foto 21 e 24 -, mentre noi venivamo ricacciati a sud verso il grattacielo Verve (antica colonia estiva degli anni Trenta, sotto cui eravamo già passati al 34: foto 23). Controlli chip ben disseminati nei punti cruciali, e documentazione elettronica dei tempi parziali con le medie ottenute volta per volta (sballata solo quella attribuita al km 26,5, che in realtà stava verso il 25).

Ristori puntuali e ben forniti, grazie anche agli addetti che ti mettevano in mano il bicchiere del liquido desiderato (oltre alla frutta che prendevamo da soli); spugnaggi invece ottenibili unicamente immergendo la spugna personale in vaschette di acqua stagnante e rapidamente ingiallita. Il compagno Modena Runners “Nube”, che per due terzi di corsa (fino al km 28 passato a una media che prefigurava le 5 ore finali) mi ha costretto a un’andatura regolarissima istruendomi nel frattempo su tutte le caratteristiche dei marmi di Carrara (unici al mondo, i cinesi non riescono a farne di simili) e delle ditte accanto a cui passavamo, ci metteva dentro il berretto; altri, le mani nude; io preferivo asciugarmi il sudore con la spugna secca o (fin che li ho portati) coi guanti. Temperatura quasi ideale, 8 gradi alla partenza, 16 all’arrivo.

Però, i classificati manifestano un calo costante: quest’anno siamo stati 247, contro i 258 dell’anno scorso, i 318 del 2022 e i 312 del primo anno. I numeri sono un po’ riequilibrati dai 221 arrivati nella 30 km, i 456 della mezza competitiva, i 340 della 10 km, più le due corse non competitive.

I vincitori: lo svizzero Roberto De Lorenzi nei 10 km chiusi in 29:59 e la lammarina Benedetta Coliva in 34:28; nella 21 Michele Sarzilla (Cus Insubria) in 1.09:59, meglio di 47 secondi del titolato Marco Ercoli, tra le donne la keniana Emily Cheroben in 1.15:29. Nei 30 km nette vittorie di Mirko Dolci (GS Lucchese) in 1.50:54 e di Cecilia Basso (Orecchiella) in 2.01:40.

Nella gara regina ha vinto il 34enne Khalid Jbari (cittadinanza italiana, Athletic club 96 Alperia, vincitore l’anno scorso della maratona di Pisa e due anni fa a Rimini), che nel 2022 aveva vinto la mezza di Carrara col suo personale di 1.06:40, e oggi ha nettamente migliorato il tempo del primo dell’anno scorso, con 2.23:27: quasi sei minuti meglio dell’habitué di queste gare, il ruandese Jean Baptiste Simukeka (Orecchiella Garfagnana), 2.29:24, oggi secondo e a sua volta davanti un minuto scarso su Massimiliano Andrea Milani (un M 50 dell’ Atl. San Marco), 2.30:17. L’Orecchiella si è rifatta con il trionfo abissale tra le donne della trentottenne Camilla Magliano, reduce da un doppio successo a S. Margherita Ligure due settimane fa, oggi nona assoluta in 2:49:01. Mezz’ora dopo di lei, la bravissima neoquarantenne carpigiana Silvia Torricelli (Tricolore Sport Marathon) con un 3.19:43 che sicuramente non la soddisfa ma è bastato per precedere di un minuto e mezzo la terza, Majidae Sohn (Maratona Mugello).

E poi ci siamo noi, della razza di chi rimane a terra per dirla col Poeta, o insomma noi che i piedi da terra li alziamo quanto basta, e passiamo le nostre ore di fatica il più possibile in allegria e chiacchiere e saluti o “cinque” quando ci si incrocia nei numerosi tratti a doppio senso. E se dopo il km 30 qualcuno ai bordi ci commisera, sappiamo anche come rispondergli: a 5 o 6 km dalla fine vedo incedere sul marciapiede una specie di Michelle Obama, e dietro lei un maschione che con accento napoletano mi fa un augurio iettatorio: ho modo di replicargli gli auguri (con incluso parere scatologico) per il suo Napoli calcio.

La prima del mio giro (diciamo così, in senso lato) è Astrid Gagliardi dei Bergamo Stars, conosciuta in chissà quale trail-marathon (forse la Bora), e che qui si accontenta di stare sotto le 4 ore; mentre Werther Torricelli, il papà di Silvia nonché sapiente enologo (prima della partenza mi esorta a lasciar coricate le bottiglie tappate due settimane fa, fino a che non si deposita il fondo) arriva in un dignitoso 4.18 che gli dà il quarto posto M 65.

Fra le 4.50 e le 5 si assiepano altri compagni del Club dei centenari più alla mia portata: il citato Colombo (omonimo di colui che in serata giustizierà l’ignobile Pioli), che ha la meglio sul fananese tesserato a Mirandola Mauro Gambaiani e su Franco Scarpa, lo psichiatra dei Supermaratoneti (ammette che è un lavoro arduo e -aggiungo- dall'esito dubbio). Faccio l’elastico con due ragazze empolesi, Francesca e Valentina: Francesca sembra più alla mia portata, a tratti cammina, ma alla fine mi precederà di un buon minuto.

Un altro personaggio mi sta davanti di un centinaio di metri ma a volte si fa raggiungere, sempre cantando a squarciagola (foto 17): a un incrocio vedo due vigili che gli parlano (sta a vedere – mi dico – che alla fine lo ammanettano come capitò una volta a Bertinoro). No, passa un’auto dei vigili e i colleghi si scambiano pareri  attraverso il finestrino: dopo di che, l’auto seguirà il tipo a passo d’uomo per un km, sempre colloquiando. Quando finalmente lo raggiungo (esattamente sotto l’antica colonia-grattacielo Verve al km 35) gli chiedo cosa gli dicevano: “niente, solo mi chiedevano se sto bene e se ho bisogno d’aiuto” (immagino, l’aiuto del dottor Scarpa) “ma io canto perché altrimenti finirei al cimitero!”.

Canta che ti passa, mentre a un’andatura regolarissima incedono Enzo Caporaso e Roberta Pruzzo (la figlia del grande bomber di Genoa e Roma): finita l’ultima chicane presso il porto di Marina di Carrara, là in fondo si vede il traguardo, ma ci vorrà un quarto d’ora per tagliarlo, accolti dalla sapiente bonomia dello speaker Fabio Fiaschi (foto 11). In rimonta arriva Massimo Morelli (“sto tornando in condizione, dopo quei 18 mesi buttati via…”), che nel finale addirittura supera Nube Montecchi (venuto qui per ritirarsi, e invece stringendo i denti ce la fa). C’è spazio ancora per Luciano Ferrari, co-organizzatore delle maratone in serie di Livigno, e per un trittico Bergamo Stars: “Bubu” Furlan (mio compagno di sventura in un percorso sbagliato a Pont S. Martin, e conseguente squalifica poi rientrata), Marina Mocellin la bolognese (terza F 70 l’anno scorso con 5.59, oggi unica e “vincitrice” con 6.07); infine l’avvocato Giuseppe Tundo, che con 6.20 riesce a precedere l’ultimissimo, Gabriele Mancini tesserato Runcard.

Per tutti c’è la medaglia (ovviamente di marmo), e a fianco l’accogliente struttura della Fiera, servita da ritrovo per ritiro pettorali e piccola expo il giorno prima, da parcheggio auto e deposito borse oggi (foto 9, 10, 15). Buono il ristoro finale dove, oltre a un rigenerante tè caldo, a richiesta danno anche una squisita confezioncina  di pasta al basilico. Per le docce bisogna fare 400 metri, e sono immedicabilmente fredde.

Ma non si può venire da queste parti, magari profittando degli alberghetti a una stella convenzionati con l’organizzazione, senza visitare almeno Carrara, città un po’ morta ma con un Duomo stupendo (foto 2-5), poi salire a Colonnata: un villaggio delle Dolomiti, si direbbe guardando in su (foto 6, 8, 18), e non meno famoso per il lardo servito in tutti i piatti (foto 19-20; dove siano i suinifici, non lo sa nemmeno Nube, che però confessa come anche i maiali di Castelnuovo modenese siano olandesi). Se Carrara è vuota, a Colonnata fai fatica a parcheggiare, e se giri per le viuzze (foto 7) o sali alla chiesa, ti rendi conto che sei in uno dei cento o mille villaggi che rendono l’Italia il paese più bello del mondo.

11 febbraio – Come nel 2021 e nel 2023, è toccata a Correggio la terza conclusiva prova del campionato regionale Fidal di cross, pure valida come gara unica per i titoli individuali: le tappe precedenti si erano svolte a Cesena e Castellarano, più ricche di saliscendi rispetto al quasi-piattone correggese, dove la mancanza di salite ripide è divenuta però opportuna vista la pioggia caduta fino a poche ore prima.

Ben 1011 sono stati i partecipanti (qualche decina in più dell’anno scorso), di cui 454 donne; nei soli Master (over 35) i presenti erano 352 (118 donne); molto rappresentate, al solito, le categorie giovanili, che hanno festosamente invaso i prati.

Società campione regionale maschile dopo tre prove si riconferma l’Avis Castel San Pietro (BO) con 3370 punti, 41 in più (davvero un’inezia) del Celtic Druid Castenaso (terzo l’anno scorso); mentre quest’anno la terza piazza va al Modena Runners Club con 3278 punti, che gli bastano per superare di 58 punti il Circolo Minerva Parma, secondo nel 2023. La classifica “di tappa” vede invece nell’ordine Castel S. Pietro, Castenaso, Minerva, Modena Runners.

In campo femminile vince il Casone Noceto (terzo l’anno scorso, e oggi primo in quasi tutte le categorie femminili) con 2267 punti, scalzando dalla vetta per soli 16 punti l’Atletica Faenza 85 campione uscente, che a sua volta precede di 49 punti il Circolo Minerva (il vero sconfitto di quest’annata, provenendo da un secondo posto 2023 anche tra le donne). La graduatoria finale coincide perfettamente con la classifica di questa terza tappa, che vede poi al quarto posto la Fratellanza Modena.

Quanto alle prestazioni individuali, prima di parlare dei Master va detto anzitutto del successo tra i Seniores/Promesse, sul percorso più lungo di 10 km, di Ahmed El Mazoury (1990, Casone Noceto) in 32:37, quasi un minuto davanti al ventenne Mattia Marazzoli (Corradini Rubiera). Un minuto scarso intercorre anche tra la prima donna sugli 8 km, Giulia Pasini (1989, C.U.S. Parma) vincitrice con 31:33 su Enrica Bottoni, di 8 anni più giovane (Corradini            Rubiera).

Vittoria tra gli juniores, sul percorso lungo di 8 km, del non ancora diciottenne bergamasco Luciano Carallo (Val Brembana) in 26:57, con 5 secondi di margine su Abraham Carson Gotti (Centese); mentre tra le donne sui 6 km non c’è stata storia, col successo di Lovepreet Rai (2005, Atletica Lugo) in 25:56, tre minuti e mezzo su Alesia Gjikolaj (2006, Corradini Rubiera).

Eccoci ai Master alias over 35: la prima batteria ha visto in lizza su 5 km abbondanti (5,2-5,3) i nati fino al 1970; vittoria complessiva di un nato nel 1983 cioè M40, Francesco Bona (Minerva) in 18:10; secondo è stato il suo compagno di squadra, campione M45, Taoufik Bazhar in 18:27; terzo l’altro M40 Alessandro Raiti (Avis Castel S. Pietro) in 18:29.

Comparando i tempi, il risultato migliore si direbbe quello di Mohamed  Errami, cinquantaseienne del Minerva, che ha vinto la seconda batteria, sui 4 km, destinata agli over 55. Il bravo Andrea Baruffi (Fratellanza), è giunto secondo a quasi un minuto e mezzo.

Gli altri campioni delle categorie maschili sono Andrea Baruffaldi (M 35, Corradini) in 18:41, e Fabio Perazzini (M 50, Castel S. Pietro) in 19:36, appena 4” su Fabrizio Gentile dei Modena Runners. Tra i più anziani cimentatisi sui 4 km, detto dell’extraterrestre Errami, si laureano tra gli M 60 Daniele Dottori (Sacmi Imola) in 16:19 allo sprint su Marco Moracas (Aquadela Bologna). Tra i due si inserisce in 16:21 il campione M 65 Rossano Altini (Castel S. Pietro), mentre il primo M 70 è Aris Giordani (Celtic Druid Castenaso) in 18:03. Non molto dietro, in 18:38, gli arriva il campione M 75 Araldo Viroli (Castel S. Pietro); poi c’è tutto il tempo di aspettare l’unico concorrente M 80, Giancarlo Raggi (Mameli Ravenna), 24:25, e la decina di corridori delle altre categorie più ‘giovani’ ma che devono completare il giro dietro di lui.

Incombe la gara delle donne, prova unica sui 3 km dalle F35 alle F80: e poco ci manca che tra i primi posti assoluti figuri la gloriosa F 75 Lucia Soranzo (classe 1948, Atletica Faenza) che arriva in 15:12. Naturalmente, ragazze con la metà dei suoi anni la precedono: la vincitrice assoluta Manuela Bulf (Casone, del 1985 dunque F 35), in 11:16; la seconda, e campionessa F 40 Simona Santini (Minerva), 11:31; la prima F 45, Francesca Durante (Casone, 11:47), che arriva quarta assoluta (terza di un soffio è la medaglia d’argento F 35 Eliana Silvera Silva, Casone, 11:46); la campionessa F 50 Rosa Alfieri (Minerva), 12:09, 7 secondi davanti alla prima F 55 Claudia Gelsomino (una lombarda tesserata Casone). Tra le F 60 prevale Susi Frisoni (Atletica 85 Faenza) in 13:33; tra le F 65 Giordana Baruffaldi (Casone) in 14:26, mentre le F 70 sono regolate da Germana Babini (Lughesina) in 16:23, e le F 80 dalla nostra compagna di tante corsette emiliane, la parmense Raffaella Dall’Aglio (Casone), classe 1943, con 21:53.

Collaudatissima l’organizzazione della Self Atletica Montanari Gruzza: a disposizione spogliatoi con docce (unica volta nelle tre prove), un succulento ristoro finale dove eccellevano le qualità di torte e il tè saporitissimo (ma all’uscita del parco “Dorando Pietri” c’era la fontanella comunale dell’acqua liscia e gassata, gratuita  - non come tra gli esosi modenesi), dove molti giovanissimi corridori sono venuti ad abbeverarsi.

Perfetto l’apparato giudicante, e d’altronde se ti affidi a Cristian Mainini, Nerino Carri e Paolo Giaroli non puoi sbagliare, e in un’ora o poco più trovi già online le classifiche complete (che, qualche ora dopo, vengono minimamente rifinite). Ecco perché, anno dopo anno, Correggio è l’unica sede che non cambia mai nei societari di cross emiliano-romagnolo.

4 febbraio – La dicitura “1°” non inganni, perché qui a Pomponesco (sulla riva sinistra, lombarda, del Po esattamente di fronte a Boretto) si corre da vari anni, sempre col patrocinio dell’Atletica Viadana: si conserva memoria di una “Corsa di Pomponesco” su strada del marzo 2018, poi di un “Cross in Garzaia” (la riserva naturale nel greto del Grande Fiume) nel febbraio 2020, che per poche settimane schivò il Covid ma non la piena del Po che costrinse a percorsi ridotti; poi un “Garzaia Cross” nel 2022-2023, e infine questo di oggi, probabilmente n° 1 perché per la prima volta con un percorso competitivo dichiarato di 10 km (ma in realtà di 11,5), valevole come seconda prova del Criterium provinciale mantovano Fidal.

A questo si sono aggiunti tre percorsi non competitivi Fiasp, di 5, 11 (uguale all’agonistico) e 14 km dichiarati (in realtà 15,4: l’aveva anticipato Dervis Montanari!), di cui forse una dozzina sterrati, su stradelli e sulla sabbia del Po, in un paesaggio reso ancor più suggestivo da una nebbia come noi che stiamo 50 km più a sud non ricordiamo da almeno un ventennio. Nebbia pascoliana e felliniana, che impronta anche i versi dialettali di un eroe di queste parti, Cesare Zavattini, non a caso intitolati La basa:

O vést an funeral acsé puvrét - c’an ghéra gnanc’al mort - dentr’in dla casa. 
La gent adré i sigava. - A sigava anca mé - senza savé al parché - in mes a la fümana. (Ho visto un funerale così poveretto che non c’era neanche il morto dentro la cassa.

La gente dietro piangeva, piangevo anch’io senza sapere il perché in mezzo alla fumana).

Navigando con prudenza, si arriva di misura per la partenza, lasciata libera tra le 8.30 e le 9 per i non competitivi, e unica alle 9 per gli agonisti. Fila, sebbene non lunghissima, per noi imprevidenti che non ci siamo pre-iscritti; disponibilità di spogliatoi e docce a circa 200 metri dalla partenza, collocata nella bellissima piazza centrale di Pomponesco (quanti gioielli sono nascosti in questa Bassa, operosa e prospera ma col gusto del pubblico decoro).

Come in tante gare di qua e di là del Po in questa zona (Guastalla e Tagliata, Gualtieri, Scorzarolo, Cesole, Luzzara…), appena si esce dal centro si va subito sull’argine, se ne percorre un po’ sull’asfalto (i resti delle antiche strade statali su cui don Camillo e Peppone si rincorrevano in bicicletta), si saluta la Teida sorprendentemente venuta fin qui, per discendere presto nella golena, inizialmente lungo strade bianche, poi per caradoni e sentieri, talvolta affondando nella sabbia, mentre il sole stenta a perforare la nebbia e i pioppi dei saldini proiettano flebili ombre.

Il corso del fiume si renderà visibile solo dopo il km 11, cioè dopo che i competitivi (e gli aggregati al giro degli 11, come Paolo Giaroli che però dichiara di averne fatti 3 di più causa mancanza di frecce segnaletiche) svoltano a sinistra scendendo in paese.

Sono in tutto 91 uomini e 22 donne ad essere classificate: e se tra le donne non potevano esserci dubbi sulla vittoria di Isabella Morlini, con 49:41 vale a dire 2 minuti di vantaggio sulla seconda Alessia La Serra (che ha 18 anni meno di lei) e più di 3 sulla terza, Galina Teaca, tra gli uomini la gara è stata più combattuta con Alberto Marogna (quasi coetaneo della Morlini) che con 42:40 ha distanziato di 39” Marcello Mastruzzi e di 43” Luca Galvani.

Mentre dalla sottostante piazza giungono le voci della competizione, noi appassionati senza mire di classifica tiriamo dritto sull’argine per un paio di km scarsi, scendendo infine nella zona industriale e, alla chiesetta “tomba della Rosina”, indirizzandoci verso Pomponesco di cui finalmente vediamo il campanile (sono già suonate le 10, poi le 10,30, ma chissà se erano le campane di Pomponesco o quelle degli altri paesoni che punteggiano la campagna). Una scena curiosa: stanno erpicando un campo, e dietro l’erpice una decina almeno di trampolieri (saranno le garze o qualche affine?) camminano beccando quello che vien fuori dalle zolle rivoltate e spezzettate.

Suggestiva la sequenza di case dai diversi colori nel vialone, grosso modo parallelo all’argine, attraverso il quale torniamo nella piazza della partenza-arrivo. Stranamente il ristoro e il sacchetto-premio non sono di fianco all’arco del traguardo, e per trovarli mi serve l’indicazione di Paolo Giaroli che decanta la bontà del gnocco luadèl in omaggio (mentre, ahinoi, non c’è niente di caldo, e il ristoro rimasto consiste in acqua e patatine-pai).

Però il forno a fianco è preso d’assalto, e quanto al pranzo domenicale per recuperare le 1560 calorie bruciate in corsa, stante il tutto esaurito nella centralissima trattoria “d’ol sindic” e in quella nel greto di Viadana (cittadina dove però vale la pena di entrare nella monumentale chiesa ricca di pitture cinquecentesche), i cugini Giaroli sono concordi nell’indicarmi “La Locanda del peccato”, con annesso ristorante gestito da 60 anni dal cavalier Arneo, nella vicina Villastrada (esattamente di fronte a Luzzara). Rane, lumache, zucche nei più vari allestimenti, e per finire torta sbrisolona e zuppa inglese: peccato dover rinunciare a tanti altri “peccati”, ma si potrà rimediare un’altra volta.

Giovedì, 01 Febbraio 2024 12:41

La Corrida resta sempre la più amata

31 gennaio – Nel giorno in cui Modena diventa la capitale italiana del podismo (perché si corre solo qui, dove è festa, e perfino Gian Carlo Chittolini risale da Tirrenia per respirare l’aria buona della storia atletica nostrana) in 605 sono venuti per correre la gara competitiva, targata con la cifra tonda 50 anche se bisognerebbe farci la tara, come già spiegavo – da veterano che ne ha corse 40 – l’anno scorso:

https://podisti.net/index.php/cronache/item/9736-una-corrida-di-nuovo-italiana-grazie-a-aouani-e-palmero.html.
Certo, dalla prima edizione del 1973 al 2024 sono passati 51 anni, dunque 52 edizioni teoriche: ma nel 2021 non si è fatta per Covid, nel 2022 si è fatta ad aprile su un percorso ridotto a 8 km e per 86 partecipanti; e se andiamo più indietro, nel 1993 e 1994 la Corrida era proprio morta, tant’è vero che al suo posto si fece una “Camminata di S. Geminiano” non competitiva. Dunque facendo le sottrazioni arriveremmo a 48; sebbene, per noi modenesi la corsa del 31 gennaio è sempre la Corrida, e le mie sunnominate 40 partecipazioni comprendono anche (per esempio) i famigerati 1993 e 1994 (una delle volte per cui grido, nonostante tutto, viva Roncarati!); più altre 5 in cui avevo il pettorale non competitivo. Dunque, facciamo pur finta di credere che questa fosse la Corrida n. 50, e anche la n.1 d.B.M. (dopo-Brighenti-Marescalchi, la coppia storica di speaker sulla cui assenza ci si interrogava). E facciamo anche finta di credere che i non competitivi fossero 4500 come recita il comunicato ufficiale della società organizzatrice (che peraltro quantifica in oltre 6000 la presenza annuale dei non competitivi suddetti).

https://www.lafratellanza.it/la-corrida-rimane-italiana-con-ursano-e-del-buono/

A occhio, non mi sembravano né 6000 né 4500: certo, c’erano 500 cadetti o giù di lì (paganti?); ma devo dire che a mia memoria non siamo mai andati così forte nel 1° km, quando si corre tra le bancarelle, e negli altri anni ci si fermava o procedeva di passo. Ma se davvero ci fossero stati tanti non comp, malgrado il prezzo esoso di 7 euro (+2 sull’anno scorso), cui si aggiungono i 20 € dei competitivi (+5 sul 2023, e con ulteriore aggiunta del sovrapprezzo-Endu), vorrebbe dire che la Fratellanza ha fatto dei calcoli giusti, allo stesso modo delle società che mettono in vendita le loro azioni al massimo prezzo compatibile con l’assorbimento del mercato. Il numero dei classificati è cresciuto di una settantina di unità, questo è un fatto non contestabile:  aggiungo che comunque tutti, comp e non comp, hanno ricevuto buoni spesa per 10 euro, la maglietta celebrativa, le piade e la rituale bottiglia di aceto balsamico (sebbene Giangi abbia da eccepire sulla sua qualità), e i comp uno zampone in più.

Facendo dunque tutte le tare possibili sui grandi numeri, i fatti dicono che, in una corsa non propriamente classificabile come parterre de rois, i vincitori sono stati Luca Ursano e Federica Del Buono (29enne figlia di un eccellente mezzofondista degli anni Sessanta e allenata da Massimo Magnani), secondo i dettagli raccontati nel comunicato stampa ufficiale (da cui attingo).

E’ Luca Ursano, portacolori dell’Atletica Vomano, a raccogliere l’eredità di Iliass Aouani conquistando la ventiduesima vittoria italiana alla Corrida di San Geminiano. L’atleta che per qualche anno ha vissuto e si è allenato a Modena ha vinto per distacco una gara che nei primi due chilometri ha visto Moslim Labouiti, sesto alla fine, fare l’andatura staccando gli avversari. Lo stesso Ursano è stato il primo a riportarsi sul battistrada seguito poi dal campione italiano in carica di maratona Francesco Agostini e dal burundese Jean Marie Vianney Niyomukiza. Per tutta la fase centrale della gara è sempre stato Ursano a fare il ritmo per poi stroncare le resistenze prima di Agostini e poi di Niyomukiza. L’atleta classe 1999 si è presentato solitario sul traguardo all’interno del Parco Novi Sad fermando il cronometro sull’ottimo tempo di 39’12”, con 24 secondi di vantaggio sul burundese dell’Unicusano Livorno e 50 su Agostini. Ai piedi del podio il primo modenese, Alessandro Giacobazzi, che non riesce così a confermarsi sul podio come un anno fa. Ottimo decimo posto anche per l’altro portacolori della Fratellanza Alessandro Pasquinucci che ha chiuso le sue fatiche in 41’39”.

Federica Del Buono, invece, è la nuova regina della Corrida di San Geminiano al femminile che raccoglie lo scettro da Elisa Palmero. La rappresentante dei Carabinieri Bologna si conferma in un ottimo stato di forma chiudendo con il tempo di 44’26” e infliggendo quasi due minuti di distacco alla prima inseguitrice, la keniana Emily Chepkemoi Cheroben che aveva preso le redini della gara nei primissimi chilometri. Partenza un pelo più conservativa, invece, quella della Del Buono che ha poi presto accelerato e fatto il vuoto alle sue spalle. Terzo gradino del podio, poi, per Sara Galimberti, mentre al quarto posto si è classificata la russa Mariya Reznichenko.

Bel pomeriggio soleggiato, come quasi sempre succede per San Geminiano (chissà se ha il suo effetto la benedizione con indulgenza plenaria impartita a mezzogiorno dal Vescovo, con la mediazione televisiva di don Alberto Zironi e di suor Federica Galli, che ha rilanciato l'omelia secondo cui, essendo Modena “la Venezia della via Emilia”, deve usare le sue pietre per costruire ponti e non muri). I podisti più competitivi scelgono addirittura la canottiera, quelli mezzani la maglietta a maniche corte (molti quella celebrativa). Stando alle foto e alla personale visione, non sono molti quelli che, per star leggeri, rinunciano anche a… indossare il pettorale: ma qualcuno c’è, almeno un paio di appartenenti a una rinomata società e noti per correre preferibilmente in compagnia di donne, e siccome stavolta non ne hanno trovate forse si vendicano rinunciando anche al pettorale. Boccaccia mia statte zitta: già c’è uno che, beccato pubblicamente senza pettorale in una Corrida del 2015, da allora non mi saluta più, lui e i suoi ascendenti (è presente pure stavolta, chissà se pagante o no); un altro ha ripreso a salutarmi, ma anche oggi persiste nel correre senza contrassegni e agguanterà la donna (lei, con pettorale) solo nel dopogara.

Si parte, come premesso, senza il rituale grido brighentiano “ed è Corrida!”; Angelo Giaroli mi segnala “il mio amico”, in fascia tricolore, sul podio, e gli rammento quell’anno pre-elettorale in cui c’erano tutti gli aspiranti onorevoli, compresa la transfuga catapultata Beatrice Lorenzin. Il primo curvone è insolitamente privo della consueta sosta da traffico (addirittura il primo km sarà tra i miei migliori, a 5:25); un po’ più stretto Canalchiaro, e mi chiedo: ma perché non mettono le bancarelle sul lato destro, acciottolato secondo la vigente propensione al falso archeologico, lasciando a noi podisti la parte lastricata della strada?

Ma arriva presto via Luosi, l’incrocio con via Barozzi dove Gianni Ferraguti (una istituzione) segnala la possibile svolta a destra per la mini-Corrida. Quasi tutti tiriamo dritto, e mi piace ricordare una giovane mamma che farà tutto il giro, più o meno alla mia andatura, spingendo la carrozzina col suo bimbetto cui insegna a leggere i cartelli chilometrici (come al solito, l’ultimo km è molto più lungo…).

Due ristori, di sola acqua; il massimo del tifo è concentrato sullo storico cavalcavia autostradale di Cognento da fare due volte, dove come sempre c’è Fabio Marranci da Firenze, e più avanti, occasionalmente, l’elegante dietologa Chiara Mezzetti, quest’anno appiedata da problemini e a riposo prudenziale in vista della sperata laurea a campionessa regionale di cross tra dieci giorni. Il ponte, negli anni antichi era teatro di qualche inversione di marcia da parte di chi voleva accorciarsi il percorso di un km abbondante (ricordo le rampogne comuni con Brighenti, a suo tempo valido corridore); ma da qualche anno c’è un controllo chip al km 7,5 e allora non si sgarra più, e comunque il saluto tra chi risale e chi scende in senso opposto è uno dei momenti più belli della Corrida (ciao, Paolo Giaroli; e chissà se c’è ancora Gianluigi Fiori che col suo bandierone rallegrava le corride dei Settanta/Ottanta, e finì perfino sulla copertina del calendario podistico).

Filano via in fretta le gemelle ‘apuane’ Lucaci (dietro c’è anche una terza sorella), poco dopo la veterana siculo-reggio-parmense Rosa Alfieri (che arriverà seconda nella sua categoria, poco dietro la bolognese Francesca Battacchi); poi un nugolo di ragazze della Fratellanza dietro cui si affretta l’elegantissima Elisa Ragazzi, il cui coniuge Fabrizio Gentile sta volando verso il secondo posto M45. Il maratoneta mirandolese Manuel Guerzoni, di conserva col compagno di squadra Antonio Botte, è ampiamente sotto la prospettiva fatidica dell’ora (quella che distingue i fortissimi dagli altri); per 11 secondi ci starà dentro pure l’altro compagno Paolo Pedrielli, reduce da New York.

Irrimediabilmente fuori da quella linea siamo noi che ci sorpassiamo scambiando qualche impressione volante: puntuale il sorpasso partito al km 3 da Maurito Malavasi ed Emilia Neviani, al 5 da Angelo Giaroli, al 7 da Vanni Casarini (“caro Marri…!” è il suo saluto usuale nel ricordo di uno sprint sul lago di Garda), al 10 da Paolino Malavasi, all’ultimo km da due ragazze del Torrile, Maddalena e Marzia: competitivi o no, siamo tutti nella stessa barca. Mentre incalzano i plotoni dei cadetti coi loro canti bellicosi che promettono di morire per la patria sui campi di battaglia.

E dopo il periglioso sottopasso delle Costellazioni e il rientro in città col fiato in gola (Caco Borsari, perché non ti vedo più nel tuo punto prediletto sotto il semaforo?), alla spicciolata arriviamo noi dalla lunga fedeltà alla Corrida: in 1h10 Maurizio Pivetti, 1.11 Guido Menozzi già eroe di Tromso, 1.13 Angelo Giaroli, 1.16 il superfedelissimo Elvino Gennari tante volte protagonista al Passatore (un altro po’, e quasi mi prendeva), 1.40 Ideo Fantini, fino al sempre presente Giuseppe Cuoghi che chiude gli arrivi, di fianco alla pista da hockey che lo vide protagonista negli anni Settanta, in 2.01:40.

Solo acqua e una mela al ristoro finale (Giangi sogghigna via whatsapp), compensano varie società con dispiego di bevande e dolciumi davanti alle rispettive tende (la sopraggiunta dott. Mezzetti vigila che la sangria sia analcoolica, e mi fulmina vedendomi addentare un cioccolatino). Lunga la fila e poco organizzata (come l’anno scorso) la distribuzione del premio ai non competitivi, malgrado l’abnegazione degli addetti (tra cui la campionessa e organizzatrice Monica Barchetti).

Premiazioni non più all’interno del Palasport, ma sul posto, più sobrie e non infestate dai compunti saluti dei poltronari del comitato d’onore. Ci si attarda lì fuori, nei festeggiamenti e nei complimenti, finché il sole tramonta, per la cinquantesima volta (o giù di lì) sulla corsa - nonostante tutto - più amata dai modenesi.

21 gennaio – Cinquantadue edizioni, le prime in altra collocazione, ma poi stabilmente qui, a una dozzina di km da Bologna, dove le due ferrovie “direttissime” (quella del 1931 e l’AV) si biforcano per valicare l’Appennino. Come nella tradizione, freddo barbino (-4 alla partenza) ma il sole: 4 percorsi, con leggera riduzione del chilometraggio complessivo causa una frana che ha interrotto il giro tradizionale della seconda parte, dopo il ponte di Pianoro Vecchio; i due tracciati più lunghi erano dati di 16 e 20 km, il mio Gps alla fine segna 19,100 per il maggiore, con 578 metri di dislivello complessivo.

Gara non competitiva come sempre, prezzo d’iscrizione che più basso non si può (2,50) soprattutto se commisurato ai 4 ristori intermedi (con tanto di torte casalinghe) e al ristoro finale, che a me (alla 13^ partecipazione, malgrado i 60 km da fare per arrivare là) è parso più ricco e gustoso che mai.

Ma non credo che le migliaia di podisti e camminatori venuti qui perfino da Desio (ancora a 10 minuti dalla partenza, la fila al tavolo delle iscrizioni superava la cinquantina di metri) puntassero soprattutto ai ristori, e al premio finale (6 “peschine”, come quelle che nella mia infanzia le suore dell’asilo vendevano per 30 lire la domenica davanti alla chiesa): è il fascino dei panorami, quelli vicini di calanchi e vigneti, quelli più all’orizzonte come il Monte Cimone e le Prealpi veronesi, che si godono dalle prime due alture, ai km 5 e 13 (come detto, ci è mancata la terza salita, col discesone ora ghiacciato ora infangato da fare per ridiscendere al piano); ed è anche la non eccessiva difficoltà del tracciato, non a caso affrontato (almeno il  “medio” dei 10 km) anche da giovanissimi, per i tre quarti asfaltato e per il resto su comode carraie, con un po’ di fango da scioglimento ghiacci solo intorno al km 15.

Meno belli il km di strada statale e la zona industriale degli ultimi km, sebbene coronata da un ristoro-super, comprendente, oltre alle torte, anche la cioccolata calda: poi, il grande parco abitato da anatidi vari, e l’abbuffata finale col clou delle cotiche nel brodo di fagioli, ma pure dei maccheroni col ragù alla bolognese, del vin brulé e altre leccornie che si trovano solo alla “Galaverna” e sono l’ideale per scacciare il freddo (“sai quanta gente ha fatto il bis e il tris?”, mi diceva la erogatrice di mestoloni).

Disponibile, per ripararsi, anche una sala-teatro, dove, oltre ai servizi igienici, era allestito perfino un deposito borse (cosa inaudita in una non competitiva). Usciti alfine allo scoperto per il via, qualcuno si è spazientito perché la sindaca la tirava in lungo con la sua concione, oltre tutto inascoltabile causa la povertà dell’altoparlante, mentre noi zampettavamo cercando le rade lame di luce nella strada gelata: finalmente alle 9.08 ci hanno lasciati partire, e solo dopo un paio di km, quando la strada finalmente saliva, la temperatura corporea è divenuta accettabile e abbiamo potuto godere la festa, sia chi più o meno correva (qualcuno aveva pianificato questa corsa come tappa di avvicinamento alla maratona di Bologna), sia chi camminava, magari tenendosi delicatamente per mano tra partner, anche stagionati, o raccontandosi tra amiche le ultime vicende del marito di quella o del proprio figlioletto sciatore impaurito o dei genitori morti di Covid uno a un mese dall'altro.

La “Galaverna” è questa: sport, solidarietà (un contributo era promesso al settore oncologia dell’ospedale S. Orsola), affetti, chiacchiere… e alla fine, pieno soddisfacimento del palato.

Forte dei Marmi, 7 gennaio – Si è chiusa anche la terza edizione della Forte Sea Front, una delle più giovani tra le numerose gare, allestite o coordinate dal Club Supermarathon Italia, che prevedono maratone in serie di 3, 4, fino a 10 giorni consecutivi, su circuiti di qualche sviluppo chilometrico (non quelli asfittici prediletti per le competizioni a tempo dalle 6 ore in su); con l’aggiunta di gare più corte, mezza maratona o anche pochi chilometri, così da invogliare pure i famigliari dei maratoneti e indossare le scarpette e, magari, solo camminare così da illudersi di smaltire i succulenti pranzi imbanditi ogni sera.

Naturalmente, là davanti, gli atleti semi-professionisti o gli amatori evoluti fanno la loro gara, e nella parte bassa del proprio palmarès (quella assente dalle classifiche Fidal o World Athletics) potranno annoverare anche questi successi. Gli altri aggiungeranno qualche tacca al calcio del loro fucile maratonico, da rendere più spazioso ad ogni nuovo record conseguito: se nei primi tempi per iscriversi al Club occorrevano cento maratone ultimate (poi abbassate a cinquanta), ormai il traguardo delle mille è stato raggiunto da vari, complice il proliferare di queste 42 in serie, con tempi massimi che non negano a nessuno di apparire in classifica.

Doverosamente diciamo del risultato complessivo, cioè dei vincitori assoluti della 4 giorni, peraltro già intuibili dai risultati del primo giorno, che, coi successivi, è apparso tempestivamente su queste colonne, corredato da tutte le classifiche divulgate da Timing Run. Ha vinto con largo margine Gianluca Coniglio, un M 50 vincitore delle prime tre tappe e secondo solo al “giornaliero” M 35 Lotti l’ultimo giorno (aggiunto da Roberto Mandelli al collage della foto 1). Il suo tempo è 12h14:06, con la miglior prestazione nella prima tappa, 2h57:43. Alla piazza d’onore è Alessio Grillini, M45, a 18 minuti; terzo l’affezionato Giorgio Calcaterra a 52 minuti, mentre il quarto, Giorgio Grassi, sconta quasi un’ora dal vincitore. 38 i classificati.

Tra le 14 donne sempre presenti, scontata vittoria della romana Sara Pastore, vincitrice con 14h51:20 (miglior tempo 3h35:09 il primo giorno; l’unica di tutte le contendenti a stare ogni giorno sotto le 4 ore), che ha rifilato ben due ore alla seconda, la F 55 Morena Cerchiari, e quasi tre alla terza, la francese Marie-Noelle Lamer. Peccato che l’unica ragazza che sembrava tecnicamente in grado di contendere il successo a Sara (pure lei F 35… e vegana), Francesca Scola, avesse partecipato alla sola terza tappa, giungendo a cinque minuti dalla vincitrice.

Ma è pittoresco scorrere la lista fino in fondo; sebbene quest’anno la partecipazione abbia dovuto subire la concorrenza del “recupero” della maratona di Crevalcore, prevista per il 16 aprile 2023 e rinviata al giorno della Befana, in quella che è stata dichiarata (non per la prima volta…) l’ultima edizione: molti supermaratoneti, già iscritti per l’aprile scorso, o semplicemente desiderosi di non perdere the last dance, sono andati a Crevalcore, imprimendo il segno più, coi 192 arrivi (più 344 della maratonina) sulla sconfortante cifra di 103 + 200 della precedente edizione 2022.

A Forte dei Marmi, se la cifra di quanti hanno completato tutte le quattro maratone si attesta sui 52, la partecipazione di ogni giornata ha oscillato tra i 73 e i 76 per la corsa più lunga, più una ventina di iscritti alle due competizioni minori: il tracciato misurava approssimativamente km 8,600 dei quali due a fronte mare, tra le cabine e la battigia, e il resto sulla grande pista ciclopedonale lungo viale della Repubblica nell’immediato entroterra, con passaggio avanti e indietro (dribblando due ‘panettoni’) davanti alla storica “Capannina” che dal 1929 ha visto le esibizioni dei cantanti più famosi, da Ray Charles a Gino Paoli, Ornella Vanoni, Edoardo Vianello ecc. Controllo chip ad ogni passaggio dalla partenza-arrivo, e spunta manuale dei nomi all’estremo opposto: in entrambi i luoghi, ristori molto forniti di bevande (birra inclusa), frutta, formaggi e altri generi mangerecci.

La mia esperienza si limita al giorno della Befana, con un’anteprima alla vigilia del 5, culturalmente santificata con la visita alla grandiosa grotta del Corchia di Levigliani (25 km a monte, verso le Apuane, foto 9-10), e chiusa dall’immersione nella cena ‘befanesca’ al ristorante dell’hotel che ospitava la più parte degli iscritti. Era assente, la sera, il presidente Paolo Gino, per ragioni di autentico lavoro trovandosi a Roma per definire, coi pubblici amministratori, il tracciato della maratona prevista il 28 gennaio in occasione dell’assemblea annuale del Club; e la gestione materiale è toccata a Sergio Tempera alias Arrotino (foto 3,4,14), che dal primitivo ingaggio quale fotografo si sta trasformando in maestro di cerimonie, lasciando solo la parte economica a Massimo Faleo (a sinistra nella foto 12). Mi sono trovato seduto nella stessa tavolata di Giorgio Calcaterra e Sara Pastore (foto 11 e 13), che mentre i piatti dei commensali si riempivano di maccheroni col sugo di pesce, poi di tagliata di manzo e filetto di branzino, annaffiata da gradevoli rosso e nero, consumavano piatti vegani e poco dopo le 21 salutavano la compagnia: questo si chiama essere atleti&asceti. Meno problemi si faceva il resto della compagnia, trascinata alla fine dall’Arrotino (omaggiato di una torta per il suo non-compleanno) in un vorticoso trenino di ballo tra i tavoli.

Fuori pioveva, e le previsioni per l’indomani erano per una maratona che avrebbe ripetuto in peggio il clima piovoso del 5: e invece, San Paologino e San Vitopiero regalavano una mattina del 6 con una falce di luna che forava le nubi, e partenza alle 9 tra le nubi, che però solo dopo le 13 regaleranno quella che i meteorologi definiscono “debole pioggia”. Temperino, appostato nella zona del molo, tentava di indurre i podisti a sguazzare nelle grandi pozzanghere che costellavano il tratto sterrato, in modo da produrre foto con gli spruzzi volanti, mentre a volare era il drone di Filippo Carugati (foto 15), alle prese anche con la videocamera manuale.

E noi continuavamo a incrociarci e salutarci (salvo casi di antipatie personali: su un paio di persone che si voltavano dall’altra parte ogni volta che le incrociavo, tengo per me le ipotesi di spiegazione); i saluti più affettuosi, di tutti, erano verso un corridore fuori classifica, il vecchio campione Gianfranco Toschi col quale c’è sempre qualcosa di umanamente interessante da dire. Un altro abbraccio affettuoso e generalizzato andava a Massimo Morelli, redivivo - e noi sappiamo bene da cosa -, scortato alla fine da Enzo Maria Caporaso, qui anche nelle vesti di organizzatore.

Mentre l’elegante incedere della chioma mora di Sara Pastore e delle trecce bionde di Francesca Scola (in gara, come si è detto, solo oggi) attiravano sempre sguardi ammirati. Mi capitava pure, ad ogni giro, di informare Cristina Terenziani del suo distacco dal marito Giorgio Saracini, che verso la metà pareva sul punto di colmarsi: arriveranno a poco più di un minuto, e lui vincerà la categoria M75 (per sua fortuna, mi diceva a cena, quest’anno è passato di categoria dunque non deve più temere la mia concorrenza…).

Faceva la sua gara Roberta Pruzzo, figlia del rey di Crocefieschi (sfondatore di reti con Genoa, Roma e Fiorentina), che prima della partenza (foto 4 e 5) aveva dato appuntamento a tutti nella sua casa di Camaiore, per un altro party befanesco. Più indietro, facevano le loro camminate ‘conservative’ il primatista italiano come maratone corse, Vito Piero Ancora (1609 gare concluse entro l’anno), Massimo Faleo (645; nella foto 12 a tavola con Ancora e il “trombettiere” Lorenzo Gemma) e Pandian Sivalaban, probabilmente il socio dalle origini più lontane (attualmente iscritto al corrispondente club austriaco), e che negli ultimi dieci anni è arrivato a 754 tra maratone e ultramaratone.

Riprendendo la classifica complessiva, noterò la curiosità di due signore che hanno atteso l’ultimo giorno per compiere la loro miglior prestazione: la quinta, Lucia Candiotto (4.18:08), e la nona, nonché prima F 70, Rosa Lettieri, che solo al quarto tentativo è scesa sotto le 6 ore. Tra gli uomini, impresa analoga è riuscita a Gabriele Grassi, il cui 3.10 dell’ultimo giorno gli ha fatto grandemente avvicinare Calcaterra; al sesto, Giulio Civitella (3.46); al settimo, il lituano Arunas Dubinskas (3.48) e all’ottavo, Bassit Briguech. Ma anche ai romagnoli Roberto Bolognesi e Yuri Fabbri, quest’ultimo addirittura con una progressione costante che l’ha portato dal 5.54 del primo giorno al 5.10:50 dell’ultimo (progressione che Fabbri conferma anche giro dopo giro: nella terza tappa aveva cominciato poco sotto 1h15, scendendo poi a 1.08, 1.06, 59’ e 55:18). Miglior tempo l’ultimo giorno anche per Zerbinati,  Ancora, Pandian, Ganzerli, finiti nell’ordine, mentre chiude le danze Massimo Faleo con una media di 7h20 a gara e l’invito a unirsi alla sua comitiva per l’imminente maratona di Ragusa (quella alla cui prima edizione arrivammo tenendoci per mano e il cronometrista ci distaccò di un minuto l’uno dall’altro). E una settimana dopo Ragusa, a Roma chez Calcaterra, per una inedita sede del ritrovo & maratona sociale.

Ultimi commenti dei lettori

Vai a inizio pagina