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Mag 05, 2024 1948volte

Alla Sgambada di Mirandola, dove tutto cominciò

Vai tranquillo tra Elvino e Boniburini Vai tranquillo tra Elvino e Boniburini Roberto Mandelli

5 maggio – Oggi, giorno natale (fra gli altri) di Karl Marx, il risorto calendario podistico modenese portava a Mirandola, per l’edizione numero 50 della Sgambàda (che da quelle parti non si pronuncia sgambàda, ma con la tipica ä delle Basse, come Mirändla e Nunäntla: è una questione di contatti tra ferraresi, mantovani e bolognesi, più magari qualche abate che insegnava alle mirandolesi la posizione del missionario…).

La giunta comunale attualmente in carica (che a Karl Marx non si ispira) ha messo all’ingresso dei borghi cartelli marroni con la dicitura in dialetto, e durante il nostro giro passeremo da Zivdal (cioè Zivdäl) e Bastìa, con l’avvertenza venuta da Lanfranco Rebecchi (una delle anime della manifestazione) che la “bastiglia” è il punto più alto di queste valli, altimetricamente piuttosto depresse.

Qui, ho detto, è cominciato tutto: da quel 26 marzo 1972 (ben prima della crisi petrolifera cui solitamente si attribuisce la nascita delle corse a piedi) quando l’autore del secolare Barnardòn, il lunario dil festi e dil féri che stava appeso sugli usci di tutte le case, decise di dare alla sua città una “maratona popolare”, come già si era cominciato a fare nella vicina S. Agata Bolognese (santägätä o santèghete).

A correre i 18 km ci presentammo in 850, che l’anno dopo divennero 1400, e da allora la tradizione è continuata, con tre sole edizioni mancate, e l’aggiunta fino al 1990 di una maratona (la Sei Comuni ovvero Sìä cumùn) che allungava i primitivi passaggi da la Cuncordia e San Pusidòni aggiungendo al capoluogo al Cavèss, Mdòla e San Flìs.

Perché il podismo all’epoca parlava dialetto, e per esempio nella vicina Cavezzo nacque la Trutàda, come a Vignola-Castelvetro si allestiva Da la zresa al lambròsc: queste sono le origini di un movimento che è cresciuto a dismisura, anche se il Covid gli ha dato una brutta botta (oggi eravamo in 730, col solito semi-boicottaggio di molte società modenesi: strascico di una rivalità antica che risale almeno al 1711, quando il ducato di Modena comprò dall’imperatore il ducato di Mirandola togliendogli un’indipendenza durata quattro secoli). Ma gli uomini forti del podismo modenese, da Maurizio Pivetti a Giuliano Macchitelli, c’erano, e non poteva mancare nemmeno Peppino Valentini con la sua accogliente tenda.

Partenza ufficiale alle 9, anche se era consentito (in ossequio alle consuetudini delle Basse) di andar via cominciando dalle 8,30. A occhio, nell’orario canonico saremo stati in 250-300; e tra questi sono stati premiati i primi tre più tre, al di là del fatto che la gara era ufficialmente “ludico-motoria” (perché qui dal 1972 sono sempre premiati quelli che arrivano prima, con un riguardo particolare per i bambini: la grande Cecilia Tirelli, modenese, a 8-10 anni le sue prime coppe le vinceva qua).

Tra gli adulti è risultato primo Leonardo Demuliti, davanti a Andrea Bernabei ed Enrico Zoni. Per le donne, Alicia Apshai, su Stefania Pantaleoni e Sara Zerlotto.

Il percorso, di 13,600,  era alquanto diverso da quello originale del 1972, tranne il primo e l’ultimo km, spingendosi, dopo aver attraversato la zona industriale nord della città (da cui il tracciato dei 7 km deviava in direzione del traguardo) verso le “valli” di Gavello celebri per le angurie, la già citata Bastia, poi Cividale (la stazione del treno grande per il Brennero, separata da quella del treno dal cùcc, antica proprietà del padrone della Maserati, poi comprato dalla Provincia e stupidamente soppresso nel 1964).

Tra i partecipanti, non mancava il medico carpigiano Sergio Guaitoli, che da studente corse l’edizione 1972; ed Elvino Gennari, che nel 1972 la fece in bicicletta accompagnando il fratello Pietro (primo podista di famiglia), e indosserà le scarpette da corsa col gemello Loris solo l’anno dopo. Dopo poche centinaia di metri, ho affiancato un collega che correva col berrettino e la medaglia della terza edizione (1974), l’altro carpigiano Stefano Solmi, poi trasferito a Modena, e che qui corse anche la 6 Comuni: come fecero pure i due apaches Rambo Benassi (un anno addirittura terzo in 2h40) e Angelo Mastrolia, col quale condivido tutto il percorso lungo rievocando corse, gabbianerie (sue: “ho accompagnato centinaia di ragazze in gara, nessuna che abbia mai accompagnato me”), e le belle donne in scarpette, dalla mitica Lollo alla sempiterna Egle, a quella che, “fidanzata” con un podista carpigiano, un bel giorno gli mandò le partecipazioni di nozze con un altro; per finire con quelle che dal podismo hanno raccolto i frutti benedetti dell’amore. A parte questo, Mastrolia oggi festeggia la doppia salvezza calcistica del Lecce e del Modena; mentre i carpigiani festeggiano la promozione in C.

Tornando al nostro più genuino sport, molti sono anche i rimpianti, cominciando da un altro maratoneta delle Basse, al sgnor Guldoon alias Giuliano Goldoni da San Felice; che tra l’altro fa venire in mente i biscotti Goldoni, fabbricati a Mirandola e che insieme all’Ovomaltina costituivano il ristoro finale delle sgambade antiche.

Oggi, sotto un sole deciso, ma non cocente, due ristori in gara e uno più ricco in piazza, dove il reggianito Pietro Boniburini (altro protagonista su queste strade, col suo squadrone del Tobacco Museum) offriva in aggiunta il suo ampio campionario di scarpe. E non si poteva saltare la vicina mostra commemorativa dei 50 anni (o meglio, delle 50 edizioni in 53 anni) di Sgambada: fotografie, ovviamente dei Gennari (inclusa la Flora, scomparsa da poche settimane), ma anche di Gentilini-Andrea-Agente unico SAI come diceva un cartello all’ingresso di Mirandola, o della campionessa locale Laila Bergamini; c’era pure un video del 1988 (l’anno di Bordin a Seul) col Lupo nelle vesti di intervistatore; e ancora medaglie, volantini, e uno speciale distintivo che riprende l’antica iconografia della corsa.

Peppino Valentini consegna un foglio delle prossime gare ricco come ai bei tempi. Ce ne andiamo salutando una città e una piazza, a dire il vero ancora troppo ferita dal terremoto, come faceva Leonardo-Barnardon, santo patrono del podismo nostrano: nona i me car mirandulês!

1 commento

  • Link al commento Maria Cristina Golinelli Lunedì, 06 Maggio 2024 11:37 inviato da Maria Cristina Golinelli

    La frase volgare sull'abate e la posizione del missionario poteva risparmiarla.

    Rapporto

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