Direttore: Fabio Marri

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Fabio Marri

Fabio Marri

Probabilmente uno dei podisti più anziani d'Italia, avendo partecipato alle prime corse su strada nel 1972 (a ventun anni). Dal 1990 ha scoperto le maratone, ultimandone circa 280; dal 1999 le ultramaratone e i trail; dal 2006 gli Ultratrail. Pur col massimo rispetto per (quasi) tutte le maratone e ultra del Bel Paese, e pur tenendo conto dell'inclinazione italica per New York (dove è stato cinque volte), continua a pensare che il meglio delle maratone al mondo stia tra Svizzera (Davos e Interlaken; Biel/Bienne quanto alle 100 km) e Germania (Berlino, Amburgo). Nella vita pubblica insegna italiano all'università, nella vita privata ha moglie, due figli e tre nipoti (cifra che potrebbe ancora crescere). Ha scritto una decina di libri (generalmente noiosi) e qualche centinaio di saggi scientifici; tesserato per l'Ordine giornalisti dal 1980. Nel 1999 fondò Podisti.net con due amici podisti (presto divenuti tre); dopo un decennio da 'migrante' è tornato a vedere come i suoi tre amici, rimasti imperterriti sulla tolda, hanno saputo ingrandire una creatura che è più loro, quanto a meriti, che sua. 

12 maggio – “Ma sei sempre in Toscana!” mi messaggia Micio Cenci (altro innamorato delle corse in natura) quando alla vigilia gli trasmetto la foto di una “maialata” (nel senso di piatto con tre diversi tipi di maiale) in procinto di esser fatta fuori in un ristorantino di San Casciano Val di Pesa. Il grosso borgo (bello come tutti i borghi toscani tra Firenze e Siena) è pavesato con gli annunci della maratona del Chianti Classico, una delle ultime arrivate nel ricco panorama dei trail lunghi della regione, ma non meno meritevole (malgrado la fatica forse superiore a quanto si poteva dedurre dalle presentazioni online). Anzi.

I percorsi principali erano due, di 47.2 ufficialmente quotato con 1392 metri di dislivello, e di 21.8 + 644 D (in pratica viene tolto il tratto più panoramico e insieme più duro, il paradiso terrestre naturalistico e urbanistico tra Passignano e Greve-Montefioralle); più un walking non competitivo di 10 km.

La gara lunga è stata vinta da Marco Bellini, un 37enne della Pol. Unione 90, in 3.44:01, quattro minuti abbondanti sul cinquantenne meranese Rudi Brunner, e quasi 12 su Emanuele Quercioli. Dodicesima assoluta, e prima donna, Laura Fanfani (Il Ponte Scandicci) in 4.32:05; seconda (e prima senior) a 40 minuti Eduela Cepele del Cai Prato, che ha preceduto di altri 7 minuti la terza, Eleonora Pucci dell'Isolotto di Firenze.

Netto il dominio nella mezza del 24enne Matteo Rossi (Orecchiella), che con 1.26:34 ha distanziato di 7 minuti Daniele Roccon (Scuola di maratona Vittorio Veneto), e di 11 Gabriele Fiesoli (Pod. Medicea). All'Orecchiella anche il successo femminile, con Annalaura Mugno (1.53:24), dieci minuti davanti ad Alessia Mira (Novatletica) e 13 sulla terza, Federica Vannini (Atl. Castello).

Partenza e arrivo per tutti a Mercatale (frazione a 5 km dal capoluogo S. Casciano, non bellissima a dire la verità, e famigerata per essere stata la residenza di Pietro Pacciani coi suoi compagni di merende, che erano di S. Casciano: onestà cronistica impone di dire che Pacciani è morto da innocente, assolto e in attesa di un nuovo processo, e anche sulla colpevolezza dei compagni di merende c’è più d’un dubbio: https://it.wikipedia.org/wiki/Mostro_di_Firenze#Processo_a_Pacciani).

Alla vigilia è consigliabile visitare i luoghi che non saranno toccati dalla gara, da Impruneta (dove però è quasi tutto chiuso, tranne il duomo alquanto buio), a San Casciano (con due notevolissimi musei all’interno di due vecchie chiese), fino alla Badia di Passignano, che la gara circumnavigherà ma senza farci entrare nel meraviglioso borgo murato e nel monastero vallombrosano; e all’antica pieve i S. Stefano in Campòli, dove il simpatico Proposto locale ti imbastisce una predica tutta fiorentina, che è una delizia ascoltarla (glielo dirò il mattino dopo vedendolo sorridente in zona partenza).

Iscrizione a prezzi concorrenziali rispetto alle corse similari in zona, ben al di sotto della soglia psicologica di un euro a km, e con l’aggiunta non solo di un elevato numero di ristori, ma anche di un pasta party finale, equamente distribuito fra il circolo di Peppone e quello di don Camillo.

Un po’ ristretto il tmax, fissato in 8 ore, con un limite di 5 al km 32; ma ci sarà ampia tolleranza, fino alle 8h49 del pordenonese Luca Scuderi con cui dividerò alcuni km: in tutto sono 131 i classificati, cui andrà aggiunto un numero imprecisabile di ritirati; d’altronde, malgrado la partenza alle 7 con una temperatura di 14 gradi, il sole picchierà costante e farà raggiungere i 27 (l’attrezzo che mi servirà di più, bastoncini a parte, sarà la spugna per levare il sudore che colando mi brucia gli occhi). E quanto all’altimetria, se i dati ufficiali dicono 1392 D+, i miei due Gps scrivono 1577 e 1737… (e le mie gambe concordano).

A concludere i 22 km (che partono un’ora dopo) saranno in 376: insomma, 500 abbondanti credo siano un bel successo, e meritato, anche senza arrampicarsi sugli specchi come fanno molti organizzatori che per far numero millantano i non competitivi, misurati un tanto al braccio. Forse l’unica remora a una partecipazione ancor più numerosa è costituita dall’alloggio, difficile da trovare e soprattutto carissimo: purtroppo è la legge della domanda e dell’offerta, se qui è sempre alta stagione, e dollari e sterline circolano alla grande, gli albergatori si adeguano (mi ritengo fortunato se trovo un hotel a 9 km per soli 160 € a notte).

Vengo alla corsa. I primi 5 km sono prevalentemente in discesa, da quota 290 di Mercatale fino ai 210 del torrente Pesa, e dopo una breve salita, di nuovo giù fino al punto più basso dell’intero tragitto, i 160 m sotto Sambuca al km 10. Da qui conviene inastare i bastoncini perché comincia la salita verso Passignano: al km 18 c’è il primo ristoro completo (il terzo delle serie), dove mi permetto anche mezzo bicchiere di Chianti freschissimo (in fondo, Gastone Nencini vincitore di un Tour, nella borraccia metteva Chianti, mica polverine…). Attraverso altri luoghi ameni (Villa Consuelo, Fonte dei Medici dove tutte le camere dell’alloggio hanno il nome di un vino) si sale a quota 445 del km 20, poi discesona fino al 23 su quelle stupende strade bianche toscane, contornate da uliveti e vigne, con passaggio continuo di pellegrini e ciclisti che ci salutano uno per uno. Segue il giro attorno alla grande badia di Passignano, indi la risalita in un bosco protetto, forse la cosa più paradisiaca vista finora (davvero penso che se morissi adesso, avrei l’estasi negli occhi). 

È il tratto esclusivo per noi ultramaratoneti, il più bello, ma che consumerà almeno i più scarsi, complice anche il caldo: tra il km 27 e il 29 si passa da 290 a 460 metri (il punto più alto del giro), e di nuovo fra il 33 e il 35 da 280 a 430 (il nostro pettorale evidenzia tutto, magari in caratteri un po’ piccini…). Lì per lì non ce ne accorgiamo, perché il passaggio per Montefioralle, sopra Greve (dove c’è anche un agognato rubinetto di acqua fresca) ci convince di essere nel borgo perfetto (ci gioco la mia reputazione, vi sfido a trovare un posto più bello).

All’uscita dal castello si presenta un ristoro, ben fornito pure questo, dove oso chiedere: adesso comincia la discesa? Siii (drizz in di ciapp avrebbe detto Carlo Porta), subito c’è il salitone già citato, dei 150 metri in 2 km, con passaggio vicino all’antichissimo santuario di San Cresci (quanti giochi di parole nelle novelle boccaccesche su questo nome): un ristoro abbandonato offre una brocca d’acqua, ormai caldissima. Per fortuna, al 37, nel bosco, c’è un altro ristoro di lusso, dove mi concedo l’ultimo dito di Chianti, che mi guarisce dalla pesantezza di stomaco causata dal gel preso un’ora prima.

Ultima salita, al castello del Gabbiano (altro luogo di produzione del Chianti, una cui bottiglia sarà nel pacco gara: ma qui, stiamo freschi se speriamo anche solo in una goccia d’acqua). All’uscita dal castello, uno dei numerosissimi addetti ci fa coraggio dicendo ma manca un km e mezzo: mente per la gola, il cartello stradale dice 3, e tre saranno, con discesa fino a 240 metri e poi un centinaio da salire fino al km 46, dopo di che ci faranno grazia di una trentina di metri in discesa, che ci permetteranno di correre fino al traguardo, nella scenografica piazza.

Originale e in tema la medaglia, una terracotta a forma di pàmpino (parola che ci insegnavano alle elementari, per la foglia della vite, ma che i bambini di oggi non sanno più), e scolpito all’interno il gallo tipico di quel vino.

Cento metri per il ritiro borse, spogliatoi e docce (tassativamente separate per sessi) ancora calde, poi rientro in piazza per il pasta party già citato, comprendente fra l’altro una squisita “pappa al pomodoro” che fa venire in mente Gian Burrasca, ma in realtà è un modo saporito e intelligente per non buttare gli avanzi di pane. Immancabile e senza limiti l’ulteriore Chianti, e per chi vuole anche il vinsanto in cui intingere i cantuccini. A quest'ora, siamo santi tutti.

9 maggio – Messaggi della vigilia da Giangi:  “Vai domani 9 maggio  CORSA MADONNINA MO .. IO NO - Ti piace così tanto la ciclabile che va dalla madonnina allo stadio e ritorno” (i punti interrogativi sono un optional, non così gli emoticon corrucciati e lacrimosi).

Malgrado questi, andiamo dunque, al primo dei tanti appuntamenti serali che contrassegnano d’ora in poi la stagione del podismo modenese, sia per la voglia di socializzare (condita da un simpatico tramonto) sia per l’occasione benefica, patrocinata dal Rotary Club “Muratori” di Modena (il grande Lodovico Antonio patrocinò fin dai suoi tempi la costruzione di un “Albergo dei poveri” e di uno “Spedale”, divenuto poi il S. Agostino attivo fino a pochi anni fa) a supporto del Centro oncologico modenese, per l’acquisto di una nuova apparecchiatura stimata 10mila euro.

Dieci euro l’iscrizione “sostenitrice”, che dava diritto a una maglietta gialla, luminosa come gli occhi di Morena Baldini; soli 2,50 l’iscrizione normale, oltre tutto premiata con mezzo kg di pasta e una bottiglia di moscato del Rubicone a 7 gradi (chissà se Werter Torricelli chiamerebbe vino anche questo); insomma sembrava quasi che i podisti ricevessero, non facessero la beneficenza.

Ma a giudicare dal colpo d’occhio, forse la metà dei 754 partecipanti avevano pagato i 10 €, facendo un’opera buona sotto l’occhio e la voce del principe dei narratori orali del podismo, Roberto Brighenti: che da qui mosse i primi passi, tra la vecchia ferrovia e i prati non ancora cementificati di quella che allora si chiamava “la Russia di Modena”, e in era podistica divenne il nodo della maratona di Carpi, qualunque fosse il luogo di partenza, anche Reggio nel ‘97.

Quanto al percorso attuale, aveva ragione Giangi: niente più i tracciati per la Barchetta fino al fiume che facevano apprezzare le trasferte da queste parti, ma la stessa stessissima ciclabile “diagonale” usata due settimane fa per la corsa “della Libertà”: dalla sede della società (e del Partito) al cimitero e alla ferrovia attuale, occhiello, ritorno alla Madonnina, altro occhiello nella zona sud-via Saltini, in prossimità della nostra Ilva - le fonderie coop di via Zarlati -, passaggio sul traguardo dopo 5 km e, per chi voleva proseguire, secondo giro identico.

Le calorie bruciate sono le stesse, qualunque sia il panorama circostante; e i km passano presto se impiegati a raccontare progetti e a dirne quattro che il tacere è bello, nel primo giro con Maurito e nel secondo con Paolino Malavasi, sorpassando e venendo sorpassati da Maurizio Pivetti (che adotta la tattica di Pizzolato per vincere a New York), o dal Grossi di Soliera-Ravensburg che non può evitare la scorta finale a Simona Malavasi.

Ma siamo tutti giustificati dall’occasione benefica, e dalla sua tomba alla vicina Pomposa il buon Lodovico Antonio (podista quotidiano, dalla biblioteca Estense alla sua casetta della Punta), che tutta la vita si impegnò per la “pubblica felicità”, e spendeva i propri soldi per acquistare sui mercati esteri il chinino utile ai concittadini ammalati, ci benedice.

5 maggio – Oggi, giorno natale (fra gli altri) di Karl Marx, il risorto calendario podistico modenese portava a Mirandola, per l’edizione numero 50 della Sgambàda (che da quelle parti non si pronuncia sgambàda, ma con la tipica ä delle Basse, come Mirändla e Nunäntla: è una questione di contatti tra ferraresi, mantovani e bolognesi, più magari qualche abate che insegnava alle mirandolesi la posizione del missionario…).

La giunta comunale attualmente in carica (che a Karl Marx non si ispira) ha messo all’ingresso dei borghi cartelli marroni con la dicitura in dialetto, e durante il nostro giro passeremo da Zivdal (cioè Zivdäl) e Bastìa, con l’avvertenza venuta da Lanfranco Rebecchi (una delle anime della manifestazione) che la “bastiglia” è il punto più alto di queste valli, altimetricamente piuttosto depresse.

Qui, ho detto, è cominciato tutto: da quel 26 marzo 1972 (ben prima della crisi petrolifera cui solitamente si attribuisce la nascita delle corse a piedi) quando l’autore del secolare Barnardòn, il lunario dil festi e dil féri che stava appeso sugli usci di tutte le case, decise di dare alla sua città una “maratona popolare”, come già si era cominciato a fare nella vicina S. Agata Bolognese (santägätä o santèghete).

A correre i 18 km ci presentammo in 850, che l’anno dopo divennero 1400, e da allora la tradizione è continuata, con tre sole edizioni mancate, e l’aggiunta fino al 1990 di una maratona (la Sei Comuni ovvero Sìä cumùn) che allungava i primitivi passaggi da la Cuncordia e San Pusidòni aggiungendo al capoluogo al Cavèss, Mdòla e San Flìs.

Perché il podismo all’epoca parlava dialetto, e per esempio nella vicina Cavezzo nacque la Trutàda, come a Vignola-Castelvetro si allestiva Da la zresa al lambròsc: queste sono le origini di un movimento che è cresciuto a dismisura, anche se il Covid gli ha dato una brutta botta (oggi eravamo in 730, col solito semi-boicottaggio di molte società modenesi: strascico di una rivalità antica che risale almeno al 1711, quando il ducato di Modena comprò dall’imperatore il ducato di Mirandola togliendogli un’indipendenza durata quattro secoli). Ma gli uomini forti del podismo modenese, da Maurizio Pivetti a Giuliano Macchitelli, c’erano, e non poteva mancare nemmeno Peppino Valentini con la sua accogliente tenda.

Partenza ufficiale alle 9, anche se era consentito (in ossequio alle consuetudini delle Basse) di andar via cominciando dalle 8,30. A occhio, nell’orario canonico saremo stati in 250-300; e tra questi sono stati premiati i primi tre più tre, al di là del fatto che la gara era ufficialmente “ludico-motoria” (perché qui dal 1972 sono sempre premiati quelli che arrivano prima, con un riguardo particolare per i bambini: la grande Cecilia Tirelli, modenese, a 8-10 anni le sue prime coppe le vinceva qua).

Tra gli adulti è risultato primo Leonardo Demuliti, davanti a Andrea Bernabei ed Enrico Zoni. Per le donne, Alicia Apshai, su Stefania Pantaleoni e Sara Zerlotto.

Il percorso, di 13,600,  era alquanto diverso da quello originale del 1972, tranne il primo e l’ultimo km, spingendosi, dopo aver attraversato la zona industriale nord della città (da cui il tracciato dei 7 km deviava in direzione del traguardo) verso le “valli” di Gavello celebri per le angurie, la già citata Bastia, poi Cividale (la stazione del treno grande per il Brennero, separata da quella del treno dal cùcc, antica proprietà del padrone della Maserati, poi comprato dalla Provincia e stupidamente soppresso nel 1964).

Tra i partecipanti, non mancava il medico carpigiano Sergio Guaitoli, che da studente corse l’edizione 1972; ed Elvino Gennari, che nel 1972 la fece in bicicletta accompagnando il fratello Pietro (primo podista di famiglia), e indosserà le scarpette da corsa col gemello Loris solo l’anno dopo. Dopo poche centinaia di metri, ho affiancato un collega che correva col berrettino e la medaglia della terza edizione (1974), l’altro carpigiano Stefano Solmi, poi trasferito a Modena, e che qui corse anche la 6 Comuni: come fecero pure i due apaches Rambo Benassi (un anno addirittura terzo in 2h40) e Angelo Mastrolia, col quale condivido tutto il percorso lungo rievocando corse, gabbianerie (sue: “ho accompagnato centinaia di ragazze in gara, nessuna che abbia mai accompagnato me”), e le belle donne in scarpette, dalla mitica Lollo alla sempiterna Egle, a quella che, “fidanzata” con un podista carpigiano, un bel giorno gli mandò le partecipazioni di nozze con un altro; per finire con quelle che dal podismo hanno raccolto i frutti benedetti dell’amore. A parte questo, Mastrolia oggi festeggia la doppia salvezza calcistica del Lecce e del Modena; mentre i carpigiani festeggiano la promozione in C.

Tornando al nostro più genuino sport, molti sono anche i rimpianti, cominciando da un altro maratoneta delle Basse, al sgnor Guldoon alias Giuliano Goldoni da San Felice; che tra l’altro fa venire in mente i biscotti Goldoni, fabbricati a Mirandola e che insieme all’Ovomaltina costituivano il ristoro finale delle sgambade antiche.

Oggi, sotto un sole deciso, ma non cocente, due ristori in gara e uno più ricco in piazza, dove il reggianito Pietro Boniburini (altro protagonista su queste strade, col suo squadrone del Tobacco Museum) offriva in aggiunta il suo ampio campionario di scarpe. E non si poteva saltare la vicina mostra commemorativa dei 50 anni (o meglio, delle 50 edizioni in 53 anni) di Sgambada: fotografie, ovviamente dei Gennari (inclusa la Flora, scomparsa da poche settimane), ma anche di Gentilini-Andrea-Agente unico SAI come diceva un cartello all’ingresso di Mirandola, o della campionessa locale Laila Bergamini; c’era pure un video del 1988 (l’anno di Bordin a Seul) col Lupo nelle vesti di intervistatore; e ancora medaglie, volantini, e uno speciale distintivo che riprende l’antica iconografia della corsa.

Peppino Valentini consegna un foglio delle prossime gare ricco come ai bei tempi. Ce ne andiamo salutando una città e una piazza, a dire il vero ancora troppo ferita dal terremoto, come faceva Leonardo-Barnardon, santo patrono del podismo nostrano: nona i me car mirandulês!

1° maggio – Questo paese laborioso e meritatamente prospero ha improvvisamente popolato, negli ultimi giorni, le pagine di cronaca nera per due delitti in meno di 48 ore: prima un marocchino ucciso da un connazionale, poi un pakistano ridotto in fin di vita da un connazionale (irregolare, ma ci sarebbe da meravigliarsi del contrario). Tanto non basta, ovviamente, per turbare la pacifica adunata non competitiva di 833 podisti o camminatori (esclusi quelli della Bassa che hanno puntato sulla più vicina Novi), su percorsi dai 4 ai 20 km, più una festosa schiera di scolaretti impegnati in un circuito dedicato. Non è mai troppo presto per cominciare col più economico e popolare degli sport.

Percorso collaudato e garantito dall’organizzazione di gente come Lord Roberto Colombini, Massimiliano “Nube” Montecchi e il campione senza età Ezio Venturelli (correvamo insieme le campestri del primo campionato provinciale giovanile modenese nel 1970, lui “leggermente” fuori età perché ventottenne, e ci doppiava tutti).

Primi 5 km in giro per il capoluogo e i suoi parchi, poi si attraversa il torrente Tiepido con una prima divaricazione dei tracciati: i 14, 16 e 20 km vanno alla frazione di Montale (dove tanti ricchi modenesi si trasferirono negli anni Sessanta favoriti da condizioni vantaggiose, e a un certo punto un ambizioso pompefunebri mise su una squadra di calcio per essere promossa tra i semipro, e finì invece sotterrata nella retrocessione), da dove fanno praticamente dietrofront per tornare sul Tiepido: qui sono passati 10 km, e veniamo finalmente instradati sulla bella carrareccia di destra fiume, da cui si distaccano volta per volta i tracciati di ritorno verso Castelnuovo. Quando viene il bivio per il 16, il sottoscritto e Maurizio Pivetti lasciano la compagnia sempre istruttiva dell’enologo Werther Torricelli (che tirando dritto per i 20 mi autorizza a mettere in piedi le bottiglie coricate, se il contenuto è limpido e si è già depositato il fondo); e ci si avvia lungo un vialone costeggiato da querce che porta fino all’ex stazione ferroviaria di San Lorenzo (luoghi dove decenni fa Pivetti faceva passare una delle più lunghe e suggestive camminate del trofeo Berlinguer). Da lì si sale sulla pista ciclopedonale, ex sede della ferrovia per Vignola, fin quasi alla stazione di Castelnuovo, là dove i nuovi impianti sportivi garantiscono una eccellente ricettività (scarsini solo i parcheggi auto, e un po’ imbrogliata la viabilità), che include perfino la possibilità di docce.

In cambio del miserrimo contributo di iscrizione di 2 euro ci viene data una confezione da un etto di affettati o arrosti (scelgo il culatello): bisogna dire che i produttori e commercianti locali, a giudicare dal volantino, sono stati molto generosi. Bene anche il meteo: malgrado le previsioni, non è piovuto salvo poche gocce vaganti, compensate dopo le 10 da qualche raggio di sole. Insomma, abbiamo avuto quello che speravamo, anzi di più. Per competere coi cronometri, come sanno Chiara Mezzetti e Dinamite Ray (tra i partecipanti più illustri) c’è sempre tempo.

28 aprile – La seconda gara del Gran Prix di podismo modenese è filata via liscia, sotto la gestione della Polivalente S. Damaso degli Abbati&Bellanti e tanti altri che da qualche decennio accolgono podisti, d’inverno e d’estate, sotto l’argine del Panaro.

Appuntamento, oggi, quasi solo per modenesi, con esclusione assoluta dei reggiani impegnati in una prova del loro campionati (che ha attirato pure molti sassolesi, non a caso sotto diocesi reggiana), dei bassaioli che avevano una corsa a Luzzara, e di quasi tutti i bolognesi, con la ragguardevole eccezione della squadra dei “Piano ma arriviamo” di Alessio Guidi, che fra una Major e un Iron Trail riesce a infilare il suo entusiasmo anche in raduni come questo.

Insomma, la maratonina competitiva ha raggranellato solo 130 arrivati (di cui 18 donne), mentre nei tanti percorsi non competitivi, dai 3 ai 16 km (racchiusi nelle etichette “Du pas in Panera” o “dré a Panera”, con minima variazione nominalistica sull’altra camminata modenese di un mese fa), sono stati contati forse 1300 podisti o (più spesso) camminatori, in una giornata grigia ma non fredda, tutto sommato nella media della stagione.

Ha vinto Andrea Baruffaldi, un classe 87 ex Fratellanza e ora Interforze Modena (così risulta dalla classifica, ma il comunicato di Atletica Reggio lo attribuisce a Corradini Rubiera), in 1.15:16; a fargli cornice due Modena Runners, Massimo Sargenti classe 1971 (primo della categoria over 50 in 1.16:40, davanti al compagno di squadra Giacomo Carpenito alias Doc); appena davanti al terzo della classifica assoluta, William Talleri (del 1977, qui con tesseramento S. Vito).

Quarto, la rivelazione del podismo modenese degli ultimi mesi, Zeno Vistoli figlio d’arte, classe 1993 (1.17:47): la classifica lo indica come “non tesserato”, qualifica attribuita a parecchie decine di atleti, inclusa la prima donna, Bethany Jane Thompson, notissima e tesseratissima (del 1980, in 1.29:30; Atletica Reggio la dichiara del Circolo Minerva Parma), giunta dieci minuti davanti alla seconda, Gloria Piccinini (Atletica Futura) e 13 minuti davanti alla terza Gloria Castagnetti (Runners & Friends, dunque allieva del Moro, che ha piazzato anche Filomena Perrone al primo posto delle over 50).

Non so se questa dicitura (e le discordanti attribuzioni societarie) dipendano dalla recente grida emessa dalla Fidal, che non avendo rinnovato le convenzioni coi principali Enti di propaganda, diffida i tesserati a fare delle “promiscuità” (mi viene in mente questa parola che usava negli anni Settanta l’ottuso presidente degli arbitri di calcio Figc Modena, invelenito contro Uisp e Csi che addirittura – vergogna! - facevano giocare a calcio le donne!). In ogni caso, questa corsa era garantita dallo staff Vincenzo Mandile- Sonia Cavazzuti – Simona Neri – Giorgio Reginato, e i giudici in divisa da gelataio possono anche dirottarsi su altri lidi.

Invece, a proposito di figli d’arte, da notare il 18° posto assoluto di Massimiliano Muratori (figlio di Massimo), un classe 92, il 25° di Alessandro Morselli, diciannovenne, e ancora il 101° di Maurito Malavasi, reduce dal Tuscany Crossing. Insomma, qualche papà è riuscito a trasmettere agli eredi la passione che altrimenti sarebbe fatalmente destinata a perdersi.

Percorso gradevole, quasi completamente fuori strada, sull’argine o stradette basse limitrofe, con sconfinamento fuori comune a Sant’Anna di San Cesario (dove gli anziani ricordano una corsa annessa al Festival dell’Unità, quando i lettori dell’Unità non si vergognavano del nome di “comunista” oggi invece vissuto come un’ingiuria), e una parte di avant-indree sullo stesso percorso d’argine.

Tre ristori, l’ultimo dei quali nei pressi del nuovo ristorante di Bottura (che però non ha contribuito), più ristoro finale, e premio per tutti di una confezione di crescentine, dietro corrispettivo minimo sindacale di 2,50 (la competitiva aveva lo strano prezzo di 13 euro). Copertura fonica garantita dal meglio che c’è, alias Roberto Brighenti; premiazioni abbastanza ricche (6 assoluti e 16 di categoria; anzi 15 perché non c’era nessun M 70, sta a vedere che se facevo la competitiva la mettevo nel palmarès).

E si tira avanti: questa settimana dei ponti invita i modenesi giovedì 1° a Castelnuovo Rangone, anche qui su varietà di percorsi per tutti i gusti e tutti i borsellini.

Sulla diatriba Fidal-Eps / iscrizioni si veda https://podisti.net/index.php/commenti/item/11644-iscrizioni-di-gruppo-convenzioni-regolamenti-lacci-balzelli.html

 

 

25 aprile – E lasciamo che i gaudenti intasino l’autostrada in direzione Rimini, e gli ottuagenari vadano in piazza Grande a cantarsi reciproci inni di gloria e attestati di partigianeria sotto l’ala protettrice di Vanni Bulgarelli, riciclato per non far danni all’ANPI dopo una lunga presidenza dell’azienda trasporti modenese (“un disastro  totale, come dimostrano ampiamente i fatti:  dal record di bus bruciati, al numero elevato di scioperi, alle continue vessazioni contro il personale, frutto di numerose cause in Tribunale”: fonte La Pressa); per chi ha meglio da fare, provvede la Madonnina (nel senso di Polisportiva e di quartiere) ad allestire una bella non competitiva, non nella solita direzione Freto-Tre Olmi, ma sfruttando le piste ciclabili ricavate dalle ex ferrovie, fino a Villanova e sul tracciato d’argine Secchia dove per tanti anni passava anche la Lesyncorsa.

E il pensiero va a Gianni Vaccari, presidente della sezione podismo, che proprio alla Lesyncorsa fece la sua ultima apparizione pubblica, e che decenni fa aveva iniziato anche questa Camminata della Libertà, inizialmente ubicata dalle parti di via Barchetta e della “Crepa”. Ma quando uno se ne va, è importante che il suo insegnamento rimanga: e devo dire che, perfino in questa non competitiva, abbiamo avuto un perfetto controllo degli incroci, un “isolamento” dal traffico delle zone di partenza-arrivo e degli attraversamenti più delicati, una segnalazione del percorso molto attenta, tre ristori sul percorso lungo (di poco superiore ai 14 km se si voleva farla proprio tutta, evitando di svoltare verso il traguardo quando si stava già attorno ai 12, "ad una manciata di lancette d'orologio" come ho sentito dire da Alessandro Troncone, un ragazzo di Trc che, se continua così, darà filo da torcere a Brighenti) più un ristoro finale. E dietro il corrispettivo minimale di 2,50, un barattolo di salsa di pomodoro più un dolcino: non si può volere di più.

Settecento i partecipanti (mancavano i reggiani, che avevano la loro corsa, e i supercompetitivi andati alla 50 di Romagna), con la scontata vittoria per società del Cittanova con 112 iscritti, ma ormai tallonata da Run & Fun con 98, e a parere di chi scrive la più bella gioventù, specialmente femminile; terzo posto per la Guglia di Sassuolo con 49. Molti anche i carpigiani, tra cui il benemerito dottor Sergio Guaitoli, e i castelfranchesi, tra cui Fabio Setti con cui ci siamo scambiati lungo 4-5 km i ricordi delle maratone corse insieme, e di quel prodigioso Alfonso Pagliani che correva in due settimane Passatore e Nove Colli, e comprò l’auto nuova per scarrozzare Govi da una maratona all’altra.

Clima decisamente freschino (8 gradi in partenza), la maggioranza ancora in maniche lunghe e pantaloni quantomeno al ginocchio (Mastrolia invece colla criniera dei suoi giorni gloriosi); forse quello che aveva più caldo di tutti era Micio Cenci, sceso dalla sua Fanano innevata, e che aveva “ceduto” la moglie Lella a gestire il ristoro finale con Paolo “Paletta”.

Inevitabile tributo alla giornata, a parte i discorsini iniziali che nessuno ha ascoltato, il disco incantato (nel senso di rotto) di “Bella ciao” che ricominciava sempre dallo stesso punto. Un po’ più di fantasia e di verità storica poteva proporre «Siamo i ribelli della montagna - Viviam di stenti e di patimenti - Ma quella fede che ci accompagna - Sarà la legge dell'avvenir», o «Su comunisti della capitale - è giunto alfine il dì della riscossa - quando alzeremo sopra al Quirinale - Bandiera Rossa». O soprattutto quella che Beppe Fenoglio dichiarò essere l’unica canzone dei partigiani comunisti (Bella ciao esisteva solo come canto delle mondine): “Fischia il vento e infuria la bufera - Scarpe rotte eppur bisogna andar - A conquistare la rossa primavera - Dove sorge il sol dell'avvenir”. Ma vallo a dire a Vanni Bulgarelli, o a quell’omonimo del Presidente Vaccari, che a Gianni doveva pur qualcosa come sportivo e poi deputato (poi trombato, poi auto-riciclato), eppure oggi non era alla Madonnina ma in Piazza Grande.

Invece alla Madonnina non ci si ferma: il prossimo giovedì 9 maggio, a inaugurare la teoria delle gare serali estive (un anno, Gianni Vaccari mi disse con entusiasmo: “in questo giugno si corre 28 volte!”), ci si ritroverà ancora qui per la “Passo dopo passo”, altra non competitiva co-organizzata col Rotary Club “Muratori” di Modena, a sostegno del Centro Oncologico Modenese. Correre e far del bene.

20 aprile – “Ma… ci sono le bandelle!” – “Sì, ci sono, ma sono sbagliate!” – “Se lo decidi tu che sono sbagliate…, io proseguo!” – “Aspettate, sto provando a telefonare agli organizzatori…” – “Guardate la mia mappa, noi siamo qui e dobbiamo arrivare lì, mentre le bandelle puntano verso Pienza…”- “Sentite, lì sotto ci deve essere la strada su cui eravamo anche noi, basta che ci arriviamo e siamo a posto” – “E’ vero, ci sono anche dei podisti!” – “Sì, ci sono, ma alcuni vanno in un senso, altri nell’altro…”.

È una sintesi dei discorsi che ho sentito fare intorno al 50° km del Tuscany Crossing, soprattutto tra concorrenti della 53 km, che vedevano il traguardo di Castiglione d’Orcia di fronte, sulla prossima collina, e in qualche tratto credevano anche di sentire le voci degli speaker, ma non vedevano le bandelle “giuste”… Poi siamo arrivati tutti (oddio, non so di quello che faceva i 103 e mi ha chiesto dove era “lo svincolo” per il suo tracciato: se era là dove avevamo sbagliato noi, doveva tornare indietro di un tot), esibendo i nostri Gps che davano distanze fino a 57 km, comunque in tempi non superiori alle 10h20’ e dunque scampando alla tregenda di pioggia e qualche chicco di grandine o fiocco di neve che si è scatenata verso le 16 (due ore dopo le previsioni): cosa che purtroppo è toccata alle retrovie delle gare sulle cento miglia e sui cento km.

Ed è doveroso cominciare dai risultati di questa undicesima edizione di uno fra gli ultratrail più celebri della Toscana. Per la cento miglia si trattava della quinta edizione, partita alla mezzanotte di venerdì 19 e vinta da Massimiliano Calcinoni (Alpago Run) in 19h 05, con un’ora sul secondo Emanuele Ludovisi e due ore sul terzo Simonluca Cavallini. Ancor più mostruoso il distacco tra le donne, dominate da Caterina Corti (una alla settima presenza qui, con un totale fino a ieri di 576 km percorsi) in 25 ore e mezzo, tre ore e mezzo davanti alla seconda Sara Ionvalli. Azzurra Agosti, terza e ultima donna, ha sfiorato le 31 ore. 57 in tutto gli arrivati, gli ultimi due (maschi) oltre le 34 ore: cioè, diciamo, arrivati alle 10 di domenica.

Sul percorso più classico, dei 103 km, che ha visto al traguardo 165 atleti, i distacchi sono stati minimi, anzi inesistenti per i primi due, i compagni di squadra Mauro Rota e Roberto Pirola (GS Orobie), giunti affiancati in 9.22:58 (il successo sulla carta è arriso a Rota). Lombardo anche il terzo, Marco Biondi (Franciacorta, 9.25:10).

Molto staccate le donne, dove la vincitrice Enrica Gouthier (libera) ha prevalso in 13.11:54, tre quarti d’ora davanti a Daniela Menchetti e un’ora prima di Elena Cominoli: la classifica ne conta 27 in tutto.

Infine, l’altrettanto classica 53 km, che si corre essa pure dalla prima edizione del 2013 (saltato solo il 2020 per le note ragioni): vittoria di Mirko Zancarli (Bolf Team) in 4.06:01, quasi 4 minuti su Daniele Roccon (Vittorio Veneto), e 6 minuti su Daniele Bonandi (Sport & Fitness). Staccatissimi gli altri; relativamente vicina la prima donna, settima assoluta, Stephanie Manivoz (Dynafit), 4.37:07, nove minuti prima di Denise Zacco e mezz’ora abbondante su Silvia Zanchi. 220 gli uomini e 57 le donne in questa classifica; ma bisogna aggiungere anche i/le plogger, come la Silvia mezza maremmana e mezza milanese, con cui ho corso qualche km tra S. Quirico e Pienza (la si vede nelle foto 41-42); ma lei si fermava ad ogni rifiuto sul ciglio del percorso e lo incamerava nel suo saccone, che poi consegnava ai ristori ogni 10 km circa.

Risultati tecnici a parte, va detto che questo tracciato conferma i fascini paesaggistici di cui le corse toscane, e specialmente senesi, vanno orgogliose; ai quali la Tuscany aggiunge l’attraversamento di alcuni tra i più bei borghi d’Italia (come il collage-copertina di Roberto Mandelli sintetizza), dalla partenza-arrivo di Castiglione, il cui castello, e la torre di fronte, sono stati meravigliosamente sistemati (bravi sindaco e presidente Pro-Loco, con le loro meraviglie nelle foto 13-25); a Bagno Vignoni, gioiello tra i gioielli (foto 26-32); a S. Quirico d’Orcia (foto 2-9), Pienza (foto 46-48) e Monticchiello (49-54), tre cittadine, ognuna sul suo colle (da scalare, per noi podisti, ma quasi con gioia, e il compenso di ottimi ristori al culmine dell’ascesa); poi i due guadi, tra cui quello dell’Orcia, con brivido (25 cm d’acqua, corda cui tenersi, e Jader il fotografo a registrare le nostre titubanze o baldanze: foto – non sue - 57 e 58). E all’orizzonte altre meraviglie, dall’Amiata (ancora con una striscia di neve tra le nubi, foto 55) a Montepulciano, più quelle riservate solo ai duri dei percorsi più lunghi.

Organizzazione, direi, quasi perfetta: dall’ottima accoglienza, con parcheggi sufficienti, bar sempre aperto, ritrovo con docce (ancora calde al mio arrivo), e dormitorio adiacenti (ma confesserò che alla mia età ho preferito uno stupendo albergo affacciato sulla vasca di Bagno Vignoni, tutt’al più evitando di annaffiare la cena coi vini quotati due o trecento euro a bottiglia; che invece hanno deliziato il palato di una vicina di tavolo, biondona alquanto più giovane del suo, diciamo così, partner, che avrà sicuramente trovato il modo di farsi compensare l’esborso).

Partenze scaglionate, sabato mattina, per evitare ingorghi: alle 5, col buio ancora fondo, per la 103; alle 6, con cenni di alba, per la 53; alle 10 per le non competitive. Percorso segnatissimo, con frecce direzionali e bandelle, tranne il guaio del km 50: succede spesso che verso il finale dei trail comincino a scarseggiare le segnalazioni, e pure l’elemento umano non sia tanto presente. E se quando, dopo il meraviglioso ristoro di Gallina al km 44 (dove lo chef Roberto quasi ti impone un brodo caldo e un piatto di maccheroni al pomodoro: foto 64-66), nella salita che deve portarci al traguardo, la strada principale non mostra segnali, mentre a destra si apre una carrareccia ipersegnalata, è abbastanza naturale che molti di noi, anche in mancanza di frecce, decidano di seguire le bandelle giallorosse, col risultato che dicevo all’inizio.

Ciò non basta per squalificare un’organizzazione, che anche in seguito è stata encomiabile: ritrovata la via giusta abbiamo ritrovato anche i segnali e qualche segnalatore, poi il traguardo presidiato dai due ottimi speaker Daniele Menarini e Fabio Fiaschi; le docce (in due edifici), comode e calde; un pasta party alla toscana, ancora con maccheroni al pomodoro, poi una scottiglia squisita e vino rosso a volontà (foto 70-71).

Peccato per il clima, che dopo le “deboli piogge” previste nella tarda mattinata (io mi sono beccato un’ora e mezzo, più le conseguenti “crete senesi” che si attaccavano a chili alle scarpe e ai bastoncini) ha più tardi lasciato spazio alle “piogge consistenti”, anzi quasi disastrose, del pomeriggio, divenuto anche molto freddo.

Ma statisticamente “ci sta”, e d’altronde l’organizzazione raccomandava di partire con uno zaino ben munito. Questo è il trail; e la Toscana (lunghezze a parte, francamente a volte un po’ eccessive) è il luogo indicato per invitare gli stradisti a correre in ambienti naturali.

14 aprile – Una non competitiva che non si ferma (grazie alla perdurante abnegazione dell’Ilva, eroina locale del podismo carpigiano un tempo glorioso, e dei suoi aiutanti come l’immancabile vigile Pavesi o i coniugi Orlandi/Losi “cs’agh manca?”), così da offrire un comodo ed economico sfogo a chi non pratica l’agonismo, o una tantum lo mette sotto chiave.

Vedasi Micio Cenci, sceso dalla sua nuova patria fananese (dopo un soggiorno in Islanda) per cominciare una preparazione seria per una gara seria: infatti, dopo i primi 3 km ai 6’ pianta la compagnia di chiacchiere per un allungo che ci lascia senza fiato. Oppure papà Paolino e figlio Maurito Malavasi, che tra una maratona di Russi e una ultra di val d’Orcia inseriscono questa sgambata, sulla distanza massima di 13 km con percorsi intermedi di 4.5 e 9. O ancora Angelo Mastrolia, cui il caldo semiestivo fornisce un’ottima motivazione per correre a torso nudo esibendosi alle (non tantissime) ragazze in fiore presenti, e al termine mi addita con una punta di ironia il suo antico imitatore Rambo, ormai in abiti tutt’altro che seduttivi, ma cui si riconosce il merito di assistere Peppino Valentini nel montaggio e smontaggio della tenda del Cittanova (anche oggi stravincitrice della classifica per società con ben 116 iscritti su un totale di 700 partecipanti censiti).

Certo, Modena oggi non offre niente di meglio: in mezza Italia (incluse Ferrara, Parma e Reggio, quest’ultima col record di 6000 partecipanti) si è corsa la Vivicittà, che a Modena si allestì solo nelle primissime edizioni salvo sostituirla presto con una “Camminata di primavera” che non si fa più neppure lei; a Rimini si correva una mezza, come a Genova; sul lago di Garda una maratona…

Ai modenesi di questo mezzo aprile rimangono le risaie del titolo (ammesso che ce ne siano ancora: io non ne ho notate), le pacifiche stradette tra Fossoli, con il primo tratto praticabile della via Remesina che più a nord diventa un tratturo impercorribile e infatti non si fa più fino a Gruppo come un tempo, e San Marino; per chi sceglie il “lungo”, un paio di km supplementari lungo il canale verso Cibeno (memoria nostalgica del luogo dove nacque e morì la maratona d’Italia) e ritorno.

Iscrizione al prezzo calmierato di 2,5 (per risparmio ecologico, il pettorale è riciclato da altra manifestazione), con doppio omaggio gastronomico nel pacco gara (il sacchetto di riso è però scomparso da anni), e la gradita sorpresa, nel ristoro finale, di ceste e ceste di gnocco fritto (alias torta fritta, pasta fritta, carsenta o chiamatela come vi pare), voracemente fatte fuori.

Non può mancare la cortesia di Italo Spina, che anche oggi, come ieri, offre una scelta di foto sue da cui Roberto Mandelli, anche nel giorno del suo compleanno, estrae il solito magistrale collage.

Il podismo modenese continuerà domenica prossima nel capoluogo col “Modena di corsa con l’Accademia”, 28^ edizione: ricordo benissimo la prima edizione, boicottata come elemento estraneo dall’allora Coordinamento podistico; ma adesso è un po’ come alle elezioni, se vuoi raggiungere il quorum devi allearti anche con gli ex nemici. Se poi i proventi vanno all’AIL, allora viva tutti.

13 aprile – Un dato curioso: il numero dei classificati nelle tre gare di oggi a Rocca Malatina, cioè 426, è esattamente identico al numero dell’edizione 2023. Con la sola differenza che gli arrivati 2024 erano ripartiti su tre percorsi, di 34, 20 e 14 km, mentre fino all’anno scorso i percorsi erano solo due, di 34 e 20. In più si aggiungono i non competitivi sul tracciato di 12 km: insomma, in questa frazione di Guiglia a 580 metri d’altitudine, nota per le sue piccole Dolomiti alias “Sassi”, è venuta davvero tanta gente, malgrado per i trailer ci fosse per esempio la concorrenza della non lontana Abbotts Way.

Giornata decisamente calda anche in quota, dove ai 26 gradi raggiunti a metà giornata si è aggiunta una umidità che ha fatto sudare fin dai primi tratti all’ombra dei faggi; e le conseguenze cronometriche si sono viste soprattutto nella gara lunga maschile, il cui vincitore Marco Gubert ha impiegato 3.35:53, cioè quasi tre quarti d’ora in più del vincitore 2023.

Tra le donne invece non c’è stata differenza, anzi la vincitrice Dinahlee Calzolari col suo 4.10:03 si è migliorata di 19 minuti rispetto al tempo che l’anno scorso le aveva garantito il terzo posto, ed ha virtualmente preceduto di 6 minuti colei che vinse nel 2023.

Sui 20 km il vincitore Robert Ferrari (1.44:37) ha fatto meglio per 3 minuti sul primo dell’anno scorso, all’incirca come la prima donna Vittoria Vandelli (2.02:07), che oltre tutto ha sopravanzato di oltre 12 minuti la seconda Giulia Botti (2:14:40), che ha prevalso quasi allo sprint sulla terza Maria Nicoleta Rusu (2:15:44, seconda l’anno scorso).

La Botti era arrivata seconda nei 34 km l’anno passato e – possiamo dire – quest’anno ha scalato una marcia, allo stesso modo di Isabella Morlini, salvo che per la prof reggiana il risultato non cambia: aveva vinto i 20 km l’anno scorso con 3 minuti di vantaggio sulla Rusu, ha stravinto i 14 quest’anno con 1.54:19, venti minuti davanti alla seconda.

Distacco quasi altrettanto netto tra i maschi, dominati da Matteo Domenicali (1.29:59), dieci minuti sul secondo Marco Maggi (1.40:37). Terzo assoluto… la Morlini, due minuti davanti al terzo maschietto.

La gara sui 20 km, con 1000 metri di dislivello (il mio Gps segna 1030), ha raccolto il maggior numero di adesioni, 265 (erano state 277 l’anno scorso): addirittura più delle medaglie disponibili, per le quali in extremis si è rimediato concedendo anche a noi una medaglia avanzata dai 34 km, dove sono arrivati in 99 (erano stati 149 nel 2023): ma il percorso, come sentivo dire sotto le docce, è veramente duro coi suoi 1500 e passa metri D+.

Sui 14 km, che avevano gli stessi metri di dislivello dei 20 (e dunque proporzionalmente erano più duri), sono arrivati in 62, e qui citerò il 59° Lolo Tiozzo, classe 1945 e di gran lunga il più anziano del lotto, reduce dalla maratona di Parigi, che ha finito in 3.24:41; e Paolo Giaroli, classe 63, per il suo 4.06:42.

Quanto ai 20 km, distanza che ho corso io senza troppo onore (seppure ottenendo un platonico primo posto di categoria), faziosamente vorrei segnalare il successo nella sua categoria di Gianluca Spina, neoquarantenne figlio di Italo, con un tempo intorno alle 2.35, mentre la zia Margherita Gandolfi, classe 1963, è arrivata seconda delle coetanee in 3.38, precedendo la sorella Cecilia (classe 1959, mamma di Gianluca, e domenica scorsa a premio nella maratona di Russi) che ha chiuso in 3.47.

Le due sorelle mi hanno inesorabilmente staccato circa a metà gara, quando ci si avviava verso lo stupendo cocuzzolo di Montecorone, e con loro c’era anche la supertrailer Ermanna Boilini che però non trovo nelle classifiche.

Hanno poi provveduto la scalata al sasso di S. Andrea e ancor più la risalita dal guado del km 15 a stellarmi definitivamente, lasciandomi la sola consolazione di dare un quarto d’ora al vecchio compagno e rivale Ideo Fantini, che colla sua classe 1949 era il più anziano dell’intero lotto e infatti ha vinto gli M 75.

Percorso, in ogni caso, bello e vario, ottimamente segnalato a prova di ipovedenti, ben assistito da vigili urbani e addetti (sguinzagliati da Herr General Direktor Checco Misley di Mud&Snow, che questi sentieri li fa praticare da anni ai suoi adepti) nei punti nevralgici, con tre ristori intermedi ben forniti e uno altrettanto nel finale, dove ho particolarmente apprezzato una coca fredda e salutare, visto il clima. Anche le docce, sebbene non caldissime per gli ultimi, sono state quanto mai gradite.

Premiazioni riservate ai primi cinque assoluti di ognuno dei tre percorsi (insomma, trenta premiati, non in denaro secondo lo spirito trail) cui noi peones abbiamo aggiunto, dietro il corrispettivo all’incirca di un euro a km (salvo i 14 km che hanno pagato come i 20) un discreto pacco gara di cibi tradizionali e salutistici (mi è venuto in mente il Carosello col cowboy che recitava in versi "è carne ben scelta, è carne Montana"); in più, per 10 euro, un pranzo talmente abbondante che quasi nessuno è riuscito a completare, e ci siamo portati a casa qualche crescentina farcita e la crema di salame da spalmare.

La bella presenza di Anna Cavallo, oggi in veste di mastra birraia con berretto da tipografa, ha completato le gioie di questa giornata.

CLASSIFICHE per le prime posizioni (dal sito dell'organizzazione)

 

PERCORSO 34KM MASCHILE

1 Marco Gubert (3:35:53)

2 Leonardo Barioni (3:39:08)

3 Marco Bellini (3:41:24)

 

PERCORSO 34KM FEMMINILE

1 Dinahlee Calzolari (4:10:03)

2 Chiara Vitale (4:15:49)

3 Donatella Acciaro (4:44:52)

 

PERCORSO 20KM MASCHILE

1 Robert Ferrari (1:44:37)

2 Davide Uccellari (1:48:00)

3 Alberto Smaniotto (1:52:10)

 

PERCORSO 20KM FEMMINILE

1 Vittoria Vandelli (2:02:07)

2 Giulia Botti (2:14:40)

3 Maria Nicoleta Rusu (2:15:44)

 

PERCORSO 14KM MASCHILE

1 Matteo Domenicali (1:29:59)

2 Marco Maggi (1:40:37)

3 Matteo Barbieri (1:56:04)

 

PERCORSO 14KM FEMMINILE

1 Isabella Morlini (1:54:19)

2 Sonia Ugolini (2:15:26)

3 Giorgia Anceschi (2:19:20)

 

Un altro libro sul podismo? Nel capitolo 11, intitolato alla Moda, l’autore del libro di cui andiamo a parlare tratta con giustificata ironia il comportamento di chi, podista o no, si adegua al fashion calzando indumenti costosi e probabilmente inutili, come i pantaloni aderenti detti joggers, ma di tendenza e che “fanno fico”,: i quali però, almeno in qualche caso, hanno orientato i non praticanti verso la corsa o almeno il suo “derivato leggero”, il walking.

Nelle mode indotte dal fenomeno podistico possiamo includere anche la pubblicazione di libri, inizialmente ristretti all’aspetto tecnico (allenamento, nutrizione ecc.), ma poi via via allargati all’autobiografismo sulla base del principio che “se questa cosa interessa me, deve interessare anche gli altri”. D’altronde, se calciatori, tennisti eccetera hanno imparato ad aggiungere ai propri proventi anche quelli derivanti dalle “Confessioni” che si fanno scrivere e firmano, ben vengano i libri dei podisti (che molto spesso, a differenza dei suddetti, quei libri li autoproducono e autopagano, coprendo talora le spese con la vendita durante la cena sociale  o nella serata culturale alla biblioteca di quartiere), se come effetto collaterale ottengono di invogliare all’emulazione (della corsa, non della scrittura!).

Tanto più se i libri sono scritti bene, con perizia, senza faticosi approcci sintattici o cedimenti a tentazioni poetiche, ma con un giusto equilibrio tra l’informazione per principianti, la curiosità aneddotica, lo spaziare dai grandi campioni al signor Nessuno che correva a torso nudo tutte le mattine su un lungomare del Ghana, e una componente di autobiografismo che quasi mai scade nel narcisismo. È sicuramente il caso di questo La filosofia della corsa, sottotitolato Fra benessere e libertà: lo sport che ti cambia la vita, scritto da Stefano Boldrini, giornalista romano ormai sessantacinquenne e già presente in libreria con diversi titoli soprattutto di argomento sportivo, come ben si conviene a un ex corrispondente da Londra della “rosea”,  testimone di Olimpiadi e Mondiali (un paio di volumi li abbiamo messi a incorniciare l’immagine del libro di cui parliamo oggi, 200 pagine di agevole lettura, pubblicate in questo marzo 2024 dalla Diarkos di Santarcangelo di Romagna e in vendita a 18 euro scontabili).

D’altra parte, alcuni libri sono stati fondamentali per diffondere la pratica di un esercizio fisico che fino ai primi anni Settanta era oggetto di ironie (giustamente si ricorda la caricatura fatta da Alberto Sordi, nel film Mamma mia, che impressione! del 1951, di un poveraccio che partecipa a una “maratonina” di marcia per conquistare il cuore della “signorina Margherita”): nel 1977 venne il volume del pioniere James Fixx, conosciuto in Italia nel 1980 col titolo Il libro della corsa, mentre la moda del jogging si diffondeva dagli USA all’Inghilterra e poi nel resto del continente anche grazie a libri come Jogging di Bowermann (1966), L’arte di correre di Murakami (2007, in Italia nel 2009) per arrivare nello stesso 2009 a Born to run di Mc Dougall, trascinato ovviamente dall’omonima canzone-culto di Bruce Springsteen del 1975.

Anche il cinema, ovviamente prodotto negli States, ci mise del suo, cominciando da Il maratoneta (Marathon Man) del 1976, di John Schlesinger con protagonista Dustin Hoffmann sulle strade di New York; continuando nel ’79 con le mitiche corse in salita per Philadelphia di Sylvester Stallone alias Rocky, e per finire nel ’94 con Thom Hanks alias Forrest Gump, di Robert Zemeckis, tra i memorabili scenari di Savannah con la sua panchina e il deserto monumentale dell’Arizona.

Dopo film del genere (opportunamente ricordati da Boldrini) era impossibile non indossare un paio di scarpette e mettersi a correre per le strade, favoriti anche da iniziative lungimiranti collegate in parte alla crisi energetica dei primi Settanta: tra queste, “Corri per il verde”, lanciata nel ’73 dalla Uisp romana cominciando a instillare una sensibilità ecologica.

Approdo quasi inevitabile delle corse su strada è stata la maratona, che in Italia fu “prodotta” dapprima da piccole realtà locali (quanti conoscerebbero i nomi di Vigarano, Russi, Vedelago, Cesano Boscone se non ci fossero state le maratone?), poi fagocitata dalle metropoli che tentarono di applicare da noi gli strabilianti exploits di New York e delle altre majors (che Boldrini a p. 156 scrive mayor, in una delle poche sviste tipografiche del libro): tra le grandi città nostrane, l’autore ricorda gli esordi di Firenze nell’84 e Venezia nell’86.

Alla grande storia del podismo come fenomeno collettivo, Boldrini fa seguire Storie (titolo del cap. 13) individuali, cominciando dai vip come i calciatori Bergomi e Ambrosini, che a fine carriera scoprirono la maratona (pagando il quasi obbligatorio pedaggio a New York), e da Gianni Morandi che, in un momento di stanca sulle scene canore divenne apostolo dello sport praticato, e ancor oggi sulla soglia degli ottant’anni si fa vedere non solo sui palcoscenici. Un caso particolare è quello del giornalista Roberto Di Sante, guarito dalla depressione grazie alla maratona (per la quale ha collezionato le sei majors, raccontandolo poi in un libro di successo). Ma il vip che più d’ogni altro merita l’elogio è Nelson Mandela, che sopravvisse 18 anni in una cella di 6 mq imponendosi di correre “sul posto” ogni mattina per 45 minuti più un quarto d’ora di esercizi addominali: e l’autografo di Madiba è una delle cose più care che Boldrini ha portato a casa dopo aver scorrazzato per tutto il mondo.

Accanto a loro tante altre persone che non conquistano pagine di rotocalco o friabili like, ma meritano ugualmente di essere ricordate: il barbiere Molinari da Frascati, alias “Maestro” (anche del Di Sante ricordato sopra), Rosario da Vibo Valentia, che nella corsa ha trovato la cura più appagante contro la talassemia; suor Elena, già nazionale giovanile e maratoneta, poi entrata nelle salesiane di don Bosco, con missioni anche in Africa, e l’intento di insegnare lo sport ai ragazzi che altrimenti non lo farebbero.

Sulle storie degli altri si innestano quelle personali dell’autore, giramondo che dopo un lungo soggiorno londinese adesso sembra aver trovato la pace in Portogallo, arricchita dai sorrisi di quella Giulia cui il libro è dedicato: ma dovunque sia stato (un elenco piuttosto dettagliato è nel cap. 5 Turismo), dopo la scoperta della corsa a 28 anni durante il servizio militare a Portogruaro, ha sempre portato con sé e impolverato le scarpette da corsa. Una sola volta non c’è riuscito, in Cina, dove l’aria irrespirabile lo bloccò; in compenso l’ha fatto anche in Albania, più o meno sotto le bombe, dove il provvidenziale apparire di un cane randagio permise a lui e compagni di schivare le attenzioni di una banda criminale (mentre in Italia, semmai, urge proteggere i joggers dai cani, quelli “da guardia” lasciati liberi dai padroni: è l’argomento del capitolo 16 aggiunto in extremis, dopo un episodio luttuoso di metà febbraio scorso).

Non tutto è oro nel podismo: si va dalle esagerazioni ovvero Estremismo (così il cap. 10), la ricerca di competizioni sempre più abnormi, dove la descrizione e la quasi-ripulsa è temperata dalle interviste a due ultramaratoneti dal volto umano come Ivan Cudin e Giorgio Calcaterra (e personalmente, non accosterei la quasi goliardica Winter night di Dobbiaco a certe gare in Siberia); e si sconfina nel doping, oggetto del cap. 6 dove va apprezzata la difesa di Sandro Donati, il cui libro Campioni senza valore del 1989, e i successivi interventi, hanno portato al risultato che “la cupola internazionale del malaffare ha cercato di ostacolare e persino screditare in mille modi” la nostra “eccellenza della lotta al doping” (mille modi… più uno, se aggiungiamo l’affare-Schwazer, per il quale a p. 87 Boldrini si vale del termine “opacità”).  

Mentre, una sorta di doping a rovescio fu quello impostoci durante il Covid, in totale e rovinosa controtendenza rispetto, per esempio, all’Inghilterra dove risiedeva l’autore al momento: sottoscrivo quasi per intero il contenuto del capitolo 9, in particolare sull’“effetto terapeutico” che ebbe il permesso di correre accordato agli inglesi (pp. 114-5), mentre noi italiani dovevamo vedercela con norme assurde, vigilantes idioti e ironie strapaesane come quelle del cosiddetto governatore De Luca (ma non è che il governatore dell’Emilia Romagna, e il suo draculesco assessore alla Salute, abbiano razzolato tanto meglio).

Oggi, tornata la libertà, tuttavia nei podisti “normali”, col passare degli anni, possono subentrare periodi di stanca, con la voglia di smetterla una volta per tutte; qui viene buono (anche per chi scrive ora) il cap. 15 sulla Fantasia: essere creativi negli allenamenti, cambiare itinerari, modificare gli schemi, cercare compagni di corsa o (se non ci sono) farsi cullare dalla musica, o dalle onde del mare a fianco. E capiterà spesso che durante l’allenamento nascano pensieri, idee, che fondono “un momento di irrinunciabile piacere” con una “estrema concentrazione”. Buona anche, confessa Boldrini nelle sue conclusioni, per scrivere questo libro.

Ma poiché, come scriveva un altro eccellente giornalista-podista quale Daniele Menarini, nessuno siam perfetti, ecco una listerella di piccolezze che, diciamo così, mi piacciono meno (e, come si suol dire nelle recensioni perbene, saranno agevolmente tolte nelle prossime auspicabili tirature). Il libro Andiamo a correre non è di Fulvio Massimi (p. 54) ma Massini. I dipinti di Delaunay del 1924 non si intitolano Les courers (p. 57) ma Les coureurs. Il Volga non è lungo 3.531 metri (p. 74) ma un po’ di più; e per restare tra i fiumi, quello di Berna non si chiama Aere (p. 76) ma Aar / Aare.

Infine, l’illusione che ci facevamo alle prime avvisaglie di Covid, che “l’Europa l’avrebbe svangata” (p. 110), merita il rimprovero dell’attuale presidente della Crusca, Paolo D’Achille, sul sito dell’Accademia: è vero che in rete (e soprattutto nei social) troviamo molti esempi di L’ho svangata! accanto a L’ho sfangata! per dire ‘ce l’ho fatta!’, ‘mi sono tolto d’impaccio!’ e sim., probabilmente dovuti agli scambi tra [f] e [v] che avvengono nel parlato. Ma basterebbe riflettere sullo sviluppo degli usi figurati per comprendere che soltanto sfangare si dovrebbe adoperare con questo significato: superare (spesso a fatica) una situazione di difficoltà è un po’ come uscire dal fango, pulirsi dal fango. La vanga serve invece per scavare e quindi svangare, figuratamente, significa riaprire questioni che si consideravano chiuse, su cui (per usare un’altra metafora) si era messa “una pietra sopra”. Il senso di svangare è dunque quasi l’opposto di quello di sfangare.

Tutto qua: possiamo ben dire che questo bel libro di Boldrini se la sfanga benone.

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