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Apr 05, 2020 padre Pasquale Castrilli 3747volte

La settimana santa. Come una maratona

Pasquale la foto, Pasquale l'autore! Pasquale la foto, Pasquale l'autore! Roberto Mandelli

La domenica delle Palme inaugura la settimana santa. E’ una settimana importante, celebriamo il cardine della nostra fede cristiana: Gesù Cristo, crocifisso e risorto. Ripercorriamo spiritualmente gli ultimi giorni della vita di Gesù, figlio di Dio e nostro fratello. Il suo ingresso a Gerusalemme, oggi domenica delle Palme; l’ultima cena il giovedì santo, la salita verso il calvario e la morte in croce il venerdì santo, la resurrezione il giorno di Pasqua.
La domenica delle Palme ci riporta all’entrata trionfante di Gesù a Gerusalemme, acclamato e osannato dalla gente come re d’Israele. Gesù umile fa il suo ingresso, a dorso d’asino, e la gente canta “Osanna al figlio di Davide. Benedetto colui che viene nel nome del Signore…”. Tutti noi desideriamo ogni anno celebrare questa giornata insieme. Il segno delle palme, il ramoscello d’ulivo, è molto caro ai cristiani di tutti i continenti. Qualche anno fa, nella piccola chiesa dove celebravo messa, ho voluto anch’io fare qualche centinaio di metri a dorso d’asino proprio per ricordare questo ingresso di Gesù a Gerusalemme pochi giorni prima della sua morte e risurrezione.
Nella celebrazione odierna si legge anche il lungo racconto della passione di Gesù come è narrata dal vangelo di Matteo: il processo, la condanna, il tradimento di Giuda, la salita al Calvario… Ma quest’anno viviamo purtroppo una novità: non abbiamo la possibilità, infatti, di uscire da casa nostra per andare nella casa di Dio, date le disposizioni attuali per l’emergenza sanitaria. Possiamo senz’altro seguire la messa in televisione e unirci spiritualmente alla celebrazione. Ci manca la messa domenicale, ci manca l’Eucaristia. Non è la stessa cosa la messa in televisione… perché alla messa non si assiste come ad un film o ad un concerto, ma si partecipa, si celebra insieme, sacerdote e fedeli. Non un rito, ma un evento. Speriamo di poter tornare presto a varcare la porta, ciascuno della sua chiesa parrocchiale.
La settimana santa ha delle attinenze con la maratona. Forse il paragone è un po’ azzardato, ma forse no. Abebe Bikila, campione olimpico in maratona a Roma 1960 e Tokyo 1964, diceva: “Corro scalzo per sentire meglio cosa mi sussurra la strada”. Sentiamo cosa ci vuole dire, cosa vuole sussurrarci la settimana santa.

La domenica delle Palme è l’inizio del viaggio. Ci siamo preparati per parecchie settimane, allenamenti in ogni condizione meteorologica, sacrifici, forse anche qualche contrattempo… Ma siamo alla partenza. Sorridiamo come Gesù quel giorno che entrò a Gerusalemme. Forse anche lui aveva dormito poco e male la notte precedente. Abbiamo preparato tutto con cura (le scarpe, la canotta con il pettorale, i gel…) e nella nostra mente ricordiamo il percorso che ci attende e la strategia di gara che abbiamo previsto. Gli applausi delle persone alla partenza e nei primi chilometri di gara assomigliano a quelli della gente festosa che accolse Gesù pochi giorni prima della sua condanna.

I primi 20 chilometri della maratona scorrono discretamente tranquilli. Il passo regolare, i ristori, qualche battuta con chi corre accanto a noi…  Arriviamo alla mezza maratona con il tempo che più o meno avevamo previsto. Il lunedì, il martedì e il mercoledì santo, la chiesa ci fa leggere brani del profeta Isaia (dai capitoli 42, 49 e 50) dove ascoltiamo di un “servo sofferente”, il “servo di Jahvè” che piega la sua schiena e presta il suo volto. Il servo è fiducioso nel Signore e “non teme di soccombere”.
La fatica comincia a farsi sentire nelle gambe e arriviamo attorno al chilometro 30. Sicuramente siamo stati attenti a non saltare nessun ristoro: acqua, sali, qualche gel per avere le energie giuste. Ma è qui che comincia la maratona. Qualcuno ha detto che la maratona è una competizione di 10/12 chilometri prima dei quali ne hai corsi altri 30!

Il giovedì santo è un importante ristoro. Fondamentale. Gesù istituisce l’Eucarestia: “questo è il mio corpo, questo è il mio sangue”. L’Eucaristia, il pane del Cielo è un ‘alimento’ essenziale per il cristiano, un balsamo, la presenza reale di Cristo: entriamo in comunione con lui per dare forza e speranza ai nostri giorni, alle nostre fatiche, al nostro impegno…

La crisi che avvertiamo in genere attorno al km 34, chi prima chi dopo, assomiglia ad un calvario. Il venerdì santo Gesù sale carico della croce verso il Golgota. Spesso in quei chilometri del “muro”, incontriamo podisti piegati in due dalla fatica, alcuni camminano, altri sono fermi… Anche noi cominciamo ad avvertire un calo fisiologico: le gambe diventano pesanti, sentiamo dei brividi nonostante siamo accaldati, la mente si annebbia un po’, il traguardo sembra lontanissimo. Ci concentriamo su noi stessi, dialoghiamo con noi stessi, cerchiamo le energie più nascoste da mettere in strada. Anche Gesù era solo, molto solo, con la sua croce: una condanna ingiusta e superficiale. Un cammino in salita, sbeffeggiato e accusato. La corona di spine… la morte in croce come un bandito che si è macchiato di crimini orrendi.

Nei chilometri che seguono procediamo con il pilota automatico. Il sabato santo è il giorno del grande silenzio… Tutto tace. Anche attorno a noi tutto tace: la vista e l’udito si accorciano per concentrarsi e sognare il traguardo, immaginare l’arrivo, la fine della fatica.

Al chilometro 41 i più spregiudicati tra noi iniziano già a pensare alla prossima maratona. Ma molti dicono a sé stessi: “è l’ultima: mai più una cosa così! Con la maratona ho chiuso…”. Il traguardo è vicino, vediamo l’arco di arrivo davanti a noi, ancora poche centinaia di metri… La resurrezione di Cristo è la fine del percorso. Una buona notizia. La morte è stata sconfitta, la luce ha vinto sulle tenebre. La vita di Cristo non termina il venerdì santo, ma si compie pienamente al mattino di Pasqua. Noi cristiani non siamo uomini e donne del venerdì santo, ma gente di Pasqua. Abbiamo una speranza; ce la dà Cristo con la sua resurrezione.

La gioia all’arrivo è tanta, le lacrime a volte scendono sul viso, riceviamo una medaglia, un ristoro… Ringraziamo il cielo per avercela fatta. La corsa ci purifica, uccide il peggio dell’essere umano e valorizza il meglio di noi. Paula Radcliffe, atleta britannica capace di correre la maratona di Londra nell’aprile 2003 in 2.15’25’’ (tempo che è stato record mondiale e attualmente record europeo) scriveva qualche anno fa: “La maratona rappresenta l’esistenza: ha punti bassissimi che devi superare e momenti d’estasi che ti sforzi di prolungare. E’ un’esperienza spirituale attraverso la quale entri più profondamente in contatto con te stessa, trovando le risposte che cercavi”.

In questi giorni di clausura, sono tanti gli atleti che hanno corso una maratona nel giardino di casa, sul balcone o in un cortile di poche decine di metri. Uno sportivo argentino ha corso in casa addirittura un mezzo Ironman, una podista francese ha fatto 100km in 22 ore nel suo giardino. Possiamo discutere sull’opportunità di queste ‘imprese’. Sono proprio necessarie? E’ conveniente girare praticamente su sé stessi rischiando tra l’altro un grande mal di testa? E poi: farlo proprio in questi giorni?
Mi piace interpretare ciascuna di queste “gare”, di queste “imprese”, come un forte desiderio di vivere, la forza del bene che vuole sconfiggere il male. Il non arrendersi davanti al contagio e ai problemi di questi giorni. E’ come se volessimo urlare: “siamo più forti, ce la faremo”. In fondo correre è un po’ sconfiggere la morte per respirare pienamente la vita. Non vi sembra?

 

 
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