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Lug 27, 2020 3585volte

Davos inCORONA l’Italia e dà una lezione all’Europa (nonostante…)

Il vincitore Riccardo Montani Il vincitore Riccardo Montani Da Instagram - R. Mandelli

26 luglio – … nonostante qualche pasticcio (traducendo benevolmente il grober patzer dei media svizzeri)

Sono mesi che lo scriviamo, facendo il confronto con gli annullamenti o le prese in giro nel resto d’Europa (gare programmate in modo “individuale” con partenza libera, gare rinviate di mese in mese ecc.): il comitato organizzatore della storica Swissalpine di Davos, non a caso guidato da un ingegnere (con la passione dell’orienteering), dopo qualche mese di consultazioni e ripensamenti ha deciso di confermare la 35^ edizione della sua grande gara nella data stabilita, l’ultimo fine settimana di luglio.

Naturalmente si è dovuto fare i conti con le “regole-Corona”, come le chiamano nel mondo germanofono, e dare vita a una “edizione-Corona”, a numeri certamente ridotti, concentrando l’attenzione sull’evento principale (una 68 km con +/ -2606 metri di dislivello, e quattro passi alpini di cui 3 sopra i 2500 metri) poi una 43, una 23 e una 10 km: il tutto diluito in due giorni (sabato e domenica) e con partenze divise in due blocchi per gli eventi più affollati.

Così è successo che la K68 (primo allestimento assoluto, in sostituzione della classica K78 degli anni d’oro e della meno felice K88 del 2018) è andata in scena, come sempre, di sabato, con due partenze alle 8 e alle 8,30. Il numero massimo di atleti fissato per ogni onda era di 300, con obbligo di mascherina fino allo sparo, e rispetto di tutte le precauzioni igieniche, abbondante distribuzione di mascherine da parte degli addetti, divieto di accesso degli spettatori (che però si affollavano nel bar/ristorante al piano terra della tribuna, oltre che per le strade), niente docce, niente premiazioni solenni, e percorsi obbligati all’interno dello stadio e negli spogliatoi.

Siamo partiti in 541, arrivati in 464 di cui 91 donne; e ha vinto un italiano, il non ancora ventottenne ossolano Riccardo Montani, un pochino anche svizzero, siccome fa il fisioterapista a Martigny: la cui giovane età non gli impedisce di essersi già fatto notare, come vincitore nel 2018 del Bettelmatt Trail di 52 km in Val Formazza cioè quasi a casa sua, e terzo nella Sky Marathon del Cielo a Corteno Golgi; nel 2019, terzo col compagno Luca Carrara nella Monterosa Sky Marathon, 35 km a coppie che prevedono la salita addirittura tra i ghiacci della Capanna Margherita per poi ridiscendere verso Alagna Valsesia. Quest'anno, poco prima dell'interruzione, aveva vinto il Brunello Crossing, in Toscana, di 45 km.

La vittoria di Montani è stata una di quelle all’ultima curva (quando la stradina scende per sottopassare la ferrovia, poi con un’ultima salitina raggiunge il corso principale di Davos, da dove dopo duecento metri entriamo nel meraviglioso complesso sportivo donde eravamo partiti): in questo km scarso Montani ha raggiunto e superato in extremis di 16” lo zurighese Raphael Sprenger: 6.12:28 il tempo del vincitore.
Che però ha avuto un co-vincitore “incoronato” ex aequo, l’altro svizzero Stephan Wenk, giunto terzo a 8 minuti ma premiato dalla giuria come vincitore morale. Una cosa del genere era accaduta molti anni fa, quando la nostra grande Monica Casiraghi, già trionfatrice a Davos, ma quella volta giunta seconda dietro una russa, venne riconosciuta prima (assoluta, non ex aequo) perché si stabilì che i tifosi della sua rivale avevano spostato dolosamente le frecce segnaletiche. Qui invece, a quanto riferito dai giornali, Wenk e lo statunitense Roy Brown, sotto il passo Scaletta (il primo dei quattro, dopo km 17,5) non avevano visto la deviazione per il secondo passo, il terribile Sertig al km 22, ed erano proseguiti verso valle.

Sembra che le frecce non fossero ancora state poste, e dunque la colpa sia dell’organizzazione: pasticcio imperdonabile, e motivo del ‘risarcimento’, un po’ nello stile di Dorando Pietri (cioè premio monetario uguale di 2000 franchi = 1800 euro); io lo trovo comunque un po’ strano, dal momento che su quel percorso è impossibile sbagliare per l’abbondanza di segnali sia della Swissalpine sia dell’ente turistico; e quel tracciato è lo stesso dal 2015 per la K43; e quando ci sono passato io (ovviamente, un’oretta dopo i primi) c’era pure un addetto a segnalare la svolta.

Sta di fatto che i due (allora) battistrada avrebbero perso una ventina di minuti: l’americano si è ritirato, lo svizzero invece ha rimontato riportandosi addirittura in testa: ma pagando nel finale lo spreco di energie, finendo solo terzo. Di tutto questo il nostro Montani non ha colpa, e l’Italia può festeggiare ben tre suoi uomini nei primi 6: quarto il lecchese (tesserato Monza) Luca Manfredi Negri, a 4 minuti dal terzo; sesto il vicentino Roberto Mastrotto, altri 4 minuti dietro. Vicenza ha poi piazzato anche Alessio Zambon al 12° posto.

Italia incoronata dunque: impediti di correre dalle nostre parti, andiamo all’estero e vinciamo; e dalla Svizzera, insieme alla Svizzera, grazie alla Svizzera, diamo una lezione al resto d’Europa. Correre si può e si deve.

Dal comunicato stampa di Sport project VCO riprendo le dichiarazioni del vincitore: “È stata una gara che mi ha regalato tantissima gioia;  ero partito con aspettative non troppo alte: guardando il profilo altimetrico avevo notato che si tratta di un tracciato tutto da correre dall’inizio alla fine e relativamente poco tecnico, quindi non molto adeguato alle mie caratteristiche. Invece man mano che la gara proseguiva mi sentivo sempre meglio e la vittoria mi soddisfa pienamente! Nella prima parte, inizialmente facile, con una prima salita al 20^ km circa, ero intorno alla 10/15^ posizione. Dopo il primo passo ho anche sbagliato percorso, e come me altri, perdendo circa 5’. Da lì in poi però la gara diventava più ‘muscolare’, con qualche tratto più tecnico, e ho recuperato via via posizioni. Quando mancavano 10 km alla fine ho iniziato a vedere i primi due, allora mi sono ulteriormente galvanizzato! Ho raggiunto il primo, Sprenger, all’ultimo km e sono poi riuscito a distanziarlo di 16 secondi. Una vittoria praticamente in volata, quindi ancora più emozionante!”.

Una straniera ha vinto anche la gara femminile, in poco meno di 7 ore: la ceca (residente però in Austria) Marcela Vasinova, 31 enne iscrittasi da pochi giorni dopo essere stata rassicurata che la gara si sarebbe comunque corsa (non sono mica parigini qui…). Seconda a una ventina di minuti la svizzera Kathrin Götz; terza la vincitrice sugli 88 km dell’anno scorso, l’altra svizzera Luzia Bühler.

Simpatica la scritta in ladino apparsa nel pomeriggio sui monitor di Davos: “La cursa roiala K68 dal Swissalpine a Tavau [nome ladino di Davos] gudognan Montani e Vasinova”. Davvero una “corsa reale”, anche se l’aggiunta di due passi oltre ai tradizionali Scaletta e Sertig, e in particolare il tremendo Fanez Furgga (2580 metri, da affrontare fra il 31° e il 35° km) abbia mietuto molte vittime, compreso il sottoscritto che comunque è stato piazzato al traguardo dei 40,600 (con 2300 metri+ e 2000-) di Monstein. 
Unico motivo di rammarico è l’aver dovuto affrontare queste rampe, per noi partiti nella seconda ondata, con mezz’ora in meno a disposizione rispetto a chi era partito alle 8 (siccome il tempo limite di Monstein era fissato alle ore 16,20 e non dopo 7h50). In pratica, quelli delle 8 di mattina hanno avuto 8h20 per passare il cancello, e infatti gli ultimi arrivati hanno un tempo finale di 13h30 contro le 13 ore del tempo massimo stabilito “per noi”. Comunque, niente da lamentarsi: “noi” abbiamo avuto quello che sapevamo ci sarebbe toccato: se gli “altri” hanno avuto di più, buon per loro. In un primo momento sembrava che il giudice di Monstein (che ci ha comunque rilevato il tempo) ci autorizzasse a proseguire nel percorso, che restava segnato e negli ultimi km era facile, con una sola piccola ascensione prima della picchiata finale su Davos, e ancora 4 ore e mezzo a disposizione; ma due arcigni giudici posti all’uscita del paese ci hanno sentenziato che rien ne va plus indirizzandoci ai bus per Davos. Amen; naturalmente quest’altr’anno non ci sarà il Covid e dunque nemmeno le partenze scaglionate: però, all’occorrenza, occorrerà introdurre un po’ di quel grano salis che ai “tedeschi di ottusa diligenza” (parole del grande ossolano Gianfranco Contini) talvolta fa difetto. Voglio leggere cosa ne dirà Birgit Fender, reporter di Marathon4you e mia ‘rivale’ sia quest’anno sia nel 2018 all’edizione di Samedan; che quest’anno ho raggiunto solo nella discesa dal terzo passo, e poi herzliche gruesse ovvero s-ciao.

Nella stessa giornata di sabato si è svolta, come detto, la K23 (+634, -235 D), dal grazioso borgo di Klosters (dove ha casa Carlo d’Inghilterra) fino a Davos: ha dominato Jason Rüesch in 1:31:00, due minuti scarsi davanti a Arnold Aemisegger  dal Liechtenstein (con perfetta inversione dell’ordine d’arrivo del 2019). Tra le donne ha vinto  Shelly Schenk in 1:47:36. Gli arrivati sono stati 535.

Domenica 26 si sono svolte le restanti gare: la K10 con 194 arrivati (in maggioranza le donne, 103), e la K43, sullo stesso percorso della K 68 ma ridotto ai primi due passi Scaletta-Sertig, dunque con un dislivello di circa 1450 metri, terminata da 418 atleti di cui 111 donne. Hanno vinto lo svizzero M 30 Matthias Kyburz, 3 ore e 16 secondi, e la ventiseienne svizzera Natascha Baer in 3.48:44.

Dunque, i quasi 1700 arrivati totali (più il centinaio di ritirati o fermati anzitempo) dimostrano che in Europa c’è voglia di corsa, e ci sono le condizioni materiali per farlo. Io resto convinto che a Davos ci andrebbe più gente se si tornasse ai tempi antichi, quando tutti i maratoneti stradaioli, anche italiani, dalla Casiraghi a Govi, da Micio Cenci ad Alfonso Pagliani, venivano almeno una volta nella vita, con le loro scarpette da asfalto, e tornavano constatando di aver corso la più bella gara della vita. Non so se la sirena del trail, sempre più lungo e duro, attirerà quelle masse popolari che avevano eretto la Swissalpine a regina autentica delle corse europee.

Intanto, però, l’Europa, e soprattutto l’Italia (dove oggi è saltata anche l’Ecomaratona della Val d’Arda) è pregata di svegliarsi.

 
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Informazioni aggiuntive

Fotografo/i: Fabio Marri

1 commento

  • Link al commento Mark Lunedì, 27 Luglio 2020 10:32 inviato da Mark

    "e dalla Svizzera, insieme alla Svizzera, grazie alla Svizzera, diamo una lezione al resto d’Europa. Correre si può e si deve".
    Dice tanto questa frase, i burocrati europei ed i comitati tecnici scientifici italiani, hanno tanto da imparare, in buon senso ed iniziativa.
    Ma si sa, i popoli si tengono in pugno col terrore.

    Rapporto

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