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Gen 28, 2020 padre Pasquale Castrilli 4655volte

Suor Marie-Théo si racconta dopo la Cinque Mulini

Suor Marie-Théo al primo passaggio Suor Marie-Théo al primo passaggio Roberto Mandelli

San Vittore Olona, Cinque Mulini, domenica 26 gennaio 2020. Sulla linea di partenza un pettorale spicca tra i tanti: “suor Marie”. Uno scherzo degli organizzatori? Un anticipo del carnevale? Niente di tutto questo. Dietro al pettorale c’è una religiosa francese: Marie-Théo Puybareau Manaud. Ma chi è questa suora? Come è arrivata alla Cinque Mulini? “Sono Marie-Théo, suora Domenicana. Ci tengo al mio nome tutt’intero! - afferma - Perché dice di me, dice della mia vocazione: Marie, amata da Dio, Théo viene da Theos, in greco ‘Dio’. Chiamata a seguirlo in questa vita particolare, chiamata a vivere e narrare Dio attraverso la mia vita, a fare della mia vita un annuncio della sua Parola… Allora non si può separare Marie da Dio come non si separa Dio da Marie: Marie-Théo, tutto un programma!”. Marie-Théo appartiene alla Congregazione Romana di San Domenico. Classe 1971, vive a Roma, è tesserata con Athletica Vaticana.

Suor Marie-Théo, ti sei consacrata a Dio seguendo il cammino di san Domenico….

Figlia di San Domenico nella Congregazione Romana di San Domenico, figlia di un podista da record. Sapete quanti chilometri camminando avrà fatto Domenico nella sua vita… e perché? Per raggiungere uomini e donne, fratelli e sorelle e offrire a loro misericordia, perché bruciato dalla Parola, fiamma di verità da portare ovunque e a chiunque. A tutti i cercatori di verità e di vita. Siamo nel XIII secolo (1171-1221) tra Spagna, Francia e Italia, un’epoca di lotta e di grandi cambiamenti, un’epoca che cerca senso e soffio nuovo per tornare a vivere il Vangelo sbarazzato da tanti artifici, lotte, deviazioni.

Sei francese. Ci racconti della tua famiglia?

Sono nata 800 anni dopo san Domenico in Francia, terza ed ultima, dopo due fratelli, da papà Gérard, preside di scuola media e professore di filosofia, e mamma Thérèse, professoressa di biologia. Cresciuta tra la parrocchia, gli scout… Dopo una scolarità poco brillante, mi sono successivamente appassionata agli studi in psicomotricità. Il movimento come fonte di equilibrio, di armonia e di unità di tutta la persona. Uno sguardo alla persona nella sua unità tra corpo, anima, mente, la persona chiamata a vivere la sua bellezza in tutta la sua dimensione di essere creato e amato da Dio. Movimento, unità, dignità. Una volta diplomata, ho lavorato per un anno con ragazzi autistici prima di entrare nella vita religiosa.

 Qual è il tuo rapporto con lo sport? Quali sport hai praticato?

Da piccola mi si è sempre stata attaccata l’etichetta di sportiva.  Forse perché sempre in movimento e un po’ avventurosa! Senza mai pero essere davvero una sportiva! Ho fatto tanti anni di tennis senza mai gareggiare o neanche appartenere a qualche società sportiva. Mi piaceva nuotare ma forse più ancora giocare al sole sulla spiaggia. Ho scoperto da grande lo sci e ho scoperto sulle vette e nelle discese una fonte di gioia, un sentimento di libertà e armonia con la natura. Mi sono appassionata, ma solo per qualche anno e senza poter tanto praticare, vissuta tra la Sarthe, regione pianeggiante dell’ovest della Francia, e Parigi come studentessa. Le montagne erano lontane e lo sci è attività costosa per una studentessa!

 E la corsa, come è nata questa passione?

Varcata la porta della vita domenicana, a Roma, poi a Perugia e di nuovo Roma, giocavo di tanto in tanto a tennis. Mi ritengo fortunata e cresciuta in una vita religiosa aperta, attenta ad offrire un equilibrio di vita. La nostra maestra delle novizie ci aveva pure portate a correre allo stadio di Perugia, ma, detto tra noi, quanto mi annoiavo e stancavo a fare quei giri di pista! La corsa non era la mia passione. Ho reincontrato la corsa più che per convinzione, per condividere un’attività quasi comunitaria. Eravamo una comunità di giovani suore a Roma e ci era venuta quest’idea di andare a correre ogni tanto insieme il sabato mattina a Villa Pamphili, ma dopo mezz’ora già non vedevo l’ora di fermarmi e tornare a casa. Invece col tempo ci ho preso gusto e ho scoperto che poteva diventare uno spazio di solitudine, di distensione, di stacco, uno spazio per vivere e sentire la mia unità, per sentirmi in vita in tutta me stessa.

 

Armonia di corpo, mente, spirito…

Oggi posso dire che ho corso per non urlare o per non piangere quando si faceva più dura la strada, ho corso per non litigare con me stessa o con altri. Ho corso per sentirmi in vita, in movimento, ho corso per non pensare, per sentire solo il respiro, lo sforzo, la fatica, la vita che pulsa nel battito del cuore, ho corso per gioire, per ringraziare, per esultare, per cantare la bellezza della vita. Ho corso per felicità, da sola ma accompagnata da mille persone, famiglia, sorelle, amici. Ho corso anche per pensare, meditare, riflettere. Quante corse sono diventate fulcro di idee, ispirazione, meditazione, intuizione. Uno spazio fecondo e prezioso.

 Quando hai cominciato a gareggiare?

Un po’ per caso mi sono trovata sulla linea di partenza della mia prima gara, la Race for the cure nel 2012. Ero allora giovane priora della mia comunità di via Cassia, e dopo essermi iscritta stuzzicata da un professore dell’Istituto Saint-Dominique, ho pensato che forse avrei dovuto parlarne con la mia comunità. Non si era mai visto ancora una cosa del genere. Correre va bene, ma partecipare a gare di domenica è un’altra cosa! Timidamente, con prudenza e un po’ di paura ho chiesto cosa pensassero del fatto che io partecipassi ad una gara per la lotta contro il tumore. La risposta fu entusiasta e le mie consorelle sono state le mie prime e più fedeli tifose, sempre in attesa di sapere i miei tempi e di preoccuparsi del mio allenamento. La Race è stata la mia prima gara, senza nessuna coscienza di cosa fosse una gara, con scarpe più da camminata che da corse e per di più schierata in prima fila. Ho finito i miei 5 km in mezz’ora con l’impressione che mi scoppiasse il cuore ma con una gioiosa ebbrezza.

 E dopo, hai continuato partecipando ad altre gare?

Un inizio senza fine. Dopo i 5 km, ho provato i 10 km con la Hunger Run e dai 10 sono passata ai 13 con l’Appia Run. Poi ho pensato: adesso mi tocca la mezza maratona! Ho accolto la sfida che lanciavo a me stessa e mi sono messa al lavoro per la Roma-Ostia, tutta da sola. Una grande avventura. La mia prima Roma-Ostia finita in due ore nel 2014 è stata l’occasione di una bella meditazione mentre sudavo sodo sulla famosa salita. Mi sono venute in mente le parole di San Paolo ai Filippesi: «Io corro verso la meta per raggiungere il premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù» (3,14). E mi sono messa a pensare se la volontà che stavo impegnando, le forze che andavo a cercare dentro me per continuare fino al traguardo, potessero essere così anche per la mia sequela di Cristo. Sentire la forza, la determinazione, il desiderio, la motivazione mi dava una spinta per la mia vita di fede, per la mia vita di ogni giorno. Se ce la metti tutta per la corsa, se ce la fai a superarti per raggiungere il traguardo, per la gioia di arrivare alla fine, per la soddisfazione di sentire che ce l’hai fatta, allora la vita tua può assumere questo stesso appassionante vigore.

 C’è una gara che hai corso anche nel 2019, la Via Pacis che collega i luoghi delle grandi religioni a Roma. Sembri particolarmente legata a questa mezza maratona…

La prima edizione della Via Pacis nel 2017 è stata un’esperienza particolare. L’ho corsa con una tendinite. Da subito ho capito che avrei dovuto fare alleanza con questo dolore se volevo andare fino alla fine. Ed è stato per me una bella esperienza passare dalla lotta contro me stessa, quasi dal volere negare il dolore, all’accoglienza e all’alleanza con il dolore per trovare il ritmo nell’ascolto del mio corpo. Unirsi ed insieme continuare a correre ed è stato una bellissima vittoria. Nell’edizione della Via Pacis 2018, ho fatto l’esperienza che mi ha commossa fino alle lacrime, della sollecitudine e dell’attenzione all’altro che c’è stata nei miei confronti. Per uno stupido sbilanciamento, volendo afferrare un ristoro al volo, mi sono ritrovata per terra. Mi stavano accanto in quel momento due pacer che dovevano mantenere il ritmo. Mi sono rimessa in piedi velocemente, ma subito si sono preoccupati di me mentre già avevo ripreso la corsa, per darmi acqua e poi: “dai, rallentiamo un po’ così riprendi il ritmo!”. Poi hanno continuato e io ho continuato al mio ritmo stupita da questa caduta, ma con la voglia raddoppiata di arrivare alla fine. Passata la linea… che sorpresa! Mi aspettava una delle due pacer per congratularsi e precipitarsi a prendere la medaglia per mettermela al collo: “Te la sei davvero meritata!” Mi sono proprio commossa. Che bel gesto, che bella attenzione da una sconosciuta per una sconosciuta, ma sorelle di corsa!

 

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