Direttore: Fabio Marri

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Fabio Marri

Fabio Marri

Probabilmente uno dei podisti più anziani d'Italia, avendo partecipato alle prime corse su strada nel 1972 (a ventun anni). Dal 1990 ha scoperto le maratone, ultimandone circa 280; dal 1999 le ultramaratone e i trail; dal 2006 gli Ultratrail. Pur col massimo rispetto per (quasi) tutte le maratone e ultra del Bel Paese, e pur tenendo conto dell'inclinazione italica per New York (dove è stato cinque volte), continua a pensare che il meglio delle maratone al mondo stia tra Svizzera (Davos e Interlaken; Biel/Bienne quanto alle 100 km) e Germania (Berlino, Amburgo). Nella vita pubblica insegna italiano all'università, nella vita privata ha moglie, due figli e tre nipoti (cifra che potrebbe ancora crescere). Ha scritto una decina di libri (generalmente noiosi) e qualche centinaio di saggi scientifici; tesserato per l'Ordine giornalisti dal 1980. Nel 1999 fondò Podisti.net con due amici podisti (presto divenuti tre); dopo un decennio da 'migrante' è tornato a vedere come i suoi tre amici, rimasti imperterriti sulla tolda, hanno saputo ingrandire una creatura che è più loro, quanto a meriti, che sua. 

Giovedì, 09 Febbraio 2023 21:28

Svizzera: salta la storica Swissalpine 2023

9 febbraio – Un comunicato proveniente da Coira (Chur, Svizzera), attuale sede della leggendaria Swissalpine nata a Davos 38 anni fa, annuncia che “con grande rammarico nostro la Swissalpine Chur non avrà luogo nel 2023”. La gara, articolata su tre distanze di 86 km (+5300 D), 42 (+2650 D) e 22 km (+1400 D), con partenza-arrivo a Coira (45 km in linea d’aria da Davos, molti di più per strada o ferrovia), non si terrà per ragioni economiche: “Eravamo stati troppo ottimisti sul finanziamento da parte locale, che invece risulta molto inferiore e non tale da portare avanti un evento dalla qualità desiderata. Gli iscritti saranno totalmente rimborsati. Ma non è chiaro cosa succederà con la Swissalpine Chur; vista l’abbondanza di gare trail vecchie e nuove, gli eventi unitariamente sviluppati e sostenuti a livello regionale dovrebbero avere maggiori possibilità in futuro”.

Sono al momento confermati gli altri due ultratrail in zona: il Davos X Trail, che sotto la mitica Montagna incantata ha preso il posto della Swissalpine antica ricalcandone la data (28-29 luglio) e in parte i tracciati: di 68 km (+2600 m D), attraverso i passi classici Scaletta e Fertig ma con l’aggiunta micidiale del Fanez; di 43 km (+1400 m) senza il Fanez, di 23 (con partenza da Klosters, godibilissimo), di 10 e di gare per bambini.

E lo Swiss Irontrail di Savognin (1-2 luglio), sulla distanza estrema di 105 km (+ 6700 m D) con passaggio da Berggün (altro luogo storico di transito della classica Swissalpine), sui 50 km (+2500 – 3100 D) e 20 km (+1200 D).

Ma l’impressione, da parte di uno come il sottoscritto che alla Swissalpine di Davos c’è stato dieci volte tra il 1999 (una delle primissime gare raccontate su Podisti.net appena nato) e il 2020 (quest’ultima volta, elogiando gli svizzeri che, primi in Europa, osavano proporre una corsa in piena pandemia), è che si sia perduto lo spirito originario della Swissalpine: una gara, dura sì, ma che si poteva correre con le scarpe normali da asfalto, perché l’unico tratto che oggi si definirebbe trail era quel paio di km nella discesa dal passo Scaletta verso Davos, ormai a una quindicina di km dall’arrivo; e i 75 km (poi 78,5) erano ampiamente corribili nelle 12 ore concesse, che spesso venivano allungate per aspettare gli ultimi (ricordo da principio, con venerazione, l’ingegner Morisi da Persiceto, poi Govi, infine Micio Cenci, tra i tanti delle nostre contrade  che venivano qua). Per chi non se la sentiva, c’erano i 42 km con partenza da Berggün, e per un certo periodo ci fu perfino una seconda 42 km (C 42), ancor meno dura, e conclusa da un’accoglienza alle terme; senza contare le distanze più brevi.

Ma a un certo punto scoppiò la mania del trail, nel senso via via più hard, che significò espellere i maratoneti normali per lasciare spazio ai superatleti (magari con 49 sfumature di maniacale, ma numericamente assai più ridotti); ricordo che una volta la gara fu spostata a Samedan, località già molto più anonima, su un percorso quasi totalmente accidentato, che non piacque né a me né all’inviata di “Marathon4you”, né soprattutto ai podisti, dato che eravamo sì e no un paio di centinaia.

E a quanto pare i corridori sono calati ancor più, e in parallelo gli sponsor pubblici e i privati. Siamo davvero sicuri che il futuro della corsa sia nei sentieri EE, magari EEA con qualche ferrata e il rischio di cadere in un burrone?

Sabaudia (LT), 5 febbraio – “Si è svolta con acclarato successo la terza edizione della Maratona Maga Circe, che ha visto 1800 atleti alla conquista di Sabaudia e San Felice Circeo. … Commenta Davide Fioriello presidente della asd In Corsa Libera: Anche quest’anno tantissimi runners ci hanno scelto, giungendo da ogni parte di Italia e dall’estero e abbiamo raggiunto un risultato incredibile in un periodo ancora non propizio in termini di numeri... A dare lustro all’evento, lo spettacolo degli Sbandieratori Ducato Caetani Sermoneta che ha accompagnato gli atleti allo start ed anche all’arrivo della corsa”.

Così scrive una testata concorrente; o meglio, così si fa scrivere dagli organizzatori, per pigrizia, per campanilismo, per buon vicinato, per qualche sponsorizzazione in più.  Dopo 43 anni di iscrizione all’albo dei giornalisti, e siccome c’ero (dopo una partecipazione nel dicembre 2008 alla fu-maratona di Sabaudia) preferisco separare i fatti dagli accordi di violino.

I “1800 atleti”, guardando alle classifiche, risultano 1316: 354 in maratona, che migliora il gramo risultato covidico del 2022 (quando furono 288) ma è lontano dai 436 arrivati della prima edizione (della nuova serie, s’intende) del 2020 (il 2021 saltò all’ultimo momento per imposizione delle autorità sanitarie). Nella 28 km sono arrivati in 460, anche in questo caso più dei 295 dell’anno scorso, ma meno dei 524 del primo anno. La 13 km infine è stazionaria (502 classificati, 3 in più dell’anno scorso, ma 26 in meno rispetto al 2020.

Che siano arrivati da tutta Italia e perfino dall’estero, è vero per pochi atleti d’elite, ma per il resto si è trattato di una specie di campionato laziale, ovviamente vinto da Giorgio Calcaterra con 2:46:02, il tempo peggiore delle sue tre partecipazioni qui (aveva vinto nel 2020 stando sulle 2:43, era arrivato secondo l’anno scorso col suo tempo migliore, 2:36: segno che il livello tecnico quest’anno era decisamente inferiore); laziale anche il secondo, Dante D’Elia (Velletri) in 2:50:09, leccese il terzo, Mauro Ciccarese (Villa Baldassarri) in 2:54:56.

Due bolognesi e una laziale sul podio femminile: Maria Rosa Costa, F 40 della G.S. Gabbi col tempo amatoriale di 3:13:12 (di poco superiore a quello della vincitrice 2022); seconda Alessandra Scaccia (Frosinone Sport, F 50) a 28 secondi (pensate che io sono arrivato tra l’una e l’altra, beninteso passando al transito dei 28 km mentre loro finivano i 42!); a tre minuti (3:16:12) la terza e più giovane delle tre, la F 35 Manuela Serra della Persicetana Podistica.

Di cognomi stranieri se ne incontrano ben pochi, in maggioranza tesserati per il Centro Fitness Montello di Latina. Pochini anche i supermaratoneti che una settimana fa si erano accodati a Calcaterra sulla pista di Misano: non potevano mancare l’avvocato Paolo Reali, con cui ho corso fino al km 7 lasciandolo poi giustamente andare per il suo 4:30 finale, e il romano G. B. Torelli terzo M 65 in 4:42. Altre conoscenze di queste pagine sono l’extreme runner Daniele Alimonti (3:55), Stefano Severoni e Matteo Simone, appaiati sulle 4:30. Tra i “foresti”, l’inossidabile coppia Rizzitelli-Gargano, Paola Noris, Carolina Agabiti, Edith Ventosilla (sarà questa la “estera”, peraltro residente in Italia?); quanto a meriti sportivi, spicca la friulana Marilena Dall’Anese, prima F 55 con l’egregio 3.51:41.

Tra l’altro, questi numeri sono abbastanza gonfiati dai pacer, davvero in quantità spropositata: ho visto palloncini con segnati tempi dalle 3 alle 6 ore, anche con intervalli di 15 minuti, due o tre atleti per ogni palloncino (per le 4 ore erano due gruppetti di 3 ciascuno). Dopo la metà gara, era più alto il numero dei “pallonari” di quello dei podisti al loro seguito: sono stato alcuni km con quelli delle 4.45, due senesi senza nessuno al seguito (poi è arrivato un terzo e si è accodato qualcuno, ma a breve termine, dato che all’arrivo nel tempo prefissato non risulta nessun altro); al km 30 mi hanno passato i 3 delle cinque ore, solissimi: un “forza!” e sono filati via nella loro solitudine, e la classifica attesta che NESSUNO (nemmeno loro) è arrivato in 5 ore esatte. Continuo a dubitare dell’utilità di questi colleghi che corrono, alla fine, solo per sé: se il dogma resta quello di arrivare nel tempo esatto (che poi non lo è quasi mai), e l’eresia è quella che se rallenti due secondi a km forse puoi accompagnare qualcuno, continuerò a pensare che l’unico beneficio sia quello del pettorale a scrocco (magari con qualche altro benefit) per i pacer, e niente per gli altri salva la propaganda per la generosità degli organizzatori.

2. I quali organizzatori, generosi lo sono davvero: il massimo della comprensione per gli iscritti negli anni-Covid, la proroga del loro pettorale anche di due anni senza sovrapprezzi, l’informazione continua tramite email personalizzati, la convenzione con numerosi alberghi sia di Sabaudia sia della zona del Circeo, un paio di bus-navetta verso la stazione ferroviaria più vicina (purtroppo, non quella di Latina, dove fermano i treni a lunga percorrenza, ma quella di Priverno, solo per treni locali; e nell’inesistenza dei servizi domenicali del trasporti regionali del Lazio, i pochi foresti non automuniti hanno dovuto foraggiare i taxi).

I trasporti sono la grande pecca di questa zona redenta del Lazio: scendendo alla stazione di Latina (che dista 7 km dal capoluogo) per il centro si possono prendere solo bus targati FS, uno ogni mezz’ora o anche peggio. Peccato che a bordo non si possano fare biglietti a meno di possedere una misteriosa App, e le rivendite autorizzate in stazione siano: edicola (chiusa), proloco (chiusa), bigliettatrice automatica (fuori servizio), bar (“me spièèsce ma ho ffinito i bijjetti”). Si sale sul bus, e dopo due fermate sale il controllore: gente scende in fretta, altri si giustificano in vario modo, fioccano le multe e le maledizioni. Il controllore però ha il volto umano e spiega ai possessori di telefonino a ricarica che possono mandare un sms a un certo numero e pagando solo 1,40 sono assolti.

Il bus fa il giro del perdono: ci mette quasi mezz’ora prima di arrivare alla grande autostazione da dove partono i bus regionali extraurbani. Un’autostazione monumentale, più grossa di quella di Bologna, ma chiusa, fatiscente (guardate le foto 2-6 del servizio assemblato da Roberto Mandelli),  con le pensiline che grondano acqua anche se non piove, nessun ufficio informazioni, baracchino della biglietteria chiuso da secoli; i writers trovano il loro Louvre, si piscia nei cespugli,  nessun quadro orario, alla Cotral non rispondono al sabato; bisogna affidarsi a qualche autista a spasso per sapere che il primo bus per Sabaudia arriverà tra un’ora, ma è in ritardo di 7 minuti (che poi saranno 20), e per i biglietti si va al bar attraversando lo stradone.

Mi domando se il sindaco locale non si vergogna di una situazione da quarto mondo: la risposta è che a Latina dal 2011 l’amministrazione è stata sciolta tre volte, l’ultimo sindaco (un medico, ex calciatore di serie B, e che contribuì alla rinascita del Latina calcio) ha avuto l’elezione invalidata nel 2021 per irregolarità elettorali, è stato rieletto ai ballottaggi ma quasi subito sfiduciato (appena dopo aver rilanciato il “progetto bluff” plurinaufragato di una metropolitana dalla stazione alla città), e da quattro mesi c’è l’ennesimo commissario. Dunque non sai proprio con chi prendertela, e grazie tante che il bus ti sbarca a Sabaudia 3 ore e mezzo dopo che eri sceso dal treno a Latina: e attenzione, la domenica i buf interurbani non ci fono, come direbbe lo ftorico prefidente della reggione (non puoi prendertela più neanche con lui).

Di questa situazione di degrado nei trasporti bisogna tener conto anche nel commentare la più grave criticità di questa gara (ovviamente taciuta dalla auto-cronaca del citato sito “di informazione”): l’inadeguato servizio di trasporto da Sabaudia a San Felice Circeo (12 km) dei podisti che domenica mattina a centinaia si assiepano nel piazzale destinato alle partenze (vedi foto 24-25), e danno l’assalto ai non troppi pullman che hanno l’ordine di non partire con gente in piedi. Io, arrivato alle 8, riesco a salire su un bus alle 8,40: alle 9 sono a San Felice, alle 9,20 scendo alla partenza fissata per le 9,30, per sentire annunciare verso le 9,28 che ci sarà un ritardo di “8, massimo 10 minuti, per aspettare l’arrivo dell’ultimo pullman”. Ecco allora gli Sbandieratori di Sermoneta che continuano nelle loro stucchevoli e mistificanti esibizioni in piazza, accompagnate dai crescenti mugugni e urla dei podisti che stanno lì, al freddo, da mezz’ora o più (chissà come godeva quello a piedi nudi, foto 42-43): perché la partenza avviene solo alle 10.

Ovvio che si debba aspettare l’arrivo di tutti (ricordo una Avigliana-Torino del 1992 dove fummo scaricati dai bus cinque minuti prima del via, costretti a concimare in fretta i prati di fianco all’autostrada; ma anche una Camignada dove, all’annuncio del rinvio, la Siora Nadaìna pretese il rispetto dell’ora giusta e partì  - da sola); ma mi chiedo perché non si sia ricorso al sistema-chip, già sperimentato nel 2022 quando da San Felice si partì a scaglioni di 100. Se i rilevatori posti in partenza non erano per finta, che si facesse pure partire all’ora giusta, poi si procedesse con le waves, di prassi oltreoceano. Macché, in 1300 e passa aspettiamo lo sparo, e chi aveva il treno in partenza a una certa ora, che andasse più forte.

3. Finalmente in corsa, ci godiamo panorami che taluni immancabilmente definirà mozzafiato, specie nella discesa di circa 100 metri verticali dal borgo alto fino al lungomare, il giro attorno al promontorio del Circeo, il ritorno a S. Felice bassa verso il km 15, e dopo il passaggio ai 21,097, il lungo e suggestivo rettilineo a picco sulla costa, con vista sulle isole pontine (direi, almeno Ventotene) e la punta di Anzio. Cielo terso, temperatura che via via si addolcisce fin verso i 15 gradi, ingresso in Sabaudia sul lungo ponte (foto 44-46) dopo del quale appare un km 41 che capiremo solo al secondo giro: intanto, tutti andiamo al traguardo nella bella piazza del municipio dove si ricorda che Sabaudia fu edificata in 253 giorni nel 1935 (ma è vietato arguire che l’esecrato regime abbia fatto anche delle cose buone, guai!). Qui quelli dei 28 km (e anche dei 13) chiudono la loro relativa fatica (anche qualcuno iscritto alla 42 ammaina bandiera, la tentazione del traguardo è più forte della maga Circe per Ulisse).

I 28 km sono dominati da Fredom Amaniel (italiano!) in 1:27:50, dieci minuti davanti a due “cispadani” (come erano chiamati i nordisti negli anni Trenta), Francesco Mascherpa (Legnano, 1:37:03) e Andrea Sgaravatto (Casone Noceto). Tra le donne, Patrizia Capasso (che per gareggiare ha avuto bisogno della Runcard) fa 1:57:11, cento secondi meno di Angelina Cavaleri, poco di più per Pamela Gabrielli (1:59:20).

Nei 13 km vince Diego Papoccia in 43:23, appena 12” meno di Marco Lagona. Nettissimo invece il successo femminile di Lucia Mitidieri in 47:01, oltre cinque minuti meglio di Francesca Sabatini.

Noialtri ingloriosi peones proseguiamo verso una strada che presto diventerà in salita, poi al 35 scenderà al livello del mare, per risalire fino al km 40 sulla cosiddetta Duna di Sabaudia. Facendo la media dei due gps, il dislivello totale in salita risulterebbe di 190 metri in salita e 270 in discesa (a determinare lo sbilancio è il primo km, peraltro corso su una stradina stretta e nel gruppone, dunque con poco vantaggio cronometrico). La distanza sembra invece abbastanza giusta: un po’ più lunga nella prima metà, poi pareggiata dagli ultimi km un po’ più corti.

La strada rimane rigorosamente chiusa al traffico, e i pochi automobilisti che sgarrano sono bloccati; ottimo il servizio di controllo agli incroci (“sì, ma la protezzione civile num me risurta che se possa occupà di diriggere er trafico”, sento dire da una vigilessa piuttosto alterata), ristori regolari e, da metà in poi, forniti anche di cibi solidi. Perfette le segnalazioni, tranne nel mio caso proprio dopo il km 40, quando si rientra nel percorso incrociato tra chi viene ancora da Sabaudia e chi ci sta arrivando, separati da una transenna di una cinquantina di metri. In teoria, a fare la guardia lì ci sarebbe una coppia di segnalatori: quando passo io, li vedo seduti fuori strada, che stanno cazzeggiando al telefonino con esortazioni a dajje na menata a sta fijja. Tiro dritto, stupendomi di non vedere davanti a me quel paio di colleghi con cui avevo condiviso gli ultimi km, finché un urlaccio della coppietta di cui sopra mi richiama: alla fine della transenna, segnalato da un mezzo circolo sull’asfalto non più largo di 30 cm, ma senza nessuno a segnalarlo (a Madeira erano due!), c’era da invertire la marcia. Vabbè, me la cavo con 200/300 metri in più, l’adrenalina mi aiuterà a raggiungere due che mi avevano sorpassato, salvo che perderò per sempre la magrissima Katia padovana (più alta di me ma che denuncia alla bilancia 30 chili di meno) con cui avevo ciacolato prima; e mi raggiungerà il dottor Rizzitelli con cui taglieremo insieme il traguardo.

4. Medaglia rettangolare, ben incisa con una tipica torre di avvistamento (forse quella cui passiamo di fianco, con le scritte “zona militare – divieto assoluto di fotografie”); ristoro finale senza niente di caldo, chiuso in un sacchetto, salvo la birra alla spina offerta all’uscita; poi 200 metri inutili e penosi per raggiungere le sacche del ricambio (potrei capirlo se fossero state al coperto, ma per posarle sul selciato, si poteva anche metterle nella piazza d’arrivo).

In teoria, dopo altri 300 metri ci sono le docce, ma resta solo il tempo per una affannosa caccia al taxi, che ti scarica in stazione quando il tuo treno è già lì (e grazie al tassinaro che quando c’è il limite dei 50 va ai 60, e quando ci sono i 60 va agli 80). Il pacioso viaggio in intercity (costa poco, ma 9 ore per un Napoli-Milano vi sembra una tempistica decente nel 2023?) mi lascia il tempo di degustare la cultura del giornalone d’Italia: un titolo a p. 14 racconta di Yana “uccisa a sprangate e poi soffocata” (vile, tu uccidi una donna morta?!); tutta la pagina 17 è dedicata alle avventure erotiche di Totti e Zaniolo, mentre nel supplemento culturale una insigne studiosa dà credito a tutte le più inverosimili etimologie della parola “carnevale”, e un altro dottissimo a p. 11 si occupa di distinguere “il grano dall’oglio” (oglio di semi di zucca?). Sul supplemento del venerdì, una insigne virologa tenta di accrescere la sua audience (in netto calo rispetto al suo biennio d’oro) sostenendo che le balene, come il dodo, sono estinte (“tesoretti perduti per distrazione”, p. 33).

E’ la stampa, bellezza! E tu non puoi farci niente!, diceva Humprey Bogart.

Modena, 31 gennaio – Sulla carta era dichiarata la 49^ edizione, ma il conteggio comprende anche l’edizione 2021 (che non si fece causa Covid) e la cosiddetta Corrida dell’Angelo, corsa il 18 aprile 2022 su tracciato ridotto a 8 km e con soli 86 arrivati. Sempre per stare alle cifre, speaker e tv embedded parlavano di 700 partecipanti, quando l’ordine d’arrivo elenca 537 arrivati; deprimente il confronto con le precedenti edizioni (666 classificati nel 2018, 652 nel 2019, 670 nel 2020).

Non mi permetto di contestare le cifre fornite per i non competitivi, quelli che nei tempi andati potevano correre solo 3 km ma spesso facevano tutti i 13,4, cosa che da quest’anno è diventata lecita (cosicché i cadetti dell’Accademia, 460 secondo il tabellone, tutti col pettorale senza numero, ci hanno storditi coi loro “Allarmi! Allarmi! Allarmi ***” per tutto il giro lungo a Cognento e ritorno).

Insomma, i non competitivi sarebbero tremila (verrebbe da dire: per i sindacati), la metà o giù di lì a giudicare dal colpo d’occhio all’ora di partenza: a tarda sera già qualche media ridimensiona “gli altri” a 2000, e sommando le classifiche delle prime 20 società esposte all’arrivo (tra cui l' "IMPS Firenza" del sempre presente Fabio Marranci), si arriva a 1200, inclusi i competitivi e i 460 futuri ufficiali. Carta canta vilàn dòrum, si diceva da queste parti, ma il sito ufficiale continua a scrivere  che la Corrida è "vissuta ogni anno dai 6.000 partecipanti e da migliaia di spettatori che la vivono sulle strade di Modena".

Lungi da me parlar male della Corrida (con quella di oggi, ne ho corse 39, e a parte Giuseppe Cuoghi ed Elvino Gennari vorrei vedere chi ne ha fatte di più), ma le sparate mi danno fastidio da qualunque parte provengano, anche dagli amici: d’altronde, a Modena fino a qualche anno fa si faceva una corsa a novembre dopo della quale i giornali titolavano “la carica dei diecimila” quando per strada eravamo sì e no duemila, ma non si poteva dirlo perché sulla base delle cifre gonfiate venivano dati premi in denaro ecc.

E’ ovvio che una gara programmata in un giorno feriale (salvo per la festa patronale di città) non possa sperare troppo nemmeno dalle località della provincia, dove si lavora o si va a scuola: sempre per citare la mia esperienza di lavoratore fuori sede, di Corride ne ho saltate parecchie dovendo timbrare il cartellino fuori provincia, o qualche volta le ho disputate sbarcando dal treno e andando direttamente alla partenza. E in ogni caso, alla Corrida dovevo iscrivermi per i fatti miei perché la mia società di allora, non essendo di Modena città, non veniva.

E questo credo accada anche oggi, quando oltretutto il prezzo non proprio economico (15 euro per la competitiva, 5 per l’altra, cioè il doppio dei prezzi correnti normalmente in zona) distoglie molti modenesi dal partecipare o perlomeno dal pagare la quota (tutti gli anni dopo la gara faccio una chiacchierata con un alto dirigente della Fratellanza, che ogni anno mi dice: uno su due non ha il pettorale, l’avranno tutti lasciato nella borsa?). Dipenderà poi da motivi economici se quest’anno, per la prima volta, non ho visto africani (nel senso di keniani, etiopi e dintorni), cosicché lo speaker Brighenti (un altro che di edizioni, se non ne ha fatte 49, poco ci manca) esultava nel dire che con la vittoria di Iliass Aouani i successi italiani hanno raggiunto quelli del Kenia. Da arcidilettante che abolirebbe gli ingaggi, privatamente gioisco, e passo ai risultati.

Vittoria assoluta dunque per l’italiano di origine marocchina Iliass Aouani, allenato da Massimo Magnani, col buon tempo di 38:26; a un minuto e 5 secondi è giunto il valdostano campione del mondo di corsa in montagna Xavier Chevrier, già terzo nel 2020 con un crono leggermente superiore a oggi (ma quest’anno le condizioni climatiche erano davvero ottimali, sole, circa 10 gradi, niente vento). Terzo, sebbene staccato di quasi un minuto da Chevrier, è un’altra celebrità, il pavullese campione italiano di maratona Alessandro Giacobazzi, che ha prevalso quasi allo sprint su Mustafà Belghiti e Ahmed Ouhda.

Tra le categorie, accorpate ogni 10 anni anziché i canonici 5, noto il primo posto M 35-40 di Andrea Soffientini in 40:39, il primo M 45-50 di Gianluca Pasetto in 45:58, il primo 55-60 di Luca Gozzoli, il sindaco prediletto da Franco Bragagna, in 48:31.

Altra vittoria assoluta di un’esordiente in campo femminile, con la torinese (ma di residenza modenese) Elisa Palmero, 23enne già protagonista alla Cinque Mulini di poche settimane fa: suo il tempo di 44’57” che le vale un 31° posto assoluto. Due minuti alle sue spalle è giunta una ragazza di casa Fratellanza, Giulia Cordazzo, che ha chiuso la sua prima Corrida in 47’ netti, precedendo di quasi un minuto la reggiana Barbara Bressi, più anziana e infatti prima della categoria F 35-45. Tra le vincitrici di categoria femminili cito la veronese Barbara Trazzi, prima F 50-60 in 55:39, tre minuti meglio dell’indomita plurititolata bolognese Monica Barchetti.

Ho già citato Elvino Gennari, “Passatore” ad honorem, che a più di 75 anni termina in 1.15, e il suo coetaneo Giuseppe Cuoghi che con 1.38:44 lascia tre competitivi dietro di sé. Ma la vera sorpresa a questi livelli “umani” la darebbe Paolo Giaroli, il reggiano che con 1.08:17 di tempo ufficiale risulta aver inflitto quasi 7 minuti al cugino Angelo (il quale a sua volta mi supera inesorabilmente negli ultimi due km). Ma Paolo è un galantuomo e si preoccupa subito di informare l'organizzazione: si è ritirato per un'indisposizione e non ha tagliato il traguardo, chissà che l'etere non abbia trasmesso i droplet del suo trasponder a meno di metri 1,82 dal tappetino... E' salvo anche l'onore di Angelo.

Brava anche la “Teidina” Elisa La Barbera, che seppur col pettorale non competitivo mi arriva davanti, incoraggiata dal marito Dino che, dopo aver chiuso in 54 minuti, torna indietro e rifà gli ultimi 500 metri con la dolce metà. Sono le cose più belle di una corsa che sospireremo per un anno intero.

Misano (RN), Circuito S. Monica “Marco Simoncelli”, 29 gennaio – Ieri il “Sic”, deceduto sul circuito di Sepang nel 2011, avrebbe compiuto 36 anni, e ieri il Club Supermarathon Italia l’ha ricordato (alla presenza del padre Paolo) nella consueta assemblea e cena annuale. Oggi l’ha festeggiato sportivamente con una 58 km sul circuito a lui intitolato, 58 come il numero che lo scomparso portava in gara.
Sono stati 508 gli atleti competitivi classificati nelle tre gare (oltre alle 58, la tradizionale maratona e la mezza maratona), più alcune centinaia di partecipanti alla Junior Run, gara non competitiva nella quale bisognava correre o camminare per almeno un giro di pista (4200 metri).

Ristretto a 20 il numero dei partecipanti alla prima delle 15 prove del Challenge sulle 8 ore, che proseguirà a Terni fra tre settimane e si chiuderà poco dopo Capodanno 2024 a Forte dei Marmi. La classifica è stata pubblicata lunedì pomeriggio: https://www.icron.it/live/classifica/20222356/CHALLENGE/tipoVis=ASS

Ha stravinto Alessio Malena, M70 dei Bergamo Stars con oltre 81 km, ma ancor più sorprendente è il secondo posto assoluto della F50 Svitlana Saico con 76 km, 5 in più del secondo uomo (1° M60) Piergiuseppe Bassani, che a sua volta precede la seconda donna (prima F65) Albarosa Fiore che ha sfiorato i 68 km. Primo fra gli M50 ritrovo il mio rivale dell'ultimo dell'anno a Classe, Elvis Tasca, con 60,8 km; mentre a 59 arriva Franco Schiazza, organizzatore della 50 km del Gran Sasso; a 56 il bolognese Leonardo Manferdini (premiato il giorno prima come recordman 2022 del Club), che precede di 21 metri (sic) Maria Grazia Caroli, altra premiata per meriti supermaratonici. Chiude la lista, con "soli 47 km, il foggiano-transfuga barlettano Massimo Faleo, che come consigliere del Club e corresponsabile delle convenzioni pare faccia migliaia di km l'anno (non a piedi, suppongo) tra l'una e l'altra gara.

Sui 58 km, 154 classificati di cui 28 donne. Vittoria assoluta al forlivese Matteo Lucchese (Atl. Avis Castel S. Pietro), in 3h41’31. Secondo posto in 3h54’04 per Alessio Gazzo (Polisportiva Thema Energia), campione italiano in carica sulla distanza delle 24 ore, terzo Alessio Grillini (Liferunner) in 4h09’18. Solo una quinta piazza (dietro Mattia Santarelli) per Giorgio Calcaterra, presenza ormai abituale alle manifestazioni del Club in 4h16’12” che comunque gli vale il primo posto tra gli over 50. Piuttosto staccato il britannico Adam Holland, presentato alla vigilia come uno dei favoriti e invece 46° in 5.20 (poco davanti alla minuta Astrid Gagliardi dei Bergamo Stars). Presenti anche Mauro Firmani da Castelfusano, vulcanico e simpatico conducator delle Marathon Truppen, che qui si è allenato sulle ripetute chiudendo in 6.41; l'avvocato Paolo Reali, con folta barba ma senza telecamera frontale (7.07)e Daniele Alimonti, protagonista di gare su distanze estreme (7.20).
Nella 58 km femminile si è imposta la bella Eleonora Rachele Corradini (Grottini Team Recanati) in 4h28’05, 22 minuti davanti alla carpigiana Silvia Torricelli (Tricolore Sport RE), seguita dopo altri 5 minuti da Samantha Graffiedi (S.P Seven). All’insegna del “Piano ma Arriviamo”, in 7.46 è giunta la peruviana Edith Ventosilla Shaw, seconda F 60 dietro la novarese Carla Ciscato, dinamica segretaria del Club (alla quale con una battuta potremmo chiedere se non si cresce gli anni, dato che de visu ne dimostra almeno venti di meno della sua età 'federale').

173 (di cui 34 donne) i classificati della maratona. Vittoria assoluta di Riccardo Vanetti (Podistica Pontelungo Bologna) in 2h29’55, secondo Luigi Pecora (Liferunner) in 2h45’19, terzo Paolo La Placa (Maratoneti Cittadellesi) in 2h46’00. Quarto l’ex azzurro Alberico Di Cecco in 2.51:55. Da notare il primo posto M 60 del Gamber de Cuncuress Paolo Solfrizzo in 3.47; il primo M 75 del toscano Leandro Giorgio Pelagalli in 3.49. Stanno sotto le 4 ore due nostre vecchie conoscenze come Paolo Fastigari da Concorezzo e Giovanni Baldini, quest’ultimo in partenza per il Terminillo (Relive 'RAS DASHAN CON L'IMPERATORE') come preparazione a un lungo trekking in Nepal. Quasi a chiudere il gruppo, in 6.23 è arrivato Ol Sindic Marco Simonazzi, prossimo all’ennesima laurea e all’organizzazione della “sua” maratona di Curtatone e Mantova, a metà maggio.
Tra le donne, solita vittoria della riminese Federica Moroni (G.S. Gabbi), altra habituée di questi raduni, che ha chiuso quinta assoluta (e prima cinquantenne, maschi compresi) con 2h52’20. Secondo posto per la romena Liliana Virlan (Running Team Mestre), staccata di oltre mezz’ora (3.25), terza Elena Donati (Rimini Marathon) che accusa un distacco di quasi un’ora dalla vincitrice. Serrata la lotta per il successo tra le F 60, dove M. Cristina Borgoncino ha prevalso per 47” su Laura Failli.

A imporsi nella mezza maratona su 171 partecipanti (di cui 41 donne) è stato Jacopo Boscarini (Atletica Grosseto Banca Tema) in 1h09’30, secondo Enrico Bartolotti (Liferunner) in 1h10’12, terzo Giusto Simone (Avis Castel S. Pietro) in 1h10’34. Nella prova femminile successo incontrastato della simpatica modenese F 45 Sonia Del Carlo (A.S. La Fratellanza 1874) con il tempo di 1h27’10, nettamente sulla F 50 Barbara Cimmarusti (Grottini Team Recanati), 1h33’45; terza Licia Piccinini (A.S.D. Dinamo Sport, F 50) in 1h34’38.

A Paolo Simoncelli è stato devoluto l’intero incasso della Junior Run, per la Fondazione intitolata al figlio Marco.

Il Club Supermarathon si volge ora verso i prossimi appuntamenti, la 24 ore di Torino del 25 febbraio, poi la Fano Supermarathon del 5 marzo; e a proposito di Fano, sopiti i dissapori tra sindaci confinanti, è confermato lo svolgimento della Barchi-Fano a inizio maggio.

https://www.icron.it/newgo/#/classifica/20222356

 

Funchal / Madeira (POR) 22 gennaio – Quasi agli estremi occidentali dell’Europa, anzi, geograficamente in Africa sebbene Madeira sia saldamente portoghese, si è disputato il campionato europeo master, cioè over 35: gara secca, cioè non abbinata alle altre gare cosiddette “no-stadia”, e invece curiosamente accoppiata alla maratona di Madeira (ovvero, “Maratona do Funchal” dal nome della capitale dell’isola, entro il cui distretto si è corso).

La prima curiosità viene dal fatto che le due maratone non sono state corse “insieme”, almeno in teoria, ma gli iscritti al campionato (poco più di 200) sono stati fatti partire 5 minuti dopo gli altri, grosso modo altrettanti 200.

E’ facile intuire che in breve ci siamo mescolati, anche se durante la corsa eravamo distinguibili per i pettorali di colore diverso e i colori delle rispettive nazionali indossati da chi gareggiava per il titolo europeo, che infatti è stato assegnato anche a squadre per somma dei tre tempi migliori. Però era un po’ strano che, almeno nella prima metà della gara, il cameraman ufficiale (issato sul cassone di una decrepita “Ape” Piaggio) precedesse il primo, che era il capintesta dei (detto in modo approssimativo) “non competitivi”.

Siccome tutti eravamo dotati di chip, non vedo la necessità di separare i due gruppi, a parte gli espletamenti di rito per il secondo gruppo: ridottisi peraltro a una spunta sul pettorale con l’indicazione della categoria, e a una posizione nel “recinto” arretrata di 20 metri rispetto agli altri. Un altro adempimento, probabilmente imposto dalla Federazione Europea, è stato lo spostamento del luogo di partenza, pare per questioni di altimetrie dal momento che l’arrivo, presso il porto e il Museo CR7 (nome di cui qualcuno si vergogna, ma che induce giornali e tv portoghesi a seguire perfino il calcio del medio Oriente) era appunto a livello del mare, mentre la partenza avveniva una ventina di metri più su.

Solo che Madeira, un autentico paradiso terrestre, probabilmente la più bella di tutte le isole atlantiche, è in sostanza un vulcano venuto su da un fondale di 5000 metri, e si fa fatica a trovare un chilometro di strada che sia pari (per chi ha fatto quell’esperienza, immaginate di correre a San Marino): risultato, i due gps con cui ho corso danno un dislivello complessivo oscillante dai 330 ai 345 metri di salita; certo, la discesa era un po’ di più, ma non credo proprio che in questa maratona si venga per fare il record.

Della distanza effettiva parlo dopo, ma sta di fatto che (a parte alcune segnalazioni chilometriche sull’asfalto, cancellate all’ultimo istante) nel secondo circuito che abbiamo corso, dopo il km 32, c’erano ben tre giri di boa con tanto di rotatorie disegnate, ma una arcigna signora di guardia ci ha sempre costretto a scegliere la svolta più lontana, almeno 300 metri in più, per tre volte. Che fosse una soluzione abbastanza estemporanea l’ho capito dalla collocazione del tappetino chip (che nell’ultimo giro coincideva col km 41) a valle della rotatoria più vicina, e non, come sarebbe stato logico, nel punto più lontano.

E’ possibile che qualche corridore abbia accorciato, oppure si sia autoridotto il numero dei giri (quattro nel circuito “alto”, di quasi 7 km, e tre nel circuito lungo il porto, di circa 3 km), e male gliene è incolto, perché le classifiche segnano un quarantina di squalificati o (più pudicamente) DNF, evidentemente entrati nella lista nera dei giudici con taccuino, oltre a quelli che avranno saltato qualcuno degli almeno 20-22 tappetini chip.

Devo dire che i giudici, a parte la signora arcigna di cui sopra, sembravano molto attenti e informati, perché ad ogni mio passaggio facevano segno con le dita di quanti altri giri dovessi compiere. Solo uno, alla fine del circuito “alto”, cioè quando bisognava o completare il quarto giro oppure scendere verso il mare per gli ultimi tre, mi ha chiesto quanti km avessi fatto; gli ho risposto 23 e allora mi ha rimandato per il travaglio usato, il solto giro insomma (cosa che peraltro già sapevo). E al penultimo giro “basso”, quando il traguardo era appena 50 metri a destra, un giudice – pensando chissà cosa – mi ha fatto segno “1”, al che gli ho risposto, non dirò come Fabrizio Quattrocchi ma quasiquasi, “vi faccio vedere come un italiano sa essere onesto”.

Il sole picchiava già forte, in questa isola dove è sempre primavera e i 19 gradi sono garantiti tutti i mesi, e le patate maturano tre volte l'anno, e non c'è bisogno di seminare né coltivare perché tutto nasce da sé, compreso il pitanga - un misto tra pomodoro prugna mandarino e altro ancora-; la gola era secca, le sugosissime arance dei ristori erano terminate nell’ultimo tavolo del km 41, però i tre km finali li ho rifatti, con orgoglio, anche se agli 8’ e passa a km, e nemmeno sono riuscito a raggiungere il prodigioso svizzero Gregorio Sablone (M 85): che al traguardo mi ha chiesto se avevo visto il suo quasi-coetaneo Angelo Squadrone.

Sempre al traguardo, troppo premurosamente la mia consorte mi ha pregato di controllare se fossi a premio di categoria: seeh, il primo della mia Altersklasse, il polacco Tadeus Jaszek, aveva finito in 3:28, battendo di 12 minuti un tedesco (io è meglio che mi vada a nascondere).

Riavvolgiamo il nastro, come dicono tanti giornalisti oggi che i nastri (VHS, per non dire dei Geloso) non esistono più da un ventennio: torno alla partenza, stabilita in un luogo piuttosto scomodo da raggiungere, per giunta di notte, con l’organizzazione che indicava le fermate dei bus utili (ma anche i bus erano stati deviati causa maratona).

Quando sono sul luogo, un’ora prima, stanno appena cominciando a montare le strutture di partenza (arco, fili del chip, un minimo di stand per la consegna borse); si vedono pochissimi podisti aggirarsi infreddoliti per l’area, non c’è un bar o una struttura qualsiasi aperta per avere qualcosa di caldo, e nemmeno una tenda o un luogo riparato per cambiarsi. A un certo punto arriva un camioncino per lasciare le borse, che saranno poi portate al traguardo, circa 3 km di distanza.

Si parte, in due scaglioni come detto, e dopo 500 metri in salita si entra nel circuito alto, come detto da fare 4 volte. “Schon dreissig?” esclama ironicamente un tedesco vedendo il cartello del km 30 dopo tre minuti scarsi di gara: in effetti, il tracciato mette puntualmente in sequenza tutti i nostri km, e ci aggiunge pure quelli della mezza (che partirà un’ora dopo noi, da un altro punto, come pure la 8 km, inserendosi nello stesso giro ma con misurazioni ovviamente diverse).

Basta saper distinguere, e non demoralizzarsi troppo quando vedi il km 28 e pensi che a quello sono arrivati quanti ti hanno doppiato, mentre tu sei ancora al 21. Le pendenze sono discrete con una specie di picco alla giravolta del km 6/13/20 (una rotonda col monumento all’operaio): solo lì vediamo il traffico auto, contenuto però a distanza, e per tutta la gara non saremo mai disturbati dalle macchine salvo pochi attraversamenti ben regolati dai numerosissimi vigili.

Puntuali i ristori, muniti di acqua, idrosalini, arance e banane; niente spugnaggi invece, due toilette mobili e quattro controlli chip a ogni giro alto, due a quello basso.

Dopo quattro giri, come anticipato (due per i mezzimaratoneti), discesona rettilinea verso la zona a mare della città vecchia (sistemata benissimo, bella da vedersi, meno per i ciottoli da calpestare, che ci faranno cercare i marciapiedi), che ci dà il benvenuto col segnale del km 32, dopo di che con qualche altra giravolta cominciamo a transitare in zona traguardo per il circuito basso, di 3 km e qualcosa, con quella già citata triplice zona di inversione.

A proposito di chilometri, non so voi, ma i miei due Gps non sono per niente d’accordo con la misurazione ufficiale: uno addirittura supera il km in più arrivando a 43,6; l’altro più modesto si ferma a 42,8, che sembra la valutazione più gettonata dai cronometri dei podisti. Devo però aggiungere che almeno uno dei concorrenti italiani mi assicura che il suo Gps dà 42,2 esatti.

Tempo massimo di 6h30, alla portata di quasi tutti, arrivo abbastanza confortevole, con altro ristoro e perfino due brandine per massaggi (con una discreta fila d’attesa). Ma ai più basta sedersi sulle panchine vista mare e godersi questo splendido mezzogiorno di primavera avanzata, mentre nel palco a fianco si susseguono le premiazioni della 21 (con quasi 600 arrivati di cui 180 donne) e della 42.

Ma anche la 8 km era competitiva (s’intende, senza le fisime sui certificati medici e tesseramento che strozzano il nostro sport) e ‘chippata’, con classifica finale per circa 480 podisti di cui 220 donne: hanno vinto il portoghese 34enne Bruno Silva in 29:09, quasi due minuti sul secondo, e la tedesca cinquantenne Miriam Paurat in 33:40, appena sei secondi sulla portoghese Joana Pinto: c’erano anche una ventina di italiane, la più veloce risulta Monica Fumagalli con 49:25; tra gli uomini, Piero Ferrari, 71enne capace di 48:52.

Due portoghesi si sono aggiudicati la mezza, con tempi di rilievo data l’altimetria: Ivan Nunes (1984) 1.11:28, due minuti e mezzo sul secondo, l’ucraino Oleksander Choban (1987). Miglior italiano Gianluca Barbero (1973) in 1.27:07.

Tra le donne, dominio di Joana Soares (1993) con 1.20:54, e 9 minuti sulla seconda, la coetanea e connazionale Alexandra Oliveira; che per un soffio toglie l’argento alla nostra Anna Zilio (1986), terza in 1.29:37.

https://podisti.net/index.php/classifiche/16636-mezzamaratona-di-madeira.html?date=2023-01-22-00-00

Ed eccoci alla maratona, anzi, le maratone: il primo assoluto, e campione europeo M 35, è l’inglese Jack Nixon, 2.27:59, davanti al primo M 40, Edgar Matias portoghese, 2.29:15. Ma terzo assoluto è il polacco Maciek Miereczko in 2.30:52, salvo che questi non è iscritto al campionato e deve accontentarsi di vincere la  gara “normale”.

Tra le donne, prima assoluta e campionessa europea W 40 è la spagnola Maria Mercedes Pila in 2.52:11, dieci minuti meno della seconda, e campionessa W 45, la rumena Nicoleta Ciortan.

La prima dell’ “altra” lista è la svedese Lisa Ring, che col suo 3.06:02 si piazzerebbe quinta nella ipotetica classifica assoluta. Prima italiana delle non ‘europee’ è Irene Crocini, W 40, 4.16:34; tra gli uomini, Roberto Cimarosa, 3.12:07: 19 complessivi i connazionali presenti nella graduatoria.

Ma torno agli Europei per segnalare Mauro Gagliardini, campione continentale M 55, 18° assoluto in 2.46:06, e Francesco Berardi, 8° nella stessa categoria in 2.59:42; con Roberto Esposto, 3.12:59, l’Italia ottiene il bronzo a squadre nella categoria.

Bronzo anche tra gli M 60 (Maino-Bianconi-Ponti), mentre Pasquale Iezzi è bronzo individuale M 65 in 3.20:48; Roberto Curletto, argento M 75 in 4.04:22. Unica connazionale in questa gara, Patrizia Negri, quinta W 60 che finisce in 4.43:39.

Sedici in tutto erano gli italiani, settima nazione come numero di partecipanti al campionato, dietro Portogallo, Germania, Inghilterra, Romania, Spagna, Svizzera (da notare anche gli 8 finlandesi e 5 svedesi). Peccato per gli altri 19 che erano iscritti alla gara e non al campionato. Tra questi però merita speciale menzione Giuseppe Fazio, meglio noto come “don Pino”, parroco di Curinga in Calabria, classe 1970, che ha corso la sua maratona in 4.57:39, e al termine è venuto nella splendida cattedrale di Funchal a concelebrare la messa delle 18. È un altro dei “preti sempre di corsa”, dei quali i nostri lettori sanno tante cose, e che possiamo vedere nell’ovale in alto della foto di copertina. Oltre che nel video da lui girato in corsa:

https://m.youtube.com/watch?v=H3M7rpEJBqk

E altri italiani a Madeira hanno posto la residenza: tra questi, vorrei citare un non-podista, Antonio Giordano (al centro nella foto ovale in basso), ligure trapiantato qua da 12 anni, che ha “curato” in maniera particolare il mio gruppo, non solo per compiti istituzionali come prenderci e riportarci all’aeroporto, e accompagnarci in zona partenza la mattina della gara, ma soprattutto guidandoci in un lungo periplo dell’isola, che ci ha descritto pietra su pietra, frutto su frutto, fiore dietro fiore. Se vorrete amare Madeira come da ieri capita a noi che c’eravamo, cercatelo a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. e non resterete delusi.

Qualche settimana fa un nostro lettore ci ha chiesto se riuscivamo a recuperare la classifica della seconda Maratona di Assisi “Millennium for peace”, la corsa che concluse l’anno del Giubileo (cominciato il 1° gennaio con la maratona partita da Piazza San Pietro sotto la benedizione del papa sportivo Giovanni Paolo II), e purtroppo chiuse anche l’esperienza delle maratone nella città di San Francesco.

Abbiamo già rievocato due volte la prima, del 1999: https://www.podisti.net/index.php/commenti/item/5516-vent-anni-fa-un-millennium-tra-assisi-e-roma.html#!Milesi_Davide_2011_Foto_Roberto_Mandelli_920x460

https://www.podisti.net/index.php/commenti/item/8174-ultimo-dell-anno-di-grazia-1999-assisi-in-maratona.html

La ripresa è programmata per il 2023 (https://sanfrancescomarathon.it/), ma è già stata rinviata più di una volta: ragione per cui questa classifica (ancora stampata su carta e spedita per posta ai partecipanti, con l’affrancatura in lire), recuperata nell’archivio dello scrivente, è un autentico documento storico che ci fa rivivere il podismo di un quarto di secolo fa, quando una maratona collocata in una data e una località sicuramente scomoda riusciva a cumulare 762 arrivati, tra cui 93 donne.

Le classifiche d’epoca sono appunto separate per genere, e solo mettendole insieme si ricostruisce qualche coppia che corse in società, o qualche maschietto che ‘spinse’ la sua collega o amica. Tra le donne vinse l’allora giovanissima Sara Ferrari, figlia di tanto padre, ma di cui oggi è difficile trovare tracce dirette (attenzione all’omonimia con una ragazza del 1999, velocista tesserata Guastalla-Reggiolo). Ma grazie all’archivio Fidal (e alla consulenza di Michele Marescalchi) recuperiamo la nostra Sara, ferrarese del 1977, tra il 2000 e il 2002 tesserata per la Maratona di Torino, accreditata solo di un 2.49:35 alla maratona di Ravenna del 2005; aveva però vinto anche a Vigarano 2004, e prima aveva corso la maratona di Milano del 2002. Quella vittoria di Assisi la proiettò in nazionale, alla maratona dei mondiali di Edmonton in Canada del 2001 dove arrivò 26^ in 2.36:07 (ma a 19 anni, nel 1996, era arrivata 10^ nei 5000 ai mondiali giovanili di Sidney).

Bene, ad Assisi la Ferrari, con 2.48:42 (media dei 4’ a km: ricordo a chi non c’era che gli ultimi km della maratona raggiungevano il centro storico con una salita impegnativa), superò di 37 secondi l’ucraina Galina Zhulyeva, classe 1966, che nel marzo precedente aveva registrato un 2.34:35 alla maratona di Barcellona, suo personale, come pure rimase imbattuto il tempo di 1:12:42    segnato alla mezza di Gargnano (ITA) tre mesi prima di Assisi.

La Zhulyeva, che nel 1998 e 1999 aveva vinto a Cesano Boscone con 2.37:21 e  2.34:50, continuò a eccellere per molti anni: vinse a Ravenna nel 2002 con 2.44:49 (davanti alla “nostra” Antonella Benatti, che pure ad Assisi 2000 era arrivata quinta in 2.54:01), a Lubiana nel 2003 in 2.38:13 (maratona, ahinoi, in cui quinto uomo si piazzò tal Roberto Barbi), e ancora a 44 anni registrò un 2.44:10 a Vigarano.

Il podio di Assisi 2000 fu completato con 2.51:42 da Margherita Grosso, piemontese del 1964, allora tesserata per la Fiat Sud Formia, che a 42 anni, nel 2006, era ancora capace di 2.57 alla maratona di Firenze, e nel 2019, come F 55, ha toccato per due volte 1h36 nella mezza.

Ma lasciando stare altri nomi illustri (ho detto della Benatti, che in quella gara ‘trascinò’ anche il cognato Luca Salardini verso un grandioso, per lui, 3.23:21), mi lascio andare allo scorrere della classifica, che all’8° posto vede la modenese/reggiana Monica Bondioli, che in quegli anni aveva vinto le prime due edizioni della maratona di Pisa, e qui precedette di poco (3.02 contro 3.07) l’ultramaratoneta lecchese Monica Casiraghi, iridata dei 100 km e più volte trionfatrice alla mitica Swissalpine di Davos. Appena dietro, due veterane, prime della F 45, la piemontese M. Grazia Navacchia e la milanese di origini emiliane Chiara Boschini.

Poco più giovane la romagnola M. Luisa Costetti, classe 1961, seconda F 40 in 3.29; il futuro marito Enrico Vedilei è arrivato in 2.42, 13° assoluto e secondo M 35; la sorella Franca la segue a mezz’ora, ma il di lei futuro coniuge Ivano Folli ha concluso con Maria Luisa in 3.29.

Un quarto d’ora dopo arriva un altro pezzo di storia del podismo, la milanese di Cernusco Rita Zanaboni, protagonista di tante gare (a fine 2022 supererà le 550 maratone e ultra!), preceduta di poco da un’altra futura aderente al Club dei supermaratoneti, la 36enne riminese Tea Lombardi (nel 2022 raggiungerà le 178 maratone).

Più avanti con gli anni è Renata Cecchetto in Grillo, vicentina del 1950 trapiantata a Bolzano, e che conquisterà il record di più maratone corse in un anno da una signora (35, se non erro, più o meno alla pari col record maschile di William Govi): finisce in 3.52, due minuti meno di un’altra veneta, Daniela Lazzaro, del ‘53. Il giovane marito di Renata, Marco Grillo, militare classe ’67, è stato un pelino sotto le 3.10.

Ma adesso tocca alle modenesi, o meglio carpigiane, sfilare sotto lo striscione: Lorena Losi in 3.58 (suo figlio Daniele Orlandi è arrivato in 3.44), meno di due minuti più tardi arriva Lorella Zanella, veneta trapiantata a Carpi, che purtroppo una decina d’anni dopo ci sarà strappata da un male inesorabile; in 3.54 aveva finito il suo compagno Franco Venturi. L’infornata prosegue, quasi che si fossero messe d’accordo, intorno alle 4.02 con Daniela Montanari, graziosa tabaccaia riccioluta della Podistica Madonnina, scortata dal fidanzato Fabio Roccato (il “keniano bianco” della Madonnina, capace di 2.40 quando “tira”); e Piera Zaldini, altra carpigiana (di Budrione), allora prof di matematica alle superiori, oggi medico ospedaliero: suo marito Tommaso Minerva, cofondatore e mente informatica di Podisti.net, ha finito in 3.52.

Poi altre due signore modenesi: in 4.07 arriva, insieme al suo abituale accompagnatore Giorgio Anceschi, Paola Martello, poi in 4.24 Daniela Gianaroli (che ha già cominciato a correre i suoi dieci Passatore). Hanno un piccolo pezzo di vita in comune: Daniela è originaria di un paesino dell’Appennino dove, qualche anno dopo, Paola stabilirà la sua oasi di serenità.

Anche Carmela Dondi è modenese, per l’esattezza di Castelfranco, e conclude la sua fatica in 4.33 (il marito “Fabietto” Setti ha chiuso in 3.53).

Ma l’ultima pagina della classifica è un altro libro di storia: i capelli rossi della fiorentina Ilaria Razzolini chiudono in 4.43, più o meno allo stesso ritmo delle maratone che Ilaria correrà ancora vent’anni dopo, quando si dedicherà ad accompagnare l’amica Chiara. Due minuti dopo arriva la padovana Natalina Masiero, che presto diventerà una specialista di trail rischiando le ossa sulle alture di mezza Italia come ben sanno i lettori di questo giornale. Mentre con 5.08 arriva Angela Gargano, una quasi-quarantenne barlettana che sta posando le prime pietre del monumento fatto di 1000 maratone concluse col marito Michele Rizzitelli entro il ventennio che verrà (ad Assisi 2000, Michele è arrivato esattamente un’ora prima di lei).

Invece ha già 61 anni, ma tanta storia con sé (e cinque figli), Eleonora Bottazzo, trevigiana-pavese classe 1939, che qui finisce sotto le 5.15, qualche anno dopo si aggiudicherà il primo posto F 65 alla prima maratona di Vercelli, e nel 2011 arriverà a 125 maratone.

Sono sicuro che tante altre, qui non nominate, hanno dentro di sé storie da raccontare; e così sarà per i maschietti, dal vincitore Calvaresi in giù, di cui ci occuperemo alla prossima puntata.

San Vittore Olona, 15 gennaio – Entrando in paese per la storica strada del Sempione, il cartello che annuncia l’ingresso sottotitola ai/alla Cinque Mulini, la principale, forse unica bellezza paesaggistica del luogo (ma suggestivi sono anche il vecchio birrificio, oggi spazioso e amichevole ristorante, e la vecchia fabbrica tessile dei Visconti di Modrone, probabilmente anche antichi proprietari del mulino oggi Meraviglia) oltre alla cattedrale che compie 100 anni esatti.

Nessun dubbio che la campestre (ovvero cross) dei Cinque mulini sia la più antica, arrivando alla 91esima edizione: onore al Campaccio e al suo inventore Livio Mereghetti, di cui ricorre l’anniversario della morte in questa vigilia della 91^ Cinque Mulini, ma appunto ci sono 25 edizioni, un quarto di secolo di differenza. Poi, molto bello l’accordo tra le due gare per un’iscrizione abbinata a soli 20 euro per noi amatori (altrimenti, 12 per la singola, con un pacco gara non disprezzabile, integratori vari, maglia o calze a scelta, e una bella medaglia di finisher): buoni rapporti tra vicini, con lo stesso hotel che serve da campo-base per la mia società e non solo. E se per quanto riguarda le gare assolute internazionali, siamo più o meno pari quanto ad arrivati, intorno ai 140, per gli “amatori” la Cinque Mulini non ha rivali, avendo raggiunto i 600 classificati contro i 450 del Campaccio: quasi mostruoso il contingente dei 295 partiti nella prima batteria riservata agli over 50, e se posso fare un critica, la salita sull’argine dell’Olona, dopo poche centinaia di metri, ci ha costretto praticamente a fermarci in attesa che chi stava davanti finisse di salire quei tre metri verticali, appena un zinzino scivolosi, lasciando spazio al nostro turno.

Come avete capito, io non ero tra i 450 ma tra i 600, e tra le tante ragioni che mi hanno portato a questa scelta (legate al calendario personale) quella forse decisiva me l’ha fornita la presenza di Roberto Mandelli, i cui due cannoni fotografici alla Cinque Mulini sono sempre ben graditi (come quelli di tanti altri fotografi, professionisti e dilettanti) mentre all’altra corsa potrebbero entrare solo dietro schedatura, identificazione, battesimo cresima e obbligo di non pubblicare più di 30 foto perché la Premiata Ditta deve lucrare sui 450. La tradizione di queste parti, da Carlo Porta a Dario Fo, da Cochi& Renato (Puli puli pulipù fa il tacchino…) a Jannacci e Beppe Viola, usa il simpatico invito “va a dà via i ciapp”; non lo faccio mio, ma a me i regimi di esclusiva non piacciono, e spendo i miei soldi in altro modo che intasando l’hard disk di foto che non guarderò mai più.

Eccomi dunque il sabato (dopo bei passaggi a casa Testori di Novate, al santuario della Madonna di Saronno, e perfino a Desio, rimpiangendo di non avere un’allenatrice come Emanuela Maccarani che mi facesse dimagrire) all’albergo-quartier generale di San Vittore, dove Mandelli mi fa trovare persino le sue scarpe chiodate tacco 12, casomai volessi cimentarmi. Ahi ahi i due mignolini (ho una mezza misura in più di piede), magari sento se il mio calzolaio le mette “in forma”.

Segue, nella piazza davanti al Duomo, la presentazione degli atleti più talentuosi, puntualmente descritta dall’alto della scala mandelliana, ai cui piedi si assiepano tutti i più bei nomi del giornalismo sportivo lombardo, da Brambilla & Perboni a Bragagna
https://podisti.net/index.php/component/k2/item/9676-14-01-2023-san-vittore-olona-mi-cinquemulini-presentazione-atleti.html, e tanti dei bambini che hanno corso nel pomeriggio. Alle spalle, distribuzione di vin brulé e cioccolata calda: devo rinunciarci? quel che non ammazza, ingrassa.

Ed eccoci domenica mattina, giornata grigia ma senza timori di pioggia. Zona del ritrovo chiusa al traffico, ma si parcheggia bene a 2-300 metri (io peraltro ci vado a piedi). Un po’ laboriose le procedure per il ritiro pettorali (che non era previsto alla vigilia), un po’ striminzito lo spazio per cambiarsi, così non mi resta il tempo per provare a fondo le scarpe mandelliane, e visto il fondo quasi asciutto opto per quelle da trail. All’ingresso nella zona di partenza, in una spunta a mano che va per le lunghe, qualcuno si vede controllata e rifiutata la scarpa, suppongo per le dimensioni dei chiodi, poi i controlli diventano più sommari perché il tempo stringe, e il via sarà puntualissimo in modo da arrivare giusti per le gare élite dopo mezzogiorno.

Ci si ritrova fra vecchi compagni di tapasciate e di maratone: ecco don Franco Torresani, sempre indaffaratissimo e quasi ansioso, ma arriverà 13° assoluto, secondo M 60 a 6” da un coetaneo e corregionale (al Campaccio aveva vinto lui). Per quelli del mio livello bisogna scendere più giù, lasciando stare Fabio Fiaschi da Firenze, troppo più forte sulle distanze brevi, mentre la lotta è col “veterinario” Andrea Dinardo (non chiamarmi così!, diceva mentre correvamo la prima Milano Marathon con don Gregorio Zucchinali lungo il lazzaretto manzoniano), e con Antonio Brillo (mio compagno a Interlaken per la maratona più bella del mondo).

Niente da fare, resisto solo fino all’argine, poi mi daranno un minuto abbondante. Vabbè, c’è gloria per tutti, fino agli ultimi assoluti Cerello e Iacoboni, che vanno a premio come primo e secondo M 85 (Iacoboni era stato primo al Campaccio).

La vittoria assoluta è arrisa ad Andrea Burlo, M 50, con 13:54 (sui 4,200 un pelino scarsi), seguito da Roberto Pedroncelli primo M 55 (lo era già stato al Campaccio) a 8 secondi. Due nostri valorosi modenesi, Gentile e Sargenti, sono 8° e 9°, appena davanti al primo M 60 Maurizio Leonardi (15:02). Con 16:31 arriverà il primo M 65, Francesco Mazzilli, primo anche al Campaccio; con 17:47 il primo M 70 Aurelio Moscato, con 20:22 il primo M75 Maurizio Chirico, con 22:26 Aldo Borghesi primo M 80 (come al Campaccio), compagno Road Runner di Brillo, che deve cedergli il passo.

Ci godiamo un percorso vario e bellissimo (non ho una grande esperienza, ma tracciati così entusiasmanti, col passaggio all’interno del doppio mulino sfiorando anche il Cozzi, il ponte sull’Olona da fare nei due sensi, l’argine dove in teoria potresti anche scivolare in acqua, non li ho mai visti altrove). Si arriva, confortati da medaglia e tè caldo (per i prescelti dalla sorte anche una mantellina argentata), le foto di Mandelli sceso in fretta dalla torre dei -75 e che ad un certo punto per farmi uno scatto dal vivo si mette a correre al mio fianco (ai 5:40/km); poi di nuovo ai box per prendersi il meritato sfottò dal Veterinario e gli immeritati complimenti dalle ragazze dell’équipe, rivestirsi, e assistere alle evoluzioni dei nostri confratelli più giovani M 35-45, ben 192.

Abbiamo in campo addirittura il presidente Alberto, che in partenza è buttato a terra e quasi calpestato dalla mandria, ma applicando a sé il programma di ripresa e resilienza si rialza e arriverà 123°. Vince un SM 45, già secondo di manche al Campaccio, Simone Paredi, col tempo abbastanza stratosferico di 20:17 (sui 6 km circa), 14” davanti al primo M 35, Stefano Clemente (che al Campaccio aveva vinto), mentre il primo M 40, Pierluca Armati, già terzo assoluto nella sua manche al Campaccio, qui è quarto assoluto in 20:39.

Poi tocca alle signore, giustamente in una manche di sole donne, senza il disturbo  dei maschi che hanno già fatto la loro strada. Straordinario risultato della vincitrice, Primo (Carla) di cognome e di fatto, F 50, che con 15:15 (sui 4,2) sarebbe arrivata 15^ assoluta tra i maschi (e già aveva vinto la sua categoria al Campaccio). Quasi un minuto dopo arrivano, praticamente insieme, la prima F 45 Monica Vagni e la prima F 35 Cristina Ballabio; quinta assoluta sarà la prima F 40 Cinzia Cucchi (pure lei già vincitrice al Campaccio) in 16:27.

Faccio il campanilista per segnalare l’exploit coniugale di due neosposi Modena Runners: l’ottavo posto assoluto di Fabrizio Gentile si accoppia al 4° posto F 35 (17^ assoluta) della fresca moglie Elisa Ragazzi. Dopo le dinastie Battocletti, May-Iapichino, Ottoz-Calvesi, chissà che da Modena non venga qualche bella sorpresa… Intanto, la sfida Modena-Bologna tra F 50 si risolve a favore della modenese Chiara Mezzetti (la dietologa che ha rimesso in forma Alessio Guidi, 14 kg in meno) su Valentina Gualandi (cui forse Chiara suggerirebbe di metter su qualche chilo), 19:05 contro 20:22.

Senza la sorveglianza della dott. Chiara, andiamo a mangiare polenta, salsiccia e gorgonzola in paese, per tornare al campo dove Mandelli continua imperterrito a fotografare le gare giovanili. Finché mamma Rai dà il permesso di cominciare le due gare-chiodo (clou in francese), con 6 minuti di ritardo, pecca involontaria di un’organizzazione tempisticamente perfetta. Rifaccio il giro del percorso, inseguito dalle grida degli addetti che vogliono tenere una zona di rispetto verso i corridori anche nei prati attorno: se ero più sveglio esibivo la tessera chiedendo l’accredito stampa, e mi facevano entrare anche dentro le transenne; l’ideale era mettersi sull’argine di fronte al mulino Meraviglia, dove un pescatore con la canna sta indisturbato da ore, ma il massimo concesso a un uomo qualunque è la vicinanza al ponte, che garantisce la vista del doppio passaggio di tutti, valutando i distacchi e al limite dando il 5 ai meno impegnati, quelli che non passano col rantolo da orgasmo ma respirano tranquilli e dispensano sorrisi.

Potete immaginare il tifo per i due Crippa, mentre per le nostre donne c’è stata una breve illusione per Giovanna Selva ed Elisa Palmero, molto carine ma troppo più ‘deboli’ di fronte alla vincitrice Chebet (che, senza offese o allusioni, sembra un maschio, mentre la seconda ha tutti i requisiti della bella ragazza, per non parlare della silhouette della etiope quarta).

Ho tifato per l’ultima, sentendola più vicina al mio tipo di piazzamento, Sara Toloni, maglia verde della Recastello, che all’ultimo ponte aveva raggiunto e superato la penultima, un’altra Sara, che però alla fine la riagguanta e batte seppure con lo stesso tempo.

Forse non aspettano nemmeno il loro arrivo (Rai imperat?), per dare il via agli assolutissimi, col contrattacco di Yeman Crippa che al secondo giro sembra prendere la testa, e rimarrà in scia fino alla fine (per favore, la smettiamo di ‘obbligarlo’ a fare il record in maratona? Chissenefrega dei record, meglio le medaglie!); e piace non di meno il fratellone Neka, che sembrava destinato a essere comprimario e invece con una progressione costante arriva quinto, a due secondi dal terzo. Anche qui, sento miei consanguinei gli ultimi, doppiati due o tre volte su cinque giri. L’ultimissimo è 8 minuti dietro il penultimo, quando danno il rompete le righe e posso raggiungere il traguardo dove Mandelli fotografa le premiazioni, lui è ancora lì che gira sul percorso divenuto zona di passeggio, e finirà quasi in 50 minuti (a me sembravano di più, ma la classifica dice così e mi arrendo).

Tel chì el Mandelli cui spettano (senza escludere nessuno, ma il Migliore è lui) le foto delle premiazioni e dell’intervista a Crippa (ritardata, ancora causa Rai): si distrae un minuto e mi fotografa ormai incappottato, coi capelli bianchi che escono da un berrettino ricevuto alla maratona di Zermatt venti o trent’anni fa, poer vecc. Ma prima di appendere le scarpette al clou, certe esperienze bisogna farle. Se torno, uso le sue chiodate, e chissà se batto il Veterinario di tutte le guerre. 

Pochi giorni ancora e finalmente si saprà chi salirà sul podio alla 91ª edizione di una gara entrata, di diritto, nell’Olimpo del cross mondiale: la “Cinque Mulini”, in calendario domenica 15 gennaio (gara élite ore 14,45).

Nel gennaio 1933 un gruppo di amici, guidati da Giovanni Malerba, si mise in testa di organizzare una corsa in mezzo ai campi, sulle rive dell’Olona dove, allora, ancora macinavano diversi mulini anche a San Vittore. Così nacque ufficialmente quella che oggi conosciamo come Cinque Mulini. Prima vittoria di Mario Fiocchi che precede il duo Luigi Pellin (vincitore delle tre edizioni successive) e Celeste Luisetti.
Grandi campioni hanno immerso piedi e caviglie nel fango e nella polvere del Mulino Meraviglia e della Fattoria Chiapparini. Nel 1953 la Cinque Mulini allarga i confini diventando “internazionale”, e già l’anno dopo ecco il primo atleta non azzurro salire sul più alto gradino. È il tunisino Hamed Labidi (ancora terzo nel 1956), davanti a Mazzon e Pelliccioli. Da allora è un susseguirsi quasi ininterrotto di atleti leggendari. L’ultimo vincitore azzurro porta il nome di Alberto Cova. Siamo nel 1986. Il brianzolo, allenato da Giorgio Rondelli, stava attraversando anni di splendidi successi: Europei di Atene (1982), i primi Campionati Mondiali di Helsinki (1983), i Giochi Olimpici di Los Angeles (1984), il doppio successo (5 e 10mila) in Coppa Europa a Mosca (1985). Pareva imbattibile.
Da quell’anno è iniziata la cascata di diamanti, provenienti da tutto il globo.
Ecco i nomi più rappresentativi saliti sul podio: Michel Jazz, Billy Mills, Gaston Roelants, Kipchoge Keino, Frank Shorter, Filbert Bayi, Robert De Castella, Paul Kipkoech, John Ngugi, Moses Tanui, Khalid Skah, Fita Bayesa, Paul Tergat, Kenenisa Bekele, sino agli ultimi “imperatori” delle vallate keniane ed etiopi.

Quasi identica la “storia” della Cinque Mulini femminile. Prima edizione nel 1971, con la vittoria della britannica Rita Ridley. A seguire tutte le migliori al mondo, iniziando dalle nostre grandi e indimenticabili Paola Pigni, Gabriella Dorio, Nadia Dandolo, ultima vincitrice italiana nel 1990. Dopo quell’anno hanno impresso il loro nome nell’albo d’oro della Cinque Mulini: Esther Kiplagat, Albertina Dias, Merima Denboba, Kipkyegon, Gemechu.

Particolare non indifferente: la Cinque Mulini non si è fermata neppure negli gli anni bui e terribili della Seconda Guerra Mondiale e durante la pandemia di Covid.
Saprà il neo campione europeo dei 10.000 (Monaco di Baviera, agosto 2022) Yeman Crippa spezzare l’incantesimo di quei “diamanti”? Compito difficile, ma non impossibile, il suo. I keniani Rono e Lingokal e il marocchino Ben Yazide sulla carta sono avversari di rispetto. A far da corollario altri specialisti della corsa che attraversa i campi come Neka Crippa, Cesare Maestri, campione europeo di corsa in montagna, Enrico Vecchi, Luca Alfieri (primo degli italiani lo scorso anno) e Marco Fontana Granotto. Gli ultimi tre hanno fatto parte della nazionale italiana under 23 di cross a Venaria Reale.
Grande lotta anche in campo femminile, tra le favorite Beatrice Kebet, argento a Eugene (Mondiali) nei 5000, la keniana Lucy Mawia al comando del World Ranking Cross country. Per i nostri colori vedremo all’opera Valeria Roffino, Micol Majori, Giovanna Selva ed Elisa Palmero.

Non resta che ritrovarci sul terreno di gara, il “Vallo”, sui prati antistanti i Mulini Meraviglia e Cozzi per scoprire i nuovi “signori” dei Mulini.

Ecco le dichiarazioni degli intervenuti alla presentazione:

Daniela ROSSI, Sindaco di San Vittore Olona

Spero ardentemente che la cittadinanza presenzi in massa alla manifestazione, perché gli organizzatori hanno raccolto un testimone e sono l’esempio vivente di come si possa fare volontariato pensando ai giovani.

Giuseppe GALLO STAMPINO, Presidente Unione Sportiva San Vittore Olona

La manifestazione, in programma domenica 15, sabato sarà preceduta dalle gare riservate alle scuole di primo e secondo grado e che per la prima volta saranno trasmesse in diretta tv sul canale 79 del digitale terrestre. Inoltre, nel pomeriggio di sabato, alle ore 15,30 sul piazzale antistante la Chiesa presenteremo i migliori iscritti a tutta la cittadinanza.
Prossimamente il campo del cross, da sempre sede di partenze e arrivi della Cinque Mulini verrò intitolato a Alfredo Turri, indimenticata e instancabile promotore della Cinque Mulini».

Antonio LA TORRE, Direttore Tecnico FIDAL

Spero di vedere Yeman Crippa Protagonista. Sarebbe un bel sogno vederlo sul podio. Però ricordiamoci che ci stiamo confrontando con i migliori al mondo e non è mai semplice e tantomeno facile imporsi in determinate situazioni. Ma dalla Cinque Mulini si deve passare per diventare grandi campioni.
Per quanto riguarda il movimento azzurro, noto con piacere con molti tecnici stanno ritornando “nel fango”, nel senso che si è compreso che il cross è una parte importante per la maturazione di un atleta.

Francesco PANETTA, Campione Mondiale dei 3.000 siepi a Roma 1987 ed Europeo a Spalato 1990

La Cinque Mulini è una delle poche vittorie che mancano nella mia carriera, ma già riuscire a salire su un podio di questo livello è qualcosa di grande. La Cinque Mulini è una di quelle gare che non puoi prendere sottogamba, altrimenti rischi delle figuracce.

 

La gara élite andrà in onda su RaiSport dalle 14,25 alle 15,45 di domenica 15 gennaio.

I MIGLIORI ISCRITTI

Uomini

1

Gideon Kipkertich Rono (Kenya)

nato il 22/ 2/2003

Per la prima volta in Italia in una gara di cross. Nel 2022, a luglio, ha corso i 10mila ad Abashiri (Giappone) in 27’11”03; nei 5.000, sempre a maggio in Giappone, ha fermato i cronometri dopo 13’16”51.

 2

Benson Moshon LINGOKAL (Kenya)

nato il 9/3/96

Quarto nei 10 mila al Keino Classic di inizio stagione nel 2022, personale sui 10 mila 28’43”33

 3

Salah BEN YAZIDE

(Marocco)

nato il 6/5/2003

Medaglia di bronzo nei 3.000 siepi mondiali U20 del 2022 a Calì (Colombia), dove vanta un 8’19”63.

 4

Emil Millan DE LA OLIVA (Svezia)

nato il 24/7/2001

Giovane mezzofondista svedese che corre in tutte le specialità dalle siepi, ai 10 mila passando per i 5.000.

 6.
Yemaneberhane CRIPPA

nato il 15/10/1996

a Dessie (Etiopia)

Primatista italiano dei 3.000/5.000/10.000 e mezza maratona, campione Europeo dei 10 mila a Monaco nel 2022, nonché bronzo nella stessa rassegna nei 5.000. Detiene il record europeo dei 5 km su strada. Quarto a Venaria Reale e argento a squadre nell’ultimo Europeo di cross. Vanta, inoltre, un titolo di campione italiano assoluto dei 1.500 e due di corsa campestre, oltre a 14 titoli italiani giovanili (in 6 specialità diverse) su 17 finali disputate. Vive a Trento.

 10

Nekagenet CRIPPA

nato il 16/9/1994 a Dessie (Etiopia)

È il fratello maggiore di Yeman, vive a Trieste. Specialista dei 10 mila, quest’anno è ritornato alle gare dopo un periodo costellato da infortuni, meritando un posto in azzurro nel cross Europeo di Venaria Reale. A livello junior è stato campione europeo di corsa in montagna.

 

In gara anche: Egide Ntakarutimana (Burundi), Mohamed Amin Jhinaoui (Tunisia), Jean De Dieu Butoyi (Burundi), Cesare Maestri (campione europeo di corsa in montagna), Marco Giudici, Francesco Agostini, Michele Fontana e gli azzurri della nazionale under 23: Enrico Vecchi, Luca Alfieri (primo italiano lo scorso anno a S. Vittore Olona), Marco Fontana Granotto, primo azzurro all’Europeo di cross di Venaria e Riccardo Martellato.

 

Donne

1

Muli Lucy MAWIA

(Kenya)

Nata nel maggio del 1998, guida il World ranking cross country. Vincitrice di 3 cross World Athletics 2022: Bydgoszcz, Soria, Alcobendas.

 2

Francine Niyomukunzi

(Burundi)

Classe 1999 (1 settembre) è tesserata per il Caivano Runners. Il 24 ottobre scorso, in Spagna, ha vinto il 67° Cross Internacional Zornotza, il primo appuntamento stagionale del World Athletics Cross Country Tour Gold. Primati personali. 3000: 9’11”44; 5.000: 15’12”19; 10.000: 32’32”14; mezza maratona:1h08’21”.

 3

Likina AMEBAW

(Etiopia)

Nata il 30 novembre 1997, vive ad Avila (Spagna) e gareggia per una squadra iberica. È al 3° posto del World ranking cross country. Nei 10.000 vanta 31’10” (e un 31’30” mai omologati) e 1h09’01 nella mezza maratona.

 4

Elena BURKARD

(Germania)

30 anni, ha preso parte ai Mondiali di sci di fondo nel 2019 in Danimarca. Agli Europei a squadre di Chorzow, in Polonia (maggio 21) si è piazzata seconda nelle siepi. Ha partecipato agli Europei di cross di Torino, ottenendo il quarto posto con la staffetta mista tedesca.

 6

Beatrice CHEBET

(Kenya)

Nata il 5/3/2000. Medaglia d’argento nei 5.000 ai Mondiali 2022 di Eugene in Oregon, campionessa del mondo di cross Under 20 nel 2019 ad Aarhus, nonché campionessa africana nei 5.000, e oro ai Giochi del Commonwealth del ‘22. Inoltre vanta diversi piazzamenti e successi di prestigio nella Diamond League.

Primati personali: 3000/8’27”14; 5.000/ 14’34”55; 10.000/33’29’07.

 7

Giovanna SELVA

22 anni, di Domodossola.

Cresciuta nella zona Verbano/Cusio/Ossola, sin dalle prime gare ha sempre amato esprimersi in campestri o corse in montagna. È tesserata per i Carabinieri, dopo aver iniziato a gareggiare per la Sport Project VCO. È allenata da Severino Bernardini, maratoneta, ossolano doc. Giovanna ha fatto parte della squadra italiana di cross Under 23, oro a Venaria Reale (Europei) lo scorso dicembre. Studia medicina a Varese e nel tempo libero ama cucinare.

 10

Valeria ROFFINO

È nata nel 1990, è sposata con Michele Fontana e madre di una bimba. Capitana della nazionale di corsa campestre, terreno dove si è messa in mostra in più di un’occasione. Due titoli italiani assoluti nelle siepi, una partecipazione agli Europei di Zurigo 2014, e 15 titoli italiani giovanili (almeno uno in ogni categoria).

  

In gara anche le altre azzurre reduci dagli Europei di Venaria Reale. Micol Majori ed Elisa Palmero.

 

ORARI

GARE INTERNAZIONALI

Ore 13.40

Juniores Internazionale maschile (mt. 6.200)

Ore 14.15

Juniores/Promesse/Senior Internazionale femminile (mt. 6.200)

Ore 14.45

91ª Cinque Mulini

Senior Internazionale maschile (mt. 10.200)  

 

GARE MASTER

Ore 09.00

Master maschile (MM50 e oltre - mt. 4.200) 

 Ore 09.45

Master maschile (MM35-40-45 - mt. 6.200)

  

GARE GIOVANILI

Ore 11.15 e a seguire

Esordienti (tutte le categorie)

EM - EF 6 (mt. 400)

EM - EF 8 (mt. 400)

EM - EF 10 (mt. 800)

 

Ore 11.45 e a seguire

Ragazze (mt. 1.000)

Ragazzi (mt. 1.000)

Cadette (mt. 2.000)

Cadetti (mt. 2.000)

 

Ore 12.40 e a seguire

Allieve (mt. 4.200)

Allievi (mt. 4.200)

8 gennaio – Da bambino, per me Castello d’Argile (che pronunciavo sbagliando, con l’accento sull’i) era solo il nome sul retro della figurina di Giuliano Sarti, il leggendario portiere di Fiorentina scudettata e Inter supercampione (Sarti-Magnini-Cervato, Chiappella-Rosetta-Segato; poi Sarti-Burgnich-Facchetti, Bedin-Guarneri-Picchi: bastano i nomi) che, come diceva Gianni Brera, sembrava avere un’aureola sul didietro dato che non aveva mai bisogno di tuffarsi: dovunque arrivi il tiro, lui è sempre piazzato e abbranca la palla sul petto. Avrebbe 90 anni, oggi, se vivesse ancora. Ma è morto nel 2017: chi vuole commuoversi legga questo meraviglioso ricordo https://storiedicalcio.altervista.org/blog/sarti-giuliano.html

Da adulto, o diciamo pure anziano, per me Castello d’Argile (una ventina di km a nord di Bologna) era diventata la sede di una bellissima maratonina a principio primavera, fortemente voluta da Angelo Pareschi, che all’arrivo ci accoglieva con una tavolata di torte casalinghe come ristoro finale, e con le battutine ironiche lanciate dalla sua voce tenorile. E qui l’avevamo rivisto per una delle ultime volte, il 10 ottobre del 2020, dove in pieno lockdown e proibizionismo era riuscito a organizzare, con Claudio Bernagozzi, una corsa su e giù per l’ “argile” o argine del Reno https://podisti.net/index.php/cronache/item/6585-castello-d-argile-bo-camminata-so-e-zo-par-l-erzen-riparte-anche-bologna.html

Confermo tutto quello che ho scritto allora, anzi rafforzandolo col senno di poi, nutrito delle rivelazioni sul numero di morti da Covid gonfiato, forse raddoppiato per tenere alta la dittatura sanitaria, il divieto di podismo ma il permesso di movida, e adesso lasciatemi godere le vacanze a 5 stelle a Cortina. Purtroppo, Pareschi non c’è più: se ne è andato il 19 agosto 2021, e quanto gli volessimo tutti bene lo testimoniano gli oltre 3300 lettori del necrologio che gli dedicammo

https://podisti.net/index.php/commenti/item/7580-e-morto-angelo-pareschi-un-grande-del-podismo-bolognese.html

E Angelo continua a vivere nelle sue creature, come questa “Camminata dei Presepi” che (con l'organizzazione determinante della San Rafèl, che non vuol dire San Raffaele ma San Ruffillo) prospera all’ombra della maestosa cattedrale di Mascarino, progettata cent’anni fa dagli architetti Gualandi padre e figlio (chissà se antenati…?): cattedrale davanti a cui si passava durante la 21 di Castello d’Argile, a volte incontrando la banda schierata che suonava per noi. Gara giustamente intitolata ai presepi, perché dentro la grande chiesa dell’Assunta c’è una raccolta di presepi fatti da bambini, dell’asilo o scolaretti.

L’anno scorso, con la scusa del Covid, questa camminata intitolata ai presepi era stata vietata dal sindaco, venendo poi recuperata al tempo delle uova di Pasqua. Chissà cosa avrebbe detto Pareschi; che si è consolato oggi, ricordato al microfono dal suo fidato scudiero Claudio Bernagozzi, in una mattinata grigia ma risparmiata dalla pioggia, salvo una spruzzatina iniziale indegna perfino di mettersi l’impermeabile.

Eravamo forse in 250 al via delle 9, e altrettanti camminatori penso fossero già per strada a respirare un po’ d’aria di campagna e raccontarsi i fatti propri (una signora raccontava all’amica che per Natale si era fatto il regalo di una siringa di acido ialuronico… “di listino era 180, ma su internet me l’hanno messa a 100”); un trio di amiche, bionde o ex bionde, guidavano poi verso il traguardo una quarta al suo esordio in corsa, e “mancano 2 km, se sei stanca fa’ un minuto di passo, poi ricomincia”).

Percorso all’incirca rettangolare, su stradette con ampie curve e ampie crepe nell’asfalto, che si dirige verso Castello ma senza toccarlo, e offre due tracciati di 7 e 10 km (10,3), senza traffico, ottimamente segnalati e presidiati da sbandieratori. A lato, tre somarelli si rincorrono allegramente; segue escursus non troppo panoramico per il villaggio, e finalmente ritroviamo le due altezze gemelle di cupola e campanile, a sovrastare il gonfiabile del traguardo.

“Bòcca mia csa vot?”: al ristoro allestito nel vecchio teatrino parrocchiale, con tè, acqua e crescenta (e si rivede la Patty, ferroviera bolognese antica compagna di maratone, che sta ‘allenando’ la nuova protesi all’anca), si aggiunge quello esterno, un tavolone gestito dai “quasi atleti”, con cubetti di mortadella, fette di salame, pasta e fagioli con dentro pezzi di salsiccia, e per buttare giù il tutto, vin brulé versato col mestolone come ai tempi antichi.

Tutto questo, per 2,5 euro di iscrizione, che danno diritto anche a una scatoletta a scelta tra fagioli o chicchi di mais (alcune di queste confezioni saranno santamente  devolute al Cesto della carità, in chiesa).

Non sarà la maratona di Bologna e neanche la vicina mezza di Castelmaggiore, ma ogni tanto è bello anche così.

6 gennaio 2023 – La sorte di inaugurare il 2023 competitivo in area mediopadana è toccata a Casalgrande, paesone del comprensorio ceramico non proprio ridente, però sistemato urbanisticamente molto bene a quanto si è visto dalla zona partenza, collocata nella piazza centrale, e dai più immediati dintorni.

È andata in onda l’11^ edizione della Chocolate Run (come sono lontani i tempi in cui i nomi delle gare erano in dialetto, la còursa dla Cicolèta e via discorrendo), competitiva di 9 km (facciamo 9,300), che ha radunato 147 partecipanti, e un buon numero di non competitivi, che l’immancabile e puntuale Roberto Brighenti ha quantificato in quasi 1500 (c’era anche un evento dedicato alle scuole che da solo ha raccolto 500 iscritti, mentre sommando le 15 società più numerose si arriva a 550 adulti). Reggiani soprattutto, ma anche modenesi (complice la cancellazione dello storico evento podistico nel capoluogo); e sebbene non fossero nel numero che mi sarei aspettato, ai primi due posti della classifica per società stanno la Guglia di Sassuolo con 73 e il Cittanova con 64.

Il percorso, quasi tutto gradevolmente campagnolo, ha disegnato un’immagine (per stare più o meno in tema) di cono-gelato, o se preferite di mazzo di fiori, dove il gambo era nella piazza di partenza-arrivo, poi si saliva verso nordest con punto più settentrionale, ovvero il margine esterno destro del cono, al km 3. Da qui si scendeva verso il cioccolato contenuto nel cono, poi al km 4 si deviava verso nord ovest, in direzione dell’altro bordo del cono (o del mazzo di fiori), il cui punto più alto era al km 5,5. Da qui si discendeva verso il paese, leccando tutto il cioccolato che stava fuori dal cono; e da bravi bambini affamati e golosi, arrivati al km 8 cioè al cono residuo, ce lo mangiavamo tutto fino alla base appuntita, cioè al traguardo.

Dove ricevevamo due tavolette di cioccolata (stavolta, non metaforica), “pagate” i 3 euro della quota ufficiale reggiana, e un ristoro di tè caldo e saporito, versato da caraffe e arricchito da spicchi di arance già tagliate (se Dio vuole, non c’è più il ministro Speranza e i suoi lacchè a dire che con ristori del genere finiremo tutti in terapia intensiva; ci credeva solo quel vesuviano squalificato, che dal suo alto pulpito sentenziava: anca uògge, mille muòrte, e vvuje annate a ccurre, ingusciènde).

Tornando in più spirabil aere, Brighenti scandiva i nomi degli arrivati, con la vittoria del 31enne reggiano Salvatore Franzese in 30:42, venti secondi meglio dell’emergente Lotfi Gribi (qui con la casacca Olimpia Vignola), e quasi un minuto su Federico Alessandro, ventunenne non  accasato.

Per attendere la prima donna (su 27 competitive) bisogna aspettare oltre 6 minuti, cioè l’arrivo di Giulia Pasini (33enne del Cus Parma) in 37:02, mezzo minuto meno della coetanea Fatima Rakhssane che solo 6 giorni fa era andata sul podio alla mezza di Classe. La ritroviamo, come sempre, alla tenda del Cittanova, sempre disinteressatamente ospitale, come lo è stata col vecchio amico della bassa reggiana Bruno Benatti da Gualtieri (42:00). A proposito di vecchi amici, dal sempre valido Giuseppe Pellacani (38:21) apprendiamo che il papà Marino, una leggenda dello sport reggiano (sebbene modenese d’origine, esule a Reggio per amore), gode di buona salute anche se al momento non se la sente di competere. Ma lo rivedremo di sicuro, come oggi abbiamo goduto della compagnia lunga 9 km di Brunetta Partisotti (reduce dall’aver appena scritto un manuale per l’apprendimento del latino) e del marito ingegner Giulio Negri, più il loro cane Biscotto che tirava costante ai 6/km.

Schieramento in pompa magna di fotografi reggio-modenesi; Italo Spina è il più sollecito e cortese a mandarci i suoi scatti, che messi insieme da Roberto Mandelli troneggiano in testa a questo raccontino. Poi arriveranno le 660 foto di Domenico Petti, un quadro esauriente della giornata.

C’è il tempo anche per ricordare (su input di Brighenti) un eroe dello sport di queste parti, William Vecchi, classe 1948, portiere del Milan cui garantì con le sue parate la Coppa delle Coppe 1973, anno in cui vinse anche la Coppa Italia parando in finale i rigori decisivi di Anastasi e Bettega. Se ne è andato il 3 agosto scorso, e chi ha amato il calcio vero di allora (non quello di Caressa e Lele Adani commentatori) si sente un groppo in gola, acuito dalla notizia della scomparsa, oggi, di Luca Vialli.

Domenica riparte il podismo a Modena, con quella Marzaglia che sicuramente attirerà, in reciprocanza, anche i reggiani non competitivi che potranno godere della quota “modenese” calmierata a 2 euro. Chissà se sarà rinnovata l’abitudine del vin brulé all’arrivo.

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