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Ott 07, 2024 488volte

La luminosa giornata di Grado

La luminosa giornata di Grado Roberto Mandelli

6 ottobre – Con la Mytho Marathon, dichiaratamente “unica maratona del Friuli”, siamo all’inizio del secondo trittico, che nei prossimi due anni vedrà le partenze a Gorizia e Nova Gorica, mentre il triennio precedente si era svolto a Cividale, Sacile, Aquileia (si veda  già quanto ha tempestivamente scritto Marco Colavitti: https://podisti.net/index.php/in-evidenza/item/12325-il-mytho-fa-scalo-a-grado-tra-mare-laguna-e-monti-innevati.html ).

Chi ha la memoria lunga ricorda l’antefatto di questa serie, le Unesco City Marathon, inaugurate il lunedì di Pasqua del 2013 con partenza da Aquileia e arrivo a Cividale, invertendo i poli l’anno successivo (quello di cambiare continuamente le località è una simpatica caratteristica friulana, che si manifestò anche con le maratone delle “città del vino” nei pressi di Udine).

Il vino, per la precisione il Prosecco, c’entrava anche stavolta: una bottiglietta entrava nel pacco gara, e una bottiglia più grande era nei cestini dei numerosi premi di categoria (finalmente un’organizzazione che non accorpa le categorie costringendo i settantenni a competere coi cinquantenni!). Restava invece a bocca asciutta chi, all’ingresso del tendone-expo, trovava l’elegante signore della foto 2 che stappava e versava nei calici (di plastica): riservati a vip e organizzatori, nemmeno a chi aveva concluso la maratona (a Berlino con la birra sono più generosi).

A parte questo, e un altro dettaglio finale su cui torno sotto, la gara è stata organizzata a livelli d’eccellenza, cominciando dai pacchetti combinati tra l’iscrizione e il pernottamento del sabato nel grandioso complesso di Punta Spin (a circa 6 km dall’arrivo di Grado centro, e luogo di partenza della 21 km), dove il late-check-out era prolungato ad libitum, addirittura fino alle 19 di domenica, e i costi d’iscrizione alle gare venivano quasi dimezzati. Si continua con un pacco gara notevole, se non altro perché contenuto in un pratico borsone comodo per le prossime gare; con una gestione dei pullman-navetta accuratissima (spola continua tra Punta Spin e Grado, più il trasporto degli iscritti ai 30 km o degli staffettisti nei vari luoghi di partenza); con la chiusura assoluta al traffico (permesso il parcheggio gratuito dei podisti a 400 metri dal ritrovo), con la presenza di ristori con frequenza superiore ai canonici 5 km, e quasi sempre attrezzati con idrosalini e gel, oltre a frutta e acqua (ho apprezzato in particolare il ristoro verso il km 30, gestito da scout, e provvidenziale perché il successivo del km 33 al mio passaggio era ormai vuoto). Del tutto assente invece l’animazione con musica indicata dai programmi. Singolare il gemellaggio con la maratona di Ravenna, che aveva marchiato col suo nome i cartelli indicatori del percorso (foto 9): cartelli comunque scomparsi negli ultimi 3 km (dal viale Orione in poi), dove la prudenza suggeriva di chiedere info orali a chi tornava indietro con la medaglia al collo.

Il percorso, a parte i 10 km iniziali dall’isola (magnifico l’attraversamento del centro antico, foto 4-8) ad Aquileia, il tratto 27-31 in località Fossalon su argini e piste, l’ultimo in terraferma con sguardo su laguna o mare all’interno di una riserva naturale (foto 28-36), e i 3 km conclusivi sul magnifico lungomare di Grado (sebbene in comproprietà coi tantissimi turisti), non era il massimo: una prima delusione ce l’ha procurata il divieto del passaggio per Aquileia (dicono, voluto dalle autorità locali, che secondo una malignità di radiocorsa avevano chiesto una 'tassa di transito' alquanto insostenibile), sostituito da una circonvallazione in parte sterrata che ci ha dato un primo assaggio dello stile prevalente dei luoghi: campagne, fossati di scolo, lunghi rettilinei, pochissimi attraversamenti di centri abitati (foto 21-25). “Mi sembra Santhià o Vercelli”, dicevo a Daniela Lazzaro compagna di alcuni km prima di involarsi verso un insperato under-5 ore che le ha dato il primo posto nella classifica di categoria.

C’è poi stato il fuoriprogramma già descritto da Colavitti poco prima di metà gara: in sostituzione di un tratto di strada asfaltata sul quale pare non fosse stato concesso il transito, siamo stati dirottati su una pista erbosa rivelatasi un canale. Pittoresco e nello stile lagunare della corsa, se non fosse che il gruppetto cui appartenevo si è sfrangiato in fila indiana dovendo sottostare alle esitazioni e agli affondamenti di chi andava a un cauteloso passo, mentre i pacemaker delle 4:45 (visibili nella foto 27) si staccavano in avanti continuando a correre. Tornati sulla strada, con una certa fatica li ho raggiunti e abbiamo passato insieme la mezza e il ristoro successivo, finendo però col pagare lo sforzo e perdendoli del tutto nell’avant-indré sopra citato dopo il 26.

A questo proposito, viva la fiducia: nessun controllo chip al giro di boa, cosicché i furbetti avrebbero potuto guadagnare 2 km buoni. Sì, siamo tutti onesti; ma la succitata Daniela mi raccontava di un recente taglio perpetrato in una prestigiosa gara veneta non molti mesi fa, e comunque mi chiedo che senso avesse collocare un tappetino chip (uno dei due soli lungo il percorso) verso il km 30 quando ormai chi ha avuto ha avuto.

L’ordine d’arrivo, già sintetizzato da Colavitti, mostra la multinazionalità, specie mitteleuropea, della partecipazione: vicentino il vincitore, il 38enne Davide Fioraso; austriaco il secondo, polacco il terzo (pressoché coetanei), olandese il quarto che di anni ne fa 47, e di nuovo italiano (sardo) il quinto, che sfiora i 60. Udinese la prima donna, slovena la seconda (48enne), ferrarese la terza. Va però aggiunto, per l’ennesima volta, il rammarico per l’assurdo regolamento delle corse Fidal italiane, che ammettono stranieri non tesserati (che invece si possono iscrivere liberamente in tutto il mondo) solo come “turisti”: cosicché dei 293 partecipanti nella distanza più lunga ben 49 non hanno ricevuto una classifica, provocando un vistoso calo rispetto ai 300 tondi classificati l’anno scorso; e lo stesso è accaduto per 24 finisher della 21 km, e altri della 30 km. Atteggiamento tafazziano e imposto dalla dittatura congiunta di federazione e ordine dei medici.

Già che ci siamo, diciamo che nella 30 km hanno prevalso Mattia Malusa in 1.52:30 ed Elisabetta Longo in 2.12:48. Nella 21 (che stranamente i cartelli sul percorso dichiaravano 20) assolo dell’inglese tesserato Trieste Thomas Oliver Doney, che col “periodico” 1.11:11 ha dato 11 minuti al medico e jazzista modenese 51enne Giacomo Carpenito. Tra le donne, la slovena Sasha Torkar con 1.31:26 ha tenuto a distanza di 3 minuti la 57enne lignanese Alessandra Candotti. Sulle venti squadre della maratona a staffetta (di 4 componenti, talora anche di 2 o 3) hanno dominato “I competitivi”, che con 2.48 hanno dato mezz’ora all’ “Alta Val Torre”; tra le donne, le “Tre more e una bionda” sono arrivate intorno alle 3.34, appaiate alla staffetta mista “Running Instability” di soli due componenti, Esther e Alessandro.

Tra noi peones, detto che Marco Colavitti a 59 anni ci guarda dall’alto col suo under-3.52, ricorderò l’austriaca Michaela Renner, nei cui paraggi ho condiviso molti km (dire “abbiamo battagliato” sarebbe un’esagerazione) fino a che se ne è andata per chiudere intorno ai 5.06 (chissà cosa avrà pensato dei cartelli in tedesco maccheronico come da foto 7: verboten “zirkulieren durch die Straßen ohne Hemd”); e la domanda “sior caporal magior, gh’arivaremo a baita?” che un altro compagno di sofferenze finali (Mauro) mi ha rivolto, rammentando la ritirata di Russia di Rigoni Stern, al passaggio verso Punta Spin del km 36 (foto 37-39).

Ce lo siamo tornati a dire dopo l’arrivo, seduti al bordo di una fontana, medaglia multicolore dalla forma strana e “girevole” al collo, coi ristori a portata di mano, pregustando le imminenti docce. Che invece sono state una fregatura o una millanteria, conclamata nella cartografia dell’organizzazione ma che all’apparir del vero miseramente cadde: il cosiddetto stabile delle docce era in realtà quello dei wc, con 2-lavandini-2 di acqua solo fredda; mentre le docce erano quelle all’aperto usufruite dai bagnanti che escono dalla spiaggia e vogliono lavarsi via la sabbia o la salsedine. A saperlo prima, me ne tornavo a Punta Spin; ma ormai avevo liberato l’alloggio e così fu che, lavati i piedi dal fango della palude suddetta, e sciacquato sommariamente il resto ("signora, sa, se lei staziona nelle toilette maschili, io mi posso nascondere fino a un certo punto"), il tutto l’ho concluso a casa mia.

Informazioni aggiuntive

Fotografo/i: F. Marri - R. Mandelli

1 commento

  • Link al commento Mauro Croci Lunedì, 07 Ottobre 2024 21:13 inviato da Mauro Croci

    Grazie Fabio, del bellissimo reportage ma soprattutto dei tanti chilometri fatti ad elastico (prima io davanti, poi tu, e via così), ma alla fine mi hai stracciato. L'importante era arrivare "a baita" e condividere.
    Grazie, proprio una bella giornata.
    Mauro

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