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Fabio Marri

Fabio Marri

Probabilmente uno dei podisti più anziani d'Italia, avendo partecipato alle prime corse su strada nel 1972 (a ventun anni). Dal 1990 ha scoperto le maratone, ultimandone circa 280; dal 1999 le ultramaratone e i trail; dal 2006 gli Ultratrail. Pur col massimo rispetto per (quasi) tutte le maratone e ultra del Bel Paese, e pur tenendo conto dell'inclinazione italica per New York (dove è stato cinque volte), continua a pensare che il meglio delle maratone al mondo stia tra Svizzera (Davos e Interlaken; Biel/Bienne quanto alle 100 km) e Germania (Berlino, Amburgo). Nella vita pubblica insegna italiano all'università, nella vita privata ha moglie, due figli e tre nipoti (cifra che potrebbe ancora crescere). Ha scritto una decina di libri (generalmente noiosi) e qualche centinaio di saggi scientifici; tesserato per l'Ordine giornalisti dal 1980. Nel 1999 fondò Podisti.net con due amici podisti (presto divenuti tre); dopo un decennio da 'migrante' è tornato a vedere come i suoi tre amici, rimasti imperterriti sulla tolda, hanno saputo ingrandire una creatura che è più loro, quanto a meriti, che sua. 

19 marzo – In una domenica ricchissima di eventi podistici a distanza di poche decine di km nella stessa regione (per dare un’idea, le mezze maratone di Novellara, Ravenna-Porto Fuori, Colli Bolognesi e della stessa Imola, a una decina di km di distanza), ricorre anche la 98^ edizione della Sagra del raviolo (o, come dicono altrove, della raviola dolce: pasta frolla, mostarda, rosso alchermes, spolveratura di zucchero, cottura al forno), che si tiene sempre per San Giuseppe, al termine delle Quarantore di adorazione (infatti circola il motto “ora et raviola”). A differenza di quanto appare in qualche sito web, è il Team Try It Asd collegato al negozio imolese di articoli sportivi, e "concept store della salute" https://www.tryit.bio/, in collaborazione col Comune e la Proloco di Casalfiumanese, a organizzare questo “short trail”, per una lunghezza programmata di 15,4 km con 550 metri di dislivello, più un’altra distanza di 10 km non competitiva.

Di competitivi ne sono venuti un centinaio (altrettanti, e forse di più, quelli cimentatisi nel tracciato minore, tra cui ci siamo rivisti col vecchio compagno di una maratona a Venezia, Paolo Salvatori): in campo maschile c’è stato un arrivo a pari merito nello stesso tempo di 1.07:46, per Mattia Reggidori (cui è stata assegnata la vittoria) e Jacopo Mantovani. Molto staccati gli altri, col terzo Luca Farolfi a 3’15” dalla coppia regina.

Nessun dubbio per la vittoria femminile, che si poteva dire assegnata già sulla linea di partenza: con un decimo posto assoluto in 1.22:55 (ma primo assoluto tra gli over 50, maschi compresi) la statistica (nel senso di prof) reggiana Isabella Morlini ha inflitto oltre 11 minuti alla seconda (e prima “under” femminile), Michela Sturla, che a sua volta ha preceduto di 50” la terza, Chiara Marenga. Da aggiungere che il compagno di squadra di Isabella in Atletica Reggio, Salvatore Franzese, pochi km sotto vinceva in contemporanea la maratonina di Imola in 1h12'04, precedendo Lorenzo Lotti  (1h12'23). 

Primo “over” 50 maschio è Mauro Abbate, 18° assoluto in 1.28:36; 98 i classificati, di cui 31 donne, e l’onore di chiudere gli arrivi al sassolese Enrico Mussini, cognome pesantissimo di qua e di là dal Secchia, di qua e di là dall’Oceano. Ma il “Tricolore” Paolo Giaroli (l’elargitore delle spugne calde alla maratona di Reggio) era già arrivato da 12 minuti.

Nelle retrovie, ci siamo gustati i panorami, affascinanti e un po’ paurosi dopo il 9° km, quando separati i due percorsi nel punto più basso (alla stessa altitudine della partenza-arrivo), quelli del lungo sono stati avviati su calanchi tra San Martino in Croara a Baladelli di sopra, con sentiero a tratti molto sottile, in prossimità della terza salita principale, che intorno al km 11,5 ci faceva superare quota 300 metri (dai 120 metri della partenza) e ricordava un po’ certi passaggi del trail estivo di Sala Baganza (esagerando, diremmo anche la salita alla Punta Parrot nel gruppo del Rosa).

Con Angelo Giaroli (arrivato mano nella mano col sottoscritto, ma avvantaggiato di un misterioso secondo dal chip a discovolante) ci chiedevamo se almeno la Morlini osava correre in quel tratto: ma al traguardo l’interessata ci ha risposto di no (d’altronde, perché rischiare la pelle, con quel vantaggio?). Decisamente più innocue le prime due salite, che ai km 5 e 6,5 ci hanno portato alla solita quota 300, prevalentemente su strade carraie a parte due strappi sentieristici. Ma senza dubbio le bellezze maggiori le abbiamo gustate nel lungo falsopiano-discesa dopo il km 12, in prevalenza su sentiero, con sguardo a destra verso Borgo Tossignano teatro di storiche battaglie nell’ultima guerra, dovendo infine noi combattenti del 2023 subire l’ultimo colpo basso della risalita, a meno di un km dal traguardo, verso il centro antico di Casalfiumanese, su un ‘muro’ scivoloso che ci ha costretti ad aggrapparci agli alberelli (noi, non la Morlini!).

Perfette le segnalazioni del tracciato e la presenza degli sbandieratori; due i ristori con bevande, integratori, frutta e dolci caserecci; con l’aggiunta del pasta-party finale compreso nel prezzo di 20 euro (più la cresta della società intermediaria), e goduto nell’affollatissima piazzetta adiacente al traguardo. Lunghe le code per ottenere il sospirato cabaret, tranne per noi trailer che avevamo una fila privilegiata (che a me è costata meno di dieci minuti d’attesa).

Anche il parcheggio era gratuito per noi (mentre i festaioli comuni pagavano 2 euro), e nell’adiacenza degli spogliatoi (anzi, “spgiatoi”) dove mi sono gustato una doccia caldissima. Non restava che aspettare le 16, con lo storico lancio dei ravioli dal campanile, e darsi appuntamento per i trail e le maratone romagnole che da domenica prossima cominciano ad affollarsi. E il prossimo autunno non dimenticheremo il TRAIL DEL MARRONE, che lo stesso team Try.it allestirà nella vicina Castel del Rio.

12 marzo – Il nome di Albareto (che ad essere onesti, non avrebbe molti motivi di eccellenza paesaggistica per emergere, e storicamente ha avuto l’abitante più illustre in Dino Grandi conte di Mordano, che qui impiantò una fattoria modello) ricorre abbastanza spesso su queste pagine, grazie all’attivismo della locale polisportiva e di altre associazioni che riescono a mettere in piedi almeno tre corsette l’anno, cui si aggiungono quelle di Modena nord o di Bastiglia-Bomporto che finiscono per calpestare le stesse strade, tra l’ex ferrovia di Mirandola e l’ex canale navigabile con cui i duchi andavano in Bucintoro fino a Venezia, e oggi è abitato dalle simpatiche nutrie sfuggite agli allevamenti di castorino (qualche anno fa si organizzò qui anche una “Corsa della Nutria”, per tributare un risarcimento a questo diffamato e socievole mammifero).

Veniamo a oggi: in una domenica tanto ricca di corse competitive in regione e appena più in là, ad Albareto vanno quanti avevano saltato per pioggia Rubiera due settimane fa, o hanno programmato una domenica di “scarico” dopo le maratone di Busseto o Bologna, e prima di rituffarsi nel calendario di mezze e di maratone che da oggi in avanti ci accompagnerà fino a giugno. Ben 5 percorsi, dai 3.5 ai 13; un solo ristoro, dopo 6,5 km, proprio mentre Giancarlo Greco diceva che l’unica cosa decente alla maratona di Bologna erano i ristori. Qui, in più, c’era il tè tiepido, come pure al traguardo, dove ci attendeva anche (per il misero corrispettivo di due euro) una confezione di crescentine e un vasetto, nonostante il titolo, non delle mimose dall’odore di strinato, ma delle più profumate viole, elargite anche ai maschiacci.

Oltre a questo, una larga premiazione delle società, dove il Cittanova ha ripreso a vincere con 153 iscritti (che poi proseguiranno per il pranzo sociale, dove i prosciutti vinti durante l’anno saranno ben sufficienti a sfamare un reggimento), ma deve cominciare a guardarsi dal contagioso entusiasmo di Mohamed Moro che ha portato qui ben 78 “Runners & Friends”; e chissà quanti dei 101 scolaretti iscritti proseguiranno nella carriera pedestre. Il fotografo Nerino appositamente venuto dal reggiano (come Paolo Giaroli), ha ritratto pure una discreta quantità di sassolesi, carpigiani e mirandolesi, l’immancabile Giuseppe Cuoghi che si sta preparando per correre attorno a un lago trentino, nonché la neo-adepta di Podisti.net Morena Baldini (che non è la sorella di Stefano, come mi ha chiesto qualcuno, ma di Loriano, e gravita nell’orbita del Cittanova).

Ben organizzato il parcheggio adiacente al ritrovo, anche perché non eravamo legioni (comunque 1228 certificati, più del doppio che a Rubiera); un po’ difficoltosa l’uscita per la manovra da fare a causa di uno spartitraffico installato piuttosto a capocchia.

Partenza “abbastanza” di gruppo (voglio dire che eravamo forse metà degli iscritti ad aspettare il via, cosa sempre più rara in questo genere di camminate); nell’attesa, si scambiano impressioni su Bologna con due impegnati nella 30 km, il banchiere Claudio Morselli e mamma Francesca Braidi (un cui figlio oggi è impegnato a Gubbio nei campionati nazionali di cross), e con l’altra mamma, nonché presidente, Emilia Neviani, che a Bologna si è sacrificata sui 21 per accompagnare l’amica Lorena al traguardo.

E si va puntuali, con un discreto sole e 16 gradi di temperatura, lungo percorsi che le nostre scarpette conoscono a memoria incluso il sottopasso della collina del disonore, perforata, con grande acume ecologico, dalla TAV. Giancarlo Greco ripete che i bolognesi dovrebbero fare uno stage a Reggio per vedere come si organizza una corsa, e quanto al suo Sassuolo calcio garantisce che oggi a Roma non farà lo Scansuolo come contro col Milan l’anno scorso (e i fatti gli daranno ragione). Mentre Lucio Casali, dopo aver fatto migliaia di km in pellegrinaggi (compreso l'intero cammino di Santiago) ha deciso di presentarsi, finalmente, a quella (per lui) quasi-tapasciata che è il Passatore, ma non capisce bene come andrà con la nuova partenza a onde che lo relegherà in fondo al gruppo stanti le sue scarse... referenze (per chi non sa che faceva Cesano Boscone in 2.59:59). 

A sbandierare a un incrocio c’è il Ross Brevini, di cui qualcuno ricorda la notte fantozziana in un albergo di Klagenfurt, conclusa dallo sprint in pista con William Mazzi prima di tornare tutti sul pullman della speranza capitanati da Zavatta (una volta imbarcammo pure noi una piacente clandestina sui 30 o poco più, si chiamava Jovanka o Maruska o Soljanka o giù di lì, non aveva documenti e alla frontiera si nascose sotto una coperta da letto).  

Su quei pullman veniva anche Roberto Mundici, classe 1959, esponente di una famiglia di tre generazioni di podisti: adesso non corre più, ma tiene fede alla sua qualifica di pensionato attivo e di Umarell (come recita il suo biglietto da visita) facendo il volontario al centro per la vaccinazione Covid, dove peraltro sono più gli impiegati che i clienti. Però, onore a lui.

5 marzo – Parto dai fatti, sui quali (e solo sui quali) vanno poi elucubrate le opinioni. Arrivati di questa maratona (sebbene il tempo massimo fosse stato alquanto elasticizzato rispetto all’annunciato, fino alle 6h21 dell’ultimo): 1313, più 50 non competitivi in ordine alfabetico (perlopiù stranieri, in ossequio a regole che in tutto il resto del mondo, Francia esclusa, sono incomprensibili). Arrivati nell’ultima edizione (31 ottobre 2021: vedi qui

http://podisti.net/index.php/cronache/item/7944-bologna-marathon-first-edition-be-parliamone.html), 1596+7 nc. E pensate che c’erano state tante defezioni, dovute al rinvio di un anno e mezzo rispetto alla data primitiva, e anche per ripicca di fronte alla richiesta di altri 10 euro per confermare la presenza; e c’erano tutte le procedure Covid, greenpass, autocertificazioni, tracing, mascherine…. Dovemmo avere un gran pelo sullo stomaco per venire nel 2021, forse nel 2023 sono venute meno tante motivazioni (a parte la “restituzione” dei 10 euro, promessa e mantenuta per i reduci della prima edizione).

Nella 30 km odierna (partita alle 9,15 insieme alla maratona): arrivati 958+32 NC; nel 2021 furono 744. Nella 21 km, ossia la vecchia Run Tune Up nata una ventina d’anni fa per sponsorizzare un pacchiano e commerciale gemellaggio con la maratona di New York, e ora accorpata in una sorta di fusione fredda, stile PD, con le due gare maggiori (ma con regolamento diverso made in Uisp, percorso diverso e partenza tre quarti d’ora prima), 1410 classificati. Nelle due ultime edizioni “autonome” (2018 e 2019) erano stati 2399 e 2411.

Quanto ai tempi, io non credo al miraggio dei supercampioni (che magari dopo due anni si scoprono superbombati) ingaggiati a suon di dollari, che vengono a vincere con mezz’ora di distacco sui piazzati. In queste, che una volta si chiamavano “maratone popolari”, la parola ingaggio dovrebbe essere bandita; e ben venga un vincitore bolognese adottivo malgrado il cognome straniero, già secondo nel 2021, che malgrado il miglioramento di 6 minuti sulla volta scorsa realizzi in un tempo col quale nelle major (ma nemmeno a Milano o Roma) a stento arriverebbe nei primi 50; e ben venga il Mandelli junior che arriva terzo in 2.30. E che tra le donne si vinca con 3.10, cioè 17 minuti in più del risultato 2021, a me sta bene purché la vincitrice non venga presentata come una big. E comunque c’è poca trippa per gatti, dato che le categorie restano accorpate due a due, insomma i cinquantenni devono competere coi 41enni: ma le “convenzioni al tortellino” (come le chiama qualcuno) consentono questo e altro, e i patetici inseguitori di prosciuttini possono stare a casa.

Migliori i tempi finali (come scrive Lorenzini: https://podisti.net/index.php/in-evidenza/item/9861-bologna-bologna-marathon-ripartita-bene-ottimi-i-tempi-e-buona-la-partecipazione.html ) sulla 30 km, mentre la 21 mi è sembrata ancor più nello spirito della festa popolare per corridori locali: non a caso, ben 500 dei classificati ci hanno messo più di due ore, qualcuno anche più di tre. E come dice Marescalchi, non essendo distanza omologata, i risultati non valgono per le sue statistiche.

Se non ci lasciamo deprimere dalle cifre, io comunque parlerei di qualche buon passo avanti, quanto meno per l’allestimento, molto, molto migliorato rispetto al 2021, quando l’assessora allo sport si era arrabbiata minacciando di non dare più i permessi. Allora furono carenti, e in qualche caso mancanti, i ristori; il passaggio in centro nella parte finale divenne una gimcana in mezzo alla movida e ai tavolini dei ristoranti, inclusi gli sbagli di percorso causati da carenza di segnali e di addetti (mentre in periferia avevamo assistito a battibecchi e scazzottature tra podisti, ciclisti e autisti). Quest’anno dichiaro solennemente che in cinque ore ho contato in tutto tre auto (probabilmente clandestine) procedere lentamente sul nostro tracciato, e incredibilmente solo a un incrocio ho assistito a un dialogo pacato tra un vigile e una guidatrice, senza mai sentire strombazzamenti.

Se sommo però queste percezioni all’assenza assoluta di tifo lungo il percorso (a parte un paio di incoraggiamenti arrivati dai piani alti dei casermoni stile DDR in zona Savena/Due Madonne), ai non più di dieci bambini che ti porgevano il cinque (cui aggiungo la sorpresa privata della mia adorabile nipotina Annina, che mi ha teso l’agguato al km 23 accompagnandomi di corsa, mano nella mano, per un po’: la sua mamma, con cui feci 7 km, sotto i 5’/km, durante la maratona di Assemini nel 1993, in attesa di riprendere a correre oggi si limitava a fotografare) direi che i bolognesi, ben avvertiti delle limitazioni del traffico, sono fuggiti dalla città, per riemergere poi nel primo pomeriggio per lo struscio improduttivo lungo la cosiddetta T. A differenza di Milano, Bologna non odia i maratoneti: li evita.

Mentre l’organizzazione ci ha costretti ad affollare gli alberghi cittadini, o a fare doppio viaggio, rifiutando di consegnare i pettorali la mattina della gara e obbligandoci a venire venerdì o sabato nell’intasatissima zona del palasport, oltretutto pure minacciata da divieti di transito. È una prassi non solo bolognese, e certamente messa sul piatto della bilancia davanti al Comune: noi vi rompiamo le scatole la domenica, ma vi portiamo tanti begli eurini. Ma certo non favorisce la partecipazione.

Anche il percorso, evidentemente frutto di compromessi con la pubblica amministrazione, si è attorcigliato nel centro storico per la prima dozzina di km, con un’infinità di curve ad angolo retto e di stradette minimali da imboccare, e l’unica grave sbavatura del “frontale”, intorno al nostro km 10, per circa mezzo km, coi corridori della 21 ormai alle battute finali, ma costretti a salire sul marciapiedi perché la strada non larghissima era tutta nostra. Con tutti questi ghirigori, ci saranno state almeno 100 occasioni di “tagli”, di fronte a due soli controlli chip; gli squalificati in effetti sono parecchie decine, ma chissà se i colpevoli sono solo loro. 
In compenso, dal km 12 circa siamo andati su stradoni lunghi chilometri, tutti per noi, fino a farci sentire spaesati lungo la Cristoforo Colombo-Marco Polo che da Castelmaggiore riporta in centro: strada larga trenta metri, percorsa da noi quattro gatti over 4h30, mentre le auto chissà quali viottoli campagnoli dovevano fare. 
La maglietta blu compresa nel pacco gara rappresentava stilizzate le “emergenze” bolognesi: San Luca dove fortunamente non ci hanno mandato, San Petronio, e le due Torri, che nel disegno non sono pendenti, e che abbiamo visto solo alla partenza, attraversando via Rizzoli per raggiungere via Indipendenza, ma poi sfioreremo solo alla distanza di sicurezza di 2/300 metri (a differenza del 2021 quando ci passammo proprio sotto).

Numerosi i monumenti sotto cui siamo passati (San Domenico – ma non San Francesco  né San Giacomo né Santo Stefano con annessa casa di Prodi, lasciate a un centinaio di metri -, i Servi, casa Carducci, alcune piazze grandiose inclusa quella nuova del “Liber Paradisus”), peccato che nessun cartello li indicasse, e rimanessero dunque estranee ai non bolognesi (personalmente ho scoperto, dopo mezzo secolo, la casa dove abitarono i fratelli Arcangeli, uno poeta e l’altro finissimo intenditore d’arte, vicino al leggendario liceo Minghetti; ma siamo pure passati davanti alla casa del pittore Morandi e nessuno se ne è accorto).

Maratona intestata anche a Lucio Dalla, ma facevano un po’ pena le cinque-ragazzotte-cinque (4 per l’esattezza, più un maschio), che accompagnate da un chitarrista eseguivano canzoni di Lucio, magari cambiandoci le parole per inserirci la parola “maratona”: se penso che a Nashville ogni miglio c’è un complesso rock che ti suona Pretty woman o The house of rising sun o Lay Lady Lay… tiremm innanz; ho sentito il dovere di applaudire queste stakanoviste senza pubblico. Versi di Dalla erano incisi anche sulla medaglia, originale nel disegno come ormai lo sono tutte: quando una medaglia-medaglia, tonda e dorata, diventerà una rarità, allora gli organizzatori riprenderanno a proporle (è il conformismo dell'anticonformismo, qui ci vorrebbe Umberto Eco a spiegarlo).

Ristori molto migliorati rispetto al ‘21: acqua abbondante e quasi sempre fresca, in bottigliette chiuse (che buttavamo piene ancora per tre quarti generando allagamenti per strada); a volte sali liquidi in bicchiere, niente bevande calde (eppure siamo partiti con 5-6 gradi, arrivando intorno ai 16°), banane intere o a fette. A gestirli erano le società bolognesi, e mi sono un po’ vergognato a vedere amici del Calderara o del Ponte Lungo ridotti a servire me che andavo più piano di quanto sarebbero andati loro. Scarse invece le toilette mobili; quasi nessuna lungo il percorso, e in numero insufficiente in zona partenza, col risultato che decine di podisti si sono liberati dei liquidi pre-gara facendola contro il muro del palazzo comunale: è passata una macchina della polizia, e un pulotto ha urlato “ma voi pisciate contro il muro di casa vostra?”, per fortuna senza estrarre il libretto delle multe. Per le docce bisognava tornare al palasport, 1 km e mezzo rigorosamente da fare a piedi, e credo che ben pochi ne abbiano usufruito. Si perdono nella nebbia dei personali ricordi evanescenti le docce militari istantanee allestite a pochi metri dai traguardi di Ferrara o Firenze.

Misurazione del percorso: non metto lingua, e non so cosa pensare dei 150 metri di dislivello annunciati dai due gps che avevo; i quali, al km 12 ufficiale sono arrivati segnando entrambi 12,500; poi si sono stabilizzati sui +500 (cioè i km parevano ‘esatti’), salvo calare dal km 30 e arrivare quasi a cifre normali, compatibili con le misure giuste: salvo un’ultima risalita dal km 42,000, segnato esattamente all’ingresso in piazza Galvani, ma dove per il traguardo sotto il palazzo Re Enzio mancano (mappa TCI e doppio decimetro alla mano) quantomeno 250 metri.

Classifiche date rigorosamente col gun-time, senza nemmeno indicare il real-time (ma a che servivano i tappetini in partenza?); qui non dico nient’altro rispetto a quanto detto più volte, e così non mi attiro nemmeno l’ira concorde di Lorenzini e Marescalchi. Il quale ultimo co-gestiva, simpaticamente, gli arrivi, e mi ha costretto a una intervista finale appena tagliato il traguardo: fortunamente, malgrado la cotta che mi attanagliava da quel maledetto cavalcavia sulla tangenziale (km 27) , riuscivo a reggermi in piedi e soprattutto a collegare il cervello. Del ristoro finale, frazionato in vari tavolini, anche dalla Patty ferroviera maratoneta, ho apprezzato soprattutto le squisite prugne; primo viatico per affrontare il faticoso rientro alla stazione fendendo la calca della T (bus, neanche a piangere fino alla Montagnola). Sul treno, fortuito incontro con una famigliola bergamasca, in cui il papà ha corso oggi la sua prima maratona. Tra un po' arriverà in stazione anche il padre Castrilli, ovviamente per scendere lo Stivale: anche il suo è stato un ri-esordio, e le sue prime considerazioni sono, come sempre, molto indovinate: http://podisti.net/index.php/commenti/item/9875-bologna-marathon-promossa-percorso-da-migliorare.html

Continuo a credere più nel passaparola dei podisti che nelle ingannevoli comunicazioni ufficiali secondo cui è tutto ottimo e meraviglioso e ogni anno si fa un record: appunto per questa fiducia, vorrei sperare che nella prossima maratona di Bologna (se e quando ci sarà: della nuova serie, questa è la prima che si svolge nella data prevista) gli amici dei podisti che oggi hanno corso torneranno a popolare una gara degna di una grande città dove “non si perde neanche un bambino”.

 

Rubiera (RE), 26 febbraio – Era il 16 febbraio 2020, una bella giornata quasi primaverile, quando si corse la 40^ edizione. Una settimana dopo si tennero le ultime corse, poi il blocco quasi totale per il Covid.

Rubiera (la patria adottiva di Stefano Baldini) si è fermata per tre anni, riprendendo oggi con la 41^ Caretera (nel corso degli anni, il nome ha perso qualche consonante, dal primitivo “Carrettera”). Ripresa in tono minore, sia perché la gara è diventata totalmente non competitiva, sia perché è stata abolita la distanza maggiore dei 16 km, rimanendo solo le misure degli 11.5, 8 e 4 km; sia perché lo spostamento di una settimana in avanti è venuto a coincidere sia con lo svolgimento della vicina maratona e gare connesse di Salsomaggiore-Busseto (che ha portato via tutti i competitivi), senza dire dei 10 km di Misano che si sono presi un’altra bella fetta di reggiani e modenesi, sia soprattutto è incappata nella prima giornata di pioggia vera, dopo mesi di siccità, con una cinquantina di millimetri caduti, e l’aggiunta del vento con un picco intorno alle 10,30 quando eravamo quasi tutti per via (l’ora di partenza, a differenza di quanto indicato dallo striscione, erano non le 9 ma le 9,30).

Risultato, meno di 500 iscrizioni registrate (forse la quarta parte, o meno, dell’era pre-covid), soprattutto di locali, tant’è vero che i gruppi più numerosi erano rappresentati da frequentatori di palestre della zona, e la prima delle società tradizionali, il Cittanova di Modena, non è arrivata a 50 iscritti. Fa specie la mancanza di tutte le società della vicinissima Sassuolo, e invece la presenza quasi eroica della società del Finale Emilia di Ottavio Magni, che pure aveva a disposizione gare in sedi a lei più vicine. Pochi e infreddoliti anche i fotografi abituali.

Tra i podisti, chi si è perso per il Covid, imparando che è più comoda la tombola o lo struscio nei supermercati rispetto alla camminata col freddo, non torna più; chi pensa che la corsa sia ancora un con-corso, dove c’è chi vince e c’è chi arriva diciottesimo e chi terzo di categoria, ha veleggiato per altri lidi; i “tiepidi”, quelli che sì, correre mi piace, ma con quest’acqua chi me lo fa fare, li vedremo a primavera inoltrata.

I cinquecento scarsi di Rubiera, che non hanno nemmeno goduto dell’usuale speaking dell’enfant du pays Roberto Brighenti, hanno tuttavia trovato un percorso ottimamente segnato e assolutamente chiuso al traffico, un godibile costeggiamento del torrente Tresinaro (bello soltanto in questa stagione), il solito attraversamento del grande parco di villa Spalletti… anche lui da scudetto (aperto solo in questa occasione, e mi sono permesso di correrlo anche fuori dei limiti del tracciato, visitando ad esempio il laghetto e le carraie erbose nei dintorni, in modo da aumentare un po’ il chilometraggio); ristori comprensivi di tè caldo e saporoso (genere che negli ultimi mesi sembrava un po’ scarseggiare, e qui invece, data anche la scarsità di clienti, non si è fatto desiderare, insieme a arance non anemiche e altre cibarie); e alla fine, in una piazza d’arrivo pressoché deserta rispetto ai pienoni dei tempi d’oro,  un mezzo kg di spaghetti, di fronte a una quota di iscrizione di 2 euro, più modenese che reggiana. Sta a vedere che anche Giangi, visto aggirarsi tra la folla prima del via, ha pagato l’iscrizione.

Siviglia (SP), 19 febbraio – Sono 8292 in totale i classificati alla 38^ edizione della maratona di Siviglia, che contende a Valencia il titolo di maratona più veloce in Spagna. In effetti, i tempi dei primi classificati sono di alto livello, con tripletta etiope maschile nello spazio di 25 secondi. Ecco i primi cinque arrivati dal sito ufficiale dell’avvenimento Clasificaciones 2023 | Zurich Maratón de Sevilla 2023 (zurichmaratonsevilla.es)

Maschile

1

18

GADISA BIRHANU SHUMIE

INDEPENDIENTE

ETH

02:04:59

02:04:59

 

2

3

KEBEDE TULU WAMI

NIKE

ETH

02:05:19

02:05:18

 

3

2

MEKUANT AYENEW GEBRE

LI-NING

ETH

02:05:24

02:05:23

 

4

19

GASHAU AYALE

INDEPENDIENTE

ISR

02:05:33

02:05:32

 

5

4

BETHWEL CHUMBA

ASICS

KEN

02:05:42

02:05:42

 

 

Molto buono anche il tempo della vincente nella gara femminile, dove ha nettamente prevalso la keniana Chelal in 2h20’29”, un minuto e mezzo davanti alla seconda, l’etiope Mulisa.

 

Femminile

 

1

61

JACKLINE CHELAL

ASICS

KEN

02:20:29

02:20:27

 

2

59

ABERU AYANA MULISA

INDEPENDIENTE

ETH

02:21:54

02:21:54

 

3

58

URGE DIRO SOBOKA

INDEPENDIENTE

ETH

02:23:05

02:23:04

 

4

304

CITALI MOSCOTE

INDEPENDIENTE

MEX

02:24:53

02:24:51

 

5

307

DEBORAH SCHÖNEBORN

INDEPENDIENTE

GER

02:25:52

02:25:50

 

 

Quanto all’Italia, l’ufficio stampa Fidal comunica:


È un buon debutto per Yohanes Chiappinelli in maratona, subito sotto le due ore e dieci minuti alla prima esperienza nei 42,195 km. L’azzurro corre in 2h09:46  e chiude in ventitreesima posizione. Per il senese dei Carabinieri è rispettato il piano-gara con un passaggio alla mezza di 1h04:33. Nella seconda parte, parziali da 15:13 tra il 25esimo e il 30° chilometro, 15:26 tra il 30° e il 35°, 15:34 tra il 35° e il 40°. Già bronzo europeo delle siepi a Berlino 2018, primatista italiano dei 10 km (27:50 ad Arezzo) in condivisione con Pietro Riva, negli ultimi tempi il 25enne allenato da Giuseppe Giambrone si è concentrato sempre di più sulla corsa su strada, scendendo fino a 1h00:45 nella mezza maratona tricolore di Pisa dello scorso ottobre, un crono che lasciava intravedere un esordio positivo anche in maratona.

“Prima della gara ho pensato che sotto le 2h10 sarei stato contento - racconta ‘Yoghi’ dalla Spagna - e in effetti per essere la prima volta sono soddisfatto del tempo. Ho cercato di divertirmi fino ai venticinque chilometri, come mi avevano consigliato in molti: ascoltavo le sensazioni del mio corpo, l’incitamento delle persone. Il passaggio alla mezza è stato giusto, poi la ‘lepre’ che doveva portarci fino al trentesimo km si è fermata, intorno al 23°, e il gruppo si è iniziato a sfaldare. A quel punto ho preso l’iniziativa, ho cercato di andarmene e di recuperare sul gruppo che era davanti. Eravamo in due fino al trentacinquesimo, insieme al francese Abderrazak Charik. Poi da solo. Negli ultimi 10 km la fatica si è fatta sentire, com’è normale: gli ultimi due sono stati veramente brutti! Ma con me avevo il mio coach Giambrone che mi seguiva in bici e mi dava consigli. Adesso spero nei Mondiali di Budapest oppure penseremo a un’altra maratona in autunno. Si può fare meglio di così”.

Tra gli italiani, diamo il merito a Michele Marescalchi - nostro attento lettore e implacabile critico, anche se dopo un'ora di telefonata ci troviamo sempre d'accordo su tutto, specie quello che non si può scrivere - per averci segnalato che la classifica emanata dopo la gara conteneva molte inesattezze, sanate nella seconda versione filtrata attraverso World Athletics. Dunque aggiorniamo l'elenco dei migliori italiani (non sempre indicati come tali nella classifica), integrando  il 95° posto assoluto di Giacomo Esposito (Atletica San Biagio) in 2.21:41, col 201° di Giulio Ornati (VCO) in 2.31:29; segue il 236° di Davide Maggi (Civate) in 2.36:45.

Piazzamenti abbastanza di rilievo tra le donne, cominciando dal 56° posto di Chiara Prosdocimo (Ponzano) in 2.55:38, e il 62° di Anna Zilio (Km sport) in 2.58:38. Ecco il link aggiornato: https://www.zurichmaratonsevilla.es/zms-clasificaciones-2023

 

Marescalchi aspetta gli atleti e atlete di casa nostra a una conferma dei loro tempi sulle nostre strade (perché in Spagna si vola, non altrettanto nel resto del continente); ma nel frattempo dice che la prestazione di Chiappinelli è straordinaria, non "discreta" (chissà se arrivava nei primi dieci, che aggettivi avrebbe usato).

19 febbraio – Come nel 2021, è toccata a Correggio la terza prova, conclusiva del campionato regionale Fidal di cross, e valida come gara unica per i titoli individuali. Ben 980 sono stati i partecipanti, di cui 427 donne; nei soli Master (over 35) i presenti erano 333 (107 donne). Le gare precedenti si erano svolte a Faenza e Castel S. Pietro (questa seconda, in condizioni climatiche proibitive). Oggi, sotto un bel sole quasi primaverile, la tappa sia maschile sia femminile va al Circolo Minerva di Parma. Vittorie peraltro di stretta misura: un solo punto (1108 contro 1107) separa i primi dall’Avis Castel San Pietro; a 1096 stanno i terzi, Castenaso Celtic Druid, davanti di 6 punti ai quarti del Modena Runners Club, che a loro volta sopravanzano di 5 punti i titolati concittadini della Fratellanza. Staccatissime tutte le altre società, su un totale di 37 contendenti.

Un punticino solo decide anche il campo femminile, dove Minerva ne assomma 748 contro i 747 delle “signore della corsa” Faenza 85. A quota 725 il Casone Noceto, due punti in più della Fratellanza: 20 in tutto le società in graduatoria.

Desta comunque qualche dubbio il modo di assegnare i punti, non basato sul numero dei partecipanti a ogni categoria, ma su una quota fissa a scalare, che in alcune categorie partiva da 100 punti, in altre da 80: col risultato che (per esempio) nella categoria M 80 i due soli concorrenti hanno portato in società 80 e 79 punti; mentre nella M 60 gli arrivati sono 26, ma il primo porta ugualmente solo 80 punti. Invece alla prima F 35, che ha prevalso su 8 concorrenti, vanno 100 punti; come alla prima F 55 che fa lei pure 100 punti battendo 9 colleghe. Invece la prima F 60, prima su 16, riceve solo 80 punti.

Insomma, è un modo di fare le classifiche bizantino, che punisce le categorie numerose e suggerisce strategie maliziose, tipo saccheggiare i Circoli Anziani portando a correre una decina di ottantenni che da soli faranno più punti di superatleti da 3 minuti a km.  Si aggiunga poi che a determinare le classifiche di società concorrono i 10 migliori punteggi under 60 e due over 60 per ciascuna squadra, coi risultati finali che illustriamo sotto.

Curioso il nome di “Ecologic Cross” scelto dagli organizzatori della Self Montanari Gruzza (gruppo lattiero-caseario di Reggio Emilia): a me pare che della parola “ecologico” si abusi, oltretutto impropriamente, perché “ecologo” vorrebbe dire “chi studia l’ambiente”, e fanno ridere le scritte “bus ecologico a metano”. Qui l’ecologia (anzi, Ecology visto che tu vuò fa l’ammericano) consisteva essenzialmente nell’invito a lasciare i pettorali (inclusivi di chip) in apposito contenitore, da dove li smaltirà l’organizzazione: come se noi podisti buttassimo i pettorali per strada. Certo, si potrà differenziare carta, plastica e metallo (ammesso che lo si faccia, e una volta fatto, che l’azienda di smaltimento non rimetta tutto nel mucchio); io i pettorali li conservo nel personale museuccio, li smaltirà qualcuno alla mia morte. Tornando a Correggio, l'ottimo tè del ristoro finale ci è stato servito, come sempre, in bicchieri di plastica usa-e-getta, allo stesso modo del caffè (a pagamento) nel tavolo di fianco.
A parte questo, l’organizzazione è stata impeccabile, il percorso decisamente abbordabile, con due salitelle insignificanti per ogni giro (a seconda delle manches, i tracciati master andavano dai 3 ai 5 km), per cui il primo M 35, Daniele Santini, ha finito in 18:17, ma davanti a lui stanno tre M 40, due Minerva e un Castel S. Pietro, con tempi sotto i 18 minuti cioè sotto i 3:30/km. (Personalmente, speravo in qualche argine più ripido per testare le scarpette con chiodi del 14, omaggio di Roberto Mandelli alla Cinque Mulini; vedremo la prossima volta...).

Dei principali risultati individuali ha già dato conto Stefano Morselli, che ha seguito tutte le gare in veste di fotografo: https://podisti.net/index.php/cronache/item/9797-19-02-2023-correggio-re-ecologic-cross-camp-reg-le-di-cross.html.

Qui riporto il dettagliato comunicato Fidal di Giorgio Rizzoli giunto in serata.

 

Le gare iniziano puntualmente alle 9.00 con la prova master uomini di 5 km per le categorie da 35 a 50. Si impone, come nei 2 precedenti cross regionali, Taoufik Bazhar (Circolo Minerva), sm40, che precede il neo compagno di club Francesco Bona, atleta di livello nazionale alcune stagioni fa, pure sm40. Nelle altre 3 categorie previste in questa prima serie vincono Daniele Santini (Circolo Minerva) negli sm35, Rachid Kisri (Circolo Minerva) negli sm45, ma con il titolo regionale assegnato a Gianluca Borghesi (Avis Castel San Pietro), in quanto Kisri è di nazionalità Marocco e Flavio Monteruccioli (Avis Castel San Pietro) negli sm50.

La gara successiva è la gara master uomini di 4 km con le categorie da 55 e oltre. Il 1° atleta al traguardo è un sm55, Maurizio Gentile (Fratellanza 1874 Modena). Gli altri vincitori del titolo regionale sono Daniele Baroni (Atl. Rimini Nord Santarcangelo) negli sm60, Italo Sampaoli (GS Lamone) negli sm65, Adolfo Accalai (Avis Castel San Pietro) negli sm70, Araldo Viroli (Avis Castel San Pietro) negli sm75, Egidio Pieri (Lughesina) negli sm80 e Giovanni Sirotti (Atl. Mameli Ravenna) negli sm85.

Si conclude così anche il Campionato di Società Master Uomini, con il successo finale dell'Avis Castel San Pietro con 130 punti di vantaggio su Circolo Minerva, che nella prova di oggi precede di 1 punto l'Avis Castel San Pietro; nella classifica finale nell'arco di 32 punti si piazzano ben 4 formazioni: appunto il Circolo Minerva al 2° posto, Atl. Castenaso Celtic Druid al 3°, Modena Runners Club al 4° e Fratellanza 1874 Modena al 5°.

Terza gara della giornata è la serie per tutte le master donne. Nelle precedenti 2 prove regionali Simona Santini (Circolo Minerva), sf40, aveva preceduto l'altra sf40 Fiorenza Pierli (Atl. 85 Faenza) a Castel San Pietro, mentre a Faenza era stata Fiorenza Pierli a precedere Simona Santini. Se questo di Correggio era da considerare uno spareggio tra le fortissime sf40 della nostra regione, l'esito di oggi è stato favorevole a Simona Santini, che vince quindi il titolo regionale, aggiudicandosi la gara di oggi con 13 secondi di vantaggio. Nelle altre categorie vincono il titolo regionale Lisa Ferrari (Circolo Minerva) nelle sf35, Nadiya Chubak (Atl. Lugo) nelle sf45, Rosa Alfieri (Circolo Minerva) nelle sf50, Monica Barchetti (Fratellanza 1874 Modena) nelle sf55, Susi Frisoni (Atl. 85 Faenza) nelle sf60, Paola Lambertini (Lolliauto) nelle sf65, Germana Babini (Lughesina) nelle sf70, Lucia Soranzo (Atl. 85 Faenza) nelle sf75, Raffaella Dall'Aglio (Atl. Casone Noceto) nelle sf80.

Nella classifica di società, anche nelle master donne il Circolo Minerva si aggiudica la prova di oggi, precedendo di 1 punto l'Atl. 85 Faenza, ma nella classifica complessiva sulle 3 prove è l'Atl. 85 Faenza a vincere il titolo regionale di società, con 11 punti di vantaggio sul Circolo Minerva, con 3° posto per l'Atl. Casone Noceto, 4° per la Fratellanza 1874 Modena e 5° per la Lughesina.

Dopo i master sono di scena a Correggio le gare giovanili. Si parte con le ragazze e anche questa volta sono quelle della Atl. Frignano Pavullo a piazzarsi nelle prime 3 posizioni: nell'ordine Valentina Muzzarelli, Sveva Costi e Cecilia Ferrari; le pavullesi piazzano anche la sesta e l'ottava classificata, confermando un dominio già visto a Castel San Pietro e Faenza. Giorgia Paderni (Atl. Lugo) si piazza al 4° posto, precedendo Carlotta Lunghi (Corradini Rubiera), quinta al traguardo.

Nella classifica finale di società l'Atl. Frignano Pavullo conclude con 2955 punti, vicina al punteggio massimo ottenibile che sarebbe stato di 2970 punti; il podio societario delle ragazze è completato dalla Atl. Lugo e Corradini Rubiera.

Nei ragazzi successo di Diego Ficarra (Polisportiva Atletico Borgo Panigale). Questo ragazzo, 13 anni compiuti in gennaio, è dall'anno scorso praticamente imbattuto nelle gare e pedane su pista e indoor, fra 60 metri, 60 hs, lungo e prove multiple; non ci si aspettava che vincesse anche in una gara completamente diversa dalle sue specialità solite e invece è arrivato un altro successo, che è anche il suo 5° titolo regionale vinto. Ficarra ha preceduto i protagonisti dei precedenti cross regionali, Daniel Milo (Fratellanza 1874 Modena) e Davide Vanossi (Virtus Emilsider Bologna); poi al 4° posto Nicolò Ferrari (Fratellanza 1874 Modena) e al 5° Luca Bonini (Self Montanari Gruzza). E complimentiamoci con tutti i 277 atleti delle categorie ragazzi e ragazze che hanno gareggiato a Correggio.

Nella classifica di società si conferma la Fratellanza 1874 Modena, che vince il titolo regionale davanti all'Atl. Lugo e alla Atl. Imola Sacmi Avis, oggi al 6° posto nella classifica "di tappa" ma che conserva la terza piazza.

Nelle cadette il titolo regionale va a Giada Margherita Ligorio (Fratellanza 1874 Modena), che precede Letizia Mengozzi (Atl. Imola Sacmi Avis), Carlotta Verde (Libertas Rimini), Giulia Ingrami (Rcm Casinalbo) e Beatrice Giusti (Atl. Frignano Pavullo). Per la Ligorio è la conferma del successo a Faenza, mentre a Castel San Pietro era stata preceduta da Carlotta Verde.

Nella classifica di società anche nelle cadette è netto il predominio della Atl. Frignano Pavullo, che anche oggi piazzano le proprie atlete al 5°, 6°, 8°, 10°, 17° e 18° posto. Il punteggio complessivo per Pavullo è stato d 2871, contro 2592 della Atl. Imola Sacmi Avis e 2510 per l'Atl. 85 Faenza.

Nei cadetti vince Achille Alessandri (Libertas Rimini) che precede Gabriele Perugini (Libertas Atletica Forlì), il duo della Corradini Rubiera, Matias Costi e Mirko Masetti e Mattia Govi (Atletica Parma Sprint) al 5° posto. Per Alessandri è la replica dei successi di Castel San Pietro e Faenza, mentre Perugini e Costi si erano scambiati la seconda e la terza posizione nei 2 precedenti cross.

Il titolo societario nei cadetti va alla Atl. 85 Faenza, che oggi piazza gli atleti al 7°, 10°, 11°, 12° e 24° (ma anche per gli atleti cadetti il 37°, 45°, 47°, 52°, 54°, 66°, 76° e 91° posto (su 112 classificati): un vero successo di squadra; nella classifica finale seguono poi Corradini Rubiera e Atletica Parma Sprint, distanziate fra di loro di soli 11 punti).

Concluse le gare delle categorie giovanili, si parte con le categorie assolute, con gare valide solo per il titolo regionale e non per le classifiche di società, che si erano già definite con le prime 2 prove. Sono le allieve quindi a partire e si ripete il copione iniziale già visto a Castel San Pietro e Faenza, con Marta Gianninoni (Acquadela Bologna) subito in testa fin dall'inizio, anche con un buon vantaggio sulle altre atlete, che poi l'avevano rimontata nel finale; questa volta però l'esito è diverso: sia a Castel San Pietro e Faenza la coraggiosa iniziativa solitaria della Gianninoni si era interrotta nell'ultimo terzo di gara, superata da Sofia Ferrari nella prima prova e da Carlotta Denti nella seconda, mentre questa volta l'atleta della Acquadela mantiene il comando della gara fino al traguardo e conclude davanti a Marianna Zagni (Pontevecchio Bologna) che riduce nel finale una parte del vantaggio accumulato dalla Gianninoni, ma senza che sia messa in discussione la vittoria della Gianninoni, che vince con 7 secondi di vantaggio; oltre un minuto questa volta il distacco di Carlotta Denti rispetto alla vincitrice, seguono poi Viola Di Renzo (Atl. Lugo) e Aurora Gambetta (Fratellanza 1874 Modena) al 4° e 5° posto.

Seguono gli allievi: è tris per Francesco Bigoni (Atl. Estense), vincitore anche questa volta con ampio margine. Dal 2° al 5° posto si piazzano Brayan Schiaratura (Golden Club Rimini), Diego Falcone (Endas Cesena), Abderrahman Ait Mahmoud (Pontevecchio Bologna) e Gianluca Brintazzoli (Atl. Reggio).

Dopo gli allievi la gara successiva è per le junior f.: vince Nausica Barberini Magnani (Francesco Francia) davanti a Giulia Bertacchini (Corradini Rubiera), Sara Morini (Atl. Lugo), Giulia Vaccari e Lisa Melli Santunione (Fratellanza 1874 Modena).

Prima delle gare conclusive di cross lungo e juniores m. si disputa un'unica gara uomini e donne di cross corto sulla distanza di 3 km, che pure assegnava titoli regionali assoluti e promesse. Negli uomini domina Marco Casini (Delta Sassuolo), che precede di 36 secondi Roberto Muccioli e di 43 Nicolò Lombardi, entrambi della Endas Cesena. Il titolo regionale promesse è vinto da Jose Catelani (Corradini Rubiera), 4° al traguardo e che precede fra gli under 23 Roberto Ferretti (Corradini Rubiera) e Francesco Maffei (Self Montanari Gruzza).

Nel cross corto donne vince il titolo regionale Giorgia Marchini (Cus Parma), pure con amplissimo margine, visto il distacco di 49 secondi con cui regola Aurora Imperiale, seguita da Chiara Bazzani, entrambe dellaFratellanza 1874 Modena. In questa gara solo 2  atlete della categoria promesse classificate: il titolo regionale va a Concetta Lettini (Modena Atletica), che precede Sara Zanni (Pontelungo Bologna).

La penultima gara di oggi vede alla partenza gli junior m. e le assolute donne nel cross (lungo) di 8 km. Tra gli junior è un testa a testa fra Abrham Angino Asado (Polisportiva Centese) e Flavio Zaretti (Cus Parma); prevale il 1° per 2 secondi, poi a quasi un minuto di distanza Luca Venturelli (Libertas Atletica Forlì) precede Pietro Salati (Self Montanari Gruzza) e Riccardo Sintoni (Libertas Atletica Forlì).

Nelle assolute f. sono Elena Fontanesi (Self Montanari Gruzza) e Francesca Giacobazzi (Corradini Rubiera) a contendersi il titolo regionale; nel finale prevale la Fontanesi, che vince anche il titolo regionale promesse; al 3° posto si piazza Martina Cornia (Fratellanza 1874 Modena, 2° posto fra le promesse); al 4° e 5° posto si piazzano Alice Tambini (Circolo Minerva) e Giulia Pasini (Cus Parma), seguite da Francesca Badiali (Fratellanza 1874 Modena) al 6° posto e al 3° fra le promesse.

La gara conclusiva della giornata è il cross (lungo) maschile di 10 km. Vince Mohammed Baybat, atleta di nazionalità marocchina, neo tesserato in Italia e con il Circolo Minerva: World Athletics ci segnala che si tratta di un atleta di buon livello, con personali realizzati nel 2022 di 13.41.33 e 1.01.47 nella mezza maratona. Infatti la gara non ha storia fin dall'inizio con Baybat che vince con quasi di 3 minuti di vantaggio su Giovanni Tuzzi (Atl. Piacenza), che vince il titolo regionale assoluto; nella classifica della gara seguono Adimasu Angino Asado (Virtus Emilsider Bologna), Alessandro Pasquinucci (Fratellanza 1874 Modena), Mattia Marazzoli (Corradini Rubiera) e Geremia Taino (Atl. Casone Noceto), con questi ultimi 3 che vanno sul podio per la categoria promesse.

Ed ora il comunicato dell'Atletica 85 Faenza

In una domenica invernale calda e soleggiata i nostri 81 atleti portano in alto i colori di A85 grazie soprattutto al primo posto a squadre dei cadetti e delle master donne. 
Prima volta in assoluto che la squadra cadetti negli oltre 60 anni dell'atletica faentina, vince il titolo regionale a squadre di cross. 
Questo grazie anche e soprattutto ai piazzamenti odierni: settimo posto per Gioele Angeli e il decimo, undicesimo e dodicesimo posto rispettivamente di Abdolah Loukili Anwar, Luca Cattani e Paolo Visani. 
Tra le donne master da sottolineare i primi posti (campionesse regionali nelle rispettive categorie) per Susi Frisoni F60 e Lucia Soranzo F 75 ed i bei secondi posti di Fiorenza Pierli tra le SF40, Anna Spagnoli nelle SF50, Nicoletta Pasello nelle SF55,  Rita Gabellini F65, Paola Tirabassi F70, Marta Billi F80.
Da segnalare inoltre l'ottimo terzo posto nella classifica generale delle cadette, il settimo delle ragazze ( oggi quarte) e il quarto dei ragazzi, grazie anche al terzo posto di oggi. 
Buoni risultati anche dal settore assoluto maschile e femminile. 
Quelli appena raccontati sono risultati storici per la nostra società, soprattutto nel settore giovanile, che sta crescendo molto negli ultimi anni. 

 

 

 

Un mesetto fa abbiamo rivissuto la maratona di Assisi 2000, però limitata alle signore, sia pure con la menzione di qualcuno dei loro accompagnatori (http://podisti.net/index.php/commenti/item/9692-maratona-di-assisi-2000-una-storia-fatta-di-donne.html ).

È giusto vedere anche l’altra metà del cielo… anzi, un po’ più di metà, visto che furono in 669 a finire in classifica contro 93 del gentil sesso (oddio, chissà se questa espressione, normale nel 2000, suona offensiva o quantomeno maschilista ai tempi della Egonu e della Schlein…).

Come al solito, per i primissimi basta la citazione, non sono loro ad avere bisogno dell’attenzione dei giornali: vinse Graziano Calvaresi in 2.22:20, 1 minuto e 15” su Davide Kiruoi Kiptoo, poco di più su Marco Galeasso. Sesto Antonello Petrei, settimo Giorgio Calcaterra, nono il suo “delfino” Marco D’Innocenti.

Ma già alla posizione 13 troviamo Enrico Vedilei, ancora tesserato Avezzano, in 2.42 (la sua futura moglie Maria Luisa Costetti finì, come già detto, in 3.29 insieme a Ivano Folli, mentre l’altro ‘congiunto’ Flaviano Polinori aveva chiuso in 2.57). In grandissimo spolvero due altri amici di Podisti.net di allora: il milanese d’alta finanza Cosimo Resina (2.55) e l’udinese adottivo Antonio Margiotta (3.04).

Appena sotto le 3.10 giunse il bolzanino Marco Grillo, allora marito della recordwoman Renata Cecchetto, e un minuto dietro fu la volta di Maurizio Benassi detto Rambo, modenese tesserato per la società più competitiva dell’epoca (la Tobacco Museum, gestita da un collezionista di scatole di sigarette), che imitando il suo compatriota Mastrolia correva con una chioma da indiano. Viene in mente un carosello a cartoni animati, dove il protagonista esordiva chiamandosi “Graande caapo”, cui seguiva una ventata che spiumava la chioma, al che il grande capo aggiungeva “quaasi”. In 3.22 chiuse Giorgio Garello, milanese trasferito in Piemonte, un grande futuro di personal trainer, massaggiatore e perfino istruttore di Fit Boxe; due minuti dopo Daniele Cesconetto, veneto lungagnone che poi arriverà al record delle 24 ore su tapis roulant, a Conegliano.

Ma quando ci si imbatte nel 3.26:58 di Tanino Amadio, classe 1948, non si può non rivedere questo torinese di Grugliasco, un vero gentiluomo col quale era impossibile litigare, strappato troppo presto agli amici che però ne ricordano il compleanno ogni 23 gennaio.

Un altro gran signore era Ulderico Lambertucci, del ’46 e nel prolifico giro dei maratoneti maceratesi, che dopo aver stabilito il record del maggior numero di maratone in un anno (mi pare, 42: allora ci si misurava solo sulle maratone “vere”, non le si fabbricavano), si diede alle grandi traversate a piedi, da santuario a santuario (Loreto-Santiago, e non fu l’unica). Ad Assisi finì in 3.28, due minuti meno di una grandissima meteora dello sport modenese: Alfonso Pagliani, operaio meccanico, classe 1955, a volte autista di Govi (i maligni dicevano che avesse comprato l’auto solo per trasportare l’albinese), che in pochissimo tempo, riuscendo a correre più volte Passatore e Nove Colli lo stesso anno, arriverà alle soglie della nazionale (Stefano Scevaroli gli raccomandava invano di correre meno; non lo ascoltò, e sparì di colpo dalle scene). Che invece il suo coetaneo Luciano Bigi, cesenate futuro presidente dei Supermaratoneti, calca ancora e con onore; il suo 3.32 di Assisi fu imitato, con pochi secondi in più, dal carpigiano Piergiorgio Ghizzoni (che spesso correva con la maglietta Podisti.net) e da Simone Lamacchi di Sommacampagna, alias Simone71, appassionato bancario appena divenuto genitore della bellissima maratona del Custoza, così amata dai podisti e anche dai degustatori per via delle 6 bottiglie di bianco comprese nel pacco gara.

Venne poi, allo scadere delle 3.38, il grido bellico “Stasera si tromba!”, divulgato a vuoto dal militare forlivese Lorenzo Gemma che aveva combattuto nei teatri di guerra dell’epoca ma poi ha anche, nel 2022, raggiunto le 1000 maratone in carriera. In illo tempore, si accontentò di battere Sir Marathon Dellapiana (3.41) e Paolo Gilardi (3.48), allora nel pieno di un’alta carriera dirigenziale (chiamato al ruolo di vice-Bondi!) in forza alla quale si presentava sui campi di gara ancora in camicia bianca e cravatta, per trasformarsi rapidamente in atleta come tutti gli altri.

Un altro vip del mondo produttivo era l’ingegnere carpigiano Benigno Giannino, che quell’anno aveva corso la 50 di Romagna e il Passatore, e qui si accontentò di 3.50. Qualche anno dopo, fummo compagni in una drammatica ascensione al Monte Bianco, interrotta a quota 4360 (davanti alla Capanna Vallot sciaguratamente chiusa) per una tempesta di ghiaccio; ma le montagne furono teatro di tanti ultratrail per Benigno (Trofeo Kima, Lavaredo, Cromagnon ecc.) finché un investimento patito in bicicletta pose fine a una carriera comunque gloriosa.

Invece Franco Pezzulli, “Lumega” da Vergato, classe 1939, non è più tra noi dopo quel suo eccellente 3.51 a 61 anni; come prematura fu la scomparsa di Alfio Balloni, pratese del 1959, che dopo quel 3.59 sarebbe stato investito in motorino, da un cinghiale per strada. Non ci sono più nemmeno William Govi (4.03); l’ingegner Antonino Morisi, già vicesindaco della sua Persiceto, animatore del gruppo alpini e grande intenditore di corse in montagna, specie verso la sua Davos dove lo riportavano memorie di famiglia; il Giuliano Goldoni, agricoltore da Finale Emilia (che una volta saltò una corsa “parchè a g’hò da daquaar al piènti”), che si era portato al seguito il compaesano Michele Marescalchi (omonimo del “Balanzon” giornalista), e il presidente del sodalizio finalese Luigi Benati, classe 1926, che terminò ultimo in 5.49.

Ben prima era arrivato il capo morale dei supermaratoneti, Peppe Inox Togni, che a 74 anni stette nelle 5 ore lanciandosi ancor più verso il primato del maggior numero di maratone corse (superò di molto le 700, e aveva cominciato a correrle dopo i 50 anni): in questi giorni ricorre il nono anniversario della scomparsa, 8 febbraio 2014, e ogni volta, i suoi amici più veri, da Paolo Gilardi già citato, al marò Adriano Boldrin da Boion (3.53 in quella maratona), e altri, non mancano di visitarlo al camposanto nel bresciano dove riposa.

Per fortuna, altri che parteciparono a quella gara sono ancora qui a ricordarla: cominciando da Angelo Squadrone, oggi a 94 anni presidente onorario del Club Supermarathon, e che si cimenta ancora nelle mezze maratone; poi Ivano Talassi, il bel fioraio della Punta modenese, un classe 63 che allora chiuse in 3.53 appaiato a Fabietto Setti, poi ebbe una lunga parentesi come venditore di articoli sportivi, ma adesso è tornato all’antico amore per i fiori e le piante.

C’erano e ci sono i supermaratoneti “millenari” come Vito Ancora e Michele Rizzitelli, quelli “ultracentenari” come Vittorio Camacci (3.29!), Franco Schiazza, Osvaldo Bucci, Paolino Malavasi allora dotato di folta capigliatura, Gianfranco Toschi, Ferdinando Gambelli, Paolo Solfrizzo allora tesserato Villasanta, Rinaldo Furlan detto Bubu, Paolo Zanta, el sior Vitòrio Bosco che poi sarebbe divenuto compagno di allenamento della presidente della regione Friuli Debora Serracchiani.

E c’era perfino Remo Cattani, dipendente Ferrari, cui ogni volta chiedevamo come sta la Ketty (no, non la Ketty di Bologna), e che con 4.05 diede 20 minuti a un altro che piaceva alle donne, Carmelo Passiatore, classe 1940 da Macerata; mentre non aveva vizi, salvo quello della corsa, l’ex minatore padovano Luciano Morandin, classe ’47, e 4.34 finale.

Se la prese comoda, finendo in 4.59, appaiato al carpigiano Lauro Caffarri, Pietro Alberto Fusari da Treia, classe ’42, dal basco nero e gli enormi calzoncini bianchi. Era impiegato Inps, ma chissà come si diffuse la voce che fosse un prete, finché un altro fondatore del Club Supermarathon, Giovanni Tamburini da Rimini (4.16 in quella Assisi) cominciò a sussurrare che era avanzato di grado, e allora per tutti fu “il vescovo Fusari”. Avrà aspettato più di venti minuti al traguardo, per salutare l’arrivo di Massimo Faleo ‘o fuggè e impartirgli l’apostolica benedizione.  

Che ricada, oggi, su quanti si sono ritrovati in questa pagina.

Giovedì, 09 Febbraio 2023 21:28

Svizzera: salta la storica Swissalpine 2023

9 febbraio – Un comunicato proveniente da Coira (Chur, Svizzera), attuale sede della leggendaria Swissalpine nata a Davos 38 anni fa, annuncia che “con grande rammarico nostro la Swissalpine Chur non avrà luogo nel 2023”. La gara, articolata su tre distanze di 86 km (+5300 D), 42 (+2650 D) e 22 km (+1400 D), con partenza-arrivo a Coira (45 km in linea d’aria da Davos, molti di più per strada o ferrovia), non si terrà per ragioni economiche: “Eravamo stati troppo ottimisti sul finanziamento da parte locale, che invece risulta molto inferiore e non tale da portare avanti un evento dalla qualità desiderata. Gli iscritti saranno totalmente rimborsati. Ma non è chiaro cosa succederà con la Swissalpine Chur; vista l’abbondanza di gare trail vecchie e nuove, gli eventi unitariamente sviluppati e sostenuti a livello regionale dovrebbero avere maggiori possibilità in futuro”.

Sono al momento confermati gli altri due ultratrail in zona: il Davos X Trail, che sotto la mitica Montagna incantata ha preso il posto della Swissalpine antica ricalcandone la data (28-29 luglio) e in parte i tracciati: di 68 km (+2600 m D), attraverso i passi classici Scaletta e Fertig ma con l’aggiunta micidiale del Fanez; di 43 km (+1400 m) senza il Fanez, di 23 (con partenza da Klosters, godibilissimo), di 10 e di gare per bambini.

E lo Swiss Irontrail di Savognin (1-2 luglio), sulla distanza estrema di 105 km (+ 6700 m D) con passaggio da Berggün (altro luogo storico di transito della classica Swissalpine), sui 50 km (+2500 – 3100 D) e 20 km (+1200 D).

Ma l’impressione, da parte di uno come il sottoscritto che alla Swissalpine di Davos c’è stato dieci volte tra il 1999 (una delle primissime gare raccontate su Podisti.net appena nato) e il 2020 (quest’ultima volta, elogiando gli svizzeri che, primi in Europa, osavano proporre una corsa in piena pandemia), è che si sia perduto lo spirito originario della Swissalpine: una gara, dura sì, ma che si poteva correre con le scarpe normali da asfalto, perché l’unico tratto che oggi si definirebbe trail era quel paio di km nella discesa dal passo Scaletta verso Davos, ormai a una quindicina di km dall’arrivo; e i 75 km (poi 78,5) erano ampiamente corribili nelle 12 ore concesse, che spesso venivano allungate per aspettare gli ultimi (ricordo da principio, con venerazione, l’ingegner Morisi da Persiceto, poi Govi, infine Micio Cenci, tra i tanti delle nostre contrade  che venivano qua). Per chi non se la sentiva, c’erano i 42 km con partenza da Berggün, e per un certo periodo ci fu perfino una seconda 42 km (C 42), ancor meno dura, e conclusa da un’accoglienza alle terme; senza contare le distanze più brevi.

Ma a un certo punto scoppiò la mania del trail, nel senso via via più hard, che significò espellere i maratoneti normali per lasciare spazio ai superatleti (magari con 49 sfumature di maniacale, ma numericamente assai più ridotti); ricordo che una volta la gara fu spostata a Samedan, località già molto più anonima, su un percorso quasi totalmente accidentato, che non piacque né a me né all’inviata di “Marathon4you”, né soprattutto ai podisti, dato che eravamo sì e no un paio di centinaia.

E a quanto pare i corridori sono calati ancor più, e in parallelo gli sponsor pubblici e i privati. Siamo davvero sicuri che il futuro della corsa sia nei sentieri EE, magari EEA con qualche ferrata e il rischio di cadere in un burrone?

Sabaudia (LT), 5 febbraio – “Si è svolta con acclarato successo la terza edizione della Maratona Maga Circe, che ha visto 1800 atleti alla conquista di Sabaudia e San Felice Circeo. … Commenta Davide Fioriello presidente della asd In Corsa Libera: Anche quest’anno tantissimi runners ci hanno scelto, giungendo da ogni parte di Italia e dall’estero e abbiamo raggiunto un risultato incredibile in un periodo ancora non propizio in termini di numeri... A dare lustro all’evento, lo spettacolo degli Sbandieratori Ducato Caetani Sermoneta che ha accompagnato gli atleti allo start ed anche all’arrivo della corsa”.

Così scrive una testata concorrente; o meglio, così si fa scrivere dagli organizzatori, per pigrizia, per campanilismo, per buon vicinato, per qualche sponsorizzazione in più.  Dopo 43 anni di iscrizione all’albo dei giornalisti, e siccome c’ero (dopo una partecipazione nel dicembre 2008 alla fu-maratona di Sabaudia) preferisco separare i fatti dagli accordi di violino.

I “1800 atleti”, guardando alle classifiche, risultano 1316: 354 in maratona, che migliora il gramo risultato covidico del 2022 (quando furono 288) ma è lontano dai 436 arrivati della prima edizione (della nuova serie, s’intende) del 2020 (il 2021 saltò all’ultimo momento per imposizione delle autorità sanitarie). Nella 28 km sono arrivati in 460, anche in questo caso più dei 295 dell’anno scorso, ma meno dei 524 del primo anno. La 13 km infine è stazionaria (502 classificati, 3 in più dell’anno scorso, ma 26 in meno rispetto al 2020.

Che siano arrivati da tutta Italia e perfino dall’estero, è vero per pochi atleti d’elite, ma per il resto si è trattato di una specie di campionato laziale, ovviamente vinto da Giorgio Calcaterra con 2:46:02, il tempo peggiore delle sue tre partecipazioni qui (aveva vinto nel 2020 stando sulle 2:43, era arrivato secondo l’anno scorso col suo tempo migliore, 2:36: segno che il livello tecnico quest’anno era decisamente inferiore); laziale anche il secondo, Dante D’Elia (Velletri) in 2:50:09, leccese il terzo, Mauro Ciccarese (Villa Baldassarri) in 2:54:56.

Due bolognesi e una laziale sul podio femminile: Maria Rosa Costa, F 40 della G.S. Gabbi col tempo amatoriale di 3:13:12 (di poco superiore a quello della vincitrice 2022); seconda Alessandra Scaccia (Frosinone Sport, F 50) a 28 secondi (pensate che io sono arrivato tra l’una e l’altra, beninteso passando al transito dei 28 km mentre loro finivano i 42!); a tre minuti (3:16:12) la terza e più giovane delle tre, la F 35 Manuela Serra della Persicetana Podistica.

Di cognomi stranieri se ne incontrano ben pochi, in maggioranza tesserati per il Centro Fitness Montello di Latina. Pochini anche i supermaratoneti che una settimana fa si erano accodati a Calcaterra sulla pista di Misano: non potevano mancare l’avvocato Paolo Reali, con cui ho corso fino al km 7 lasciandolo poi giustamente andare per il suo 4:30 finale, e il romano G. B. Torelli terzo M 65 in 4:42. Altre conoscenze di queste pagine sono l’extreme runner Daniele Alimonti (3:55), Stefano Severoni e Matteo Simone, appaiati sulle 4:30. Tra i “foresti”, l’inossidabile coppia Rizzitelli-Gargano, Paola Noris, Carolina Agabiti, Edith Ventosilla (sarà questa la “estera”, peraltro residente in Italia?); quanto a meriti sportivi, spicca la friulana Marilena Dall’Anese, prima F 55 con l’egregio 3.51:41.

Tra l’altro, questi numeri sono abbastanza gonfiati dai pacer, davvero in quantità spropositata: ho visto palloncini con segnati tempi dalle 3 alle 6 ore, anche con intervalli di 15 minuti, due o tre atleti per ogni palloncino (per le 4 ore erano due gruppetti di 3 ciascuno). Dopo la metà gara, era più alto il numero dei “pallonari” di quello dei podisti al loro seguito: sono stato alcuni km con quelli delle 4.45, due senesi senza nessuno al seguito (poi è arrivato un terzo e si è accodato qualcuno, ma a breve termine, dato che all’arrivo nel tempo prefissato non risulta nessun altro); al km 30 mi hanno passato i 3 delle cinque ore, solissimi: un “forza!” e sono filati via nella loro solitudine, e la classifica attesta che NESSUNO (nemmeno loro) è arrivato in 5 ore esatte. Continuo a dubitare dell’utilità di questi colleghi che corrono, alla fine, solo per sé: se il dogma resta quello di arrivare nel tempo esatto (che poi non lo è quasi mai), e l’eresia è quella che se rallenti due secondi a km forse puoi accompagnare qualcuno, continuerò a pensare che l’unico beneficio sia quello del pettorale a scrocco (magari con qualche altro benefit) per i pacer, e niente per gli altri salva la propaganda per la generosità degli organizzatori.

2. I quali organizzatori, generosi lo sono davvero: il massimo della comprensione per gli iscritti negli anni-Covid, la proroga del loro pettorale anche di due anni senza sovrapprezzi, l’informazione continua tramite email personalizzati, la convenzione con numerosi alberghi sia di Sabaudia sia della zona del Circeo, un paio di bus-navetta verso la stazione ferroviaria più vicina (purtroppo, non quella di Latina, dove fermano i treni a lunga percorrenza, ma quella di Priverno, solo per treni locali; e nell’inesistenza dei servizi domenicali del trasporti regionali del Lazio, i pochi foresti non automuniti hanno dovuto foraggiare i taxi).

I trasporti sono la grande pecca di questa zona redenta del Lazio: scendendo alla stazione di Latina (che dista 7 km dal capoluogo) per il centro si possono prendere solo bus targati FS, uno ogni mezz’ora o anche peggio. Peccato che a bordo non si possano fare biglietti a meno di possedere una misteriosa App, e le rivendite autorizzate in stazione siano: edicola (chiusa), proloco (chiusa), bigliettatrice automatica (fuori servizio), bar (“me spièèsce ma ho ffinito i bijjetti”). Si sale sul bus, e dopo due fermate sale il controllore: gente scende in fretta, altri si giustificano in vario modo, fioccano le multe e le maledizioni. Il controllore però ha il volto umano e spiega ai possessori di telefonino a ricarica che possono mandare un sms a un certo numero e pagando solo 1,40 sono assolti.

Il bus fa il giro del perdono: ci mette quasi mezz’ora prima di arrivare alla grande autostazione da dove partono i bus regionali extraurbani. Un’autostazione monumentale, più grossa di quella di Bologna, ma chiusa, fatiscente (guardate le foto 2-6 del servizio assemblato da Roberto Mandelli),  con le pensiline che grondano acqua anche se non piove, nessun ufficio informazioni, baracchino della biglietteria chiuso da secoli; i writers trovano il loro Louvre, si piscia nei cespugli,  nessun quadro orario, alla Cotral non rispondono al sabato; bisogna affidarsi a qualche autista a spasso per sapere che il primo bus per Sabaudia arriverà tra un’ora, ma è in ritardo di 7 minuti (che poi saranno 20), e per i biglietti si va al bar attraversando lo stradone.

Mi domando se il sindaco locale non si vergogna di una situazione da quarto mondo: la risposta è che a Latina dal 2011 l’amministrazione è stata sciolta tre volte, l’ultimo sindaco (un medico, ex calciatore di serie B, e che contribuì alla rinascita del Latina calcio) ha avuto l’elezione invalidata nel 2021 per irregolarità elettorali, è stato rieletto ai ballottaggi ma quasi subito sfiduciato (appena dopo aver rilanciato il “progetto bluff” plurinaufragato di una metropolitana dalla stazione alla città), e da quattro mesi c’è l’ennesimo commissario. Dunque non sai proprio con chi prendertela, e grazie tante che il bus ti sbarca a Sabaudia 3 ore e mezzo dopo che eri sceso dal treno a Latina: e attenzione, la domenica i buf interurbani non ci fono, come direbbe lo ftorico prefidente della reggione (non puoi prendertela più neanche con lui).

Di questa situazione di degrado nei trasporti bisogna tener conto anche nel commentare la più grave criticità di questa gara (ovviamente taciuta dalla auto-cronaca del citato sito “di informazione”): l’inadeguato servizio di trasporto da Sabaudia a San Felice Circeo (12 km) dei podisti che domenica mattina a centinaia si assiepano nel piazzale destinato alle partenze (vedi foto 24-25), e danno l’assalto ai non troppi pullman che hanno l’ordine di non partire con gente in piedi. Io, arrivato alle 8, riesco a salire su un bus alle 8,40: alle 9 sono a San Felice, alle 9,20 scendo alla partenza fissata per le 9,30, per sentire annunciare verso le 9,28 che ci sarà un ritardo di “8, massimo 10 minuti, per aspettare l’arrivo dell’ultimo pullman”. Ecco allora gli Sbandieratori di Sermoneta che continuano nelle loro stucchevoli e mistificanti esibizioni in piazza, accompagnate dai crescenti mugugni e urla dei podisti che stanno lì, al freddo, da mezz’ora o più (chissà come godeva quello a piedi nudi, foto 42-43): perché la partenza avviene solo alle 10.

Ovvio che si debba aspettare l’arrivo di tutti (ricordo una Avigliana-Torino del 1992 dove fummo scaricati dai bus cinque minuti prima del via, costretti a concimare in fretta i prati di fianco all’autostrada; ma anche una Camignada dove, all’annuncio del rinvio, la Siora Nadaìna pretese il rispetto dell’ora giusta e partì  - da sola); ma mi chiedo perché non si sia ricorso al sistema-chip, già sperimentato nel 2022 quando da San Felice si partì a scaglioni di 100. Se i rilevatori posti in partenza non erano per finta, che si facesse pure partire all’ora giusta, poi si procedesse con le waves, di prassi oltreoceano. Macché, in 1300 e passa aspettiamo lo sparo, e chi aveva il treno in partenza a una certa ora, che andasse più forte.

3. Finalmente in corsa, ci godiamo panorami che taluni immancabilmente definirà mozzafiato, specie nella discesa di circa 100 metri verticali dal borgo alto fino al lungomare, il giro attorno al promontorio del Circeo, il ritorno a S. Felice bassa verso il km 15, e dopo il passaggio ai 21,097, il lungo e suggestivo rettilineo a picco sulla costa, con vista sulle isole pontine (direi, almeno Ventotene) e la punta di Anzio. Cielo terso, temperatura che via via si addolcisce fin verso i 15 gradi, ingresso in Sabaudia sul lungo ponte (foto 44-46) dopo del quale appare un km 41 che capiremo solo al secondo giro: intanto, tutti andiamo al traguardo nella bella piazza del municipio dove si ricorda che Sabaudia fu edificata in 253 giorni nel 1935 (ma è vietato arguire che l’esecrato regime abbia fatto anche delle cose buone, guai!). Qui quelli dei 28 km (e anche dei 13) chiudono la loro relativa fatica (anche qualcuno iscritto alla 42 ammaina bandiera, la tentazione del traguardo è più forte della maga Circe per Ulisse).

I 28 km sono dominati da Fredom Amaniel (italiano!) in 1:27:50, dieci minuti davanti a due “cispadani” (come erano chiamati i nordisti negli anni Trenta), Francesco Mascherpa (Legnano, 1:37:03) e Andrea Sgaravatto (Casone Noceto). Tra le donne, Patrizia Capasso (che per gareggiare ha avuto bisogno della Runcard) fa 1:57:11, cento secondi meno di Angelina Cavaleri, poco di più per Pamela Gabrielli (1:59:20).

Nei 13 km vince Diego Papoccia in 43:23, appena 12” meno di Marco Lagona. Nettissimo invece il successo femminile di Lucia Mitidieri in 47:01, oltre cinque minuti meglio di Francesca Sabatini.

Noialtri ingloriosi peones proseguiamo verso una strada che presto diventerà in salita, poi al 35 scenderà al livello del mare, per risalire fino al km 40 sulla cosiddetta Duna di Sabaudia. Facendo la media dei due gps, il dislivello totale in salita risulterebbe di 190 metri in salita e 270 in discesa (a determinare lo sbilancio è il primo km, peraltro corso su una stradina stretta e nel gruppone, dunque con poco vantaggio cronometrico). La distanza sembra invece abbastanza giusta: un po’ più lunga nella prima metà, poi pareggiata dagli ultimi km un po’ più corti.

La strada rimane rigorosamente chiusa al traffico, e i pochi automobilisti che sgarrano sono bloccati; ottimo il servizio di controllo agli incroci (“sì, ma la protezzione civile num me risurta che se possa occupà di diriggere er trafico”, sento dire da una vigilessa piuttosto alterata), ristori regolari e, da metà in poi, forniti anche di cibi solidi. Perfette le segnalazioni, tranne nel mio caso proprio dopo il km 40, quando si rientra nel percorso incrociato tra chi viene ancora da Sabaudia e chi ci sta arrivando, separati da una transenna di una cinquantina di metri. In teoria, a fare la guardia lì ci sarebbe una coppia di segnalatori: quando passo io, li vedo seduti fuori strada, che stanno cazzeggiando al telefonino con esortazioni a dajje na menata a sta fijja. Tiro dritto, stupendomi di non vedere davanti a me quel paio di colleghi con cui avevo condiviso gli ultimi km, finché un urlaccio della coppietta di cui sopra mi richiama: alla fine della transenna, segnalato da un mezzo circolo sull’asfalto non più largo di 30 cm, ma senza nessuno a segnalarlo (a Madeira erano due!), c’era da invertire la marcia. Vabbè, me la cavo con 200/300 metri in più, l’adrenalina mi aiuterà a raggiungere due che mi avevano sorpassato, salvo che perderò per sempre la magrissima Katia padovana (più alta di me ma che denuncia alla bilancia 30 chili di meno) con cui avevo ciacolato prima; e mi raggiungerà il dottor Rizzitelli con cui taglieremo insieme il traguardo.

4. Medaglia rettangolare, ben incisa con una tipica torre di avvistamento (forse quella cui passiamo di fianco, con le scritte “zona militare – divieto assoluto di fotografie”); ristoro finale senza niente di caldo, chiuso in un sacchetto, salvo la birra alla spina offerta all’uscita; poi 200 metri inutili e penosi per raggiungere le sacche del ricambio (potrei capirlo se fossero state al coperto, ma per posarle sul selciato, si poteva anche metterle nella piazza d’arrivo).

In teoria, dopo altri 300 metri ci sono le docce, ma resta solo il tempo per una affannosa caccia al taxi, che ti scarica in stazione quando il tuo treno è già lì (e grazie al tassinaro che quando c’è il limite dei 50 va ai 60, e quando ci sono i 60 va agli 80). Il pacioso viaggio in intercity (costa poco, ma 9 ore per un Napoli-Milano vi sembra una tempistica decente nel 2023?) mi lascia il tempo di degustare la cultura del giornalone d’Italia: un titolo a p. 14 racconta di Yana “uccisa a sprangate e poi soffocata” (vile, tu uccidi una donna morta?!); tutta la pagina 17 è dedicata alle avventure erotiche di Totti e Zaniolo, mentre nel supplemento culturale una insigne studiosa dà credito a tutte le più inverosimili etimologie della parola “carnevale”, e un altro dottissimo a p. 11 si occupa di distinguere “il grano dall’oglio” (oglio di semi di zucca?). Sul supplemento del venerdì, una insigne virologa tenta di accrescere la sua audience (in netto calo rispetto al suo biennio d’oro) sostenendo che le balene, come il dodo, sono estinte (“tesoretti perduti per distrazione”, p. 33).

E’ la stampa, bellezza! E tu non puoi farci niente!, diceva Humprey Bogart.

Modena, 31 gennaio – Sulla carta era dichiarata la 49^ edizione, ma il conteggio comprende anche l’edizione 2021 (che non si fece causa Covid) e la cosiddetta Corrida dell’Angelo, corsa il 18 aprile 2022 su tracciato ridotto a 8 km e con soli 86 arrivati. Sempre per stare alle cifre, speaker e tv embedded parlavano di 700 partecipanti, quando l’ordine d’arrivo elenca 537 arrivati; deprimente il confronto con le precedenti edizioni (666 classificati nel 2018, 652 nel 2019, 670 nel 2020).

Non mi permetto di contestare le cifre fornite per i non competitivi, quelli che nei tempi andati potevano correre solo 3 km ma spesso facevano tutti i 13,4, cosa che da quest’anno è diventata lecita (cosicché i cadetti dell’Accademia, 460 secondo il tabellone, tutti col pettorale senza numero, ci hanno storditi coi loro “Allarmi! Allarmi! Allarmi ***” per tutto il giro lungo a Cognento e ritorno).

Insomma, i non competitivi sarebbero tremila (verrebbe da dire: per i sindacati), la metà o giù di lì a giudicare dal colpo d’occhio all’ora di partenza: a tarda sera già qualche media ridimensiona “gli altri” a 2000, e sommando le classifiche delle prime 20 società esposte all’arrivo (tra cui l' "IMPS Firenza" del sempre presente Fabio Marranci), si arriva a 1200, inclusi i competitivi e i 460 futuri ufficiali. Carta canta vilàn dòrum, si diceva da queste parti, ma il sito ufficiale continua a scrivere  che la Corrida è "vissuta ogni anno dai 6.000 partecipanti e da migliaia di spettatori che la vivono sulle strade di Modena".

Lungi da me parlar male della Corrida (con quella di oggi, ne ho corse 39, e a parte Giuseppe Cuoghi ed Elvino Gennari vorrei vedere chi ne ha fatte di più), ma le sparate mi danno fastidio da qualunque parte provengano, anche dagli amici: d’altronde, a Modena fino a qualche anno fa si faceva una corsa a novembre dopo della quale i giornali titolavano “la carica dei diecimila” quando per strada eravamo sì e no duemila, ma non si poteva dirlo perché sulla base delle cifre gonfiate venivano dati premi in denaro ecc.

E’ ovvio che una gara programmata in un giorno feriale (salvo per la festa patronale di città) non possa sperare troppo nemmeno dalle località della provincia, dove si lavora o si va a scuola: sempre per citare la mia esperienza di lavoratore fuori sede, di Corride ne ho saltate parecchie dovendo timbrare il cartellino fuori provincia, o qualche volta le ho disputate sbarcando dal treno e andando direttamente alla partenza. E in ogni caso, alla Corrida dovevo iscrivermi per i fatti miei perché la mia società di allora, non essendo di Modena città, non veniva.

E questo credo accada anche oggi, quando oltretutto il prezzo non proprio economico (15 euro per la competitiva, 5 per l’altra, cioè il doppio dei prezzi correnti normalmente in zona) distoglie molti modenesi dal partecipare o perlomeno dal pagare la quota (tutti gli anni dopo la gara faccio una chiacchierata con un alto dirigente della Fratellanza, che ogni anno mi dice: uno su due non ha il pettorale, l’avranno tutti lasciato nella borsa?). Dipenderà poi da motivi economici se quest’anno, per la prima volta, non ho visto africani (nel senso di keniani, etiopi e dintorni), cosicché lo speaker Brighenti (un altro che di edizioni, se non ne ha fatte 49, poco ci manca) esultava nel dire che con la vittoria di Iliass Aouani i successi italiani hanno raggiunto quelli del Kenia. Da arcidilettante che abolirebbe gli ingaggi, privatamente gioisco, e passo ai risultati.

Vittoria assoluta dunque per l’italiano di origine marocchina Iliass Aouani, allenato da Massimo Magnani, col buon tempo di 38:26; a un minuto e 5 secondi è giunto il valdostano campione del mondo di corsa in montagna Xavier Chevrier, già terzo nel 2020 con un crono leggermente superiore a oggi (ma quest’anno le condizioni climatiche erano davvero ottimali, sole, circa 10 gradi, niente vento). Terzo, sebbene staccato di quasi un minuto da Chevrier, è un’altra celebrità, il pavullese campione italiano di maratona Alessandro Giacobazzi, che ha prevalso quasi allo sprint su Mustafà Belghiti e Ahmed Ouhda.

Tra le categorie, accorpate ogni 10 anni anziché i canonici 5, noto il primo posto M 35-40 di Andrea Soffientini in 40:39, il primo M 45-50 di Gianluca Pasetto in 45:58, il primo 55-60 di Luca Gozzoli, il sindaco prediletto da Franco Bragagna, in 48:31.

Altra vittoria assoluta di un’esordiente in campo femminile, con la torinese (ma di residenza modenese) Elisa Palmero, 23enne già protagonista alla Cinque Mulini di poche settimane fa: suo il tempo di 44’57” che le vale un 31° posto assoluto. Due minuti alle sue spalle è giunta una ragazza di casa Fratellanza, Giulia Cordazzo, che ha chiuso la sua prima Corrida in 47’ netti, precedendo di quasi un minuto la reggiana Barbara Bressi, più anziana e infatti prima della categoria F 35-45. Tra le vincitrici di categoria femminili cito la veronese Barbara Trazzi, prima F 50-60 in 55:39, tre minuti meglio dell’indomita plurititolata bolognese Monica Barchetti.

Ho già citato Elvino Gennari, “Passatore” ad honorem, che a più di 75 anni termina in 1.15, e il suo coetaneo Giuseppe Cuoghi che con 1.38:44 lascia tre competitivi dietro di sé. Ma la vera sorpresa a questi livelli “umani” la darebbe Paolo Giaroli, il reggiano che con 1.08:17 di tempo ufficiale risulta aver inflitto quasi 7 minuti al cugino Angelo (il quale a sua volta mi supera inesorabilmente negli ultimi due km). Ma Paolo è un galantuomo e si preoccupa subito di informare l'organizzazione: si è ritirato per un'indisposizione e non ha tagliato il traguardo, chissà che l'etere non abbia trasmesso i droplet del suo trasponder a meno di metri 1,82 dal tappetino... E' salvo anche l'onore di Angelo.

Brava anche la “Teidina” Elisa La Barbera, che seppur col pettorale non competitivo mi arriva davanti, incoraggiata dal marito Dino che, dopo aver chiuso in 54 minuti, torna indietro e rifà gli ultimi 500 metri con la dolce metà. Sono le cose più belle di una corsa che sospireremo per un anno intero.

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