Fabio Marri
Probabilmente uno dei podisti più anziani d'Italia, avendo partecipato alle prime corse su strada nel 1972 (a ventun anni). Dal 1990 ha scoperto le maratone, ultimandone circa 280; dal 1999 le ultramaratone e i trail; dal 2006 gli Ultratrail. Pur col massimo rispetto per (quasi) tutte le maratone e ultra del Bel Paese, e pur tenendo conto dell'inclinazione italica per New York (dove è stato cinque volte), continua a pensare che il meglio delle maratone al mondo stia tra Svizzera (Davos e Interlaken; Biel/Bienne quanto alle 100 km) e Germania (Berlino, Amburgo). Nella vita pubblica insegna italiano all'università, nella vita privata ha moglie, due figli e tre nipoti (cifra che potrebbe ancora crescere). Ha scritto una decina di libri (generalmente noiosi) e qualche centinaio di saggi scientifici; tesserato per l'Ordine giornalisti dal 1980. Nel 1999 fondò Podisti.net con due amici podisti (presto divenuti tre); dopo un decennio da 'migrante' è tornato a vedere come i suoi tre amici, rimasti imperterriti sulla tolda, hanno saputo ingrandire una creatura che è più loro, quanto a meriti, che sua.
Anche la maratona ha una sua mistica: ma senza esagerare
Questa volta non siamo di fronte allo sportivo che scrive, o si fa scrivere, un libro: perché lo fanno tutti, perché se arrivo da Fazio il successo è assicurato, o più semplicemente perché se la mia vita interessa a me deve per forza interessare agli altri. No, Claudio Bagnasco (Genova 1975; residente a Tortolì in Sardegna dal 2013) è uno scrittore e docente di scrittura, autore con questo di sei libri, che ha cominciato a pubblicare volumi dal 2010 scoprendo invece il podismo solo molto dopo, nel 2016. Secondo la Fidal avrebbe corso tre maratonine tra il 2018 e il ’19 con un record di 1.38, ma le maxiclassifiche gli accreditano già cinque maratone a partire dal 2017, con una significativa progressione che l’ha portato al 3.33 di Carrara un anno fa.
Da qualche mese gestisce, con la compagna Giovanna, un blog letterario (https://squadernauti.wordpress.com), che ospita testi originali e recensioni, promettendo pure una sezione “oltraggi” che vorrebbe provare “a non avere paura dei limiti” e “non avere paura di offendere”. In un mondo dove la recensione è ridotta a marchetta, e i recensori di oggi rendono il favore a chi li ha recensiti ieri giurando ovviamente (gli uni e gli altri) sulla imperdibilità del libro, resto con la curiosità di vedere qualcosa in quest’ultimo gruppo, ma per ora lo trovo vuoto.
Chissà in quale categoria meriterebbe di stare la pagina che voi 22 lettori state scorrendo, se comincia col dire che il titolo è brutto, e la parola Runningsofia non merita di accrescere la mole dei vocabolari; certo, “filosofia della corsa” (sottotitolo) avrebbe allontanato i lettori per diletto e sollevato le sopracciglia dei lettori professionali. Ma ormai, i libri sulla corsa (nel senso di podismo) sono tanti (dal 1970 a oggi, 471 hanno nel titolo la parola “correre”, 1895 “corsa”) cosicché i titoli possibili, cominciando da “correre è bello”, sono quasi esauriti, e bisogna azzardare qualcosa di nuovo ma non troppo audace (“dromosofia”, o “filodromia”,come forse l’avrebbe intitolata un filosofo greco, oggi farebbero pensare ai dromedari): e l’inglese è sempre trendy, sebbene “running” appaia già in 2312 titoli (ma si capisce, non è tutto running in scarpette). Ma deve aver influito l’editore, che incurante del suo nome raffinato, evidentemente non soddisfatto della sua vecchia pubblicazione Filosofia della danza, ha imposto titoli come Rocksofia e Bikesofia, e chissà se rifiuterebbe un mio family book intitolato alla nonna Sofia, alla prozia e alla zia Sofia e last but not least alla nipote Sofia.
A chi si rivolge il libro? La dedica d’autore è “a Simona e Agata, così imparano”, e fa venire in mente la dedica del primo libro autobiografico di Guccini, Croniche epafaniche (1989) “a Teresa, sperando che impari. Ad Angela, così impara”; affetti personali a parte, direi che il destinatario ideale non sia il podista (che troverebbe inutilmente pedanti le note a piè di pagina per spiegare concetti abusati come le ripetute o la pronazione o il testimonial) ma il lettore normale, l’homo sapiens sapiens che dopo le scuole ha abbandonato completamente l’“educazione fisica”, e con essa un approccio più naturale alla vita.
Ciò non toglie che già la stessa prefazione di Fulvio Massini (allenatore di Bagnasco), e le citazioni dello stesso tecnico nel corso del libro (10, se ho contato bene), orientino inizialmente la scrittura sulla falsariga dei manuali tecnici (abbigliamento, stile di corsa, metodologie di allenamento, perfino come respirare o allacciarsi le scarpe), ma senza cadere nell’iperspecialismo cartaceo, di cui sono piene le fosse e che a mio parere, dopo un iniziale entusiasmo, lascia indifferente il 90% dei praticanti.
Bagnasco vuole convincere chi non corre a passare dalla nostra sponda, per averne vantaggi nella salute fisica e soprattutto mentale: perché la sofferenza, innegabile almeno nelle corse più lunghe e in quella che insistentemente viene chiamata la gara regina, migliora la salute (checché ne pensino i proibizionisti dell’era-covid) ma soprattutto tempra la mente. Nel bene, e qualche volta nel male.
L’autore professa di non essere psicologo o sociologo, ma appoggiandosi anche ai suoi ispiratori e amici Gastone Breccia (11 citazioni), Paolo Maccagno (8 citazioni) e Roberto Weber (4) sa penetrare, spesso con finezza, nella mente e nell’indole del podista, e più in generale della persona “con” o “senza” podismo, cercando di trascinare chi non fa sport a vedere nella pratica quotidiana della corsa non un “di più” (da evitare se ci sono altre incombenze) ma una “attività connaturata”, che dà vantaggi sia nella versione “stanziale” (sempre sullo stesso percorso) sia nella modalità dell’“esploratore”, che ogni volta va alla scoperta di un tracciato nuovo.
Per fortuna, non è un elogio incondizionato, a prescindere, di qualunque esemplare della fauna podistica: non va bene, per esempio, rendersi schiavi dei cronometri millefunzioni, degli smartphone, dei selfie, della “sequela di baggianate” da infilare nei blog (p. 61), arrivando addirittura a una “ludopatia” in base alla quale non esiste più né il mondo né la famiglia. Trovo tuttavia a volte esagerate le critiche, che si rivolgono addirittura a chi per correre indossa abiti sgargianti o strani, o prima del via si lascia andare a una “logorrea da picnic” (così a p. 29) che sarebbero sintomi di paura e di fallimento; oppure a chi durante una maratona si pone come solo scopo il finirla, comunque vada. Il che – penso – è negativo se assunto come atteggiamento di base da parte dei collezionisti di ‘tacche’, ma altre volte si accosta all’eroismo, o comunque alla suprema forza di volontà, quando ti capita nel bel mezzo di una maratona (una storta, una tendinite, una vescica, e semplicemente l’esaurimento delle energie, lo sfinimento insomma), e tu decidi che comunque non salirai sulla vettura-scopa e al traguardo ci arriverai.
Senza generalizzare, credo che casi come questi ultimi rientrino nella “mistica della corsa”, cui è dedicata la seconda metà del libro, la più ‘filosofica’, pure nel senso che ad un certo punto bisogna seguire il ragionamento dell’autore nella sua logica interna, anche se questa logica pare a volte un tantino estremizzante. D’accordo, d’accordissimo che la corsa ci riavvicina allo stato di natura, anche nelle sue difficoltà, ci insegna a fallire e a rialzarci traendo ammaestramento dalle cadute, ci ammonisce sulla nostra finitezza aiutandoci a trovare il nostro equilibrio. Dove il ragionamento mi sembra un po’ spericolato, un tantinello esagerato, è nell’ultima decina di pagine, quando si comincia a dire che “correre è corteggiare la morte. È tentare l’impossibile travaso della morte nella vita”.
A questo punto, un qualche recensore da talk-show comincerebbe a toccarsi ed esclamare “pussa via!” o “li mortacci tua!”: preferisco piuttosto affidarmi al possibilismo non dogmatico delle parole conclusive (prima di un’appendice sulla maratona, dove le citazioni dai maîtres-à-penser o testimonials si sprecano): “Chissà se c’è una risposta giusta, e quale mai sarà. Vado a correre e a pensarci su. Venite anche voi?”.
Abbiamo parlato di: Claudio Bagnasco, Runnningsofia. Filosofia della corsa. Genova, Il nuovo melangolo, ottobre 2019, 127 pagine.
A Nord delle Alpi, per ora, si resiste e si invita a…
31 marzo - Cadono come birilli le corse italiane, anche quelle di luglio; invece, la suggestiva eco-maratona di Monschau, che si svolge per boschi e collinette tra Bonn e Aquisgrana e la cui 44^ edizione (sui 56 e 44 km) è prevista per il prossimo 9 agosto, al momento tiene duro e manda un messaggio agli sportivi: continuate a correre e respirare aria buona! Ecco il messaggio inviato oggi:
Cari podisti, vi state ovviamente chiedendo, in questa turbolenta “stagione-Corona”, se la maratona di Monschau ci sarà o no? Su questo preciso punto nessuno oggi è in condizione di darvi una risposta sicura. Noi dell’organizzazione continuiamo a portare avanti tutta la preparazione, e speriamo che l’evento si possa svolgere regolarmente. Vi informeremo sollecitamente se ci saranno novità. Ma adesso la prima cosa certa è che tutta la nostra responsabilità deve indirizzarsi ad arginare quanto più si può la pandemia.
Grazie per la vostra comprensione, e rimanete sani! E fate il pieno di aria fresca, malgrado “Corona”. È stabilito chiaramente cosa adesso si può fare e cosa no. Noi della Monschau-Marathon ci atteniamo strettamente alle norme emanate dallo Stato e da ogni singolo Land. Tuttavia, per conservare la mente limpida, vi suggeriamo di farvi regolarmente un’uscita a respirare aria fresca. Fa bene, libera la mente e dà le ali ai piedi.
Impiegate un po’ del vostro tempo per fare un giro di passo, ad andatura allegra, di corsa più o meno impegnata [difficile rendere le sfumature dei tre verbi: laufen, joggen, rennen], da soli o con la famiglia, osservando rigorosamente le direttive pubbliche: tutto ciò fa bene e dà anche la possibilità di muoversi spensieratamente. Così riusciremo a sopportare un pochino meglio questa situazione contingente, e magari ci verrà anche qualche idea nuova…
Al momento, resiste anche l’elvetica Swiss-Alpine-Marathon di Davos, la gara su vari chilometraggi (la gara principe è sui 68 km) tra le montagne incantate di Thomas Mann, programmata per il 25 luglio, e che ugualmente oggi scrive agli sportivi:
Questi mesi e giorni ci stanno mettendo alla prova e non sono certamente facili per nessuno di noi. Stiamo osservando attentamente la situazione e ci prepariamo a ogni genere di eventualità. La cosa più importante è che voi e le vostre famiglie restino in salute. Sapete che tutto il mondo sta combattendo contro il Covid-19, e anche noi stiamo facendo la nostra parte: sono giorni del tutto eccezionali. Ognuno è impegnato e deve usare tutto il suo spirito di disciplina e di solidarietà per aiutare a vincere questa lotta contro il tempo e contro il virus. Noi ci mettiamo tutta la nostra fiducia ed energia e continuiamo ad agire per rendere possibile lo svolgimento nella data prevista del 25 luglio.
Data l’eccezionalità delle circostanze, abbiamo esteso fino al 30 aprile la possibilità di iscriversi col prezzo ridotto del secondo scaglione.
“I Lumaconi delle 5.55” di Bollate/Novate per l'ospedale di Bergamo
Un altro dei tanti gesti di generosità che i gruppi podistici stanno facendo in questi giorni viene dai “Lumaconi delle 5.55” di Bollate/Novate (Milano), che questo giovedì 26 hanno deciso di devolvere il ricavato della loro colletta all’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, al cui personale hanno indirizzato la lettera che segue.
Il Covid 19 è entrato prepotentemente nelle nostre vite. Tanti sono stati contagiati e per voi si è spalancato l’inferno. Fondamentale era evitare ogni forma di trasmissione: da qui tutta una serie di divieti, tra cui il correre. Tra le categorie sotto accusa per la diffusione del contagio c’è quella di noi podisti: untori, egoisti della peggior specie, narcisi della propria forma fisica. A dar fiato a tutto ciò quei quattro imbecilli che, nonostante il divieto, hanno continuato a correre. Forse anche a contribuire alla diffusione del virus, certamente a non dare quel buon esempio che invece la vostra categoria ha dato con la sua dose di sacro impegno quotidiano.
Non tutti i podisti, però, sono accumunati dalla medesima dabbenaggine.
Il nostro gruppo, i “I Lumaconi delle 5.55” non solo si è attenuto scrupolosamente alle regole, ma ha voluto fare qualcosa a favore di chi sta in prima linea, come Voi, a combattere. Ci siamo inventati un nuovo tipo di corsa: quello di essere solidali con chi invece deve correre all’ospedale per curare i malati. Da qualche settimana l’icona della lumaca del nostro gruppo non rappresenta solo la lentezza con la quale tanti di noi corrono. La casa della lumaca è diventata anche il nostro #iorestoacasa.
Noi non siamo una Asd,non siamo nulla di burocratico, siamo solo delle ‘persone’ prima di ogni cosa, persone che corrono, persone con un cuore grande che ha smesso di correre e di rispettare il bene altrui stando a casa.
Per le gare ci sarà tutto il tempo che vorremo per la vita no.
Nonostante vicino a noi ci fossero altre strutture e personale che lotta come Voi, la nostra scelta su chi aiutare ha varcato la provincia dove viviamo. Abbiamo scelto il vostro ospedale. Quello di Bergamo, nella città dove tante volte siamo venuti a correre la nostra domenicale tapasciata.
È con immenso piacere che confermiamo di avervi bonificato la somma di 1.100 € sul vostro conto corrente.
Sarà forse poco, certamente non farà la differenza per l’ospedale Papa Giovanni XXIII. Vogliamo però sia un segno tangibile che non tutti i runners sono degli imbecilli. A voi il nostro incoraggiamento per sconfiggere il Coronavirus; a noi la speranza che, terminata questa brutta storia, si possa tornare a correre sulle vostre strade, rimirando dall’alto della città Alta tutta la bella Bergamo.
Forza Berghem, al se mola mia: I Lumaconi delle 5.55 sono con voi!
Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
Coscritto Mandelli, su la maschera: si va ai posti di combattimento!
I podisti sono gli ‘untori’? (parola che adesso tutti usano, perfino Bonaccini che di libri ne ha letti pochini e difficilmente tiene sul comodino una copia dei “Promessi sposi”). Quand’anche fosse vero, e così non è: perché mi piacerebbe vedere la statistica su quanti partecipanti alla maratona e gare collaterali di Salso-Busseto del 23 febbraio si sono ammalati di Covid…
Ma pensiamo pure al peggio, sia pure quello che sostengono gli antisportivi; e allora il podista, e da anni paziente 1 del podismo (nel senso che settimanalmente pazienta ore e ore sui percorsi lombardi a fotografare proprio tutti) ha deciso, in queste settimane di forzata reclusione, di aiutare gli altri: nella minore delle ipotesi, aiutare familiari, vicini e amici a respingere quegli attacchi virali che secondo alcuni sarebbero diffusi dai corridori ‘illegali’ dei nostri giorni.
Dunque, in un primo momento l’ex tornitore Mandelli, stante la scomparsa dal mercato delle agognate ‘mascherine’ (ovvero la constatazione che quelle offerte dalla Protezione Civile, bontà loro, fanno abbastanza compassione), è andato a ripescare in cantina le mascherine operaie che usava per schivare le polveri grosse e sottili delle officine (o più spesso non usava: eppure è arrivato agli ics-anta in ottima salute).
Ne aveva ancora parecchie, ma è chiaro che quelle finiscono presto. Allora, sfruttando la disponibilità di manodopera a basso prezzo, come è sempre stata quella della signora Giancarla (che indossa la mascherina anche quando scende le scale per andare al cassonetto), e la sua inventiva da lavoratore manuale, o manovale che dir si voglia, ha brevettato senza chiedere diritti d’autore una sua speciale mascherina, anzi due tipi.
Uno composto di quattro strati di Scottex, due per lato, a racchiudere una striscia di pellicola o di carta da forno. Un altro dove il rivestimento esterno è fatto di cotone (lavabile), ricavato dai bei tovaglioli della dote risalente ai primi anni 70: cucito a taschina, nel cui interno si mette la carta da forno, sostituibile quando si lava l’involucro esterno.
Volete dire che proteggano meno delle FFP3? Sarà, ma intanto fermano gli eventuali schizzi alla Gad Lerner o alla Massimo Gramellini o Massimo Cacciari, che potrebbero uscirti mentre parli o tossisci o ti incavoli davanti al fondotinta di Lilli Gruber.
Cut&paste, come dicono gli informatici, metti in azione la Singer di casa, e così si avvia una produzione in serie che servirà prima a saturare le necessità di figli e nipoti (vedete nella galleria qui sopra, prima una nipotina di Roberto che si è assoggettata alla prova, e poi, visto l'esito positivo, tutta la famiglia che si è 'mascherata'), indi fatalmente si espanderà al condominio: magari anche per far capire a quei certi inquilini che, giunti ormai a una certa età, hanno deciso di essere superiori a leggi e norme di buona convivenza, e ogni giorno ricevono figli nipoti e nipotesse allegre, invasive e senza mascherina. Chissà che l’esempio de Los Mandellos non insegni al prossimo che si può pensare un po’ più in là del proprio comodo.
E poi, siccome quel proverbio dice che “il bene è qualcosa come il fuoco, che più lo appicchi più si diffonde”, non è detto che la produzione non esorbiti dal quartiere di Concorezzo e prenda le strade, un tempo popolate di corridori e oggi solo di gente che va a fare la spesa (magari, un po’ troppo spesso). Dai giornali di oggi sappiamo che il comune di Sommariva Bosco ha commissionato a un laboratorio artigiano locale la confezione dei presidii per tutta la popolazione.
E i beneficiati ascolteranno di buon grado la ‘predica’ che il benefattore Roberto gli impartirà, da podista, amico dei podisti ma soprattutto della salute pubblica: per favore, saltate qualche allenamento, che per arrivare allenati al supertrail della Valmalenco c’è tempo!
Modena Runners Club raccoglie 3000 € per il Policlinico
In dieci giorni, una delle società più giovani del podismo modenese, Modena Runners Club Asd, tra un comunicato e l’altro relativo all’attività sportiva (via via ridotta, dopo l’ultima occasione agonistica dei regionali di cross a Imola il 22 febbraio, poi gli allenamenti ‘di gruppetto a distanza di sicurezza’, poi le corsette individuali, poi quasi più niente) ha lanciato una raccolta di fondi a favore del Policlinico di Modena (nel quale lavora uno dei soci fondatori), con riferimento particolare alla lotta contro il Covid 19.
E così il 19 marzo, accanto alla notifica del decreto regionale ‘antipodisti’ (salvo la ‘prossimità’, interpretabile forse in 500 metri), e alla esortazione “Ragazzi, stiamo a casa senza troppi giri di parole… nessuno deve correre le olimpiadi e qualche esercizio in casa lo possiamo fare”, arrivava la notizia che la cifra raccolta stava già sui 2000 euro, che la sera del 20 erano già 2500, e il 25 marzo erano 2900, e con un ultimo arrotondamento presidenziale diventavano tremila (i tesserati sono in totale 185).
La cifra è stata versata tramite bonifico bancario al Policlinico di Modena lo stesso mercoledi 25 marzo, giorno in cui la provincia modenese registrava altri 14 morti per il contagio (o “con” il contagio: i conti esatti si faranno forse a mente più riposata), e il sindaco di Carpi proclamava tre giorni di lutto cittadino (sia pure condendo l’annuncio con quattro urlacci in video che dimostrano quanto l’emergenza abbia ‘agitato’ anche lui).
Il presidente di MRC Alberto Cattini commenta: “3000 euro raccolti in sole 2 settimane, che dimostrano l’amore verso le eccellenze della propria città – come il Policlinico - dove tutti adesso dobbiamo restare uniti. Senza cadere in banali polemiche tra runners o non runners, MRC vuole rendere onore a chi combatte in trincea questa guerra invisibile, mettendo a repentaglio la propria vita per salvarne molte altre”.
Edoardo Melloni a casa: il suo messaggio di gratitudine e speranza
Milano, 23 marzo, ore 21 - Quattro giorni fa avevamo pubblicato le drammatiche notizie che venivano dal campioncino lombardo, figlio della conduttrice Rai Tiziana Ferrario, Edoardo Melloni.
Ma oggi è una bella giornata: segna la guarigione di Mattia Maestri (il presunto “paziente 1”) e anche di Edoardo, che appena tornato a casa ha mandato agli amici e simpatizzanti, dunque anche ai nostri lettori, questo messaggio:
Finalmente dimesso! Aprire la porta di casa è stato bellissimo, ma lasciare l'ospedale Luigi Sacco è stata la vera emozione: salutare i medici, gli infermieri, gli operatori sanitari ed il cappellano che dopo di me avranno altri pazienti a cui rivolgere le proprie cure. A tutti i lavoratori dell'ospedale che ho incontrato, ed anche a coloro che non ho incontrato ma che sono in questo momento impegnati in ogni ospedale d'Italia, dico GRAZIE. Grazie perché so che il prossimo paziente riceverà le cure come lo ho ricevute io, vedrà gli stessi sorrisi che ho visto io e sentirà lo stesso calore che ho sentito io.
Grazie per essere lì dentro a combattere col sorriso. Non perdetelo mai, nemmeno nei momenti più cupi, perché finché ci sarà il vostro sorriso lì dentro, noi avremo speranza.
È chiaro che tanto Edoardo quanto Mattia avranno bisogno di un buon periodo di convalescenza e recupero, e tornare a correre non è il loro primo pensiero, né tantomeno l’ossessione loro e nostra. Ma ci piace citare, in conclusione, la raccomandazione pubblicata oggi dall’Organizzazione Mondiale di Sanità (OMS):
Durante questi difficili momenti, è essenziale non perdere di vista la vostra salute fisica e mentale: ciò vi aiuterà non solo a lungo termine, ma darà una mano a combattere il Covid-19 se per caso l’avete contratto. Si raccomanda un’attività fisica per gli adulti di mezz’ora, per i bambini di un’ora al giorno.
Drammatico messaggio di Edoardo Melloni dall’ospedale Sacco
Solo due mesi fa (19 gennaio) intitolavamo una nostra cronaca con Cross per Tutti a Canegrate: Edoardo Melloni vince. Parlavamo del "Roccolo Cross Country", 2° tappa del circuito: La giornata si infiamma con la bella prova di Edoardo Melloni (CUS Pro Patria Milano) tra gli "Elite", che ha messo a frutto gli allenamenti appena conclusi in Kenia… Gara Elite (6 km) - Un nutrito gruppo di atleti del CUS Pro Patria Milano si presenta agguerrito alla partenza. A metà gara si formano però due coppie: Edoardo Melloni e Aymen Ayachi lottano per la vittoria, Thomas Previtali (US Atl. Vedano) e Andrea Nervi (Fanfulla Lodigiana) per il terzo posto. Nell'ultimo giro Melloni cambia marcia e risolve la gara. Per lui 8 secondi di vantaggio su un combattivo Ayachi.
http://podisti.net/index.php/cronache/item/5607-cross-per-tutti-a-canegrate-edoardo-melloni-vince-najla-aqdeir-incanta.html
La stagione era continuata felicemente per il campione 29enne, col secondo posto ai campionati lombardi indoor sui 3000 metri (Padova 25 gennaio, 8.17:35), e la settimana successiva con un 33:57 nei 10mila su strada a Magenta.
Il 9 febbraio, ritorno al Cross per tutti, nella tappa di Seveso, dove era attesa una sfida a due tra Edoardo Melloni (CUS Pro Patria Milano), vincitore a Canegrate, e il bresciano Enrico Vecchi (Atl. Rodengo Saiano), azzurrino specialista delle siepi. I due guidano da subito il gruppo insieme agli altri cussini Aymen Ayachi e Matteo Geninazza, poi il gruppo di testa si sfalda nell’ultimo chilometro. Melloni prova a forzare, Vecchi risponde e rilancia con un’azione irresistibile per tutti. Al traguardo sono 3 i secondi di vantaggio per Enrico Vecchi, Melloni mette in fila i compagni di squadra Ayachi e Geninazza.
Poi la vita ha preso un’altra piega, come testimonia il messaggio di Edoardo (figlio della celebre giornalista Rai Tiziana Ferrario), inviato oggi dall’ospedale milanese Sacco, tristemente famoso per essere uno dei luoghi dove sono curati gli affetti da Covid 19.
Se pensate che essere giovani, forti ed in salute vi salvi ecco una news (e questa non è fake): vi sbagliate.
I virus sono democratici, non guardano mica in faccia. Puoi essere il pensionato che va a comprare la frutta al mercato o puoi essere il presidente di una nazione. Lui non lo sa e a lui non importa.
Potete essere fortunati e non contrarlo. Potete essere comunque fortunati e contrarlo senza essere sintomatici. Oppure vi può andare peggio. Il problema è che non potete sapere a quale categoria appartenete. Avete voglia di rischiare?
Ah, visti gli innumerevoli messaggi-catene di whatsapp che ricevo in cui mi si comunica che basta acqua calda, limone e zenzero per sconfiggere il virus. Fatemi e fatevi un favore: chiedete (o verificate) sempre la fonte delle informazioni.
Qui purtroppo non mi danno tisane allo zenzero ma idrossiclorochina e lopinavir e ritonavir, usati rispettivamente per artrite ed HIV.
Se non avete la necessità di dovervi obbligatoriamente recare al lavoro, #stateacasa e tutto finirà presto. Io da qua ne esco quanto prima.
Metà marzo, ultime uscite tra Bologna e Modena?
15 marzo: il calendario podistico dell’Emilia avrebbe previsto tre maratonine molto apprezzate: la 46^ Corri con l’Avis di Imola, la maratonina di primavera di Rimini, la più giovane Mezza di Reggio. Ovviamente non se ne fa nulla, e certo è meglio così; allo stesso modo che per le gare più lunghe del centro-sud Italia, a partire dalla 9^ Strasimeno che proponeva l’intero giro del lago (58 km) o vari ‘ritagli’ tra cui la canonica distanza di maratona, per farsi una ‘tacca’ (come la definisce l’affascinante segretaria del Club Supermarathon Italia).
Ma gli atleti professionisti hanno il permesso di allenarsi: europei, Olimpiadi, grandi maratone di autunno restano per ora in piedi. E gli altri, come si arrangiano?
Aleggiano per l’etere gli ammonimenti e le gride dei pubblici amministratori, e i proclami un po’ da Minculpop “restate a casa”. Nel centro dell’Emilia (la regione che insieme a Veneto e Lombardia sta pagando il tributo più alto, sia per le maratone saltate sia per la ben più grave situazione sanitaria e ospedaliera, il cui picco è previsto per questa fine settimana) si fa sentire forte la voce dell’assessore alla sanità Sergio Venturi, un medico e un eccellente amministratore, accantonato dopo le ultime elezioni ma che la “provvida sventura” manzoniana, sotto forma dell’infezione da Covid capitata al suo improvvisato successore, ha richiamato in servizio: diciamo pure, una specie di Bertolaso (medico pure lui), nel ruolo (l’uno e l’altro) del romano Cincinnato.
Dunque Venturi, oltre a dirigere da par suo la sanità emiliana, ogni giorno fa una diretta su Fb per informare sulla situazione: in maniera pacata, non urlata, ragionata. Ebbene, per la prima volta, nella sua apparizione di lunedì 16, Venturi è sembrato uscire leggermente dai gangheri, specialmente verso la fine della sua mezz’ora (dal minuto 24 al 29)
https://www.facebook.com/RegioneEmiliaRomagna/videos/231131638278730/
che i giornali hanno riassunto con “no alle passeggiate o alle corsette di cazzeggio”. I contenuti, se non proprio le parole testuali, suonano così:
Smettete di pensare che questa sia un'allegra scampagnata (cita anche il caso di un raduno festaiolo di otto amiconi ai confini tra le provincie di Reggio e Mantova: smentiamo che fosse un incontro al vertice tra le famiglie Morselli e Rossi!!). Non è più il tempo. ci stiamo giocando il futuro di questo paese: rischiamo che il nostro servizio sanitario non riesca a far fronte alle esigenze delle prossime settimane, se non rimanete a casa vostra. Se non lo fate, qualcuno prenderà provvedimenti di carattere più coercitivo. lo abbiamo già fatto, ma vedo che ancora qualcuno fa finta di nulla. Troppe persone stanno per le strade anche quando non è strettamente necessario, non sanno fare a meno della corsetta mattutina. Pensate a quanti, 24 ore al giorno, lavorano in situazioni a volte non sicure e si prodigano per salvare la vita dei malati. Qualcuno fa finta di nulla, gira per le strade senza mascherina, ma tenete presente che chi abbiamo di fronte non ha scritto in faccia ‘sono un portatore sano di coronavirus’. Nei prossimi 10 giorni ci giochiamo il futuro della sanità del nostro Paese. Se non si inverte la tendenza, alla fine staremo in casa tutti. Abbiamo chiuso le palestre e le piscine e (da qui, testuali parole) Attenzione, potremmo anche chiudere la possibilità di andar fuori a fare la corsetta della mattina.
Dunque, sono gli ultimi giorni prima del coprifuoco totale? Lo stesso lunedì, i sindaci di Formigine (Maria Costi, centrosinistra) e Sassuolo (Gian Francesco Menani, centrodestra) emanano direttive quasi identiche:
Formigine: Considerato che, nonostante le prescrizioni in essere, sono stati registrati comportamenti non rispettosi del divieto di assembramento presso parchi e giardini pubblici e il mancato rispetto della distanza interpersonale (almeno 1 metro)… Valutato necessario ed indifferibile: procedere ad una totale chiusura al pubblico di parchi , giardini ed aree verdi pubbliche; vietare l'utilizzo delle panchine, ovunque collocate sul territorio comunale; disciplinare puntualmente le “comprovate esigenze primarie” previste dall' art. 1, comma 1, lett. a) del DPCM 8 marzo 2020, relativamente alla gestione quotidiana degli animali domestici
ORDINA Le seguenti ulteriori e specifiche prescrizioni in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-2019 nel territorio del Comune di Formigine, valide dalle ore 20 del 16.03.2020 a tutto il 25.03.2020, fermo restano il Divieto di assembramento e l’obbligo di distanza interpersonale ( almeno 1 metro): a) chiusura al pubblico di parchi e giardini pubblici b) divieto di utilizzo delle panchine, ovunque collocate sul territorio comunale (…) d) puntuale disciplina delle “comprovate esigenze primarie” previste dall' art. 1, comma 1, lett. a) del DPCM 8 marzo 2020, come segue: gestione quotidiana degli animali domestici, ovvero passeggiata ed espletamento dei bisogni fisiologici dell’animale potranno avvenire nel raggio di 500 metri dall’abitazione del proprietario dell’animale ed avendo cura di avere al seguito il materiale per la raccolta delle deiezioni.
Sulla stessa linea Sassuolo, che però prolunga la scadenza al 3 aprile: chiusi parchi e giardini pubblici, divieto di utilizzo delle panchine, divieto d’accesso alla ciclabile sul Secchia. Nel dettaglio:
è fatto divieto di accedere transitare e stazionare all’interno dei parchi e dei giardini pubblici dalle ore 18 alle successive ore 06 e dalle ore 08 alle ore 16 (dunque la famigerata “corsetta” si può fare dalle 6 alle 8, dalle 16 alle 18).
La gestione quotidiana degli animali domestici passeggiata ed espletamento dei bisogni fisiologici potranno avvenire dalle ore 00,00 alle ore 24.00 di ogni giorno, a condizione che dette attività si svolgano nelle immediate vicinanze dall’abitazione del proprietario dell’animale ovvero nel raggio di 500 metri, avendo cura di avere al seguito il materiale per la raccolta delle deiezioni.
Divieto di utilizzo delle panchine, ovunque collocate sul territorio comunale, nell’arco dell’intera giornata.
Divieto di utilizzo delle piste ciclabili ubicate all’interno del Parco fluviale Secchia o ad esso adducenti, nell’arco dell’intera giornata.
È forse il colpo più duro per i jogger e camminatori, che nei giorni precedenti, fino a domenica, avevano affollato le bellissime piste attrezzate lungo il Secchia, ripetutamente teatro di gare podistiche.
Cose del genere sono attivate pure nel nord della provincia modenese, Carpi e Mirandola per esempio; mentre Medicina, a nord est di Bologna lungo la direttrice per Ravenna, è isolata totalmente causa una diffusione più elevata del contagio.
E nei capoluoghi? Bologna è stata fra le prime a chiudere i parchi. Dopo le scuole, che avevano chiuso già nell’ultima settimana di febbraio (con la tragicissima conseguenza della morte il 28 febbraio di Matteo Prodi, pronipote di Romano in quanto nipote di Vittorio – fratello dell’ex premier -, il quale non potendo andare al suo liceo era uscito in bicicletta sui colli sopra casa sua, finendo investito e ucciso da un’auto), l’università, che era rimasta semiaperta nei primi giorni del mese, ha chiuso del tutto i portoni per gli studenti, cui restano solo lezioni ed esami online. Piazza Verdi, tra università e teatro, uno dei centri più vivi dell’aggregazione giovanile (e purtroppo non solo di quella) è quasi deserta, a parte i soliti 8-10 tossici o sfaccendati (il commercio delle bici rubate è in crisi, chissà se il decreto aiuterà anche quello), e le forze dell’ordine che li controllano a debita distanza; al tramonto, una ragazza in scarpette risale di corsa via Zamboni, un altro svolta per via Mascarella, dove tutti i ristorantini coi loro déhors sono chiusi, e si dirige forse verso la Montagnola, chiusa.
A Modena sembrava ci fosse l’intenzione di chiudere i parchi, anche se nella pratica i pochi realmente chiudibili (il “Modena Park” di Vasco, i Giardini ducali, Villa Ombrosa) hanno i cancelli spalancati pure di sera; sempre aperti l’Amendola Nord-Sud e il 22 aprile. Qualche irriducibile osa ancora correrci, in rigorosa solitudine, prima che lo vietino del tutto. Commuove la mamma podista che dopo le 19 sta correndo lungo il “Parco” per eccellenza, il giro dei viali percorso da tante gare o camminate, e dalla defunta maratona di Carpi che qui giungeva al km 20: la seguono disciplinati, attenti e felici, i due figli in biciclettina.
Poi restano gli argini dei due fiumi: il Secchia, evidentemente non ancora vietato, caro ai podisti per le gare del quartiere Madonnina e della confinante Campogalliano (attenzione, meglio non varcare i confini comunali!); e il Panaro, il cui argine sinistro, in territorio comunale modenese per una quindicina di km, è pure calpestato da gare. Un po’ a rischio il ‘percorso vita’, perché il ponticello che attraversa la confluenza del Tiepido nel Panaro instrada verso San Donnino (modenese), ma attraversando i comuni di Castelfranco e forse anche di Nonantola e San Cesario, dunque il divieto di uscire dal comune potrebbe sussistere. Senza rischio invece la direzione nord, almeno fino al ponte della Tav e a quello di Navicello verso Ferrara, dopo di che si entrerebbe in comune di Bomporto. Si parte dalla Fossalta, teatro nel 1249 di una sanguinosa battaglia tra Bolognesi e Modenesi in cui fu fatto prigioniero Re Enzo figlio di Federico II, e che ispirò Tassoni per la “Secchia rapita”, e si risale verso nord: mentre sotto, nella campagna, qualcuno comincia a sistemare le viti, e un apicultore (dotato di mascherina meno lugubre di quelle antiCovid, e spruzzando il fumo come insegnato dagli avi) toglie il miele dalle arnie, si può passeggiare o corricchiare nella coscienza di non fare del male a nessuno. E si fornisce materia a Roberto Mandelli per la sua ennesima creazione d’arte.
Carpe diem, quam minimum credula postero.
Correre per sé stessa e per la Patria, secondo Edith Besozzi
Ieri una corsa in salita, mi sono trovata al punto che solitamente rappresenta il momento in cui inizia la discesa e ho deciso di procedere. Mi si è offerta la possibilità di andare oltre. In quella parte del paesino le persone hanno gli abiti e i comportamenti gentili della gente di montagna, portano carriole di legna, gerle in spalla, battono i ricci nel bosco per estrarre le ultime castagne rimaste, sorridono incrociandomi, ci salutiamo. Mi è piaciuto salire, entrare nel bosco e sentire i piedi leggeri sul sentiero.
È uno squarcio di bella prosa che mi sento di proporre come trailer, come invito a leggere il libro per chi non lo conosce: mi riferisco a Qualcosa per cui correre di Ariel Shimona Edith Besozzi (Gilgamesh Edizioni, Asola MN, 228 pp. per 15 euro; la versione Kindle è presentata coi sottotitoli Correre naturale - Correre cambia la vita).
Peccato però che questo brano, e anche le 3-4 pagine che lo seguono (quasi tutte alla sua altezza letteraria), si trovi a p. 144; e chi è arrivato qui abbia dovuto sorbirsi fino a questo momento un prolisso diario quasi quotidiano, dove noticine preziose sono soffocate da una marea di considerazioni ripetitive, non scremate, messe giù con una proprietà stilistica che tuttavia non si risparmia una decina di refusi o errori di altro genere. Per un maratoneta volgare e illetterato, ad esempio, colpisce che in un libro dedicato alla conquista della prima maratona la distanza sia quantificata a p. 120 in km 42,156; che alle pp. 181, 190 e 205 diventano 42,159 (mentre la maratonina a p. 166 risulta di 21,056).
Piccolezze, sicuramente, ma discese da quella mancanza di limae labor, da quella compulsione alla scrittura (più volte autodenunciata: mi sto scordando di scrivere un sacco di cose, ho paura di dimenticare dei pezzi… vorrei poter registrare tutto… vorrei scrivere ogni giorno; mai combattuta) secondo cui tutto quanto importa all’autrice debba per forza importare anche al lettore, il quale a sua volta ben difficilmente resisterà a leggere tutto il libro (e farvi annotazioni, segno di raccoglimento e partecipazione). Ne sono prova le recensioni (per modo di dire) apparse finora, di cui l’autrice dà conto puntuale in uno dei suoi blog (Diario di Ariel Shimona Edith), ma che sembrano ridursi a ricopiare o tenuemente rielaborare le autopresentazioni sparse in varie sedi, talora scopertamente firmate dal marito della scrittrice stessa.
Il libro è stato stampato nel gennaio 2020, ed a marzo i due mensili più noti nell’ambiente podistico l’hanno, per dir così, recensito: la nota di “Correre” (marzo, p. 91) trascrive integralmente (senza dirlo) la quarta di copertina del libro, con la sola aggiunta che l’autrice è “già una delle protagoniste, 2 anni fa, delle pagine al femminile della nostra rivista”. Un po’ più di riguardo, se non altro di degnazione, per una co-équipier si poteva avere: ma almeno, la lunghezza della recensione è circa doppia di quella di “Runners World” dello stesso marzo (p. 13), con la differenza che RW ricopia solo le prime 8 delle 16 righe della copertina, mentre “Correre” arriva a lambire la riga 15 e addirittura, in un sussulto di indipendenza, osa trasformare in “si dice / si ha” i “diciamo /abbiamo” dell’originale.
Insomma, l’autrice scrive il libro, il marito prepara la recensione, un qualche Vincenzo Mollica ci aggiunge le sue trombe. Purtroppo, gli ispiratori del sottoscritto in quanto recensore restano Giovanni Boine (quello dei Plausi e botte) e Karl Kraus (cui si devono frasi come Quando non si sa scrivere, un romanzo riesce più facile di un aforisma; e soprattutto Bisogna leggere due volte tutti gli scrittori: i buoni e i cattivi. Si riconosceranno i primi, si smaschereranno i secondi).
Il titolo dell’opera rimanda, senza dirlo (ma è chiaro che i lettori elettivi cui si rivolge quest’opera lo capiscano), al romanzo di David Grossmann Qualcuno con cui correre: lì, il qualcuno era una cagnetta, animale intelligente e docile che stabilisce un legame di affinità col compagno di scorribande:
Il ragazzo e la cagna galoppavano per le vie di Gerusalemme, sconosciuti l’uno all’altro ma legati da una corda, come se non volessero ammettere di essere davvero insieme eppure cominciassero a imparare, come per caso, piccole cose l’uno dell’altro: il modo di drizzare le orecchie nei momenti di eccitazione, il tonfo delle scarpe sul selciato, l’afrore e tutte le sensazioni che una coda può esprimere.
In questo libro invece, il qualcuno è senz’altro il marito della scrittrice, che la accompagna, aspetta, conforta, rialza: al punto che possiamo vedere nel libro un inno all’amore coniugale, benedetto e benvenuto in un mondo popolato da “compagni” o “fidanzate” senza vincoli. Amore coniugale che però sembra alquanto possessivo (quasi, ci scusino gli interessati, come tra cagnolino e padrona), dato che il lui non è mai chiamato altro che “mio marito”, quasi non esistesse come persona, ma solo in quanto appendice della signora Edith. Lo stesso sembra apparire dalle altre notazioni sugli affetti familiari: pregevoli (specie quelle sui nonni), ma sempre con perno nell’autrice, verso cui deve pendere anche “la mia adorata sorellina” (così chiamata a pp. 173 e 175); e anche “l’amica con cui ogni tanto vado a correre” (fuggevolmente incontrata in bus a p. 193) è una comparsa, della cui compagnia apprendiamo solo qui senza che mai la incontriamo in uno dei tanti allenamenti ‘veri’.
Il qualcuno cancellato dal titolo (ma non dalle pagine) diviene allora un qualcosa: concetto molto largo in cui può starci di tutto, compresi l’amore coniugale e una volontà fortissima di autoaffermazione, ma che sembra di individuare nell’amore per la propria patria ideale, Israele, e nei valori da essa rappresentati. Più volte la scrittrice ricorda le presentazioni, a partire dal maggio 2016 (il diario comincia dall’ottobre 2015 e finisce nel febbraio 2017), quasi sempre impreziosite da “donne bellissime” (pp. 103, 104, 117), del suo precedente libro Sono sionista, a quanto pare un’altra autobiografia che (dice un soffietto editoriale) narra “la trasformazione dell’autrice, l’abbandono delle sue precedenti convinzioni e degli ‘antichi idoli’, gli anni di impegno politico a sinistra, trascorsi coltivando assetti mentali e idee poi trasformate dall’incontro con quella ‘terra antica e giovane, proiettata verso il futuro e con antichissime radici nel suo passato millenario’, superando la vecchia politica per abbracciare un’etica di comportamento condivisa e condivisibile”: “oggi un’altra donna, dopo Oriana Fallaci e Fiamma Nirenstein, anch’essa con un passato di sinistra, afferma con orgoglio e determinazione il proprio essere sionista”.
Ecco dunque precisarsi il qualcosa, che diviene Run against terrorism (titolo della sezione di luglio 2016, pp. 77-98; poi 162 ss.): forse la più impegnata politicamente contro “questa degenerazione dell’essere umano chiamata Islam radicale”, nel lassismo dei politici occidentali per cui colpa si concede “che la morte propugnata da questi nazi-islamisti continui a colpire, torturare e sgozzare chiunque non abbracci l’Islam radicale” (79). Il qualcosa diviene la corsa, “affinché la vita prevalga”, e trionfi “una profonda fiducia nel genere umano, per … trasformare la tristezza in rabbia, poi in scelta, poi in battaglia e quindi in vita”.
Non sono altrettanto convinto di questa funzione politica della corsa in sé: che diviene invece più chiara nella scelta dell’autrice (e/o del marito) di esordire in maratona scegliendo quella di Tel Aviv del febbraio 2017, e di ‘crearsi’ scarpe da running con la scritta Israel/Love. Ecco dunque che il lettore-appassionato di corsa potrà fare la tara dalla ripetitiva e ossessiva autoanalisi dell’autrice, autodefinita pure “runner cerebrale”, e contrassegnata dal pleonastico ricorrere di possessivi e pronomi personali:
Sento che mi devo affidare a qualcosa che è in me, ma che non ho esercitato per anni. Correndo ho incominciato a lasciare lo slancio e il passo al piede, ma questo infortunio mi ha bloccata, mi ha riportata a pensare, a guardare dove metto i piedi, a consegnare agli occhi [sic]. Gli esercizi servono per ritornare a confidare nel mio istinto. Per correre davvero devo fidarmi dei miei piedi, delle mie caviglie, delle mie gambe e delle mie ginocchia (p. 111).
Mi ha restituito il respiro, ho pensato al mio cuore, ho ascoltato la frequenza dei miei passi alla ricerca della leggerezza, quella della terra, dell’acqua e della pietra. Le gambe mi si sono bloccate soltanto quando hanno raggiunto l’asfalto, pesanti, lente, legnose. La mente ha saputo dominare la situazione e riportarmi a casa. Tengo lo sguardo alzato, mi affido e mi fido dei miei piedi. Vado, non mi fermo, non esito, corro. Recupero il filo dorato che mi tiene legata al cielo e quello che mi tira dal bacino e fa rullare le anche (pp. 130-131).
Mi sento reattiva e dinamica. Anche se sono stanca difficilmente mi fermo, è come se la vita si fosse aperta a me e io desiderassi compierla fino in fondo. Mi rendo conto di quanto io sia stata la peggiore nemica di me stessa negli anni, soprattutto da giovane, di quanto lasciando prevalere la pigrizia e il pensiero fine a se stesso abbia indebolito non soltanto i miei muscoli ma anche la mia capacità di vivere con intensità (p. 146).
Fatta dunque la tara (anche dalle ripetute riflessioni sul ciclo femminile dell’autrice, sui mal di testa e di pancia, l’insonnia, “l’espletamento delle funzioni mattutine” ecc.), il lettore di cui sopra potrà seguire in compartecipazione l’ascesa di Edith, da una vita grigia d’ufficio e “dall’assenza di persone gioiose” (p. 201: ma sarà poi vero che solo in Israele, e non anche nella opaca Milano o la più vivibile Bassano, le gente ti lasci le libertà e le soddisfazioni di cui alle pp. 207, 213 e altrove? E sarà vero che l’uccidere gli animali per dissanguamento sia più umanitario che sparargli un colpo in testa come fanno i crudeli cristiani carnivori, pp. 158, 220??), da una certa pigrizia inculcatale in famiglia o assunta per autoprotezione, alla volontà di andare sempre oltre i propri limiti, al fissare il ritorno dall’allenamento ogni volta mezzo km più in là, al soffrire per le cadute nei trail ma superare gli inevitabili dolori per posture errate o rigidità di movimento.
Ecco allora che le ultime cento pagine emergono dal tran-tran diaristico, senza autocensura né riordinamento (quello che invece seppero fare i grandi diaristi come S. Agostino, Montaigne, Pascal, Proust, fino a Primo Levi e Carlo Levi e il Guareschi dei lager), e portano il lettore a vivere col personaggio-autore l’avversione per le palestre e il tapis roulant in contrapposizione alla corsa in natura, gli allenamenti sempre più gioiosi, anche sotto la pioggia e pensando alla favola bella di Rocky contro l’ipertecnologico Drago, i saluti dei bimbi per strada, le coccole al gatto in comproprietà, e infine la partenza, lo sbarco a Tel Aviv, i preliminari della gara, e infine (ma siamo già a p. 206, meno 8 dalla conclusione del racconto) la maratona! (il punto esclamativo è nell’originale, e dice più di tanti verbosi arzigogoli).
Maratona che non andrà tecnicamente come sperato (ma l’autrice saprà poi fare di meglio a Ravenna 2018, quando si permetterà addirittura, incredibilmente, di distanziare il marito di dieci minuti), ma che, anche nel superamento del dolore, porterà la happy family a superare il traguardo con le mani unite in alto, e non senza lacrime: già versate al via (p. 207), e di nuovo alla partenza per l’Italia, che “mi sta strappando dalla mia Terra, da mia madre. Fa male, molto male”. Eppure
resta l’esperienza vissuta e la possibilità di costruire su questa esperienza una nuova storia, la mia, la nostra. Quella di chi, una volta che ha cominciato a correre, non riesce più a farne a meno. Infatti questa non è la fine, piuttosto è l’inizio della storia.
Aspettiamoci dunque un’altra puntata.
“L’attività motoria all’aperto è consentita”: parola di Governo
Secondo fine settimana senza corse, e con le misure ancor più restrittive dell’ultimo decreto, circa le quali abbiamo già largamente informato: da ultimo http://podisti.net/index.php/in-evidenza/item/5901-vita-sempre-piu-difficile-nulla-cambia-per-le-gare-aggiornamento-al-13-marzo.html
E restano sempre valide le considerazioni di Maurizio Lorenzini, non a caso visualizzate più di diecimila volte:
Tuttavia, specialmente in questi giorni che si resta per lo più nelle proprie abitazioni, c’è più tempo per sbizzarrirsi, e su internet circola di tutto: la procace fanciulla che si allena in un cortile che sembra la via Gluck, mentre il fidanzato che la riprende finge di volerla denunciare; il savonarola di turno che urla “statevenneaccasa”, condendo con insulti a chi osa pensare che sia possibile prendersi una boccata d’aria; l’hashtag di regime “andrà tutto bene”, che ricorda assai il “tutto va ben madama la marchesa”… , e gli arcobaleni infantili dipinti ed esposti sui balconi (l’Opera Nazionale Balilla non faceva di meno).
“Andrà tutto bene?”. E la gente che continua a morire fa parte del “tutto bene”? E gli imprenditori che chiudono per mancanza di avventori/compratori, i camerieri, i pizzaioli, i lavoratori delle terme che ora sono a spasso, rientrano nel “tutto bene”?
No, non sta andando tutto bene; e quando sarà finita (nella ottimissima delle ipotesi, ci aspettano i dieci giorni peggiori dell’epidemia, e una decrescita si spera solo alla fine di marzo) ci saranno lunghi e dolorosi strascichi con cui fare i conti.
Ma intanto noi podisti (che prima di essere podisti siamo persone normali, lavoratori, medici, bottegai, assistenti di anziani ecc. ecc.), e i nostri cugini ciclisti, pur consci che il momento non sia dei migliori, ci permettiamo di prenderci quell’oretta di pausa quotidiana o bisettimanale in pantaloncini e scarpette. Sappiamo che le nostre uscite possono ricadere nelle ire contrapposte di personaggi come quelli tratteggiati da Massimo Gramellini nel “Caffè” del Corriere di ieri venerdì:
“C’è il ligio inquisitore che ha il Dna di un informatore della Ddr e gode nel segnalare ogni starnuto sospetto, con l’alibi di farlo per il bene dell’umanità… Il terrorizzato democratico a cui la delazione ricorda momenti scoraggianti della Storia. Si accontenterebbe di suggerire ai potenziali untori di sciogliere l’assembramento, ma teme che quelli gli diano uno spintone”.
Al punto che: “Sembra la caccia agli ebrei, smettetela, restiamo umani”, invoca il regista teatrale Alberto Oliva.
Ciò premesso (e se ne potrebbero dire da riempire tante pagine quanto le classifiche delle maratone di Londra e New York messe insieme), e senza voler disquisire da profani su tante cose ‘tecniche’ che i medici stessi hanno detto e contraddetto nelle ultime settimane (il virus decade in 30 secondi? No, resta attaccato alle cose per ore? A 35 gradi muore? Serve la mascherina alle persone sane? Basta un metro o è 1,50, o sono due se corri, o cinque se urli allo stadio? Se bevi tanta acqua spingi il virus dalla bocca allo stomaco, dove i succhi gastrici lo uccideranno? Se riesci a stare 10” senza respirare significa che non hai il Covid?), ci limitiamo ai dati ufficiali, nella presunzione, anzi nell’obbligo di credere che essi nascano dalla profonda riflessione dei più competenti in materia.
Dunque, è d’obbligo il rimando (già fatto su queste colonne, ma repetita iuvant) al decreto più recente, e alle circolari esplicative (l’ultima di ieri 13 marzo)
Veniamo allora alle domande e risposte che ci riguardano.
È consentito fare attività motoria?
Sì, l’attività motoria all’aperto è consentita purché non in gruppo. Sono sempre vietati gli assembramenti.
L’accesso a parchi e giardini pubblici è consentito?
Sì, parchi e giardini pubblici possono restare aperti per garantire lo svolgimento di sport ed attività motorie all’aperto, come previsto dall’art.1 comma 3 del dpcm, a patto che non in gruppo e che si rispetti la distanza interpersonale di un metro.
Posso utilizzare la bicicletta?
La bicicletta è consentita per raggiungere la sede di lavoro, il luogo di residenza, nonché per raggiungere i negozi di prima necessità e per svolgere attività motoria. È consentito svolgere attività sportiva o motoria all’aperto anche in bicicletta, purché sia osservata una distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro.
Naturalmente rimane il “divieto assoluto” di uscire da casa per chi è sottoposto a quarantena o risulti positivo al virus; e la “forte raccomandazione” per chi ha sintomi da infezione respiratoria e febbre superiore a 37,5, di rimanere a casa, contattare il proprio medico e limitare al massimo il contatto con altre persone.
E per quanto riguarda la zona degli spostamenti:
Posso muovermi in città?
I divieti e le raccomandazioni valgono anche per gli spostamenti all’interno del proprio comune, ivi comprese le regole dettate per gli spostamenti motivati da comprovate esigenze di lavoro o di salute ovvero di necessità, nonché per il rientro alla propria abitazione.
Ci sarebbe anche l’obbligo, francamente strano e non sappiamo quanto applicabile, dell’autocertificazione da portare con sé. Ovvio che serva per gli spostamenti meno contenuti, a documentare le esigenze di lavoro ecc.: ma il modulo stesso non prevede una autocertificazione per “attività motoria” o per portare a spasso il cane. Un eccellente audio postato in rete dall'avvocata Simona Venieri di Brescia si sofferma giustamente sugli spostamenti in auto, certamente più sospettabili e punibili in quanto reato penale (articolo 650 Codice penale), esortando a non pagare l'ammenda perché equivarrebbe all'ammissione del reato e alla conseguente iscrizione nel casellario penale: aspettare la notifica, rivolgersi a un avvocato (se già non vi hanno affibbiato un avvocato d'ufficio), eventualmente fare ricorso, e in extremis fare la "oblazione" che estingue il reato.
Ma quanto a noi sportivi, siamo certi che le forze dell’ordine abbiano quel grano di sale che permetta di capire quale è la necessità di uno che sta sgambettando su una pista ciclabile; e d’altronde, la ministra-prefetta Lamorgese, dopo aver ammonito che “le uscite in compagnia e la permanenza prolungata all’aperto costituiscono situazioni di rischio”, garantisce “è sempre prevista un’autodichiarazione che potrà essere resa anche seduta stante sui moduli in dotazione alle forze di polizia”.
Anzi (Fiorenza Sarzanini, “Corriere” citato, l’intera p. 5): “Se al momento del controllo non si è in possesso del modulo si può giustificare verbalmente lo spostamento”. Cita anche la sottosegretaria alla salute Sandra Zampa (la più diretta discepola di Romano Prodi, e dunque necessariamente grande intenditrice di attività motoria): “Lo sport e le attività motorie svolte negli spazi aperti sono ammessi nel rispetto della distanza interpersonale di un metro”. La Zampa aggiungeva che i parchi e giardini pubblici possono restare aperti, ma nel giro di poche ore il “suo” sindaco di Bologna, poi quello di Milano e tanti altri (quasi tutti, direi), hanno chiuso i parchi che potevano chiudere, affidandosi al buon senso degli utenti per gli altri.
Quel buon senso che, con un po’ di ‘orgoglio aziendale’ da cui certamente si schermirà il diretto interessato, vorrei chiamare “dottrina Lorenzini”: l’epidemia è grave, non è la peste e nemmeno l’Aids, ma al momento (prima dei vaccini) impegna le strutture sanitarie e i macchinari disponibili (i famosi ventilatori, oltre ai posti letto) al limite delle loro disponibilità (è di oggi la notizia che il tanto decantato ospedale ‘alla cinese’ della ex Fiera di Milano non si fa). Non solo ogni ammalato in più di Covid (seppure quasi sempre curabile) mette in crisi il sistema di accoglienza ospedaliero; ma anche, putacaso, ogni podista (e sciatore, e alpinista ecc. ecc.) che si fa male, si rompe un ginocchio, si becca un infarto, si perde nella neve andando in ipotermia, ecc., o non potrà essere curato perché non c’è posto, o intasando il prontosoccorso toglierà spazi e risorse per i malati da Covid.
Corriamo dunque, da soli o in piccolissimi gruppi (sta a vedere che non posso correre a 99 cm dalla mia partner con cui condivido la tavola, il divano e il letto!); ma stiamo un po’ più accorti. E se ci rompiamo, proviamo ad aggiustarci da soli in casa, o almeno non lamentiamoci se l’ambulanza non ci verrà a prendere entro il tempo che Baldini impiegò a vincere la maratona di Atene. Siamo, come si suol dire, maggiorenni (mica tanto vaccinati): siamo (modo indicativo e congiuntivo-esortativo insieme) responsabili, sappiamo (idem) far fronte alle nostre scelte.