Fabio Marri
Probabilmente uno dei podisti più anziani d'Italia, avendo partecipato alle prime corse su strada nel 1972 (a ventun anni). Dal 1990 ha scoperto le maratone, ultimandone circa 280; dal 1999 le ultramaratone e i trail; dal 2006 gli Ultratrail. Pur col massimo rispetto per (quasi) tutte le maratone e ultra del Bel Paese, e pur tenendo conto dell'inclinazione italica per New York (dove è stato cinque volte), continua a pensare che il meglio delle maratone al mondo stia tra Svizzera (Davos e Interlaken; Biel/Bienne quanto alle 100 km) e Germania (Berlino, Amburgo). Nella vita pubblica insegna italiano all'università, nella vita privata ha moglie, due figli e tre nipoti (cifra che potrebbe ancora crescere). Ha scritto una decina di libri (generalmente noiosi) e qualche centinaio di saggi scientifici; tesserato per l'Ordine giornalisti dal 1980. Nel 1999 fondò Podisti.net con due amici podisti (presto divenuti tre); dopo un decennio da 'migrante' è tornato a vedere come i suoi tre amici, rimasti imperterriti sulla tolda, hanno saputo ingrandire una creatura che è più loro, quanto a meriti, che sua.
Via degli Dei: il Dio delle tempeste incorona 174 eroi
13 aprile – Alla terza edizione, la Via degli Dei cresce, malgrado sia incappata nella giornata peggiore della sua breve storia: pioggia violenta dalla partenza (da Bologna alle 23 di venerdì 12 sera) fino all’intermedio dei 70 km sotto il passo della Futa (Monte di Fò), più una nebbia notturna che (mi dicevano gli infangatissimi atleti coi quali ho convissuto l’esperienza degli ultimi 33 km, e più tardi doccia e cena) con tutte le lampade e torce impiegate, permetteva di vedere poco più in là dei propri piedi.
Col risultato di 70 ritirati o comunque DNF, nonostante i quali l’ordine d’arrivo ufficiale registra 174 arrivati fra le 14h 35 dei primi due Kienzl e Pellegrini (quasi un’ora in più dell’anno scorso, ma oltre al maltempo… c’è un’altra ottima ragione) e le 31.59:43 dell’ultimo classificato: il che fa 28 arrivati in più del 2018, quando i partenti erano stati 183.
In leggera crescita anche gli arrivati dei 55 km: 100 esatti, contro i 92 del 2018. Poi c’è la novità del Monte Senario Trail, cioè gli ultimi 32,7 km nominali, da S. Piero a Sieve: qui gli arrivati sono 67, anche grazie al saggio allungamento del tempo massimo, dalle 6 ore previste alle 7 effettive.
Saggio perché gli organizzatori ci hanno presentato quest’anno una novità, il rifacimento quasi totale dell’ultima parte, dalla Vetta Le Croci a Fiesole: tolto parecchio asfalto, abolito il passaggio dal bel borghetto delle Molina, ma dopo la ex-ultima vetta a 8 km dal traguardo (a 692 metri), la discesa che speravamo finale era invece interrotta, a 3 km da Fiesole, da una brusca deviazione a destra con salita fin quasi alla cima del monte Céceri (in antico toscano, ‘cigni’), salita di quasi 2 km fino ai 355 metri della piazzetta panoramica da dove Leonardo faceva buttare giù i suoi servotti col paracadute o l’ “aereo” ad ali. È stata la botta finale, paragonabile alla salita della Flegère/Tete au Vents introdotta nella UTMB dal 2008 per ‘esaltarci’ gli ultimi 10 km. Non credo che molti l’abbiano fatta di corsa, tranne i supermen delle prime posizioni. E alla fine i Gps hanno inesorabilmente segnato dagli 1 ai 3 km in più rispetto alle distante indicate: i 32 sono diventati 33,5/33,9; i 55 sono saliti a 57 e i 125 a 128. Ovviamente si tratta di misurazioni Gps, allo stesso modo di come – suppongo – sia stata la misurazione originaria. In compenso, il dislivello della gara più corta risulta di circa 1200 metri contro i 1500 indicati.
La mia esperienza personale, quest’anno, si limita al tratto da S. Piero a Sieve, col solito ristoro luculliano (per restare ai nomi romani), in teoria aperto solo a chi transitava dopo 95 o 23 km, ma che è stato concesso pure a noi in attesa di partire alle 13,30 di sabato; e anche i due bei cagnoni in partenza (finiranno sotto le 5 ore) avranno avuto la loro razione. Rigoroso pure quest’anno il controllo sullo zaino obbligatorio (sebbene, ci dicevamo, per una gara il cui tempo massimo stabilisce l’arrivo alle 19,30, che bisogno c’è di lampada e pile di scorta?).
Migliorata, direi, la segnaletica, con bolli gialli dipinti sui sassi o legni (ogni tanto apparivano i bollini rossastri dell’anno passato), bandelle biancazzurre quasi a vista una dell’altra, frecce, bandierine catarifrangenti. L’unica cosa che continua a mancare è la segnalazione dei km percorsi. Seri dubbi ci sono venuti, anche quest’anno come l’anno scorso (sia pure su un tracciato diverso), nel centro di Fiesole, da quando una maligna deviazione a destra in salita ci ha portato all’intorno di un borgo caratteristico ma dove i segnali mancavano del tutto, fino alla piazza: eravamo in 4 o 5 e ci interrogavamo su dove andare. L’anno scorso gli organizzatori ammisero che nel finale era venuta a meno la vernice; quest’anno è tornata di moda la solita giustificazione, che i segni erano stati portati via da qualche genietto dispettoso. Se usate il colore per terra non ve lo portano via!
Ristori come previsto: uno abbondante ai -18 km, due idrici (compresa birra) ai -25 e -12; forse un po’ meno ricco, e tutto ‘in piedi’, quello del traguardo (le patate lessate erano finite o non c’erano mai state?), mentre un vento abbastanza gelido ci soffiava addosso (i ricambi erano nel luogo delle docce).
Generale la riduzione dei tratti asfaltati: ad esempio il tratto tra la villa medicea di Trebbio, 4 km sopra San Piero a Sieve, e la spettrale badia di Bonsollazzo, si svolgeva quasi tutto su carraie o sentieri, non più sulla stradina asfaltata degli anni precedenti; e degli ultimi 12 km ho già detto.
Pacco gara consegnato al ritiro dei pettorali, comprendente (per noi ‘corti’) uno zaino, un impermeabile che quasi tutti abbiamo indossato subito, dei manicotti: chi sperava nel bis del salamino e della birra dell’anno scorso è stato deluso, ma mica si era venuti per questo.
Solita bella medaglia (differenziata a seconda delle distanze) con la scritta latina “Pervenit”; confermo il servizio di navette efficientissimo, che sopperiva alle scomodità dell’arrivo in centro ma con docce (caldissime) e pasta party ubicati a 3-4 km. Quella del dopo-doccia era, come l’anno scorso, una cena vera e propria, nel ristorante del circolo tennis che espone il manifesto di un tentativo di record del mondo dei 100 km su pattini a rotelle (roto-ultra-marathon?), organizzato dal gruppo sportivo Berta (l’eroe eponimo dell’attuale stadio Franchi) nel 1939, con riprese dell’istituto Luce.
Una gara dunque che cresce; e butto lì un’idea. Perché non consentire, agli iscritti della 125/128, la possibilità di fermarsi al traguardo intermedio dei 70, venendo classificati? O anche: perché non pensare a una gara a staffetta divisa in due frazioni? Entrambe le iniziative sono praticate un ultratrail similari, e potrebbero attirare anche atleti che adesso sono spaventati dall’enormità del percorso massimo.
Dal sito Sdam ricopio le prime posizioni delle tre gare. Si notano i distacchi abissali tra i primi e gli altri, tranne nel Monte Senario femminile dove c’è stato un arrivo quasi in volata.
E permettetemi di salutare il paisà Giulio Piana, che ha stravinto la 55 km.
Via degli Dei, con arrivo maschile a pari di due compagni di squadra:
1 2 KIENZL PETER ITA SM40 14:35:03
2 3 PELLEGRINI JIMMY ITA SM40 14:35:03
3 82 DEI CAS DANILO ITA SM40 15:50:47
Femminile:
1 F3 KAGERER CORINE SUI -SF45 16:15:32
2 F1 VINCO GIULIA ITA 18:03:04
3 F6 BOGGIO CHIARA SF35 19:13:02
Flaminia Militare
1 490 PIANA GIULIO ITA SM35 1 5:37:04
2 474 ROSSINI IVANO ITA SM40 2 6:19:02
3 425 CHIODI UMBERTO ITA SM 3 6:37:12
Femminile
1 F425 TODESCHINI CLAUDIA ITA SF35 6:50:49
2 F410 ECKL ANGELIKA ITA SF45 6:50:53
3 F421 MIGLIORI MICHELA ITA SF45 6:58:01
Monte Senario Trail
1 647 ZORN GIOVANNI ITA SM45 2:55:16
2 608 CALDERONI STEFANO ITA SM 3:08:44
3 619 GAGGINI MARCO ITA SM35 3:26:22
Femminile
1 F606 CALDINI SILVIA ITA SF40 4:16:40
2 F609 CICCARELLI ALICE ITA SF 4:19:00
3 F620 SMITS ANNEMARIE NED SF45 4:20:55
Modena, 24^ Camminata New Holland
7 aprile – Non competitiva per i modenesi meno agonisti, oggi non impegnati nelle due maratone nazionali o nei campionati di cross, sia locale sia nazionale CSI a Monza, o non abbastanza stanchi per aver corso il giorno prima un impegnativo trail sulle colline della provincia. Insomma, un ritrovo non stressante, su percorsi che andavano dai 3,5 ai 17 km a nord di Modena, includente – quest’ultimo – circa 3 km sull’argine sinistro del Secchia e un paio sulla ex ferrovia Modena-Carpi, compreso ponte metallico sul fiume.
Il tempo è stato clemente, la temperatura ideale, l’atmosfera umana come al solito calorosa; il percorso era ben guardato da vigili nel tratto urbano e da volontari nelle zone esterne alla città. Un po’ di nostalgia nel percorrere un paio di km in zona Madonnina/Ponte Alto che fino a poco fa erano calpestati dai maratoneti “d’Italia”, lì dove ci fu il ristoro di Macchitelli e dell’arbitro nazionale Pedretti.
Molto revival abbiamo fatto, correndo ad andatura di tutto riposo (media finale 6:15), con Angelo Mastrolia, supermaratoneta da 250 maratone ultimate: lanciando più di un pensiero alla Betty (che Mastrolia assicura non bombata in nessuna delle sue numerose risorse, e certamente perseguitata da una Giustizia che somiglia al Var quando gioca la Juventus), e dichiarando che in mancanza sua per la delizia degli occhi rimane la fantomatica Rossella O’Hara (sì, ma la Eleonora Rachele l’hai mai vista?).
Dopo l’argine, si fa un lungo periplo intorno alle nuove carceri di Modena, dal cui interno un altoparlante scandisce chissà cosa (magari corressero anche loro la Vivicittà… ma a Modena questa competizione è sempre stata organizzata di malavoglia ed è sparita prestissimo, soffocata dal roncaratismo secondo cui le classifiche sono il male dello sport); si lambisce il centro ortopedico-fisioterapico più famoso della città, dove visita il mago delle ginocchia; si arriva infine al traguardo, in uno dei quartieri più brutti di Modena, la Sacca, una sfilza di casermoni anni Cinquanta-Sessanta, zona dormitorio per gli operai delle fabbriche di un tempo.
Non resta che il mezzo giro sulla fatiscente pista in catrame, un tempo della Fiat; salvo che qualche addetto un po’ addormentato, quando arriviamo noi, ci manda subito a sinistra cioè nella zona ristori, in pratica al traguardo ma dal senso opposto (oltre al sottoscritto, anche Paolino Malavasi, oggi a riposo tra una 'Minor' e l'altra, cade volentieri nella trappola che ci risparmia 300 metri). Ma tanto, in un regime podistico dove si parte quando si vuole, ci si ritaglia il percorso che si vuole (leggermente patetica la signora che marchiava l’asfalto con la punta metallica dei suoi bastoncini da walking), oppure non si parte affatto con la scusa di presidiare la tenda, e la cosa più importante sono il ristoro finale e le sei tigelle del premio in cambio di due miseri euro, non sarà un gran reato farne 16,700 anziché 17.
Carpi (MO) – 34° Trofeo Gorizia
6 aprile – Nulla a che vedere con la città friulana, ma solo con l’antica sede, a Carpi, del Comitato anziani, appunto di piazza Gorizia nella periferia sud di Carpi. Il comitato si è spostato e anche la gara, non competitiva, ha variato negli anni i luoghi di partenza, sia pure nello stesso quartiere, che si sta riempiendo di sempre nuove abitazioni al punto di lasciar presagire una prossima saldatura con l’antica frazione di Santa Croce, celebre per aver dato i natali alla varietà Salamino del Lambrusco.
Gara del tutto non competitiva: gli organizzatori dichiarano 860 pettorali venduti, che sono molti considerando anche la concomitanza di un’altra camminata a Sassuolo; ma all’orario di partenza delle 16 eravamo, a dir molto, in duecento, che poi abbiamo raggiunto via via sul percorso i camminatori o gli pseudo-podisti partiti quando garbava loro.
Tracciato tutto sommato piacevole, dopo una giravolta iniziale nell’area urbanizzata, cui è seguita una puntata verso sud, su stradette ombreggiate e quasi totalmente prive di traffico (un collega carpigiano mi ha indicato il punto in cui un anziano podista in allenamento, pochi anni fa, è stato investito e ucciso da un’auto in una curva cieca): ottima la protezione dei vigili. Si respirerebbe profumo di aceto balsamico, transitando vicino alla fabbrica che fu sponsor negli ultimi anni della maratona di Carpi: salvo che l’acetaia sta passando pure lei i suoi guai con la giustizia, perché sembra che le norme sulla DOP fossero bellamente aggirate. E tanto per restare in tema, continuano a circolare le lamentele di podisti iscritti all’ultima maratona carpigiana, annullata a poche settimane dal via, che come nella canzone di Marinella continuano a bussare invano alla porta degli organizzatori, sbarrata e probabilmente non più presidiata. Chissà se anche in dialetto carpigiano si dice “Chi ha dèe, l’ha dèe, e chi l’à iù, l’à iù, descurdèmes al passèe”.
Anche la squadra calcistica del Carpi, in serie A quattro anni fa, adesso è ultima in serie B: sta giocando mentre noi corriamo, e radiocorsa annuncia che sta perdendo proprio per un gol del suo ex Mbakogu, stolidamente venduto o quasi regalato; poi la situazione si raddrizza e alla fine il Carpi vincerà 2-1, ma contro la penultima, e per ora serve a pochino. Incombono anche le elezioni amministrative e circolano strane voci sul sindaco uscente, che accusa il suo ex vicesindaco di dossieraggio: ma le bocche dei carpigiani sono tappate e neanche sotto sforzo c’è verso di capire su che argomento verta la polemica. (Se dico niente, diceva don Abbondio, o è niente, o è cosa che non posso dire).
Nel frattempo noi raggiungiamo, dopo la cantina vinicola omonima, il centro di S. Croce, dove in sostanza si fa un giro di boa che, attraverso la signorile tenuta di non so quale conte Cioccapiatti, e altre ville messe su dai magliari ai tempi d’oro, ci riporta al luogo di partenza dopo 10 km esatti (naturalmente c’erano anche percorsi più corti).
Per quello che valgono, Nerino Carri e il sempiterno Peppino Valentini della podistica Cittanova (abbonata al primo premio di società, oggi con 92 cartellini venduti) rilevano i primi del giro lungo: per i maschi, il carpigiano d’adozione Alessio Basili (Atletica Cibeno), seguito da Marco Agazzani (RCM Casinalbo), e dal carpigiano Corrado Reggiani (La Patria Carpi). Sulle donne prevale la carpigiana, figlia d’arte di un podista e vinificatore, Silvia Torricelli (tesserata pure lei per la Cittanova, che come le navi delle Ong accoglie tutti), davanti alla novese Stefania Pantaleoni e alla scandianese Simona Garavaldi.
Mi ha incuriosito vedere alla partenza pure la happy family modenese Mascia-Bacchi, con la figlia Aurora ormai cresciutella che li precede in bici: sorpresa (ma non troppo) perché “AlleSimo” sono in partenza per la maratona di Milano dell’indomani. Direi presenti in massa i carpigiani; dei modenesi, quelli meno impegnati con le gare top dell’indomani, con qualche vecchia gloria che un tempo correva il Passatore o la 50 di Romagna; e una discreta presenza anche di reggiani, tra cui l’immancabile Gelo Giaroli che mi ‘costringe’ a tenere la media dei 6 a km.
Il tempo non tradisce, il ristoro finale è adeguato; il premio, per due euro di iscrizione, è un chilo di spaghetti, con l’opzione di un album di figurine per bambini (categoria peraltro pressoché assente). Nerino e Tetyana assicurano la copertura foto-cinematografica, e tutto finisce in gloria.
Milano-Roma, sfida anche fra tv
Il podista che santifica la festa correndo la sua garetta, delle maratone in diretta tv di solito vede la parte finale, quando rientra in casa. Osiamolo dire, che vedere una maratona intera in tv è alquanto noioso, specie se continuano a inquadrare i tre africani di testa, con qualche rapido passaggio sulle donne più sparpagliate 5 o 6 km dietro.
In una delle più prime edizioni di Roma mi sembra di ricordare che l’onere della diretta fu assunto da Mediaset, che fece di tutto per spettacolizzarla, mandando a condurre i suoi big del varietà col loro corredo di ospiti solo vagamente sportive. Ad esempio Ambra, che mentre rilasciava le sue dichiarazioni di profondo interesse e competenza, il pubblico sotto le faceva “ohi lellé, ohi lallà, faccela vedé, faccela toccà”.
Poi tutto tornò sotto l’egida (come dicono i sapienti) di mamma Rai, che tirò avanti qualche anno con le dirette su RaiTre o addirittura RaiUno, ma con obbligo di chiudere a mezzogiorno perché poi c’era l’Angelus del Papa o qualcosa di simile; da qui dipendavano le partenze a orari curiosi e in dubbio fino all’ultimo “per esigenze Rai”, ad esempio le 9,40: per i telespettatori, appena il tempo di vedere sullo schermo per un istante la prima donna tagliare il traguardo, e titoli di coda.
Rimanevano misteriosi i criteri di scelta delle gare da trasmettere: Trieste con 400 arrivati aveva la diretta, Carpi con 1000/1500 idem, e se non sbaglio si arrivò alle carte bollate (o almeno alla loro minaccia, come usa fare in questa nazione dove l’annuncio conta più del fatto) tra Carpi e Padova o Treviso, che avevano pubblicamente deplorato l’assenza Rai dalle loro gare da 2 o 3000 arrivati e chiesto per quali misteriose ragioni Monetti e Bragagna andavano sempre a Carpi e mai da loro. Ma la sentenza arrivò dal tribunale dell’audience: e la voce di Bragagna, col sottofondo delle cifre ruminate da Monetti padre (che sembrava avesse sempre una brioche in bocca), e gli ansimati collegamenti dalla bici di Pizzolato e Fogli, andarono a finire su Raisport, roba da 0,5% di share; infine, ora, nemmeno più in diretta, ma fra un torneo di bocce e uno di pallone elastico.
Eccoci dunque al 7 aprile 2019, dove l’Italia tipicamente partigiana (nel senso di faziosa, localistica, che ognuno pensa alla sua parte e non all’interesse collettivo) lancia in contemporanea due delle tre maratone più affollate dell’anno. OK, anche in Germania si corrono le maratone di Bonn e di Hannover: che però non sono le maratone-top di Berlino, Monaco o Francoforte, distanti mesi l’una dall’altra. Resto personalmente convinto che i maratoneti italiani, in diminuzione come numero e come qualità, siano tuttavia più prolifici, non abbiano problemi a correre una maratona la settimana, o almeno (i più prudenti, quorum ego) ogni mese: e insomma, se le due maratone fossero state distanziate di una settimana o due, ciascuna avrebbe assommato la cosiddetta “pancia” dei maratoneti, sicuramente qualche migliaio, che non avrebbe rinunciato alla “doppietta”. Ma tant’è: in attesa delle maratone dei quarantamila ormai abituali nelle capitali europee, e di quelle dei ventimila di altre città non capitali, cantiamo vittoria per gli ottomilaottocento o settemilaseicento, e semmai diciamo che la colpa è del certificato medico (che in Francia, per dirne una, vogliono con maggior accanimento che noi).
Sfida di capitali, e sfida tv, all’insegna del cuius regio eius religio: la tv di stato, romana da sempre, sceglie la capitale, ma differendo la cronaca di 14 ore; la pay- tv, tra uno spezzatino di calcio e l’altro, resta a Milano, aggiudicandosi i commenti ‘tecnici’ della Andreucci, di Baldini e chi più ne ha più ne metta, in entusiastica adesione ai team Rosa e RCS sport, e soprattutto (questa è stata la mia prima impressione accendendo il televisore verso mezzogiorno) esibendo la voce sensualissima di Amelia (ovvero Lia) Capizzi, brava e intrigante commentatrice di Sky (dopo esserlo stata della 7 e della Rai), che scalza decisamente dal podio il cronista ufficiale Nicola Roggero da Casale Monferrato (questi piemontesi però, bravi a conquistare Milano!).
La tecnologia Sky consente di vedere due schermi (e chissà, premendo i vari tasti verde, rosso ecc. del telecomando, cosa altro sarebbe saltato fuori): in uno gli eventi sportivi, nell’altro (più grande) i commenti della Capizzi e dei suoi ospiti: ed è chiaro che quando arriva Paolo Bellino (altro piemontese, di cui Wikipedia ricorda I trascorsi di Chief Operating Officer, Managing Director del Main Operation Center alle agnellesche olimpiadi invernali), le sue dichiarazioni meritano bene di oscurare l’arrivo della seconda donna, che appare in piccolo senza altre informazioni.
È poi il turno di un altro commander-in-chief della maratona, Andrea Trabujo, che contende lo schermo con l’arrivo della quarta assoluta e prima europea, Nikolina Sustic: finalmente una bella donna, indubbiamente dotata di qualità femminili che è impossibile riconoscere alle prime arrivate, specie alla prima assoluta. La Sustic peraltro giunge, come tutte le colleghe delle prime posizioni, scortata da un maschio (anzi, la prima ne ha due, ma mentre il numero 20 si ferma a pochi passi dal traguardo per lasciarle tutta la scena, l’altro, cioè Salvatore Gambino, fa la sua gara fino in fondo e anzi la precede di un secondo, gesto che in altre occasioni era stato stigmatizzato nelle telecronache – io invece non ci vedo niente di male: tu donna vuoi correre con me? Bene, vinca il migliore).
La Sustic, dopo l’arrivo in 2.38:47, lancia sguardi innamorati e devoti al suo ‘gabbiano’: da un lato mi viene da elogiare questa ragazza croata che non si limita, come invece le sue connazionali (o vari nordafricani residenti in Italia) , a cercare maratone italiane di serie B, una alla settimana, per vincere ogni volta un prosciutto e 500 euro, ma oggi si è misurata con una gara ‘major’, dove i premi vanno a chi vale e non a chi è il migliore nel deserto. Dall’altro lato però continuo a pensare che le prestazioni ‘vere’ delle donne sono quelle conseguite in gare di sole donne; oppure, come si fa a New York, con partenza differenziata. Una regola scritta e non scritta sarebbe che l’atletica è sport individuale, e le ‘lepri’ sono illegali; ma i Soloni dei regolamenti, i ‘puri’ del giro di pista, vengono volentieri a patti con gli organizzatori che garantiscono spettacolo e soprattutto grana.
Intanto, mentre la professional-sensuale Amelia da Camposampiero procede coi suoi ospiti, scorrono mute immagini significative ma non spiegate: un pettorale che mi pare di leggere come 62 arriva in stile Dorando, caracolla, sta per urtare i tabelloni, cade a dieci metri dal traguardo; accorre un addetto ma si guarda bene dal sorreggerlo per non trasformarlo in un nuovo Pietri. I cronisti ufficiali ignorano l’episodio, e per fortuna lo fanno anche quando si presenta sul traguardo un tizio (di cui preferisco non citare il numero), che sarà trentesimo o cinquantesimo, e si rivolge al pubblico come certi calciatori antipatici quando reclamano l’applauso e si toccano le orecchie a dire “non vi sento!”. Ma chitte vòle? mi viene in mente una maratona a Bovolone vent’anni fa: noi podisti normali eravamo già seduti ai tavoli del pasta-party, e in zona traguardo si stava smobilitando, quando arrivò Govi. Cominciò a sbracciarsi, a dire chi era, dopo l’arrivo salì sul podio a dire dei suoi numeri, ma tutti continuarono a mangiare la loro pasta senza curare chi fosse quell’esagitato lassù.
Torniamo a MilanoSky, nelle battute finali quando scorre l’inno del Kenia (qui i keniani, a Roma gli etiopi: che ci siano clausole di desistenza…?): mi sembra molto somigliante al finale di “Madama Butterfly”. Un bel dì vedremo - si dicono Amelia e ospiti - che un italiano torni a vincere a Milano? Nel frattempo, si ripete che il clan Rosa ha fatto le cose per bene allevando il vincitore e la vincitrice keniane, con rispettivi record “italiani”, che cioè confermano Milano come la più veloce del Bel Paese. Che questo serva a stimolare i giovani talenti italiani, lo scopriremo morendo; che invece promuova Milano tra il podista comune, quello che vuol limare il suo record portandolo foss’anche a 4.59:59, lo speriamo tutti.
Facciamo trascorrere alcune ore e passiamo al superstite canale di Raisport, dove la maratona di Roma va in onda in leggero anticipo, poco dopo le 22,30. Riecco Bragagna, direi in formissima: nei lunghi preliminari alla partenza mostra di saperne persino più di Brighenti, anche di corridori di secondo piano e società dilettantistiche, e a questa sua cultura podistica aggiunge la sua cultura generale (quella che gli consentì persino di vincere dei quiz televisivi), precisando la pronuncia esatta del politico Junker, o l’alternativa possibile burundese/burundiano, e tante altre info un po’ a margine che servono a vincere quella noia del telespettatore che dicevo. Non mancano le battutine come quella su “Paolo Traversi che si mette di traverso”.
Anche il montaggio aiuta, con frequenti flashback, un filmatino su Bordin per i suoi 60 anni, ricordi perfino di Mennea, e anche, encomiabile, la menzione che Bragagna fa di Vincenza Sicari.
Da approvare pure la battutina sulle donne, quelle coi gabbiani e quelle con “le vere e proprie lepri” (e il ruolo dell’accompagnatore della prima donna, una “lepre materna”, sarà ripetutamente indicato).
Gli fa da spalla collaudata Pizzolato, a cui scappa subito una frase sulle buche stradali, ma si corregge precisando che intendeva le pozzanghere, non le buche, e che siccome le scarpe di oggi sono molto scivolose, costringono i podisti a evitarle e dunque ad allungare il percorso.
In comune i due hanno i pronostici per Meucci, visto addirittura sulle 2:08; salvo un primo “ahia – oh oh oh” di Bragagna quando gli scopre una smorfia. Il montaggio taglia, tra uno spot e l’altro si arriva alla mezza maratona in mezz’ora, e pochi istanti dopo, il ritiro di Meucci è dato in un trascurabile flash. Come: hai fatto titoloni (vocali) fino a dieci minuti fa, e adesso dici solo che si è ritirato? Forse il modello di Bragagna è Manzoni che, arrivando nel penultimo capitolo a descrivere le conseguenze della peste di Milano, scrive: “Di donna Prassede, quando si dice ch’era morta, è detto tutto”.
La lacuna sarà rimediata nella parte finale della trasmissione (evidentemente post-prodotta), cioè a mezzanotte meno cinque: problemi di stomaco, dicono.
Intanto qui, nella pseudo-diretta, dopo un quarto d’ora (50 minuti in tutto dall’inizio della trasmissione, che durerà un’ora e venti) siamo alle battute finali della gara maschile, il cui ordine d’arrivo viene dato addirittura più che in tempo reale: non fa in tempo ad arrivare il secondo, che Bragagna ha già detto che i primi cinque sono tutti etiopi (bravura di pronosticatore ma anche… il bello della differita).
Si passa alla prima donna (sì, un minimo più donna delle vincitrici di Milano lo sembra), ma a 2-3 km dall’arrivo i due telecronisti la vedono “in crisi rilevante”, “rassegnata”; specialmente Pizzolato si dilunga a perlustrarne lo sfondo psicologico (sembra un cane con l’osso in bocca e non vuole mollarlo): non pare nemmeno che parlino della dominatrice della gara, ma di una che chissà se riuscirà a fare l’ultima salita. Poi si ricredono all’ultimo km, e quella che era una crisi per mancanza di glicogeno o benzina (Pizzolato lascia le due possibilità) si trasforma in una resurrezione che porta al nuovo record della gara, seppure di un secondo solo.
E via col vento per gli arrivi degli italiani, e le note biografiche su Nasef che faceva l’imbianchino poi perse il lavoro e per sbarcare il lunario ha cominciato a correre… Insomma, Bragagna è un pozzo di scienza: riesce a farmi star sveglio fino a mezzanotte. Alla prossima!
Vinci (FI)-Collodi (PT), Eco-ultramaratona “Una corsa geniale”
31 marzo - Coraggiosa l’iniziativa dell’ASD Montecatini Marathon, di programmare una ultramaratona nella domenica in cui erano già previste tre maratone di una certa tradizione, e all’indomani di un’altra ultramaratona trail svoltasi a poche decine di km (a Firenze, stessa provincia di Vinci). Anzi, forse era eccessivo l’ottimismo degli organizzatori, che annunciavano di chiudere le iscrizioni al raggiungimento dei 500 per questa gara e di altri 500 per la 27 km competitiva “Vitruvian Run” da Vinci a Montecatini: alla fine, gli arrivati sono 157 (di cui 30 donne) per la gara lunga e 75 per la ‘corta’; diciamo pure, e senza alcuna irrisione, la metà della metà.
La gara era presentata da filmati alquanto suggestivi, sebbene la realtà sia stata un po’ diversa: né la partenza si è svolta dalla casa natale di Leonardo (ma, più saggiamente, dal centro di Vinci, borgo comunque bellissimo come tanti in Toscana); né le fontanelle delle decadutissime Terme della Salute di Montecatini zampillavano acqua, né l’arrivo al parco di Pinocchio a Collodi prevedeva il passaggio da luoghi come la balena o pescecane di Geppetto. Anzi, ho avuto l’impressione che noi podisti fossimo quasi tollerati, confinati in una riserva indiana di 50x50 vicino a un ingresso secondario. E lasciamo stare altre bellezze paesaggistiche dei dintorni (il Padule di Fucecchio? San Baronto??), che non abbiamo nemmeno sfiorato. San Baronto mi avrebbe incuriosito, perché secondo una diceria toscana medievale lì abitano i più brutti della regione.
In ogni caso, elogiamo la buona volontà, sebbene i partecipanti venissero quasi esclusivamente dalla Toscana più vicina, e dunque le decantate bellezze o i pregi del percorso non abbiano troppo convinto gli ‘esterni’ (a parte un gruppetto, neppure troppo nutrito, di supermaratoneti capitanati dalla coppia reale Paolo Gino-Laura Failli). Altre cose promesse non corrispondevano alla realtà: ad esempio le docce all’arrivo (ne ho chiesto notizia, ricevendo come risposta da un’addetta, che ‘il bagno’ più vicino era nel torrente Pescia, comunque a 4 km), o il pasta party (che si è scoperto essere collocato a Montecatini, cioè riservato a chi aveva corso i 27 km). Invece sono stati rispettati i bus navetta sia per l’andata sia per il ritorno, e certamente questo è un impegno economico da riconoscere.
Rimangono poi una felpa (unica componente del pacco-gara, a un prezzo minimo di 40 euro, massimo di 60 il giorno della gara: curiosamente, essendo una gara targata Uisp, chi aveva altro tesseramento, Fidal compreso, pagava due euro in più); una bella medaglia che raffigura su un lato Leonardo e sull’altro Pinocchio, dei ristori ricchissimi (perfino pane e prosciutto!) e abbastanza puntuali come collocazione, e un ristoro finale che ai consueti ingredienti aggiungeva il risotto freddo e una gran quantità di torte (ma verso le 7 ore, ancora con qualche decina di concorrenti in arrivo, ho visto smobilitare il tutto).
Dopo il ristoro ci toccavano altri 400 metri per raggiungere le nostre borse dei ricambi (in teoria erano annunciati anche dei massaggi, spariti già allo scoccare delle 6 ore: e come ci si può far massaggiare ancora sporchi e grondanti?), e poi mettersi alla ricerca almeno di un rubinetto dove dar giù a un po’ di sudore e polvere. Anche qui, gli addetti all’arrivo ignoravano l’ubicazione dei bagni interni al parco: cercando in giro, li ho trovati vicino alla statua in bronzo di Pinocchio e della fatina. Toilette, lavandini e niente più: d’altra parte, cosa si può pretendere in un parco non pensato per il podismo, che ci accoglie quasi come portoghesi che non pagano il biglietto d’ingresso?
Resta il percorso, decantato come indimenticabile: l’incantesimo forse è durato per la prima dozzina di km, cioè dalla partenza nella stupenda Vinci, ai tratti campestri tra i declivi della prima parte. Poi è cominciato l’asfalto, su stradine tutto sommato gradevoli con brevi interruzioni campestri (in piano: le colline senesi sono ben altro), finché non si è arrivati, dopo Lamporecchio (celebre per il famoso Masetto di una delle novelle più hard di Boccaccio), alla Monsummano di Giusti e Ferdinando Martini (il primo editore di “Pinocchio”), al caos di Montecatini (salvo il km percorso all’interno del parco della Salute, peraltro mal misurato perché risultava 1,300 effettivi), agli assurdi ghirigori di Borgo a Buggiano, in un crescendo di traffico (solo gli incroci erano controllati, ma noi convivevamo con auto nei due sensi) che ci faceva chiedere chi mai avesse dato la patente “Eco” a una corsa del genere.
Finalmente, dopo il km 36 circa, eravamo instradati fuori dal traffico, lungo canali e torrenti (principalmente, il Pescia su cui abbiamo corso almeno 2 km, pochissimo segnalati). Molto numerosi gli addetti, e apprezzo l’impegno organizzativo nel presidiare un percorso in linea; fatalmente, in molti incroci o bivii dove non c’era nessuno, ci toccava di capire quali fossero le nostre frecce (perché ce n’erano altre sull’asfalto, ma relative ad altre corse: ho notizia di qualche ‘smarrimento’). Lungo il Pescia a un certo punto c’era un trivio senza segnalazioni: ho optato per salire lungo il marciapiede, e subito dopo ho visto un podista che veniva in senso inverso a me; ma il provvidenziale cartello del km 40 ci ha messi d’accordo.
Dopo l’attraversamento di Pescia è cominciato il tratto più bello, e finalmente segnato si può dire metro per metro, la “via della fiaba”, quasi 4 km lastricati e soprattutto in forte salita (non so quanti siano riusciti a correrli), che portava il totale dei metri di dislivello a sfiorare quota 500; e alla fine con una rapida discesa guidava verso il parco di Collodi. Ho notizia di almeno una caduta, con frattura e spedalizzazione (memore di mie analoghe esperienze, ho percorso questo tratto fra i 9:40 e gli 11:40 /km).
Classifiche curate dai chip di Icron / Cronorun: mancava un rilevamento alla partenza (dunque chi voleva partire in anticipo non ha avuto problemi, e in classifica ce n’è); primo rilevamento al km 27 di Montecatini, poi solo quello del traguardo.
La gara lunga (intorno ai 44,5 effettivi) è stata vinta da Luca Picchi appena sotto le 3.21, sette minuti e mezzo davanti a Federico Spitaletto; Matteo Innocenti, che al rilevamento intermedio era secondo, ha avuto un crollo e si è classificato terzo, dieci minuti dopo il secondo, e quattro minuti davanti al terzetto degli inseguitori, tra cui i primi due over 50, Alberto Cappello e Marzio Doni.
In nona e decima posizione sono arrivate le prime due donne, Sonia Ceretto (3.51:52) poi Marta Doko, a tre minuti. Terza risulta Shannon Johnstone, che a differenza delle prime due ha beneficiato, almeno nella seconda parte, di un cavalier servente giunto con lo stesso tempo (al km 27 la precedeva di 11 secondi).
I 27 km sono stati vinti da Daniele D’Andrea, trentottenne di Montecatini, in 1.46:50, e da M. Cristina Guzzi (quarantonovenne dell’Atletica S. Marco) in 2.05:16.
La gara era stata ideata all’interno delle celebrazioni per i 500 anni da Leonardo, ma si progetta di riproporla l’anno prossimo, però in senso inverso, evitando il tratto orribile intorno a Montecatini (che però è la sede della società organizzatrice!) e offrendo docce e accoglienza decente a Vinci. Una prova d’appello non si nega a nessuno.
21 di Reggio dal di dentro: assolta "dum modice corrigatur"…
Una delle ragioni della nascita di Podisti.net, vent’anni fa, fu il fastidio che ci davano i comunicati ufficiali degli organizzatori, invariabilmente all’insegna dell’ “ottimo e abbondante”, spesso recepiti senza cambiare una virgola dai giornali e riviste specializzate (le quali semmai ci aggiungevano manciate di punti esclamativi in proporzione delle prebende assegnate alla testata o dei pacchi gara o inviti a pranzo per il singolo giornalista).
I comunicati continuano ad arrivare, semmai più smaliziati di un tempo; quando li leggiamo, se alla gara non c’eravamo possiamo solo tentare di leggere sotto le righe e di verificare le notizie coi dati ufficiali, ad esempio le classifiche. Se invece ci siamo, raccontiamo come l’abbiamo vista noi, e questo fanno pure, ancora, alcuni amici che ci mandano i loro report. Gli organizzatori non sono contenti della scopertura di certi altarini, e nel dopogara si dedicano alla caccia di “giornalisti” dello stile del Mollica televisivo, che non nega superlativi e pronostici di Oscar sicuri a chicchessia; e insomma, ogni settimana le corse nazionali sarebbero sempre una Grande Bellezza.
Anche noi a volte ci entusiasmiamo, eppure non riusciamo a tacere di fronte a banalità come le docce fredde o il percorso tra le auto o i prezzi eccessivi. Il che non significa che di quella gara sia tutto negativo: in ogni competizione c’è sempre del buono, a cominciare dall’abnegazione di chi la organizza (in gran parte associazioni dilettantistiche senza fini di lucro), dalle crescenti difficoltà economiche e burocratiche, ecc. Pochi giorni fa mi ha scritto Pietrospino Chittolini: “tu sei critico, ma io non mi sono mai lamentato perché le critiche servono a migliorarsi”.
Allora, eccomi a raccontare (dopo Morselli, e cominciando a vedere la documentazione fotografica che sta divenendo giustamente ricchissima), questa seconda edizione de “La 21 di Reggio”: seconda con questo tracciato, ma 22^ come “Camminata di Santa Croce”, una maratonina che si svolgeva d’inverno sul tratto nord, extraurbano, all’incirca i km 5-16 del percorso attuale.
I numeri non si discutono anche se (come direbbe un elemento di spicco del comitato organizzatore, la docente di statistica Isabella Morlini) vanno ‘pesati’. Se allora il comunicato ufficiale apre con “Oltre ogni previsione: in 3500 a La 21 di Reggio Emilia”, “Numeri da capogiro”, preciseremo che di questi 3500 circa 2200 (“stima approssimativa”, bontà loro) erano i partecipanti ai 1200 metri papà+figlio (cioè 1100 coppie); poi c’erano 650 partecipanti alle non competitive di 5 e 10 km (scarsi); infine 70 partecipanti alla 10 km e 573 alla vera e propria 21km, prova del campionato regionale Uisp di corsa su strada.
Anzi, offro un assist agli organizzatori: la mezza maratona è stata corsa e conclusa da almeno 600 competitivi, ma per ragioni che mi sfuggono le classifiche ufficiali Endu hanno due pagine finali piene di DNS (che, mi dicono, significa Did Not Show, in soldoni “Non partito”, o comunque “non apparso”). Ebbene, parecchi di questi DNS non solo sono partiti ma sono anche arrivati (citerò solo la Stefania carpigiana – vedere foto arrivo Teida n. 576 -, il Giancarlo tifoso del Sassuolo che vista la recente batosta ha rinunciato a correre in neroverde – foto Teida 533- , il Massimo da Formigine che arriva sempre: ma nella lista DNS c’è perfino, spietatamente, Morlini Isabella, che al km 5 correva – vedi foto Morselli 68/69 – poi ha dato la sua supervisione alla gara – foto Teida 597 e seguenti - !). Dato che l’ultima classificata ha impiegato 2h27, mi sono chiesto se per caso il tmax era 2:30; ma nel regolamento, fra le varie amenità presenti (compresa la segnalazione che gli spogliatoi saranno separati tra maschi e femmine, e che tra i servizi offerti c’è il pettorale – ma non le spille!-) non ce n’era nessuna relativa al tempo massimo.
C’era invece l’indicazione del prezzo d’iscrizione a 15 euro, che diventavano però 16,50 per diritti di segreteria: beninteso, procapite, così che l’Emilia da Sassuolo che ne ha iscritti 8 della sua società ha speso 12 euro in più. Insomma, lo stile ryanair (prezzi netti e prezzi lordi) si fa strada anche nel podismo. La cifra (cresciuta di 2 € dal 2018) è altina, a queste latitudini, ma pienamente tollerata in campo nazionale. Proprio il Giancarlo DNS mi raccontava, in corsa, di un suo amico reduce dalla Roma-Ostia, 35 euro e ristori scarsissimi. E i numeri danno ragione ad Atletica Reggio: 600 paganti per una mezza sono una cifra ragguardevole da queste parti, dove già 300 sarebbero considerati un successo. Dunque, avanti pure: Shylock può continuare a chiedere la sua libbra di carne perché Antonio non la giudica eccessiva.
Semmai faranno meditare i soli 70 partecipanti della 10 km (per 10 euro!): pochi, e nonostante ciò soggetti a un pasticcio enorme, che il CU addolcisce in questo modo: “successo nella 10 km del padrone di casa Salvatore Franzese (Atletica Reggio, 30’44), con tanto di “giallo”, ovvero un errore di percorso e un secondo posto poi corretto in primo, in accordo con Andrea Bergianti (“retrocesso” al secondo posto in 31’24)”. Errore di percorso significa che una staffetta o un segnalatore ha dormito (vedi sotto): successe a Venezia nel 2017, a Milano e nella sublime Davos molti anni fa. Quello che non capisco sono i 40” di distacco assegnati a tavolino: un calcolo statistico-matematico ha stabilito che se Franzese avesse fatto il percorso giusto ci avrebbe messo quel tempo lì? Dio ci guardi dal VAR anche nel podismo…
Aggiornamento 18 marzo: dopo un deciso intervento di Christian Mainini nelle vesti di referente Uisp regionale per l'atletica leggera e coordinatore nazionale dei giudici di gara Uisp, l'ordine d'arrivo è stato riportato a quello sancito "dal campo", ribadendosi che gli organizzatori, sebbene mossi da intenti, diciamo così, morali, non hanno il potere di modificare arbitrariamente i risultati.
Quanto a segnalazioni sbagliate, un vero e proprio sabotaggio è stato tentato negli ultimi 150 metri della 21 km da un personaggio munito di altoparlante ma soprattutto di sci (sci-munito), che all’ingresso nella piazza della Vittoria, dove arrivavamo da destra ma dovendo raggiungere il traguardo posto sulla sinistra, anziché instradarci su una specie di S con prima curva a sinistra e subito dopo a destra (bastava la bandiera girata dalla parte giusta!), insisteva a dire “competitivi dritto!”, mandandoci a finire giusto in mezzo al gruppone dei non comp e di chi stava al tavolo del ristoro. Personalmente, dopo una cinquantina di metri, e mentre XL-speaker Brighenti si occupava di altre facezie, sono stato richiamato all’ordine dal Teidino Gabriele (per fortuna, non era in gioco il mio piazzamento di categoria, terzo su 3); altri si sono consultati fra sé, altri hanno deciso in autonomia. Commento concorde alla fine: ma proprio il più *** dovevano mettere in fondo? Sono andato a dirglielo, dopo l’arrivo: mi ha risposto che per lui “dritto” vuol dire sinistra-destra, mentre quello che noi intendevamo per “dritto”, secondo lui era “a destra”. Vabbè, per fortuna, quando “la diritta via era smarrita”, appare Virgilio e ti porta… all’inferno.
Classifiche mediante chip Sdam: tempo lordo e tempo effettivo coincidono, il che significa che il rilevamento fatto in partenza (o meglio, dopo 200 metri) non vale, e in mancanza di rilevamenti intermedi, vale solo il gun-time. Misurazione del percorso (by Uisp) sostanzialmente esatta, basta non guardare alle segnalazioni intermedie che erano piuttosto random soprattutto nel tratto extraurbano.
Il giro mi è piaciuto, soprattutto nei primi 5 km all’interno della città, con passaggio da tutti i monumenti e i luoghi da vedere di una città che non ha stellette Touring ma il poco che ha sa valorizzarlo; bellino anche il tratto dal Campo Volo a Gavassa e la Villa Curta di un’antica gara all’insegna del tosone, infine presso l’antica fabbrica Locatelli ora benissimo risistemata.
Poche auto a rompere, soprattutto a Villa Curta e, meno plausibilmente, sulla via Emilia Centro nei km 19-20; ottimo il controllo dei vigili negli incroci (nell’ultima rotonda, gran festa hanno fatto i vigili a una rossa di capelli e di maglietta che si chiamava Ross, nell’atto che mi sorpassava con sospiri assai seducenti).
Scarsini i ristori, soprattutto a base di acqua (tè solo se ti fermavi ad aspettare che l’unica addetta riempisse il bicchiere, a parte l’ultimo ristoro); scarsissimo il ristoro all’arrivo (acqua e qualche biscottino). Mai visto neanche uno spicchio di limone.
Sotto le attese il pacco gara, che per i primi 400 iscritti prometteva una maglia Macron, eppure a me che avevo il pettorale 303 è toccata una maglia “Fitness low cost”, contenuta in una busta marcata “Articoli pubblicitari – promozionali – da regalo”; si aggiungano due bustine di integratori e un pacchetto di “caplètt”, peso non indicato ma suppongo 250 grammi, scadenza 15 aprile. Medaglia plastimetallica trasparente, originale almeno per questo. Si attendeva anche un omaggio di “Correre”, indicato tra gli sponsor, ma non si è visto.
Spogliatoi “separati” ma abbastanza poco frequentati, se è vero che molte ragazze preferivano sottoporsi alla delicata operazione di cambio della biancheria intima sotto gli asciugamani (stile dopo il bagno a mare) nella palestra, storica sede di ritrovo alle prime maratone di Reggio.
Con tutto ciò, compagni di corsa mi hanno assicurato che rispetto al mezzo disastro dell’anno passato c’erano stati miglioramenti netti. Dunque, chi sono io per criticarla? Soltanto uno che di maratonine, dal 1987 a oggi, ne ha corse trecentotrentatré.
VIDEO
Brescia Marathon 2004-2005: come eravamo…
Stimolati dalla recente edizione della maratona di Brescia, dalle discussioni che ne sono sorte, e dal desiderio di rinverdire qualche ricordo personale un po’ sbiadito, abbiamo ritrovato due articoli pubblicati su Podisti.net in occasione della seconda (2004) e della terza edizione (2005) della 42 bresciana. E una foto che ci raffigura prima della partenza: non tutti corrono ancora.
Dagli apostrofi invece degli accenti (come allora era quasi obbligatorio fare, causa le limitatezze dei programmi informatici) capirete che i pezzi sono proprio come vennero scritti allora. Qualche persona non c’è più (come i citati, ormai leggendari, Beppe Togni e William Govi), anche qualche maratona nominata non dà più segni di vita, ma certe problematiche sono tuttora vive: concomitanze e concorrenze non sempre leali (Brescia-Piacenza, Treviso-Brescia, Brescia-Ferrara, Milano-Firenze…), percorsi bruttini, partecipazione non proprio in aumento, ma … docce calde già allora, e possibilità di collegare sport e cultura (le mostre di Brescia, allora come oggi). Tutto il resto è storia. Per i nostalgici, buona lettura!
2004
Brescia – Treviso: “concorrenza sleale”?
Se gia’ il bresciano Peppe Togni, da un paio di settimane, era in possesso di moduli per l’iscrizione gratuita alla maratona di Brescia rilasciati (meritoriamente) a nome del Club Supermarathon, da pochi giorni l’ “azzeramento” e’ generale ed ufficiale: come scrive il sito della maratona, “Per i maratoneti la partecipazione alla 2a edizione della Brescia Marathon è gratuita. La quota di iscrizione di € 30 è offerta dal Comune di Brescia, dalla Provincia di Brescia e da varie associazioni di categoria. Le istituzioni bresciane mettono a disposizione gratuitamente i 1000 pettorali di gara. Per le iscrizioni con carta di credito tramite ActiveEurope, la quota di € 30 sarà rimborsata al ritiro del pettorale”. Il “Giornale di Brescia”, poi, tirando ovviamente l’acqua al mulino locale, ha rincarato la dose (a firma di Franco Bassini) e ha parlato di “un'iniziativa che intende tutelare l'appuntamento bresciano dall'insidia rappresentata dall'irruzione nella stessa data della maratona di Treviso, che offre il rimborso dell'iscrizione a quanti concluderanno la gara”. L’articolista aggiunge le parole di “Gabriele Rosa, deus ex machina della Brescia Marathon”, secondo cui a Treviso “solo apparentemente si tratta di una scelta che favorisce gli amatori. In realtà siamo di fronte ad un'operazione atta a destabilizzare una realtà che, nonostante la presenza degli sponsor, ha ancora e sempre bisogno delle iscrizioni. I conti sono presto fatti: attrezzare il percorso, fornire la sacca gara e approntare gli spugnaggi costa quantomeno 60 euro, ovvero il doppio dell'iscrizione. L'iniziativa degli organizzatori di Treviso, che propongono un percorso con un dislivello in discesa di 124 metri, ben oltre i 42 che rappresentano il limite massimo per l'omologazione dei tempi, si configura come una sorta di concorrenza sleale. Ci associamo quindi agli altri organizzatori che non intendono seguire la strada della gratuità e ringraziamo le istituzioni bresciane che hanno deciso di acquistare i pettorali per distribuirli ai partecipanti".
Buttiamo li’ qualche considerazione, premettendo che non facciamo il tifo ne’ per Brescia ne’ per Treviso (come si vede anche dalle prime righe qui sotto), ma ci piace vedere e far vedere le cose chiare a chi ci legge, cioe’ a chi corre e paga.
- Siamo d’accordo con la definizione di “concorrenza sleale”, sebbene bisognerebbe mettere nel conto del dare e dell’avere anche l’edizione bresciana numero 1, catapultata nello stesso giorno di Piacenza 2003, e, se non ricordiamo male, subito munita della qualifica di internazionale, non di “regionale” come dovrebbe essere per una prima edizione. Chi la fa l’aspetti?
- Come partecipanti di molte maratone (quasi sempre, a prezzo intero), siamo lieti che, dopo tanti aumenti nei costi d’iscrizione secondo la famigerata filosofia bottegaia delle “mille lire un euro”, dapprima Treviso abbia rispettato la direttiva federale dei 15 euro (stabilendo poi, bonta’ sua, una sorta di premio di partecipazione pari alla cifra versata), e adesso la concorrente Brescia offra – di fatto - l’iscrizione gratuita a tutti (ovvero, ai primi mille che si iscriveranno).
- Come contribuenti pero’ avremmo qualche dubbio, se le istituzioni pubbliche acquistassero dei pettorali, cioe’, in pratica, pagassero gli organizzatori. Non vogliamo impelagarci in questioni di liceita’ e di legalita’, ma preferiremmo che i soldi delle nostre tasse (di qualunque citta’ e provincia!) andassero in servizi alla collettivita’ e non a estemporanei visitatori della domenica mattina; padronissime invece, poniamo, le associazioni degli albergatori o dei commercianti, di pagare, sponsorizzare, regalare quello che vogliono, ma coi fondi propri.
- Circa la necessita’ delle quote d’iscrizione, alle parole autorevoli del dottor Rosa contrapponiamo quelle che, anni fa, sentimmo da Ivano Barbolini, organizzatore di Carpi, secondo il quale molte maratone italiane potrebbero benissimo offrire i pettorali gratis, ma non lo fanno per non perdere di credibilita’. Un paio di conti della serva fanno presto a convalidare questo discorso: il totale dei proventi dagli iscritti (che in Italia raramente arrivano al migliaio) equivale si’ e no ai premi per chi va sul podio (lasciando stare gli ingaggi, che non vengono mai dichiarati dagli organizzatori, tutte le spese ‘di rappresentanza’, ecc.). Dunque, il vero problema e’ quello degli sponsor, che sembrano dimostrare minore interesse a finanziare il podismo.
- A questo punto il discorso si sposta sul perche’ di tale minore interesse: verosimilmente, per l’elefantiasi del calendario, le sovrapposizioni piu’ o meno leali. E’ ovvio, per esempio, che se Milano e Firenze rimarranno nello stesso giorno, la Tv ne riprendera’ solo una, e gli sponsor si butteranno solo sulla maratona-con-Tv. Cosa accadra’, intanto, il 14 marzo (quando, oltre tutto, ci sara’ anche una terza maratona, quella di Siracusa, evidentemente votatasi al suicidio, o viceversa, ‘coperta’ dagli enti locali o altro, al punto che puo’ puntare sulla data che le pare…)?
- Il discorso poi sul dislivello in discesa di Treviso ci fa venire in mente le reciproche accuse di ineleggibilita’ che i due candidati-premier delle ultime elezioni politiche si lanciarono, in mancanza di argomenti migliori, alla vigilia dell’ultimo voto. A questo punto, si citino anche Salsomaggiore e Carpi (e chissa’ quante altre maratone italiane in discesa), e si continui con le maratone in linea come Venezia (dove la partenza dista piu’ di 14 km dall’arrivo), per finire con l’anatema lanciato alle due maratone piu antiche del mondo, Atene e Boston, che non rispettano queste regole… Per favore, non perdiamo il filo del discorso, e se cominciamo ad accusare gli altri di non rispettare le regole, cominciamo a rispettarle noi, ad esempio concedendo la famosa iscrizione a 15,50 euro massimi, e risparmiando semmai sulle “sacche gara” (pressoche’ sconosciute all’estero) che invece il dottor Rosa ascrive nel conto delle uscite.
- Il resto, in assenza di una presenza forte della Fidal, nel sonno dell’AMI (affossata, non dimentichiamolo, dal patron di una grande maratona), e nonostante le velleitarie e illusionistiche “conventions” allestite da un certo mensile a scopi essenzialmente di autopromozione, lo fara’ il mercato. E, per fortuna, sembra che in questo mercato stiano entrando finalmente da protagonisti anche i consumatori paganti, i podisti insomma.
2005
Provvida sventura e civilta’ bresciana
Tornando a casa, dopo aver prolungato il soggiorno bresciano per visitare le mostre e la Vittoria alata al meraviglioso museo di S. Giulia, riflettevo su un parallelismo: Treviso, Ferrara, Brescia, Padova, musei non grandi ma efficienti, grandissime iniziative culturali, e grandi o grandissime maratone. Modena, Bologna (tanto per non andare lontani): mostre da "chi te lo fa fa’?", e maratone tali da scomodare tutte le Raffai e le Sciarelli di questo mondo, ovvero da mettere a libro-paga legioni di velinari perche’ col rumore dei loro racconti coprano lo squallore della realta’. E pensavo che forse per allestire una grande maratona deve funzionare tutto il sistema-citta’/provincia, lo stesso che ti da’ la risistemazione dei centri storici, i trasporti pubblici, i parcheggi, gli alberghi e i ristoranti non da rapina (a Brescia mi ha colpito quanti ristoranti abbiano menu’ fisso ‘di lavoro’ a 10 euro: mai visto altrove! In compenso, alle 14,30 della domenica e’ impossibile trovare da mangiare), i cartelli stradali precisi ad ogni incrocio (Brescia e’ lunga e larga, ma non ti ci perdi mai; provate voi a scendere a Bologna dalla via Toscana e volersi dirigere verso i Giardini Margherita o lo stadio o Modena).
Eccomi dunque a Brescia, una volta tanto non solo come utente di arti belle ma anche come podista: quest’ultima cosa, per due ragioni. Prima, perché fino al momento di smettere la carriera attiva bisogna pur girare tutta Italia; seconda, per un giusto omaggio a Giuseppe Togni, che tutti gli anni offre, alle centinaia di amici supermaratoneti, i suoi buonissimi uffici per un’iscrizione che piu’ agevolata non si puo’. E mi pare che il Peppe Inox da Lumezzane abbia fatto centro: se agli inizi pareva che la maggior parte degli instancabili si sarebbe orientata su Vigarano/Ferrara, solo guardandosi in giro sul piazzale dello stadio Rigamonti la partita si poteva pronosticare almeno sul pareggio. Peccato, anzi, che con Brescia ci tocchi sempre di assistere a "partite" o quasi-risse; dall’attacco proditorio a Piacenza il primo anno, al pan per focaccia reso da Treviso il secondo. Ora siamo alla lotta con la piu’ stagionata Vigarano (vinta da Brescia per 709 a 643, malgrado il calo di quasi 300 ‘bresciani’ e l’incremento di 90 ‘ferraresi’); poi, lunedi’ prossimo, niente maratone…
La strada maestra (non mi stanchero’ di ripeterlo, alla faccia di tutti quelli che zompano sul calendario e si inventano una maratona internazionale al primo anno di attivita’, e soprattutto alla faccia dei loro servi sciocchi o interessati) resta quella di una crescita graduale, di una 42 che nasce dall’esperienza di infinite gare minori, da un tessuto sportivo e anche amministrativo per il quale una maratona in citta’ sia la naturale maturazione di pratiche decennali. Penso a Reggio, a Ferrara, a Castelbolognese e Faenza, ma anche a Parma e Busseto… partite con poco, e cresciute a forza del consenso dei praticanti.
E quest’anno bastava guardare il sito di Brescia (piuttosto modesto e privo di informazioni essenziali, come - per esempio - sull’esistenza delle docce, o la possibilita’ di usare i propri chip personali, o di acquistarli per 6 euro alla vigilia), o andare all’Expo (poverissima, ad onta della sua scomoda e superflua collocazione in Fiera) per rendersi conto di come questa maratona, partita nel 2003 con troppa enfasi (quello che ne scrivemmo e’ ancora li’), poi ridimensionata da Treviso, oggi si sia, volente nolente, ridotta a una dimensione di brava gara provinciale, diciamo di serie A 2 (Manzoni, a proposito della bresciana Ermengarda morta dove adesso ci sono i musei, aveva sintetizzato: "te della rea progenie degli oppressor discesa…, te colloco’ la provvida sventura in fra gli oppressi"). Anche oggi i quattro keniani di testa fanno gara a se’ (nel 2004 erano 7, vedere foto nella pagina centrale del libretto di corsa: réclame a mio parere controproducente, specie nell’anno di Baldini olimpionico), ma dietro loro, dopo Sardella e Zenucchi, c’e’ una popolazione di amatori provenienti soprattutto dalla provincia bresciana e dall’hinterland lombardo (rispecchiati, in un certo senso, dallo sgrammaticato, ma partecipe saluto del presidente provinciale Fidal, a p. 14 del libretto), di gente che dopo il km 30 comincia ad andare anche di passo, ma che si sente a casa propria in questa gara che sembra - finalmente!- concepita per loro, al punto che lo speaker, risparmiosamente unico, Paolo Mutton li aspetta fino all’ultimo e li festeggia (per lo stile di Mutton verrebbe buona la parola tedesca che indica il sostegno sportivo, Anfeuerung: davvero le parole del nostro, collocato non sul trespolo ma al livello terreno di noi che arriviamo, sono fuoco che accende le ultime energie).
Detto della modestia dell’Expo (quest’anno niente pasta party), va pero’ rilevato come a nobilitarla stessero Ornella Ferrara (che autografava utili adesivi da polso per calcolare la propria media in rapporto al tempo ideale) e la bionda Silvia (se[g]ni particolari: perfetta), laureanda in legge, che in cambio di una firmetta distribuiva uno zainetto old style; questo si andava ad aggiungere a un pacco gara fin troppo ricco di scatolame in prevalenza alimentare (quello che molte maratone danno in cambio di una insufficiente assistenza in gara), di CD non proprio recentissimi, di abbigliamento, e ad una serie di premi per amatori, consistenti in materiale tecnico di elevata qualita’, con raddoppio del premio per le donne (mi sono tornate in mente le calze distribuite in omaggio a una corsa dell’autunno, disfatte dopo una sola prova: ma guai a dirglielo).
Ottima l’idea di un’iscrizione prorogata fino all’antivigilia senza sovrapprezzi, e la distribuzione dei pettorali anche la domenica mattina (caratteristica che separa le maratone per tutti da quelle per compiacere i commercianti). Cio’ nonostante, ho optato per raggiungere Brescia il sabato, anche per la segnalazione (da parte del solito Togni) di un albergo dignitoso a prezzo equo (e disponibile perfino a lasciarci la camera per la doccia del dopo gara). Pagare un albergo per mia scelta e non per costrizione degli organizzatori da’ lo stesso introito alla citta’ che mi ospita, ma garantisce a questa citta’ che ci tornero’ (a differenza di quanto e’ successo con la maratona di una citta’ rappresentata in Expo, dove non sono piu’ tornato, per questa e altre ragioni che spiegavo alla simpatica Alessandra press-officer). Oltre tutto, il week-end bresciano coincideva con le giornate del FAI (oltre che con la scadenza - poi prorogata - della mostra su Monet), dando cosi’ l’occasione di una visita fruttuosa non solo per i piedi (nella magnifica chiesa del Carmine abbiamo ammirato, fra l’altro, la cappella della antica famiglia Rosa, ornata da una deposizione in terracotta attribuibile al maestro modenese Guido Mazzoni).
Ed e’ stata anche una possibilita’ di rivedere amici antichi, come Paolo Gilardi (inventore della locuzione, oggi abusata, di "popolo delle lunghe"), Gaetano Amadio (pensionato Fiat che adesso va molto piu’ forte di Schumi), Renzo Pancaldi, tornato alle gare (con bici al seguito, non si sa mai…) dopo uno di quei periodi bui che capitano a tutti, ma da cui e’ importante riemergere. E poi, s’intende, l’ala occidentale dei Podisti.Net, da Tex a Francesco “meno 1” Zanellati, dal Compa al Cortella a tanti altri (compresi quelli, e me ne scuso, cui non ho saputo attribuire un nome nel salutarli, e compreso Giuseppe Bonaventura che alla fine trova il guizzo per precedermi). C’era anche Govi con morosa (ho invano tentato di convincere Luca Zava a un approccio!), c’era Martina Juda, sparsa le trecce morbide sul prosperoso petto; c’era Linus che mi ha raggiunto verso il 20° e ha percorso con me e il suo gruppetto preesistente una decina di km, quasi tutti controvento (ammetto di aver prevalentemente succhiato le ruote, tranne che dopo i ristori quando Linus faceva le cose con calma e io invece tiravo diritto), fino al loro ritiro, programmato al km 30 e premurosamente scortato da un pullmino dell’organizzazione (notevole la biondina in shorts). Eccoci dunque sul percorso, e per moderare il peana diro’ che me lo aspettavo meno bruttino: anche il lungo tratto all’interno di Brescia, a parte gli ultimi 3 km, consisteva nel giro dei vialoni, oltre tutto recidivo, e con accompagnamento di auto (seppur separate da ometti, e con un ferreo controllo di tutti gli incroci). Da salvare il tratto del Sanrocchino, sotto la muraglia nord del castello, e ovviamente le piazze centrali (ma il Duomo dov’e?). Usciti di citta’, e’ stato un susseguirsi di zone industriali, con un po’ di natura solo verso Castel Mella tra il 15 e il 20, e di nuovo altre fabbriche e altre auto, che riportavano alla mente gli avvicinamenti al traguardo di Vercelli e Bolzano.
Nella prima meta’ ci hanno allietato due corpi bandistici, certo piu’ umani dell’hard rock sparato a pieni decibel, e la nostra fatica e’ stata confortata da ristori e spugnaggi assolutamente OK (qualcuno si e’ lamentato della mancata accettazione dei ristori personali). Misurazione dei km precisa (si apprezzavano i chiodi infissi nell’asfalto dal misuratore Aims); gara tecnicamente valida anche per i saliscendi urbani che selezionavano chi ne aveva ancora. Detto del traffico quasi sempre ben contenuto (con l’eccezione dei km 30-33), va aggiunto che c’erano troppe bici di accompagnatori: per alcuni km sono stato (sempre in funzone antivento) col gruppo delle 3 ore e 30, saranno stati una trentina di atleti (alcuni poi arrostiti dal ritmo troppo allegro del pacemaker), e dietro loro ben 13 biciclette; poi, nel gruppo che precedeva immediatamente Linus, ho contato altri 14 accompagnatori su due ruote. Non esageriamo!
Impeccabile il rilevamento di chip Winningtime orchestrato da Sandrone Dalla Vecchia (ma al km 30 i rilevatori erano “silenziati”, ovvero non hanno trasmesso i loro dati); appena acceso il cell mi sono arrivati tre messaggi col tempo finale. Buona l’accoglienza al traguardo, con gli addetti premurosi che ti toglievano il chip (mi hanno addirittura vietato di piegarmi io a slacciarlo; l’ho fatto lo stesso, subito una telecamera e’ venuta a riprendermi come se fossi un extraterrestre). Medaglia originale, anche se non capisco lo snobismo delle "26,2 miglia"; squisita una densissima spremuta d’arancia, che pero’ non sono riuscito a bissare. Poi, prelevato uno yoghurt (me ne volevano dare due), e la mia borsa, sono salito sul bus-navetta per la zona partenza e le docce (spogliatoi vastissimi, temperatura da serie A di Eccellenza). A questo punto, verso le 14.30, ero pronto per le mostre: macche’, il premuroso Gilardi mi comunica che sul traguardo ci sono da ritirare i ricchi premi assegnati a mia moglie (esagerati), e allora torno con l’auto verso piazza Arnaldo: km 40, c’e’ un ristoro dove esibendo la medaglia offrono ogni ben di Dio, mentre sta per transitare l’ultima concorrente seguita da un nugolo di addetti. Mutton e’ sempre in piazza della Vittoria, e intanto il sole entra ufficialmente nell’Ariete: via guanti e copriorecchie, dal Manzoni bresciano venga "al pio colono augurio - di piu’ sereno dì".
Brescia, 17° Brescia Art Marathon
10 marzo - In una bella giornata di fresco sole primaverile (sui 17/18 gradi), sono stati confermati sostanzialmente i dati di partecipazione dell’anno scorso: 820 arrivati (4 in più rispetto al 2018), e aumento consistente nelle gare più brevi: 1781 nella mezza maratona (rispetto ai 1655 dell’anno passato), 863 nei 10 km competitivi contro i 719 del 2018.
Vincitore assoluto l’ugandese Philip Kiplimo con il tempo, decisamente non memorabile, di 2 ore 19’ 02’’, davanti al keniano James Kipleting Corir (2h 20’ 13’’) e all’etiope Mulu Alemneh Alem (2h 24’ 05’’). Primo italiano il quarto, Marco Ferrari dell’Atletica Paratico, con 2h 33’ 41.
Tra le donne ha vinto Vitalyne Jemalyo Kibii (Kenia, 2h 32’ 08’’), seguita da Megertu Tafa Megersa (Etiopia, 2h 36’ 07’’) e da Hanna Kumlin (Svezia 2h 56’ 06’’). Anche qui, prima italiana è la quarta assoluta, Greta Manenti, un soffio sotto le 3 ore.
Nella mezza, i vincitori sono Massimo Leonardi (1h 11' 37”, due minuti sul secondo) e Monica Baccanelli (1h 24' 22'', quattro minuti su Greta Pizzolato).
Va detto che il percorso era tutt’altro che piatto (il mio Gps, oltre ad attestare una distanza complessiva superiore di circa 300 metri a quella dichiarata, dice di 200 metri di dislivello superati); e, non so per i primi, ma sicuramente per il gruppone il traffico automobilistico con cui abbiamo spesso convissuto non ha aiutato. Intendiamoci: strade chiuse per i primi 10 km circa, poi è cominciato qualche tratto con auto separate da noi solo mediante qualche ometto posto a terra; costante il traffico in attesa nelle numerose rotatorie, e ogni tanto abbiamo avuto qualche auto che ci sorpassava. Una maratona internazionale non dovrebbe permettere questo.
Poi, ai top runners non interessa, un po’ di più a noi che giriamo l’Europa alla ricerca di sensazioni: il percorso è decisamente brutto (perfino Aligi Vandelli, il supermaratoneta che ne fa una alla settimana e ha sperimentato il peggio offerto dal mercato italico, mi diceva in corsa che questa Brescia non gli piace “neanche un po’”). Si chiama “Art Marathon”, ma di arte ne abbiamo vista ben poca, a parte gli ultimi 2 km in centro storico quando però era più opportuno stare attenti ai cubetti di porfido nelle strade: per il resto, aldilà di attraversamenti di quartieri industriali cadenti (mi chiedevo se non sarebbe più opportuno abbattere certi muri pericolanti di fabbriche anziché puntellarli con pali di acciaio), o periferie caratterizzate da supermercati, le poche volte che abbiamo respirato aria sana sono state tra i km 10-15 (zona di Cellatica, dove un cartello ammoniva che “è vietato contrattare e concordare prestazioni sessuali”) e 30-37, nella zona di Caionvico, dove si arrivava però dopo un enorme svincolo stradale.
Peccato, perché altre cose sono sicuramente positive: la disponibilità di parcheggi, ben segnalati, nelle adiacenze del ritrovo; la meravigliosa metropolitana bresciana (inaugurata nel 2013, ultimo atto del sindaco uscente Paroli) che a un prezzo irrisorio ci trasporta dall’arrivo alla partenza e dove vogliamo (biglietto unico da € 1,40 per tutto il giorno); l’efficiente zona di consegna pettorali, dotata persino di caffè e dolci gratuiti – e per fortuna l’orario terroristico di consegna dei bagagli ai camion, delle ore 8,30, è stato largamente disatteso-. E i molti pacer, addirittura quattro gruppi tra le 3:40 e le 4:15.
Altre cose mi hanno convinto meno: la mancanza di bicchieri a due ristori, le vasche per intingere le spugne mai alimentate da acqua corrente e dunque progressivamente malsane, o sparite del tutto. Una curiosità della classifica (minima, se riguardasse solo me: ma chi ci garantisce sul resto?) è che mi vedo distanziato sul tempo lordo di 6” da Paolino Malavasi, mio compaesano e rivale decennale, con cui oggi abbiamo scelto la non belligeranza arrivando mano nella mano. Secondo i chip o chi li ha trascritti / 'accoppiati', eravamo a 20 metri l'uno dall'altro.
Ero stato a questa maratona in una delle prime edizioni (20 marzo 2005, sotto gli auspici del leggendario Beppe Togni), e ricordavo un tracciato extraurbano, nella zona sud della provincia, sicuramente più arioso. E gli arrivati furono 709, non molti meno che adesso. Oggi, devo se non altro elogiare il lavoro dei numerosissimi addetti che (coi vigili) sorvegliavano gli incroci e le rotonde, non potendo però fare a meno di lasciar passare le auto negli interstizi dei nostri passaggi (per fortuna che era una “giornata ecologica”).
Nota di merito anche per le docce, vicino alla zona di partenza (santa metropolitana!), e caldissime ancora quando ci siamo arrivati noi delle ultime schiere. Dentro, si discuteva della lunghezza effettiva della corsa: il più benevolo asseriva 200 metri in più, altri arrivavano a 500. Sappiamo tutti che i nostri orologini non hanno autorevolezza: eppure, parecchi cartelli intermedi erano sballati, anche di un centinaio di metri, né ho mai visto sull'asfalto i prescritti 'chiodi' piantati in corrispondenza almeno dei 5/10/15 ecc.
Medaglia tra le più brutte nella storia della maratona mondiale: un lato vuoto, l’altro lato con sei parole, cinque delle quali inglesi (Brescia Art Marathon – Run this race; peccato che "Brescia" non sia stata tradotta in inglese, facciamo Brixieland?). Sarà che il dottor Rosa, ispiratore di questa gara, è più di là (intendo nell'Africa anglofona) che di qua, ma se si spera con cinque parole inglesi (o con l'altro motto "Brescia makes your run") di catturare i podisti esteri, mi sa che sbagliate metodo. Vi ricordate come è finito Barbolini da Carpi col suo gemellaggio con Londra?
Pacco gara accettabile (maglietta, calze, qualche alimentare, e un paio d’etti di depliant): il major sponsor Bossoni lancia il suo trofeo di mezza maratona che oltre a quella odierna comprenderà le mezze di Orzinuovi e la nostra vecchia conoscenza di Cremona. Mentre le eminenze grigie del Follow Your Passion insistono per proporci quattro giorni di seguito a Chia in Sardegna, poi a Monza (dove, dicono i malevoli, manca solo la corsa nei sacchi), a Bari e a un’altra mezza di Milano a fine novembre. Non è un reato offrire corse podistiche con lo scopo precipuo di far soldi; spetta a noi se mettere questi depliant nel nostro cassetto dei desideri o nel cassonetto del trash.
14 aprile: psicodramma a lieto fine tra derby calcistico e “Mezza di Genova”
Antefatto: per il prossimo 14 aprile è in programma “La mezza di Genova”. Lo stesso giorno, il calendario della serie A di calcio ha previsto il derby Sampdoria-Genoa. Le leggi del calcio-spezzatino (ovvero, le pay tv che si portano a casa il pallone se non si gioca con le loro regole) avevano stabilito che il derby si sarebbe disputato il lunedì 15 sera.
Non è una buona annata per lo sport genovese, in tutti i sensi, e ne fa le spese anche il calcio, non da oggi: già un “derby della Lanterna”, inizialmente fissato nel disumano orario delle 12,30, era stato spostato di lunedì sera (3 febbraio 2014): la scusa era stata trovata nella coincidenza con la Fiera di Sant’Agata (quest’anno, come apprendiamo da www.genova24.it, cui siamo debitori anche di altre info, la stessa fiera non ha impedito che Genoa-Sassuolo si giocasse alle 15).
Quest’anno, dopo un Genoa-Milan posticipato di lunedì alle 15 per immaginarie questioni di ordine pubblico, a giustificare i comodi delle pay tv stavolta era venuta buona la scusa della maratonina. In effetti, c’era un precedente: il 9 aprile 2017, Genoa-Fiorentina cosiddetto lunch-match delle 12.30, ma con la Fiorentina impossibilitata a raggiungere lo stadio causa strade ancora chiuse per la corsa. Inizio posticipato di 20 minuti, chissà che drammi per chi aveva sincronizzato gli annunci pubblicitari e l’ora d’inizio delle partite successive.
Dunque, fino a pochi giorni fa, Samp-Genoa era prevista sui palinsesti (che parola orrenda, tipica di questi anni in cui, o sei in tv o non conti niente) per lunedì 15 aprile alle 20,30 (anche l’orario delle 20,30 è un’esigenza televisiva, dopo anni in cui si giocava alle 20,45, prima ancora alle 21, per tacere del ridicolo orario delle 18,55 cui qualche volta dobbiamo sottostare).
I responsabili della Mezza maratona avevano garantito che alle 12 le strade sarebbero state libere, dato che l’ultimo cancello all’inizio della sopraelevata è fissato alle 11.45; e al limite, se anche il derby fosse rimasto alle 15 di domenica, la Mezza poteva anticipare di 30 minuti. Dunque, i podisti non avrebbero ostacolato niente.
L’assessore allo sport di Genova poi, chiedendo un semplice spostamento alla sera di domenica, aveva fatto notare che il 15 aprile comincia a Genova la Hempel World Cup 2019 di vela, valida per la qualificazione alle Olimpiadi di Tokyo 2020, con 800 equipaggi da tutto il mondo e tanti a vedere. Niente da fare.
Allora sono intervenuti il sindaco di Genova Marco Bucci e il presidente della Regione Liguria Giovanni Toti, e finalmente il presidente della Lega di Serie A Gaetano Micciché ha avuto un ripensamento e ha fissato la gara per sabato 13 aprile alle 18. Immagino gli strilli della pay tv che pur si ammanta del motto “il calcio è di chi lo ama”: staranno già cercando due squadracce sacrificali per farle giocare di lunedì.
Venaria Reale (TO) – 65° Campionato Nazionale Uisp di corsa campestre
3 marzo - Oltre 1200 partecipanti, con un netto aumento (anche di soddisfazione) rispetto all’edizione 2018, hanno dato vita alle gare svoltesi nel parco D’Acquisto di Venaria, a poco più di un km dalla celebre Reggia e dalla sede degli assoluti di cross Fidal previsti la prossima domenica (mentre a San Sperate, in Sardegna, si sono svolti lo stesso 3 marzo i campionati Fidal Master, alias over 35).
Una doppia serie di gare (per i giovanissimi, fino alla categoria cadetti, e - su un diverso tracciato, con partenza a una cinquantina di metri dal primo - dagli allievi ai più anziani), il tutto beninteso in corse separate per uomini e donne, ha impegnato l’organizzazione gestita dal reggiano Christian Mainini dalle 9,45 fin oltre mezzogiorno per le gare, e poi fin quasi alle 14 per la compilazione delle classifiche (resa piuttosto laboriosa dal mancato funzionamento dei chip, e che nella veste definitiva evidenzia qualche variazione rispetto ai dati diffusi nell’immediato) e le premiazioni.
Quanto alle categorie giovanili, a spartirsi i trofei di società sono state le stesse tre compagini: due piemontesi e il Pentathlon Modena, che ha vinto la gara maschile davanti alla Bairese e alla Settimese; mentre in campo femminile ha prevalso la Settimese davanti al Pentathlon e alla Bairese. Va detto che la squadra modenese, in quanto proveniente da fuori regione, ha usufruito di 15 punti di bonus, senza i quali (cioè calcolando solo i punteggi acquisiti dagli atleti in gara) sarebbe giunta terza fra le donne e seconda tra gli uomini.
Nessun ribaltone invece per le categorie adulte: la squadra maschile dei Modena Runners ha surclassato con 48 punti (ininfluente dunque il bonus) la Durbano di Rivarolo, che a sua volta ha nettamente distanziato la Bairese; mentre tra le donne l’Athletic Team ha superato la Durbano di 32 punti (dunque 17 sul campo), che a sua volta ha preceduto la Venaria Reale e i Modena Runners.
Il successo collettivo del Pentathlon è stato marcato soprattutto dagli acuti individuali di due campioncine, laureatesi vincitrici assolute: Elisa Sala (del 2005) tra le cadette, e Margherita Giannotti (2006), febbricitante campionessa uscente, tra le Ragazze B. Invece la Settimese ha vinto tra i maschi senza nessun successo individuale, ma con numerosi piazzamenti: ciò che è capitato, fra gli adulti, anche ai Modena Runners, il cui miglior piazzamento è il 2° posto assoluto di categoria dell’incredibile pasticciere formiginese Luigi Bandieri, classe 1937; poi c’è il 3° posto di Filippo Capitani negli M30 e di Ivan Cotali negli M40. Tra le donne, due quarti posti, di Vanessa Poppi (F30) ed Elisabetta Comero (F50); poco, rispetto ai successi delle signore dell’Athletic, prime tra le F 70 con Francesca Caldarolo, seconde con Licia Bombelli (F20), Rita M. Albieri (F50), Paola Cagliani (F55).
Tra gli altri successi individuali, fanno tenerezza i nomi di Walter Viceconte, classe 1966, Valsusa Running, campione M 55, e della storica maratoneta torinese Maria Grazia Navacchia (1952), al vertice delle F 65. In queste ‘corsette’ i maratoneti fanno appena il tempo ad assumere l’assetto di gara, che sono già finite: eppure c’è chi si fa valere anche qui.
Bella giornata di sole, percorso ben tracciato, con saliscendi continui ma molto lievi (se si eccettua un su e giù di 3 metri verticali nella seconda parte), soffice ma mai fangoso, apprezzato dai contendenti. In aggiunta, ci metterei l’abbondanza e ricchezza del ristoro finale (con molti dolcini locali ed eccellente cioccolata calda), le docce nell’attigua palestra della scuola, ancora calde quando le ho fatte io (però eravamo praticamente agli inizi…), e un servizio aggiuntivo di massaggi di cui ho usufruito, imbattendomi in un massaggiatore simpatico con cui abbiamo ingaggiato una specie di torneo tra i rispettivi vini (lambrusco contro freisa, pignoletto contro brachetto e via discorrendo), e che mi ha congedato raccomandando di fare molto stretching, perché “hai i muscoli di marmo!”. Nell’attesa di seguire i precetti, come defaticamento dopo la corsa mi sono fatto una passeggiata fino alla Reggia e parchi circostanti; poi, le 300 calorie che il Gps dichiara che avrei consumato in gara sono state compensate a usura dalla grigliata ‘sociale’ in un agriturismo della zona.