Direttore: Fabio Marri

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Fabio Marri

Fabio Marri

Probabilmente uno dei podisti più anziani d'Italia, avendo partecipato alle prime corse su strada nel 1972 (a ventun anni). Dal 1990 ha scoperto le maratone, ultimandone circa 280; dal 1999 le ultramaratone e i trail; dal 2006 gli Ultratrail. Pur col massimo rispetto per (quasi) tutte le maratone e ultra del Bel Paese, e pur tenendo conto dell'inclinazione italica per New York (dove è stato cinque volte), continua a pensare che il meglio delle maratone al mondo stia tra Svizzera (Davos e Interlaken; Biel/Bienne quanto alle 100 km) e Germania (Berlino, Amburgo). Nella vita pubblica insegna italiano all'università, nella vita privata ha moglie, due figli e tre nipoti (cifra che potrebbe ancora crescere). Ha scritto una decina di libri (generalmente noiosi) e qualche centinaio di saggi scientifici; tesserato per l'Ordine giornalisti dal 1980. Nel 1999 fondò Podisti.net con due amici podisti (presto divenuti tre); dopo un decennio da 'migrante' è tornato a vedere come i suoi tre amici, rimasti imperterriti sulla tolda, hanno saputo ingrandire una creatura che è più loro, quanto a meriti, che sua. 

Modena, Parco Ferrari, 8 dicembre - Circa 450 atleti hanno preso il via nella seconda e ultima tappa del circuito Runcross Emilia Romagna promosso dalla Fidal regionale (la prima tappa si era svolta a Castelfranco Emilia il 14 novembre): e l’occasione era la 50esima edizione del Trofeo Cittadella, che da un trentennio si svolge nell’ex autodromo di Modena, ora convertito a Parco con vari usi (il più celebrato fu il megaconcerto di Vasco Rossi che lo ribattezzò “Modena Park”).

La gara più qualificata è stata il cross lungo sugli 8 km (di un tracciato peraltro abbastanza piatto e totalmente erboso, nonché chilometricamente ridotto rispetto alla distanza ufficiale): il neo campione italiano di maratona, il pavullese Alessandro Giacobazzi, che indossava i colori dell’Aeronautica Militare, è però giunto solo quarto, dietro l’altro favorito Jacopo De Marchi (Esercito, 21:58), Giuseppe Gravante (Corradini, a 6 secondi) e Marco Casini (vincitore l’anno scorso: Delta Atl. Sassuolo, oggi a 9 secondi). 21 gli arrivati.

In campo femminile, la gara corrispondente erano i 6 chilometri, corsi da 14 ragazze e vinti come da pronostico da Giulia Vettor (Cus Parma, 20:03), che ha superato di 5 secondi la ragazza di casa Fratellanza Martina Cornia; nettamente staccate le altre, con Francesca Cocchi (Corradini Rubiera) al terzo posto; quinta è Francesca Giacobazzi, sorella di Alessandro.

Identica distanza tra uomini e donne per il cross corto: 3 km, in realtà 2,750; in campo maschile, arrivo spalla a spalla dei primi tre, classificati con lo stesso tempo di 8: 57: ha prevalso il 21enne Paolo Molmenti (Atletica Biotekna) sul 22enne Alderico Tonin (G.S. Quantin Alpenplus) e sul 32enne Roberto Muccioli (Atl. Cesenatico): 22 i finisher. Tra le 14 donne arrivate, nettissimo successo della ventenne della Fratellanza Giulia Cordazzo (9:53), ben 34 secondi su Matilde Avanzini (Circolo Minerva) e 43” su Anna Maria Benetti (Atletica Estense).            

I Master, suddivisi in varie batterie a seconda delle distanze da percorrere, e poi classificati nelle canoniche categorie Fidal all’atto delle premiazioni, hanno visto tra l’altro il successo negli SM70 del campione del mondo di corsa in montagna Adolfo Accalai, dell’Avis Castel S. Pietro (11:43, 11° assoluto sui 33 over 55 partiti nella sua batteria): a soli 4 secondi è giunto il suo compagno di squadra e di categoria Araldo Viroli, classe 1948.

A un altro suo compagno, Daniele Sperindei (M 55, classe 1966) è andato il successo assoluto della manche in 10:23 (sui 3 km ufficiali), davanti a Daniele Baroni (Atl. Rimini Nord Santarcangelo, 10:34) ed all’ex sindaco di Spilamberto e presidente del Consiglio provinciale Luca Gozzoli (reduce da un 2:48:55 alla maratona di Ravenna) con 10:45. Quinto assoluto, e primo M 60, è Giordano Castelli (Modena Runners, 11:08); mentre a ribadire il successo di squadra del Castel S. Pietro è anche l’affermazione tra gli M 65 di Luciano Magagnoli (11:29).

Le categorie maschili under 55 hanno gareggiato sui 4 km, nella batteria più affollata (39 arrivati), col successo di uno dei favoriti, Gianluca Borghesi (SM40, tanto per cambiare del Castel S. Pietro che ha piazzato 4 atleti nei primi 6), in 12:19, davanti a un altro favorito, Emanuel Marrangone (Minerva, primo degli SM50 in 12:30) e all’altro SM 40 Fabrizio Manni (Modena Runners, 12:33).

Al Castel S. Pietro vanno anche i successi tra gli SM 45 (Claudio  Cavalli,  12:36) e SM 50 (Flavio Monteruccioli, 12:40). Appena dietro lui è giunto il primo SM 35, Michele Salvatore (Virtus Campobasso, 12:41).                     

18 ragazze hanno terminato la batteria sui 3 km per le categorie SF 35-50: ha vinto Silvia Laghi, una SF40 tesserata Atletica 85 Faenza in  11:08; con 11:40 è giunta seconda, e vincitrice SF 45, la romagnola d’adozione Ana Nanu, protagonista di tante gare a tappe (Atl. Rimini Nord Santarcangelo), regolando la prima SF 35, Barbara Debbi (Fratellanza, 11:53). Da notare il settimo posto assoluto, e primo SF 50, della simpatica primatista mondiale sulle lunghissime distanze, Monica Barchetti (Fratellanza, 12:03).

Tre SF 60 hanno dominato l’altra batteria delle over 55 (13 in tutto), vinta come da pronostico dalla riminese Susi Frisoni (Atletica 85 Faenza) in 12:19, 26” prima della compagna di club Paola Bertolucci, seguita da Mara Fagandini (Circolo Minerva).

Solo quarta assoluta la prima SF 55, la modenese Paola Bernini (Fratellanza, 13:33), mentre nella SF65 si è imposta Paola Tirabassi (Atletica 85 Faenza) in 14:10.

Molto partecipate anche le gare giovanili: il triatleta barese diciottenne Andrea Ribatti ha prevalso nei 6 km juniores con 17:15, mentre la piacentina diciannovenne Emma Casati ha vinto la gara equiparata femminile sui 4 km in 13:20. Ben 91 sono stati ad esempio i ragazzi e ragazze (tredicenni o più giovani) cimentatisi nei 2 km della loro gara.

Si è corso dalle 9,30 alle 13, con un timido solicello e sotto lo sguardo attento dello staff Fratellanza, in primis di Gianni Ferraguti - tra gli ideatori di questa classica - e con la consueta esauriente attività microfonica di Roberto Brighenti, a un certo punto quasi ubiquo tra le premiazioni (ricchissime) e le gare contemporaneamente in corso.

27 novembre - “Presenti e votanti: 1000”. Alle Camere riunite per le elezioni del presidente della Repubblica (credo fosse il 1971), il mormorio dei parlamentari per la cifra tonda (quella che oggi si chiama pomposamente ‘soglia psicologica’) fu zittito dal presidente della Camera (un certo Sandro Pertini) con la frase: “Manca Garibaldi”. 
Mi è venuta in mente questa frase quando ho letto, all’arrivo dell’11° Corri con l’Avis organizzato appunto a Formigine (ormai solo un ricordo come luogo di festoso passaggio della fu-maratona d’Italia) che il totale degli iscritti era di 1006, con l’ovvio primato societario del Cittanova di Peppino Valentini (è lui il Garibaldi dei podisti modenesi?). Dunque siamo quasi ai vecchi tempi, quelli pre-Covid natum: anzi, per certi aspetti meglio di prima, se si considera che 18 ore prima, a Campogalliano, si era svolta una gara pomeridiana, come nemmeno ai tempi d’oro si facevano da novembre a marzo. Dunque risaliamo di 18 ore e di 18 km (circa) più a nord, per ritrovarci nel paese della Bilancia, ormai famoso in tutta Italia per il casello dell’autostrada e per i natali dati a due gemelli diversi come Edmondo Berselli e Stefano Bonaccini. Personalmente, scendendo ai tempi di Pertini e prima, ci aggiungo Mirko Campana, partigiano ‘bianco’, poi indimenticato docente di lettere al liceo, che scandiva la metrica latina con colpi di tacco sulla predella, cosa che noi liceali discoli imitavamo sul pavimento, “che l’era tuto no sbatere de tachi” (copyright Catenacci).

 

Ma torno alla Campogalliano attuale per la 8^ camminata “Nemmeno con un fiore” di sabato 26 ore 15, preceduto e accompagnato da uno scambio di messaggini con un celebre podista dei luoghi, di cui dirò solo le prime e le ultime due lettere del nome: Gi**Gi. Il quale mi aveva preavvisato: “Occhio, non danno mai ristori decenti gli organizzatori Campogalliano, solo acqua. Dessero almeno un po’ di tè”. Eppure, nella piazza della partenza c’era pure il Gi**Gi, senza pettorale come suo solito quando prevede un ristoro insufficiente; poi mi dicono che in gara protesterà con gli sbandieratori e i vigili perché la strada è pericolosa (una podista dirà agli addetti: se volete picchiarlo, lo tengo fermo io).
Partiti: tratto iniziale un po’ a imbuto, saremo forse in 250 e nelle retrovie ci si deve fermare (io ero decisamente indietro: alle 14,58 avevo concluso l’acquisto di un paio di Asics scontatissime dalla bancarella del Carlo carpigiano). Un paio di km nel centro urbano, in compagnia di Paolino Malavasi che mi espone il suo progetto di doppietta maratonica 31 dicembre - 8 gennaio (e le altre che non mi dice!), poi si esce all’aria aperta, con tratti campestri che ci portano al santuario della Sassola; da lì si torna verso il centro attraverso la pista ciclabile che porterebbe alla “Barchetta”, cioè l’antico traghetto per Modena che adesso ha un ponte cosiddetto Calatrava, e porta in breve alla Madonnina (durante il Covid ci feci un pellegrinaggio a piedi, semivietato perché si usciva dal comune di residenza…). Raggiunta l’autostrada e l’AV ferroviaria (costretta qui a un curvone per ragioni politiche) si piega decisamente a nord raggiungendo la zona di partenza-arrivo, più o meno in senso opposto ai “Diecimila della bilancia”. Il traguardo è dopo 8 km confermati dal Gps, e l’accogliente palasport riscaldato ci accoglie, per cambiarci e soprattutto con un ristoro niente male (tè bello carico che mi faccio versare col tastevin del Beaujolais, e tortine dolci, che si aggiungono alla scatola di tisane dai vari sapori del pacco gara: il tutto per i 2 euro che Gi**Gi non aveva sborsato).
E’ lì fuori, e quando gli dico che dentro c’è un ristoro di lusso si precipita all’interno. Il resto si sa da whatsapp: “Hai scroccato il tè e la merendina senza pagare?”, gli chiedo. “No – è la risposta – naturalmente non ho bevuto al ristoro. Non sono come quelli che non pagano le tasse e poi gliele condonano”. Bè, veramente qui la tassa non l’ha mica pagata. Gli chiedo: “Allora non dovevi entrare nel palasport. Ma non riconosci almeno la fatica e le spese di chi organizza?”. Risposta: “Mica era vietato entrare. Io non ho pagato, non ho bevuto. Alla corsa dei laghetti di settembre c’era solo acqua e mi ero lamentato, forse sarà servito a qualcosa”. Sta a vedere che è merito suo… Mia replica: “Chi non paga stia a casa. I vigili per chiudere le strade hanno un costo e tu li sfrutti a sbafo”. Conclusione di Gi**Gi: “Per la strada possono girare tutti, è libera”. Disarmante. Per fortuna, la maggioranza non la pensa in questo modo, e credo che Gabriele e soci possano essere orgogliosi di questa loro estrema creatura, baciata anche da un tiepido solicello dopo i nubifragi delle ore precedenti.

 

Con questo booster incoraggiante, ci siamo ritrovati (tranne Gi**Gi) a Formigine domenica mattina 27 per l’11° “Corri con l’Avis”: sole anche qui, ma 2 gradi in partenza, per cui avevamo quasi tutti (escluso Federico, che corre in canottiera tutto l’anno) le maniche lunghe, a cominciare da Giorgio Saracini che inalbera quella recente del Beaujolais, poi Paolino, la Simona della Madonnina, la signorile Chiara Mezzetti, l’antica e inesausta campionessa Annamaria Venturelli: insomma i Mille di cui si diceva, rimpolpati da un buon nucleo di reggiani come il redivivo Pietro Boniburini alla consolle delle scarpe, e i due cugini Giaroli. Con Paolo (già titolare delle spugne calde alla maratona di Reggio, spugne quest’anno in forse per la solita scusa del Covid, che però ad Amsterdam non valeva) percorro quasi tutti i 13,5 km nominali (in realtà 12,7), che in prevalenza su piste ciclabili e con un paio di cavalcavia sulla superstrada per Sassuolo (recentemente dotata di autovelox, in un tratto nel quale non c’è nessunissimo pericolo, dalla sindaca di Formigine, evidentemente costretta a fare cassa) porta a ovest, verso le frazioni di Ubersetto e Corlo, per tornare infine nel capoluogo. 
Ottime segnalazioni, grande dispiego di controllori del traffico (peraltro quasi assente), e ritrovo finale nel parchetto adiacente alla sede dell’Avis dove Italo provvede con diligenza a ritrarre tutti. Anche qui, due euro di iscrizione, in cambio di tè e biscotti al traguardo, e un chilo di pasta come pacco gara. E voglio ripetere che non si va a correre per il pacco gara, cioè per “fare la spesa”, ma per valersi di un’organizzazione che chiede i permessi, paga per la sicurezza, chiude le strade, impiega decine di volontari ecc. Gli assenti hanno avuto torto, ma certi assenti non li rimpiangiamo proprio.

Lunedì, 21 Novembre 2022 15:26

Un Beaujolais ad alta gradazione

Villefranche-sur-Saȏne (F), 19 novembre - La 18^ edizione di una delle maratone enologiche più celebri di Francia ha classificato più di 15mila podisti nelle tre distanze competitive, dei 42 (con circa 350 metri di dislivello), 21 e 13 km, cui si aggiungono i circa 2500 partecipanti alla “Randonnée pour elles”, 7.5 km in favore della cura al tumore femminile. 
1862 (433 donne) sono gli arrivati individuali alla maratona (su 2041 partiti) nel tempo massimo di 7 ore (gestito però in modo ‘elastico’: senza raggiungere tuttavia i livelli raccontati a proposito di una celebre e recentissima maratona italica, dove chi va oltre il tempo massimo viene raccolto da bus e scaricato al km 36 con l'invito a passare sul traguardo); qui si aggiungono i 646 che hanno corso la maratona in staffette di 3 o 4 frazionisti; sono poi 5657 i classificati nella mezza (che si è inserita sul percorso della 42 verso il km 35), 6843 nella 13 km (unitasi alle altre due gare negli ultimi 4 km del rientro comune a Villefranche). Da considerare che la cittadina francese (poco a nord di Lione) sta sui 36 mila abitanti, e i pochi dei residenti che non hanno corso, o hanno fatto servizio o erano assiepati lungo le strade non solo a darci il 5 ma spesso a offrirci il loro vino!

La gara si svolge in concomitanza con la settimana della presentazione del Beaujolais novello, appena imbottigliato (ma che, per risparmiarci la fatica del tirebouchon, viene spesso ammannito in bicchieri o in caraffe); prevale dunque l’allegria alla Noè (notata la scritta su varie magliette di corridori: boire ou courir, purquoi choisir?), che si somma alla ricerca di costumi bizzarri e divertenti, dal mettersi una parrucca colorata all’addobbarsi come una vite carica di grappoli, dal vestirsi da centurione o frate o – diciamo – escort/trans, fino al 68enne Gilbert Dantzer detto Jésus che ha corso la sua 300esima maratona vestito come Cristo sul calvario, portando una croce con su scritto “Marathon”. Spiritoso sì, ma vorremmo vedere se la simbologia si rivolgesse a un’altra religione, che non succedesse qualche altro Bataclan o Charlie Hebdo…

Ciò premesso, la maratona e la mezza sono state gare vere, almeno per la prima metà degli arrivati (e anche più giù, se vogliamo comprendere il sottoscritto che si è classificato 1297°): specialmente la mezza è stata tiratissima, con l’arrivo a spalla di Esteban Bernigaud (01:15:05) e Alexis Garod (01:15:06), col terzo Sébastien Gallée a un minuto e mezzo.

Più staccate le donne, regolate da Diane Rassineux (01:27:10), con oltre 3 minuti su Melody Lemoigne e 4 su Céline Aujogues.

Nella maratona, la vittoria assoluta è andata all’etiope Dadi Legese in 02:31:21, che nella seconda parte ha avuto ragione del campione locale Pierre Barbet giunto a quasi 4 minuti, mentre il terzo Julien Magnin ha beccato ben 11 minuti dal vincitore.

Villefranche si è rifatta in campo femminile, dove il livello tecnico non eccezionale ha permesso la vittoria  di una “enfant du cru” (la stessa parola che si usa per il vigneto e il luogo di produzione del vino!), Vanessa Corgier, che ha prevalso in 03:14:26, due minuti abbondanti prima di Roxanne Galarneau e 7 su Elena Hodieux.

Nella 13 km, di buon livello i tempi del vincitore Flavien Coindard (43:33), e della prima donna, Charlyne Buquet (51:22).
Faccio notare che una parte del percorso (per noi maratoneti stimerei intorno ai 12/14 km) era su fondo naturale, reso in parte scivoloso dalla pioggia caduta per tutta la notte: per chi volesse un termine di paragone italico, indicherei le ecomaratone in zona Chianti (Castelnuovo della Berardenga o Gaiole); per chi ha girato l’Europa, suggerirei Monschau presso Aachen (D), che piaceva tanto al leggendario Beppe Togni da Lumezzane: castelli o villaggetti in cima alle colline, da ridiscendere lungo i filari delle vigne (che qui sono tenute bassissime, a mezzo metro da terra: e qualche buona ragione ci sarà, vista l’eccellenza del prodotto).

Gara in linea, la 42 (a differenza delle altre, ad anello), e questo ha comportato una logistica complicata quanto ferrea: il centro maratona, con parcheggio e un’ampia Expo che ha messo a tavola duemila persone, è situato all’estremo opposto della città (circa 4 km) rispetto al luogo di arrivo, ristoro e recupero borse: il che ha richiesto un servizio di navette continuato, dalla stazione ferroviaria (a sua volta distante circa un km dagli arrivi) al quartiere fieristico-industriale. Ma prima è stata necessaria una lunga teoria di pullman, dalle 6,30 in poi (faceva un buio tanto profondo che mi sono chiesto se il sole sarebbe davvero sorto!) per trasportare noi della lunga fino al villaggio di partenza di Fleurie, grosso modo a 30 km, o per l’esattezza alla grande palestra scolastica in periferia, dove abbiamo atteso (confortati dall’offerta di vino e altri generi) quasi un paio d’ore prima di uscire per il centro del paesone, sotto la chiesa, dove il parroco ci fotografava.

E devo assegnare a Fleurie il record mondiale quanto a disponibilità di toilettes in zona partenza: non tanto le “toi toi” mobili, spesso maleodoranti e senz’acqua, cui dobbiamo adattarci salvo ricorrere per urgenze ai cespugli, ma dei veri gabinetti in muratura, con acqua corrente, wc in piena regola e fornitissimi di carta igienica, all’interno di scuole o altre strutture. Non esagero se dico di averne incontrate una decina nel tragitto dalla palestra allo striscione di partenza. Honni soit qui pisse à la belle étoile.

Il percorso è, come avrete capito dai paragoni, bellissimo: una piacevole discesa dalla collina di Fleurie consente di scaldare i muscoli (c’erano 6 gradi alla partenza, un tiepido sole è apparso a tratti dopo un’oretta), prima di affrontare le salitine sterrate che ci portano ai vari castelli, generalmente da attraversare percorrendo i parchi poi salendo o scendendo nelle cantine dove in genere sono allestiti ristori: onnipresente il vino, ma non mancano acqua, frutta fresca e secca, crackers, formaggi, salame, torte ecc.

Dato il clima, avrei gradito anche qualcosa di caldo, ma l’ho visto solo al traguardo (non escludo che ce ne fosse prima, ma i ristori erano talmente affollati, a volte con muraglie umane davanti, e cercavo programmaticamente di attingere solo dove potessi mettere le mani alla svelta). A proposito di mani, qui le ridicole misure anti-covid di non venerata memoria sono ignote: sulle navette, zero mascherine, e ai ristori, ognuno pescava self tra i pezzetti di banana o di prugne secche ecc. Ci ammaleremo tutti? Qualcuno ce lo augurerà, sperando in Speranza e appoggiandosi al pensiero unico Gruber-Fazioso.

A proposito: a 500 metri dal traguardo per noi c’era perfino un complesso sportivo con docce e due piscine, a libera disposizione. Se le docce per la Francia maratonica sono una rarità, quanto alle piscine, non avendo io la cuffia, il custode mi ha detto di prenderne una, già bagnata, che stava in un cestone: chi l’ha usata prima di me, avrà avuto il Covid? E chissenefrega, mi permetto di dire.

I ristori ufficiali sono 9, ma la mia impressione è che fossero di più, anche senza contare quelli privati idro-enoici. Volendo fare una corsa seria, mi ero ripromesso di bere vino solo dopo il km 35, quando ormai les jeux sont faits; ma al ristoro del 7, scegliendo in fretta tra tanti bicchieri con liquidi dalle colorazioni diverse, ne ho preso uno color rosa pallido, immaginando qualcosa di simile al gatorade. Mannaggia, era vin rosé; ma ormai stavo pedalando fuori, e la scelta era tra dissetarsi o patire la sete. Ho bevuto, pudicamente gettando a terra l’ultimo dito di vino.

Ho mantenuto l’astinenza alcolica fino al km 15, quando per mandare giù il formaggio ho piluccato un minibicchiere di rosso. Poco dopo mi hanno raggiunto due giovani francesi, e tra una chiacchiera e l’altra sui 6:30 a km (combien de marathons? Incroyable! nous esperons d’arriver à ton age en courant comme toi…) gli ho svelato la mia cadenza di un goccetto ogni 7 km. E siamo arrivati al 22 con un ristoro: Alors c’est ton moment! Ma questa volta ho declinato: poco dopo, accettando acqua fresca da un bambino piccolo, cui mi sono presentato come ton grand-père adjoint.

Il vino successivo solo al 35, castello Talancé dove mi sento di muovere l’unica critica al tracciatore del percorso: nel cortile, un bivio, coi cartelli “marathon” che danno sia a sinistra (verso l’entrata del castello) sia a destra, dove in effetti c’è un flusso di corridori piuttosto veloce. Secondo la prassi, scelgo la direzione del castello, dove però mi trovo in un androne di una trentina di metri al cui termine c’è una scaletta con grande ammassamento davanti a una porticina. Alcuni colleghi podisti fanno dietrofront tornando in cortile e da lì verso il flusso che continua; io decido di non rovinare una corsa tutta nel rispetto delle regole con una deviazione che magari mi fa guadagnare tre minuti (mi viene in mente Nashville, col suo avant-indree di un km che da noi sarebbe una goduria per i cacciatori di tacche), e finisco, dopo una scala fatta in fila indiana, nel ristoro tra le botti di vino. Qui mi rifaccio, col terzo bicchiere (che sarà l’ultimo fino al traguardo), poi seguendo la coda e la prassi mi ritrovo fuori, nel flusso ‘regolare’. Nonostante tutto, i cronometraggi ufficiali attestano che negli ultimi 12 km ho recuperato 9 posizioni ☹

I mezzimaratoneti, che corrono al doppio di noi, riconoscendo il nostro pettorale ci fanno i complimenti (che non meritiamo, salvo la fatica ormai accumulata in più di 4 ore), e si Dieu le veut ci si butta sull’ultima discesa: altri saliscendi che ci illudiamo si concludano davanti alla chiesa di Villefranche, invece c’è una curva a destra e un altro mezzo km (ma la distanza è giusta, i gps stanno intorno ai 42,5 dunque va bene). Attenzione al traguardo: ti mettono addosso un telo, ma la medaglia (in realtà, una tazza da tastevin munita di collare) te la devi cercare sul tavolo di una anonima madame a sinistra. Altra curva ad angolo retto, e arrivi nel seminterrato del mercato coperto, dove da deliziosi bambini ricevi la sacca consegnata ai camion di Fleurie, e subito dopo trovi il ristoro finale con tante caraffe dai vari colori… Comincio con le due gialle, una di tè l’altra di brodo caldo; ma poi punto decisamente sull’erogazione di vin chaud, rosso e speziato, mangiandoci su un po’ di tutto.
Ampia disponibilità di sedie per cambiarsi, poi per chi lo desidera comincia la ricerca della doccia con piscina, a fianco della partenza e della riconsegna borse per quelli della 21 e della 13 (dove a mezzogiorno si era svolta anche una preghiera del podista officiata da un prete vestito da corsa all’insegna del prier chanter courir).

Tutto ok, salvo che i 26 gradi della piscina mi sembrano pochi… Lì ritrovo i due più bravi tra i coscritti del Club Supermarathon con cui ho viaggiato e alloggiato: il grande Gian Battista Torelli, M 65 dal palmarès di ultramaratone, ultratrail, triatlon in tutto il globo da paura (quest’anno 3h42 alla maratona di Rimini, 3h46 a Milano, ma si stava riposando), qui terzo di categoria in 4h09; e Gianni Baldini, viterbese giramondo mistico, più volte su queste pagine, che con me condivide la passione sterminata per la Jungfrau Marathon, ma sta progettando ultramaratone siberiane, himalayane ecc.: qui ha chiuso in 4.26, correndo col cappello a cilindro.

Dopo pausa adeguata, non resta che cercare le navette per l’Expo, risalendo l’onda incessante degli arrivi (la 13 km è partita alle 14, la chiusura per tutti è fissata alle 16 ma con ampia tolleranza) e sottoponendosi alle inevitabili code sebbene i bus siano letteralmente uno dietro l’altro.

Ci aspetta il secondo dei due pasta-party all’Expo: tutto sommato, era stato modesto quello della vigilia, con “soli” 600 coperti; grandioso quello del dopogara, dove a mangiare, bere, ballare e fare casino (con ovvie ricadute nel kitsch) sono in duemila, e le cameriere hanno un bel daffare per servire antipasti, primi, secondi, dolce, vino a fiumi, sotto la musica a palla (il kitsch canoro oscilla tra Obballacciao e Po-poporoppopoppo-po) e i caroselli dei ballerini ad alto tasso alcolico (ma alcune ballerine sono decisamente agréables). Pazienza, è compreso nel prezzo, di un evento comunque memorabile.

Come accennato, la mia trasferta si è svolta sotto la bandiera del Club Supermarathon Italia, che in un pullman da Milano è riuscito a raccogliere 24 maratoneti (su 27 italiani presenti in totale alla 42 km) e 3 cimentatisi sui 13 km: le doti organizzative di Paolo Gino (qui la sua cronaca, comprensiva di link alle classifiche: https://www.clubsupermarathon.it/2022/11/beaujolais-cest-magnifique/ ) si sono sommate a quelle di Enzo Caporaso (oggi chaperon delle due gemelle genovesi Carlini, F 55, che hanno esordito in maratona), e sposate ai droni di Filippo Carugati, ai conteggi ragionieristici di Massimo Faleo e al chiassoso entusiasmo di Sergio Tempera (l’arrotino che non sempre arriva alle sue doònneee) hanno prodotto una logistica perfetta e financo generosa, oltre a un diluvio videofotografico inaudito. Ci hanno promesso altri contributi, prossimamente su questa rete.

Paestum (SA), 6 novembre – Era la seconda edizione dell’evento, dopo l’esordio del 7 novembre 2021 (https://podisti.net/index.php/component/k2/item/7978-07-11-2021-pestum-sa-1-paestum-marathon.html), sempre con l’organizzazione della Libertas Agropoli dell’attivissimo Roberto Funicello, cui fanno capo varie altre manifestazioni tra cui la mezza di Paestum e il giro a tappe del Cilento.

In una domenica dedicata dai media alla maratona di New York, e contrassegnata a casa nostra dalle maratone di Torino e Verbania, dalla 50km di Salsomaggiore e da una gran quantità di mezze, il Sud aveva da offrire questo tris di gare, che aveva raccolto 1146 iscrizioni. La maratona ha portato i classificati dai 113 dell’anno scorso ai 147 di oggi (su 161 iscritti); la mezza è salita da 474 a 511 arrivati, e la 10 km ha segnato 403 arrivati contro i 338 del 2021: per un totale dunque di 1061 contro 925 giunti sotto il tempio di Nettuno.

Per una maratona non sono grandi numeri, ma superare i cinquecento finisher della mezza è un risultato interessante a livello nazionale (lo scrive un emiliano abituato a leggere canti di vittoria quando alle 21 competitive ci sono trecento partecipanti): tanto più che la gara si svolge in un piccolo centro (nemmeno capoluogo di comunale), rinomato per i suoi eccezionali monumenti greco-romani, ma abbastanza scomodo da raggiungere coi mezzi pubblici (sono decisamente pochi i treni di lunga percorrenza che si fermano alla stazione, collocata davanti a un ingresso della zona archeologica).

La maratona è stata vinta da Youssef Aich, trentacinquenne tesserato per “Il Laghetto” di Napoli, vincitore nel 2019 della maratona di Carrara (con 2.24:35), e terzo qui l’anno scorso nella maratonina: che davanti al Tempio ha chiuso in 2.28:55 (12 secondi in più del vincitore 2021, Armando Ruggero che quest’anno si è cimentato nella mezza, arrivando secondo). Come l’anno scorso, il posto d’onore è toccato all’ex azzurro (presente alle olimpiadi di Atene del 2004, e vincitore della maratona di Roma 2005) Alberico Di Cecco, che da quarantottenne sigla un rispettabile 2.41:53; terzo Giovanni Marchitiello in 2.45:40.

Corsa ugualmente solitaria in campo femminile, dominata dalla 44enne pugliese Damiana Monfreda, settima assoluta in 3.04:07, e prima donna con tredici minuti su Francesca Angelini, e diciassette sulla terza, Monica Alfano.

I tempi piuttosto modesti si spiegano anche col forte vento da nord, che ha ostacolato i corridori nei due tratti ascendenti, dalla partenza fino al km 9, poi di nuovo dal 16 al 22 e dal 34 al 40, mentre sui tratti discendenti, svoltisi più o meno sul lungomare, spirava una brezza quasi impercettibile.

Sul giro unico della maratonina ha bissato il successo del 2021 Gilio Iannone in 1.09:35, davanti al già citato Ruggiero (1.10:06), e, più staccato, Mohamed Zouioula. Distacco abissale tra le donne, dove Luz Nadine De La Cruz con 1.22:42 ha inflitto 7 minuti a Martina Del Rosso e otto a Teresa Stellato.

Sul percorso più breve dei 10 km si sono affermati Giorgio Mario Nigro in 33:03 e Rosanna Pacella in 41:17.

Quanto alle impressioni del sottoscritto, dirò che mi ero deciso per questa gara perché “mi mancava” (a differenza delle più titolate in contemporanea), e per rivedere luoghi già frequentati in altre competizioni, usufruendo di uno squisito anfitrione come Valentino Ristallo, mezzo pestano (rectius: capaccese-agropolitano) e mezzo modenese, che torna sempre volentieri nella sua terra d’origine (e, s’intende, ha corso la mezza appena sopra le due ore: vedere foto 132 e 159 di S. Scotto Pagliara). Grazie a lui, mi è stata permessa una visita fuori orario, all’imbrunire, del parco archeologico; e dopo la gara, l’ammissione in una doccia calda (non prevista dall’organizzazione) nello stupendo parco di un resort a un km dal traguardo.

Per fortuna, dopo la pioggia della notte, la domenica è stata soleggiata ma non calda (giusta da mezzemaniche); il mare mosso non invitava certo a un tuffo ristoratore, e ci siamo accontentati di rimirarlo dall’ottimo marciapiedi di recente sistemazione, nei 5+5 km tra i lidi di Laura e Licinella. Lì mi hanno superato, nel secondo giro, gli allegri pacer delle 4h15, che scherzavano confrontando l’ineguagliabile ospitalità del sud con la freddezza nordica: notare che lei è Lisa Magnago, romana di origini altoatesine, e lui è Maurizio Colletti da Renazzo di Ferrara, che forse stavano provocando un loro ospite targato Runners Bergamo…

Anche Michele Rizzitelli dalle mille e più maratone mi supera: nessuna discussione, in maratona è il MERITO che viene premiato, e nessun politicante da strapazzo tirerebbe fuori don Milani per spiegare i danni psichici che subirà chi arriva dietro, o per invocare una classifica con lo stesso tempo per tutti (beninteso, il tempo degli ultimi). Semmai, del mio de-merito potrei incolpare un certo accumulo di grassi, e forse farei bene a rivolgermi a quei certi istruttori delle ‘farfalle’ contro cui adesso tutti mostrano sdegno (a cominciare dai principi dei luogocomunisti grami, Grasso e Gramellini del Corrierone), ma che a me darebbero una strigliata dura quanto salutare. Che se poi il pietismo politicamente corretto dovesse rivolgersi agli allenatori del passato, povero Nereo Rocco, che ai suoi giocatori diceva “ti xè tanto mona che na volta al mese te vien fora el sangue dal naso” (e più recentemente, ne ha fatto le spese il mio scolaro Giuseppe Tassi, eccellente caporedattore sportivo del “Carlino”, rimosso per aver messo nel titolo un elogio a quelle che incautamente definì “ciccione”).

C’è poco da dire, in maratona ogni kg di grasso in più, per uno della mia stazza, significa due minuti e mezzo in più (fonte: Luca De Ponti, 100 consigli per correre meglio, Edizioni Correre, p. 54), e bisogna fare delle scelte: o il cronometro, o gli spaghettoni aglio-olio-peperoncino e i cavatelli serviti nel Bistrò 73 di Paestum, la sera prima della gara vicino al km 41 (con bis nel dopogara). Per ora, punto sulla seconda opzione (quella delle foto 37 e 38 https://podistinet.zenfolio.com/p552284940 ), fin che non mi trasferirò a Desio per mettermi sotto regime e… battere Rizzitelli.

Poi, c’è una malattia da cui nessun allenatore può guarirti, la vecchiaia: che almeno in questa occasione mi garantisce il secondo posto di categoria, e in hotel mi esenta dal pagamento della tassa di soggiorno. Qualcuno è disposto a far cambio?

Tornando alla gara, dirò del buon servizio di toilette e custodia bagagli in zona partenza; della chiusura al traffico assoluta almeno fino alla zona stazione nel secondo giro (cioè dopo il km 35); dei ristori di sola acqua, regolari e abbondanti fino al km 28, quando sono comparse anche banane e gatorade. Il ristoro finale invece pare sia stato appannaggio soprattutto dei mezzimaratoneti (così ho sentito dire dagli addetti, di fronte al tavolo vuoto), e per noi che arrivavamo ben dopo le 4 ore c’era solo un boccione di gatorade (più il glorioso chinotto Neri, più spaghetti, pomodori pelati e l'immancabile flacone di gel igienizzante nel pacco gara); abbondanti, oltre i nostri meriti, le premiazioni di categoria. E su tutto, la cordialità di Funicello, Ristallo e compagni.

Il sole si avvia al tramonto sul mare quando ci dirigiamo alla vicina stazione per il rientro al nord: i treni, come già nell’andata, sono tutti in ritardo, mettendo a rischio le coincidenze di Maurizio e Lisa che ritrovo sulla banchina (foto 8 e 9 del servizio appena citato): ma, per la legge delle reazioni a catena, sono in ritardo anche i treni coincidenti e quindi la sfanghiamo tutti, non senza aver buttato soldi reali o virtuali nelle macchinette dei caffè o dei panini che abbastanza abitualmente incassano senza darti il corrispettivo. E’ l’Italia, bellezza.

 

 

Martedì, 01 Novembre 2022 23:21

Bondeno (FE), 29^ Na spadzada par Bunden

1° novembre – Ai confini tra le province di Ferrara, Modena e Mantova, a pochi km da quella  Vigarano sede di tante gloriose maratone, attraversata da fiumi e canali di bonifica (ma il ponte principale sul Panaro, in centro, è ridotto al solo passaggio pedonale come in foto 7, costringendo le auto a deviazioni chilometriche), Bondeno ha messo in piedi quest’anno due competitive di buon livello: la prima, al suo esordio in aprile nella vicina frazione di Zerbinate (http://podisti.net/index.php/cronache/item/8575-zerbinate-di-bondeno-fe-1-trofeo-generalkoll.html ), questa invece una classica, dal nome in dialetto (“passeggiata”)  come usava nel podismo dei tempi eroici, aperta anche ai non competitivi e preceduta da una lunga serie di competizioni giovanili su distanze variabili dai 300 ai 2500 metri: il tutto, regolato dalla voce di Michele Marescalchi (foto 10 e 13), quasi un enfant du pays sebbene residente da decenni a Bologna.

Alla competitiva sui 9,2 km, piuttosto nervosi con curve secche all’interno della cittadina, due km sull’argine sinistro del Panaro e prevalenza di piste ciclabili, talora un po’ accidentate, hanno preso parte 140 atleti di cui 28 donne (esattamente il 20%, quantità abbastanza bassa).

Il gentil sesso ha visto una gara a due risolta a favore della 38enne plurititolata Giulia Bellini (Corriferrara), che con 37:39 si è piazzata 43^ assoluta (a testimonianza di una qualità dei concorrenti maschi nettamente superiore), e prima donna con 43 secondi su Eleonora Grieco, 31enne della Polisportiva Nonantola, cullata a distanza dal suo talent-scout e allenatore Lorenzo Calza, in gara pure lui (37:20).

Più staccate le altre, regolate da una delle più anziane in gara (ma non dimostra affatto l’età, tanto meno in corsa), la dottoressa dietologa Chiara Mezzetti, tesserata Modena Runners e poco avanti alla compagna di squadra Simona Bedeschi, quarta (42:01 contro 42:42; entrambe in foto 29).

Tempi ‘lussuosi’ tra gli uomini, dove ha primeggiato Rachid Draoua, 28enne marocchino in forza alla Salcus di Occhiobello (RO), per la quale ha vinto poche settimane fa le prime due tappe della campestre Città di Ferrara: il suo 29:24 gli ha dato però un margine di soli 6” sul secondo, Luca De Francesco, quarantenne dei Modena Runners, che anche in questo caso ha preceduto un compagno di squadra, Giuseppe Castiello (30:02; foto 28).

Modena Runners, dunque, primi in una ideale classifica a punti che tenesse conto dei piazzamenti: sugli scudi anche il presidente Alberto Cattini, del 77, terzo dei suoi in 36:01 (foto 26). Curiosando tra le classifiche, noto che il più anziano in gara, il 75enne Gianni Felloni (Faro), è 85° con 44:44, dunque sotto i 5’/km; meglio di lui il 68enne Gianni Albertini (Centese) con 41:49. Se questi rientrano nelle categorie dei “fragili”, siamo a posto.

Tra le donne, la più “fragile”, Rossella Carletti da Vigarano, pure 68enne, mi è arrivata dietro per una manciata di secondi, mentre ero impegnato al massimo nello sprint da una Cristina di Calderara che ha l’età di mia figlia.

A fronte di 10 € d’iscrizione per i competitivi, ci è toccata una bottiglia di Sangiovese, mezzo kg di pasta e una zucca (sic), cui i meglio piazzati delle 8 categorie maschili e 7 femminili (categorie un po’ tirchie per gli anziani, intruppando in un solo gruppo le signore over 40 e i signori over 52) hanno aggiunto notevoli ceste alimentari.

C’è tempo per uno scambio di opinioni con Claudio Morselli dei Pico Runners, sul destino della classica Sgambada, prototipo delle “maratone popolari” come le si chiamavano nel secolo scorso, e su talune vicende più o meno edificanti del podismo fighetto del nostro tempo. Tiriamo avanti alla giornata, Bondeno è stato un piccolo ma bel momento.

 

Domenica, 30 Ottobre 2022 15:21

Cittanova (MO): lo sport più forte del rave?

30 ottobre – Stranamente, il traffico lungo la via Emilia ovest verso Cittanova, alle 8,15 di questa domenica mattina, denotava un affollamento anomalo. Troppo presto per addebitarlo alla fiera Skipass, un po’ in tono minore visto il sole implacabile che ha vietato ogni allestimento con neve, qui e in quota.

Allora perché? Di solito, succede quando l’autostrada è bloccata; e in effetti, i notiziari e internet annunciano la chiusura di tutti i caselli A1 e A 22, compreso quello di Campogalliano dove Bonaccini sta meditando se candidarsi o no a Tovarish-Gospod-Ociciornia nazionale: proprio a Cittanova, in uno dei tanti capannoni abbandonati di quest’era postindustriale (si sa, piuttosto che produrre, costa meno importare la roba dalla Cina, in attesa che la Cina ci paghi lei il reddito di cittadinanza), è in corso da ieri sera un rave-party, con almeno 3500 partecipanti che sembra siano in aumento. Un elicottero volteggia qui sopra, la Rai ha scomodato addirittura un corrispondente da Piacenza, mentre la principale tv locale ha spedito sul posto la sua principale bellezza, che osa avvicinare le proprie sublimi fattezze da neosposa a queste sozzerie.
Il neo ministro dell’Interno, che al tempo del Covid non era troppo condiscendente con noi podisti, a ben maggior ragione ha dato ordine alla prefetta di Modena di interrompere subito.
La pacchia è finita, insomma? Speriamo non sia solo uno slogan. Scelba usava gli idranti, io pure li userei, ma riempiendoli del materiale semiliquido che si ricava dalle tante stalle e porcilaie in zona. Per non farci mancare niente, ieri pomeriggio in zona stadio è scoppiata la guerriglia urbana tra i tifosi marocchini che guardavano al maxischermo la loro squadra del cuore, e i tifosi modenesi che usciti dalla partita del Modena sono stati bersagliati dai suddetti (pare) con razzi. Viva l’accoglienza, sempre!

Nel frattempo, riusciamo ad arrivare a Cittanova, zona ex scuole, per la 28^ edizione della corsa gestita come sempre da Peppino Valentini, e dedicata alla memoria di Mauro Zavatta, re degli storici pullman per avventurose destinazioni maratoniche. Salvo che stavolta è tutto non competitivo, su distanze che dopo qualche oscillazione testimoniata dai volantini sono state fissate in 4, 9 e 14 km, con partenza ufficiale alle 9 ma via libera facoltativo dalle 8,30.

Molti sbandieratori ci indirizzano ai vari miniparcheggi ricavati in zona (a me ne tocca uno a mezzo km), la voce di Lupo incanala verso la partenza, come al solito in direzione sud cioè in senso opposto al rave. Sarà, come scrive Giangi (tesserato Cittanova, ma in fuga termale verso Monticelli PR) che la corsa è “orrenda” (io dico che sono più orrende certe corse ai margini del centro storico a Modena, e non è certo più bella la corsa di Rubiera che si celebra a pochi km), eppure molti di noi l’hanno scelta per rifinire la condizione in vista di gare più impegnative programmate posdomani, o una delle maratone di domenica prossima. Intravedo così Maurito Malavasi, Mastrolia, e l’impeccabile, scultorea figura all’olandese di Chiara Mezzetti, dietologa che ha appena riportato in piena forma Alessio Guidi (chissà se qualche suinicolo la denuncerà perché, lei tesserata Fidal, è stata in contatto con un pericoloso criminale squalificato… per doping altrui).

A occhio e croce, alla partenza ufficiale saremo in cinquecento; percorso conosciuto e non spiacevole, alla faccia di Giangi, con l’attraversamento verso metà della tenuta-modello Hombre della famiglia Panini, dove le vacche sono allevate con metodi ‘umani’ ed ecologici (e come sarebbe bello vedere schiere di autobotti di liquami partire alla volta del rave…). Qui c’è il ristoro, purtroppo solo bottigliette chiuse di acqua: uno spreco per chi le trova ancora, perché poi si esauriscono.

Grosso modo all’altezza delle altre ex scuole di Corletto (dove negli anni Sessanta, così gioiosamente rumorosi per le grida dei tanti scolaretti, insegnava la mamma dell’attuale onorevole Gualmini, insieme alla mamma di chi scrive), c’è la deviazione dei due percorsi lunghi, che si ricongiungeranno a 2 km dall’arrivo. Un po’ patetiche le due moto che precedono strombzzando fastidiosamente i primi del giro lungo: la prima moto accompagna (probabilmente) il primo dei partenti anticipati, e la seconda sta col primo dei partenti regolari. In una non competitiva (dove però le sportine-premio ai primi ci sono), che senso ha?

Italo fotografa tutti gli arrivati (poi arriverà il mix di Mandelli, che suggerisce di inserire anche una fotona dello scrivente; ma è più fotogenica la giornalista bionda); arrivati che si dirigono poi al ristoro finale di acqua e tè, se Dio vuole, in bicchieri (gestisce la famiglia Ballarini da Carpi); premio-gara alimentare, inclusi i ciccioli, oltre all'immancabile boccetta di gel igienizzante, distribuito dal mio ex rivale Verzoni, a fronte di un pettorale da soli 2 euro. Invece (riferisce chi c'era) Giangi a Monticelli, dopo aver pagato 3 euro d'iscrizione, accortosi che al ristoro finale c'era solo acqua, ha dato degli st** agli addetti. Chi lascia la via vecchia per la nuova...

Ce l’abbiamo fatta, e la ripartenza da Cittanova sarà un pochino meno trafficata del nostro arrivo due ore prima. Piantedosi, qui si parrà la tua nobilitate: non piantarti proprio adesso.

 

PS del 31.10, ore 19. Alle 12 di oggi lunedì, il rave-party è stato ufficialmente sciolto e gli occupanti (in buona parte identificati dalle forze dell'ordine) hanno abbandonato alla spicciolata l'area, che a sera è definitivamente sgombra. Cfr. https://www.ansa.it/emiliaromagna/notizie/2022/10/31/rave-party-a-modena-larea-e-stata-sgomberata.-apposti-si-sigilli-identificate-oltre-1.300-persone_258c0a72-a8f5-4bc7-bb64-d35989b998e4.html. Come scriveva Pasolini nel suo ultimo articolo, scritto due settimane prima di essere ucciso, "Bisogna ammettere una volta per sempre il fallimento della tolleranza. Che è stata una falsa tolleranza e una delle cause più rilevanti nella degenerazione delle masse dei giovani". 

 

16 ottobre – La notizia rimbalzata dai media è il successo femminile della trentenne etiope Almaz Ayana, campionessa olimpica a Rio nei diecimila metri, poi passata attraverso infiniti guai alle ginocchia, operata in Svizzera, per di più neo-mamma, ed ora al suo esordio nella maratona col botto, con un tempo che potremmo dire da maschi, 2:17:22, settimo di sempre al mondo, e miglior tempo per un’atleta alla sua prima volta. Podio donne interamente etiope, con Genzebe Dibaba in 2:18:05 e Tsehay Gemechu in 2:18:59, tutte al loro esordio sui 42 km.

Di minor rilievo (se così si può dire: ma in Italia suonerebbero l’orchestra con tutte le grancasse disponibili) il successo maschile dell’altro etiope, il 25enne Tsegaye Getachew, primo in 2:04:49 davanti di 5 secondi al keniano Titus Kipruto e di 8 secondi all’altro etiope, Barezew Asomare: i primi cinque sono giunti in un fazzoletto di 16 secondi.

Ben 12654 i classificati (su 18mila iscritti, con numero chiuso: il doppio del 2021 quando finirono in 6612); aggiungiamo i 14623 classificati nella mezza (partita tre ore dopo) e i 4030 negli 8 km. Insomma, trentunomila che hanno corso per le strade e lungo i canali di questa città bellissima, organizzatissima, e che ora si porta all’avanguardia anche per lo sport di lunga lena (togliendo lo scettro a Rotterdam, celebrata negli anni Novanta per i suoi record), in una felice combinazione tra la storia sportiva e l’attualità.

Favoloso ritrovarsi nel quartiere delle olimpiadi del 1928, le prime cui furono ammesse le donne (e le ginnaste italiane vinsero l’argento nel concorso a squadre, forse nella palestra dove oggi era allestita l’Expo; magari la stessa dove il ginnasta riminese Romeo Neri ebbe l’argento alla sbarra, e oggi gli organizzatori ravennati presentano le “six majors” dell’Emilia Romagna); da brividi entrare per la partenza nello stadio olimpico, sovrastato dalla torre che da quei tempi si chiama, in tutto il mondo, “di Maratona”, e dalla lapide coi cinque cerchi e i tre avverbi di De Coubertin, “citius altius fortius”.

In quelle olimpiadi Nurmi vinse i 10mila, nella piscina Johnny Weismuller prese due ori prima di diventare il Tarzan cinematografico; e un giovane segretario occhialuto della Federcalcio, certo Pozzo Vittorio, portò una squadretta di ragazzotti quasi sconosciuti a giocare, vadi come vadi. La formazione cominciava con Combi, Rosetta, Caligaris, Ferraris IV, Fulvio Bernardini e così via, fino ai due attaccanti, il genoano Levratto che spaccava le reti, e Anzlen Schiavio da Bologna. Presero “solo” il bronzo, eliminati dall’Uruguay campione olimpico e mondiale; ma sei anni dopo divennero campioni del mondo.

Pensando a queste cose (un po’ meno al fatto che nella maratona olimpica 1928, dei 4 italiani solo uno la finì, Giuseppe Ferrera 34° in 2.53) sono entrato coi lucciconi nel prato erboso, in paziente attesa che, dopo 26 minuti dallo sparo, toccasse anche al mio gruppo “verde” di partire lungo la pista dove poi saremmo arrivati, quando si poteva.

Tanto, c’è il chip, e l’unica classifica che conta è il “realtime”: quando le beghine federali nostrane lo capiranno, forse meriteranno di avere trentunomila partecipanti, tutti in grado di andare a medaglia anche se partono per ultimi. (E aggiungo: qui ci si iscrive con nome e cognome, senza gli esosi e costosi certificati, e magari pure le Runcard, d’obbligo da noi; e il greenpass è aggeggio sconosciuto, come le mascherine. Chi ha orecchie da intendere, intenda).

Un km di lancio, poi si entra nel bellissimo Vandelpark (sembra quasi di essere a Parigi), 3 km tra aceri, platani e pioppi dai colori autunnali; sbucando nientemeno che nel passaggio tra le due ali del Rijksmuseum, una delle tre o quattro collezioni di pittura più importanti al mondo, dove gli autoritratti di Van Gogh e Rembrandt stanno lì a mostrare i limiti che la pittura non potrà MAI superare. Purtroppo il percorso non ci porta nel centro storico (quello che ha ben meritato ad Amsterdam l’appellativo di “Venezia del Nord”), ma verso sud, per un primo avant-indree ai km 6-9, poi costeggiando canali fino allo sbocco del km 14 nella stupenda riva sinistra dell’Amstel, sinuosa, ombreggiata, contornata da prati dove pascolano cavalli (e dall’altra riva, mucche e pecore), coi vogatori e gli acrobati in acqua. Controlli chip frequentissimi, che ci danno i tempi ogni 5 km (da casa, Roberto Mandelli segue e messaggia e commenta), e ci slumano anche più spesso, nell’improbabile caso che qualche italico pensasse di essere alle Cascine e passare sotto la fettuccia per guadagnare un par di hilometri.

Dopo tre anni di regole e regolette e fuffa pseudosanitaria, rivedo le banane sbucciate, liberamente disponibili ai ristori, e dopo ogni ristoro le spugne, inzuppatissime e tanto belle che due me le porterò al traguardo per riusarle in Italia quando ci ridiranno che il covid proibisce le spugne. C’è anche musica, e la più gradita alle orecchie è quella degli organini a manovella, che sebbene caricati con musiche tipo “La stangata”, riportano la mente agli organetti di barberìa dell’epoca crepuscolare.

Al km 19,5 si sale sul “ponte della Vecchia Chiesa” (il più elevato dei tanti, che fatalmente ci toccano: siamo o no a Venezia?) e si passa sull’altra riva, ugualmente pittoresca, dove ingaggio una placida battaglia con due “bitches” londinesi, tutte in nero; poi con un tale la cui maglietta recita "Run. Eat. Sleep. Smoke. / Repeat". Si esce dall’Amstel al km 25, e confesso che i 3-4 km seguenti sono quelli che mi piacciono meno (sembra di essere a Brooklyn, ma senza gente ai lati degli stradoni).

Si devia verso destra arrivando quasi al mare, poi al km 35 ritroviamo gli amici canali, indi il Rijksmuseum e il parco Vandel. Qui, noi sfiatati maratoneti che tentiamo di accodarci ai pacer delle 4.30 o successivi (un trio di pacer ogni 10 minuti di tempo prefissato!), siamo superati in tromba dai più veloci dei mezzimaratoneti: i km segnano, con lieve sfasatura, 18/39, 19/40 e via dicendo. Cresce il clamore della folla, un’ultima curva a destra, la torre, le scritte decoubertiniane… Per fortuna, quelli dei 21 sono fermati appena entrati nello stadio, il loro sprint non fa sfigurare noi cui restano gli ultimi 150 metri di pista in solitaria.

Il tempo del tabellone non conta niente, per ognuno c’è il cronometraggio istantaneo individuale, e poi un percorso guidato che ci accompagna verso la medaglia, il ristoro (qui mi imbatto nella campionessa dei 21, la bellissima Kiara attorniata dai media, e che Mandelli promuove subito a cover-girl), il ritiro delle borse (sistemate secondo un metodo che dovrebbero imparare anche da noi, non basato sul numero di pettorale ma su una lettera alfabetica e una cifra attribuite alla consegna, e che ora ci indirizza esattamente alla tenda della riconsegna: T 384, più facile di così?).

Con tutta calma, ci rivestiamo (l’unico punto in meno che assegno ad Amsterdam, rispetto a Berlino che notoriamente rappresenta la perfezione, è che qui non c’è né la doppia birra né il massaggio né la doccia per tutti), poi ci dirigiamo verso la metropolitana, la meravigliosa metropolitana di Amsterdam, che a migliaia ci riporta verso case e alberghi e quei grattacieli che sembrano dei Lego tanto hanno forme bizzarre. E’ uno spettacolo anche il rientro, e si vorrebbe ricominciare subito.

S. Anna Pelago (MO), 8 ottobre – Conclusione davvero degna, in una fresca ma soleggiata mattina di ottobre quasi al confine tra Emilia e Toscana, del Circuito Trail nei Parchi dell’Emilia, tre gare modenesi e una reggiana, disputato in 4 prove dal 9 aprile (Trail della Riva, 20 o 34 km ai Sassi di Roccamalatina), proseguendo il 24 luglio (Alpicella Trail, 14 o 24 km sotto il passo delle Radici), il 4 settembre (Trail della Pietra di Bismantova, Castelnovo Monti, 13, 23 o 37 km), e infine qua, attorno al Lago Santo per 16 e 29 km. Gara rivisitata rispetto a precedenti edizioni, e che trova un antenato addirittura nella “Sgroppata delle tre province”, un trail di 20 km inaugurato addirittura nel 1977 che partiva e arrivava da Rotari, costeggiando, come il percorso più lungo di oggi, il lago Santo e il lago Baccio.

Ma ai corridori di allora (in gran parte podisti da strada) il giro più lungo di oggi sarebbe sembrato spaventoso: 29 km, con un dislivello di 2000 metri ottenuto scalando, dai poco più che 1000 metri della zona di partenza, cinque cime tra i 1775 e i 1991 metri slm. E i campioni che si sono sfidati sarebbero apparsi degli autentici mostri, a cominciare dal 39enne ruandese Jean-Baptiste Simukeka (Orecchiella Garfagnana, foto 27-28), collezionista di successi o piazzamenti in maratone italiane, e qui vincitore in 2.56, un minuto e qualche secondo su David Antonioli, che ha rimontato nell’ultima discesa ma senza colmare un distacco che appariva notevolissimo a 5 km dal traguardo (lo testimonia il sottoscritto, che intento a concludere la sua 16 km si è visto superato in tromba dai due, ancora molto distaccati). Di lusso anche i nomi dei piazzati, seppure con distacchi notevoli dai due battistrada: Marco De Gasperi (il più anziano del lotto, coi suoi 45 anni), terzo a 7 minuti dal vincitore; poi Christian Modena, a un quarto d’ora, e il modenese Giulio Piana a quasi venti minuti.

Decima assoluta è la prima donna, la spagnola Anna Comet Pascua (all'arrivo nelle foto 19-20), coetanea del vincitore maschile, e che ha dominato in 3.46:35, precedendo di 22 minuti la sudtirolese Angelika Eckl (addirittura cinquantunenne), e di quasi tre quarti d’ora la 42enne modenese Giulia Botti. 145 in tutto gli arrivati (21 donne), fino alle 7h46 dell’ultima.

Sul tracciato più corto, alla prima edizione, denominato “Sentiero delle cascate” perché sfiorava una suggestiva serie di salti d’acqua (come quelli delle foto 15-16) meta di molti turisti, e quantificato in 16 km anche se i Gps hanno sentenziato 14,3 confermando peraltro i quasi 600 metri di dislivello, si è imposto Saimir Xhemalaj (28enne dei Modena Runners), non nuovo a queste imprese, in 1.06:18, esattamente un minuto meglio di Marco Rocchi (46enne della MDS), che a sua volta ha staccato di quasi due minuti il terzo, il lecchese Omar Stefani.

Tra le donne, ancora un trionfo, fra tanti, per la 54enne Gloria Marconi (La Galla) che ha avuto la meglio per solo 1’11” su Michela Tognarini (MDS) e per 3 minuti su Vittoria Vandelli. 132 i classificati, tra cui ben 42 donne: quando è arrivata la “Scopa” capitanata da Lolo Tiozzo (classe 1945, foto 6 prima della partenza, 21-22 al traguardo), per Enrico Mussini e Ginetta Palandri erano passate 2h54 sulle 3 concesse.

In 2h20 era arrivata (foto 18) una delle mie antiche maestre di podismo (oggi dedita soprattutto allo yoga), “la Cry” alias Cristina Orlandi da San Michele dei Mucchietti, che alla partenza esibiva con orgoglio il suo nipotino. Un po’ più svelto (2h05) aveva dovuto chiudere Giancarlo Greco, una volta appreso in extremis che il suo Sassuolo (cui è abbonato) giocava alle 15. Ma sì dai, calcolando due ore di viaggio, dovresti avercela fatta, anche se il risultato finale non è stato di tuo gradimento. Per tutti, una caratteristica medaglia intagliata in legno, e per i più fortunati il bacio della Miss d’arrivo Alessandra Fava (foto 17).

C’ero anch’io, con una certa cautela pensando al passato e all’immediato futuro (il Gps dice che la misura media del mio passo è stata di 75 cm), e posso dire di non aver mai visto un tracciato (primi 5 km piuttosto ‘trail’, gli altri in prevalenza su carraie e antiche strade più o meno ducali) segnato come questo: tra bandelle, frecce di mezzo metro agli alberi e arancioni sul terreno, e bolli arancioni sui sassi, dico che se ce n’era la metà sarebbe stato già abbastanza. Se posso muovere un appunto, direi che la “scorrevolezza” del percorso avrebbe potuto aprire la via all’ammissione dei non competitivi, come usava da queste parti ai tempi del Mac (intendo colui che per primo ha valorizzato podisticamente la zona di S. Anna). Invece, qua erano ammessi solo i “vidimati”, addirittura con obbligo di esibire il certificato medico sebbene le nostre tessere testimonino che il certificato già c’è. Se non altro, per chi correva i 16 non esisteva quel “materiale obbligatorio” da portarsi dietro, che a volte costituisce un motivo per esosi controlli prima e durante la gara.

Due ristori, più quello vario e abbondante al traguardo, sono decisamente il top (una settimana fa, sui 18 km di Verbania, ce n’era solo uno); notevole che al secondo ristoro, la Luana che lo gestiva (foto 12) teneva da parte due bottiglie del suo bianco per chi… le era simpatico; e al traguardo, fin che ce n’è stata, si poteva bere anche birra per mandar giù pizzette, gnocco e torte casalinghe. Non è adulazione dire che c’è la mano dell’organizzatore-capo Checco Misley di Mud&Snow, col suo staff (vedi anche foto 20) tra cui segnalo la bella ed efficiente Alessia (senza far torto ad altri).

Forse per una favorevole combinazione di orari (essendo arrivato praticamente insieme ai primi del percorso lungo, che erano partiti un'ora prima) ho trovato persino le docce calde, entrandoci subito dopo Simukeka che si è gentilmente prestato a foto en deshabillé (27-28).

Notevole, e decisamente diversa dal solito, la conduzione microfonica di Gilberto Zorat (foto 4 e 9), che spaziava dal tecnico al sentimental-metafisico (con una sola escursione pratica quando ha esortato ad “aprire il cane”, cioè aprire le portiere di un’auto al cui interno stava un cane), dirigendo sapientemente anche Fabio il cantante, talmente bravo nel proporci i classici del rock & pop che, se non l’avessi visto cantare, avrei creduto che mettesse su i dischi.

Insomma, mentre i tetri economisti e i giornalisti la cui cultura si estende al massimo ai titoli di film, insistono nel deprecare la “tempesta perfetta” che ci attornierebbe, io oso dire che questa di S. Anna è stata la giornata perfetta.

 

4 ottobre - È San Francesco, Patrono d’Italia; qualche decennio fa era festa nazionale, adesso non più (c’era da ridurre le feste per incrementare la produttività, ma salvando quelle ‘politiche’), cosicché pochi hanno in mente la ricorrenza. Pochi (al di fuori degli scolari) anche a Bologna, dove oggi si celebrerebbe il santo Patrono, e fino a una ventina d’anni fa si correva la 50 km Bologna-Zocca, ora presso che dimenticata.

Non da “Vito” Alberghini però, ultramaratoneta di lunghissimo corso, e da una vita (56 anni) panettiere a Modena, che questa ultramaratona l’ha fatta due volte, ma quasi come allenamento, rispetto ai suoi dieci “Passatore” (miglior tempo 11h15; il doppio l’ultima volta...), o alla maratona corsa in 3h09 a Ferrara sotto la guida di Gigliotti, o alla Corrida di San Geminiano in 52:37, per non dire della 100 km su 250 giri di pista (a San Romolo, sopra Sanremo)…

Ma Vito (all’anagrafe Settimo, perché tale fu, di 9 figli complessivi), e Francesco in memoria del nonno, ha un altro motivo per non dimenticare il giorno di San Francesco (come non lo dimentica la moglie Francesca, pure lei panettiera, per 12 anni titolare anche di uno stand al mercato centrale, e sposata da 52 anni): perché ogni anno, questo 4 ottobre mattina, regala un filone del suo pane ai bisognosi (abitudine che si aggiunge a quella quotidiana di donare il pane avanzato ogni sera ai poveri della vicina abbazia benedettina di San Pietro).

Lo faccio – dice al sottoscritto, vecchio compagno e rivale di corsa e di sfottò – ricordandomi di quando, bambino a Cento di Ferrara (dove stavo in via Marescalca, segno del destino per l’inevitabile incontro sulle strade coll’omonimo Michele), poi a Modena, con la mamma bussavo alle porte altrui chiedendo, non soldi, ma farina, latte, uova per farci il pane e magari lo zucchero per qualche dolcino.

A 11 anni cominciò a fare il pane professionalmente: lo ricordiamo in gran spolvero nella bottega di viale Moreali, quartiere Sant’Agnese, dove la sua iniziativa di sfornare pane, pizza e dolci (i mitici bomboloni) e altro, ogni sera alle 23,30, aveva creato una happy hour tale da provocare intasamenti per la grande affluenza di giovani, fino alle 5,30. Si è poi trasferito a poche centinaia di metri, nella via Vignolese  (seminascosto da un Conad cui i suoi clienti contendono lo smilzo parcheggio), e mantiene l’happy hour al sabato e domenica.

- Ma i ragazzi vengono anche in altri giorni; tanto, io dalle 3 sono lì a impastare e cuocere, tutti prodotti tipici modenesi, bensoni con la marmellata, amaretti, stria ripiena, pasta fresca, tortellini fatti a mano passandoci in mezzo il dito mignolo: abbiamo insegnato il mestiere  anche a nostra figlia Annalisa, e chissà che qualcuno dei nipoti non voglia metterci il ditino anche lui…

Il discorso scivola sul podismo, che è stato per decenni la nostra ragione di vita comune: ma la Nove Colli l’hai mai finita?

- No, mi ci provai una settimana dopo il Passatore, e dovetti ritirarmi al 199° km (dieci km dalla fine…), e tu mi prendevi in giro mentre correvamo la maratona di Ferrara su pista…

- Da vergognarsi! Ma ne sono stato punito: dieci giorni dopo quella maratona mi è venuta un’ulcera pazzesca. Però anche tu, non eri male quanto a sfottò: ricordi quella volta che al Giro a tappe di Carpi raggiungemmo il povero Ermete, e tu lo prendesti in giro “Non ti vergogni a farti raggiungere da uno scarso come Marri?” (che era uno sfottò a due in un colpo solo).

-Bei tempi comunque: e tu che avevi promesso di non correre mai gare dove fossi costretto a camminare...? Adesso ho messo le scarpette da parte, un po’ per il mal di schiena, molto perché mi è passata la voglia. Però appena ho smesso mi sono venute quattro ernie…

-Forse faresti bene a riprendere le corse…

Ma quest’ultima frase non la sente nemmeno: è già nel retrobottega a infarinarsi le mani. Si avvicina l’ora di chiusura, stasera niente happy hour ma ci sarà ancora qualche bisognoso cui alleviare i morsi della fame.

Buon San Francesco, Vito.

Verbania, 1° ottobre – Non ricordo mai, in oltre mezzo secolo che bazzico questo sport, un primo arrivato che termina un’ora e 50 minuti davanti al secondo (il mio defunto padre citava un nostro compatriota che agli albori del ciclismo vinse una gara lungo l’Europa con mezza giornata di vantaggio, ma col grosso sospetto che avesse corso… dietro motori). Qui ovviamente i motori non c’entravano, e il live tracking assicura che Erland Akra Eldrup, classe 1992, è un mostro, capace di prevalere negli 81 km del tracciato più lungo, con 5200 metri di dislivello e quota massima innevata a 2166 metri, in 9.24:41, mentre il secondo, Gabriele Teodorani, romagnolo classe 1985, è arrivato in 11.15:09, quasi in volata (un minuto e mezzo) sul più giovane altoatesino Thomas Eichbichler.

Al sesto posto assoluto, primo femminile, è giunta Denise Sacco in 11:55:17, quasi un’ora davanti a Giulia Zanovello; mentre terza è giunta un’altra norvegese, Maria Erichsen, dopo un’altra abbondante mezz’ora. 60 gli arrivati, di fronte a 105 iscritti: un calo rispetto agli 82 finisher del 2021, ma va notato che quest’anno c’era l’alternativa di un nuovo percorso, di 52 km +3100 D e quota massima a 1500 metri, che da 79 iscritti ne ha ritrovati 65 al traguardo.

Ha vinto Filippo Canetta in 6.13:48, con 9 minuti su Lorenzo Aimar; tra le donne, nessuna insidia per Marta Poretti prima in 7.32:49.

Confermato il percorso dei 37 km +2100 D: qui sono arrivati in 104 su 121, regolati da Alberto Pieropan in 3.43:59. La classifica dei primi 5 mostra l’internazionalità della gara: secondo a sei minuti il danese Anders Poul, terzo l’italiano Saverio Ottolini, seguito dal francese Pierre Jaoumouillé e dallo svizzero Beat Neff. Sportivamente impegnativo il cognome della vincitrice, Elena Platini (peraltro, italiana, come da famiglia originaria piemontese, 4.27:10), quasi mezz’ora sull’altra piemontese Silvia Guenzani.

Infine, i 18 km (che coincidevano col tratto finale delle altre gare), in linea da Cànnero Riviera a Verbania, sostanzialmente sul lungolago tra i 190 metri della partenza/arrivo e i 465 del punto più alto a metà gara: dislivello dichiarato di 700 metri, che secondo il mio Gps appaiono 800, ma con distanza limata a 17,250. È il percorso che ha raccolto più proseliti, 173 arrivati competitivi più 28 non competitivi: è una bella idea, da pochi organizzatori praticata, quella di accogliere anche i non competitivi, vale a dire quelli che non soggiacciono alle esose leggi italiane dei certificati medici. Noto che in classifica sono presenti ben 18 concorrenti dagli USA, moltissime donne (Catherine, Sarah, Lindsay…), che appunto non sono obbligate alle trafile medico-burocratiche nostrane: la bella biondina longilinea Erin (che potrebbe essere mia figlia) mi supera all’ingresso finale in Verbania e, anche approfittando del tracciato un po’ incerto tra lo struscio e l’aperitivo del tramonto, alla fine mi darà 26 secondi. Mi accontento di arrivare col tedescone da Stoccarda Stefan Lendermann, con cui avevamo corso a vista dall’ultima cima del km 11 fino al traguardo, fotografandoci vicendevolmente: non era giusto sprintare, e le foto mediate dall’organizzazione (un po’ carucce) ci mostrano esattamente affiancati, la mia mano destra e la sua sinistra unite, anche se la classifica ufficiale ci separa di un irrealistico secondo (portando il mio 2.52:14:39 a 2.52:15, con un arrotondamento al decimale superiore che neanche l’ufficio tasse pratica).

Ma non cerchiamo il pelo nell’uovo: in fondo, eravamo partecipi marginali di una gara di contorno, sebbene godibile e bellissima, probabilmente tutta corribile dal momento che il vincitore Luca Levati ha registrato 1.25:32, con una rimonta nel tratto in discesa se è vero che al rilevamento intermedio (ristoro del km 9, alla seconda delle tre salite principali) era 5 secondi dietro Marco Vittone, finito però solo settimo evidentemente per qualche guaio; così al posto d’onore è Paolo Boneschi, a 1’10” dal primo. Prima donna, Simona Cargnino in 1.40:41, un quarto d’ora sulla seconda, Valeria Baldoni.

Dicevo della gara in linea, l’unica non partita da Verbania ma da Cànnero Riviera, più vicina al confine svizzero, esattamente da un parco sulla riva, dedicato al walking. Trasporto su tre pullman, abbastanza stracarichi (le mascherine, ovviamente, sono un ricordo del passato), e sbarco un’abbondante ora prima del via fissato per le 16,30 in modo da consentire per le 21 (dato l’ampio tmx di 4:30 concesso) la chiusura di tutte le gare.
In realtà, ci sarà larga tolleranza, fino all’ultimo classificato degli 81 km, sopra le 18 ore cioè verso mezzanotte…; mentre le ultime tre arrivate della gara corta, tutte USA, staranno agevolmente sotto le 4 ore: la protrazione degli arrivi giustifica il fatto che al nostro finish non troviamo più la bionda e simpatica speaker che avevamo visto all’opera almeno da mezzogiorno (Mandelli l’ha voluta ricordare nel suo collage, insieme al nostro gruppo di partenti della ‘corta’ e a Cànnero vista dall’alto durante la prima salita, forse la più dura coi suoi 200 metri verticali in 2,5 km).

Percorso, come mostrano anche le foto, con larghi spazi panoramici, in parte acciottolato (e la pioggia caduta in nottata provoca qualche scivolone: peggio per me, che ho voluto portare al loro ultimo viaggio le mie scarpe ricevute come premio dopo un trail di Zoldo nel 2017), in parte scalinato, ben presidiato, e segnalatissimo con qualche falla solo nell’ultimo km (e qui, l’americana, il tedesco e l’italiano si consultano in qualche punto più problematico, risolvendo ogni cosa in pochi secondi, appena adocchiato il segnale successivo e comunque con l’occhio al cupolone del Palaconvegni).

Ci aspettano un ristoro finale molto ricco e vario, comprensivo di maccheroni al pomodoro e di un buono birra da ritirare al bar adiacente (dove, peraltro, si mangia dignitosamente a prezzi onesti); docce calde a 100 metri in linea d’aria dall’arrivo e dal parcheggio auto (grande, ma insufficiente, salvo valersi abusivamente degli spazi riservati allo staff…).

Bella esperienza, che invita ai prossimi appuntamenti in zona: con la Lago Maggiore Marathon di domenica 6 novembre, che prevede la possibilità di iscriversi a quattro distanze, 42km (da Arona a Verbania, sul percorso ritrovato della prima edizione del 16.10.2011, cui il sottoscritto era presente), 33, 21 e 10 km, anche in forma non competitiva.  Poi la Mezza dei due laghi (da Gravellona, in pratica lo sbocco a monte di Verbania) il 5 marzo 2023, e l’altra mezza da Stresa a Verbania il 14 maggio. E infine, la nuova edizione dei nostri trail.

 

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