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Mag 04, 2020 3848volte

Luciano Gattinoni e il coronavirus: un autorevole punto di vista

Luciano Gattinoni Luciano Gattinoni

Luciano Gattinoni, rianimatore; ma è difficile racchiudere una storia così importante in un’unica parola: “uno scienziato di prestigio mondiale”, non ricordo dove l’ho letto, ma calza davvero bene. Ci vorrebbero un paio di articoli solo per raccontare una lunga carriera in ambito anestesia e rianimazione, in Italia ed all’estero. Mi limito ad alcuni principali passaggi che meglio conosco; nella mia vita precedente all’ambito sportivo ho operato per quasi trent’anni nel settore medicale, proprio nelle specialità anestesia e rianimazione. Il professor Gattinoni ha lavorato molti anni in ambito Università degli Studi di Milano, in termini ospedalieri significa soprattutto Policlinico. 4 anni primario dell’ospedale San Gerardo di Monza e poi ancora Policlinico come direttore scientifico, per lungo tempo.  Nel corso degli anni è stato presidente delle società italiana, europea e mondiale di terapia intensiva. Dal 2016 è guest professor all’Università di Göttingen (Germania).

Buongiorno professore, la situazione in Italia comincia a migliorare, calano i morti ed i ricoveri in terapia intensiva, un segnale positivo.

Certamente sì, abbiamo imparato a gestire meglio i pazienti, poi c’è il fatto che ora gli ospedali sono meno congestionati ed ovviamente si seguono meglio i pazienti; inoltre le prime settimane è ovvio che si andasse per tentativi. Può anche essere che il virus oggi abbia perso parte della sua carica virale, quella componente che lo rende aggressivo e più pericoloso. 

Come deve essere trattato il paziente affetto da coronavirus?

La domanda è corretta, “trattato”, non curato. Potrà sembrare strano ma in terapia intensiva i pazienti non vengono curati, bensì trattati e seguiti con le necessarie competenze ed i farmaci di cui si dispone, sino al punto che le difese naturali non hanno il sopravvento sulla malattia; il virus, nella fattispecie. Una polmonite che dura 2-3 settimane, durante le quali forniamo ventilazione meccanica al paziente nel modo migliore possibile, tenendo conto che essa genera ulteriore stress a polmoni già fortemente infiammati di loro.

Gli operatori sanitari hanno pagato un tributo altissimo, 11.000 contagiati, 150 morti, cosa è mancato?

Innanzitutto i mezzi di protezione (e non solo per loro), poi un’organizzazione adeguata ad affrontare la situazione, non tanto in termini di terapia intensiva, tutto sommato siamo abituati a gestire situazioni “al limite”. Mi riferisco ad esempio al Pronto Soccorso, e più in generale ai reparti dove venivano movimentati i pazienti.  Poi è chiaro che le condizioni oggettive non consentivano il livello di attenzione dovuto, in particolare nella fase iniziale.

La Lombardia, quella che è stata la sua regione per lunghissimo tempo, è in assoluto l’area che ha sofferto di più. Che idea si è fatta?

Conosco il dramma di questa regione, sono quotidianamente in contatto con tanti colleghi. Intanto garantisco che a livello di terapia intensiva respiratoria ci sono delle autentiche eccellenze, siamo presi ad esempio da tante altre realtà, anche in diversi paesi del mondo. Cosa è successo? Un esagerato afflusso di pazienti critici in un tempo estremamente ridotto, unito ad un’organizzazione con diverse carenze ed impreparazioni. Emblematico il problema della mancanza di mascherine, ma non è mancato solo quello.

Che si dovrebbe fare, da ora in poi?

In estrema sintesi, parlare di meno, fare di più. Vedo tanta gente in televisione, ognuno ha la sua medicina; i toni usati spesso sono stati catastrofici per indurre ascolto ed attenzione. Troppa gente che parla e che troppo spesso genera confusione, disagio in chi ascolta. E poi entra in gioco la natura stessa dell’italiano, tendente all’emotività, all’irrazionalità. E’ necessario stare tranquilli e ragionare, osservare cosa accade nelle altre nazioni, scambiare esperienze senza pensare di essere più bravi degli altri; anzi, copiare se vediamo che gli altri sanno fare meglio.

In Germania stanno gestendo meglio il problema?

Tornando al passaggio precedente, la Cancelliera Merkel avrà parlato 2 o 3 volte di questo problema, quante volte il premier Conte? Se si vuole essere ascoltati si deve fare di più, piuttosto che ripetere messaggi che talvolta finiscono per essere contraddittori. Non si può cavarsela dicendo che in Germania ci sono molti più posti intensivi che in Italia, perché non è vero, dipende cosa si intende per posto letto di terapia intensiva, che può essere attrezzato in modo diverso secondo le esigenze. Inoltre, si sono preoccupati meno del consenso politico e maggiormente dei problemi reali, soprattutto in termini di prevenzione. Certo che politicamente “paga” meno.

Nel padiglione della fiera di Milano è stato costruito un reparto di terapia intensiva, ad oggi 53 posti letto di cui 10 occupati da pazienti. Dal suo punto di vista è stata una buona scelta?

Si è abituati a pensare al posto letto di terapia intensiva come un qualcosa a sé stante, un ventilatore, un monitor, un letto… in realtà non è così. A parte che per far girare un reparto del genere ci vogliono elevate competenze e tanto personale sanitario, ma non si può ridurre il coronavirus ad un problema polmonare, ci sono spesso tante e tali complicazioni e patologie da rendere necessaria la presenza di altri specialisti. In pratica, ci deve essere un ospedale intorno ad un reparto di terapia intensiva.  

Grazie e buon lavoro.

 

  

 

 
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