Direttore: Fabio Marri

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Fabio Marri

Fabio Marri

Probabilmente uno dei podisti più anziani d'Italia, avendo partecipato alle prime corse su strada nel 1972 (a ventun anni). Dal 1990 ha scoperto le maratone, ultimandone circa 280; dal 1999 le ultramaratone e i trail; dal 2006 gli Ultratrail. Pur col massimo rispetto per (quasi) tutte le maratone e ultra del Bel Paese, e pur tenendo conto dell'inclinazione italica per New York (dove è stato cinque volte), continua a pensare che il meglio delle maratone al mondo stia tra Svizzera (Davos e Interlaken; Biel/Bienne quanto alle 100 km) e Germania (Berlino, Amburgo). Nella vita pubblica insegna italiano all'università, nella vita privata ha moglie, due figli e tre nipoti (cifra che potrebbe ancora crescere). Ha scritto una decina di libri (generalmente noiosi) e qualche centinaio di saggi scientifici; tesserato per l'Ordine giornalisti dal 1980. Nel 1999 fondò Podisti.net con due amici podisti (presto divenuti tre); dopo un decennio da 'migrante' è tornato a vedere come i suoi tre amici, rimasti imperterriti sulla tolda, hanno saputo ingrandire una creatura che è più loro, quanto a meriti, che sua. 

30 luglio – Ecco uno dei tanti posti dove, se non esistesse il podismo, non sarei mai andato (anche perché, lo dico con un pizzico di rimorso, nella mia provincia lo stesso giorno c’è una corsa a Zocca che pure meriterebbe, e dove sono stato forse una decina di volte: se non che a una certa età bisogna pur colmare le lacune e girare un po’ di mondo). Dunque Cortogno, frazione di Casina a 546 metri di altitudine, e una “val Tassobbio” mai sentita prima, che prende il nome da questo torrentello lungo pochi km (da Carpineti allo sbocco nell’Enza), ma attorno al quale si sviluppa una valle boscosa e ricca di fascino.

Volgiamo dunque il muso dell’auto verso Cortogno, attraversando la zona più fertile in Italia di iniziative podistiche, da Scandiano ad Albinea a Vezzano, imboccando lì una strada (la SS 63 del Cerreto) meravigliosamente sistemata, larga e piena di gallerie. E qui da modenese devo ammettere che i reggiani ci sanno fare meglio di noi: alta velocità (che i nostri politici viceversa hanno ostacolato costringendola a un giro vizioso per non disturbare la sede del festival dell’Unità), ponti di Calatrava, e appunto questa statale, che paragonata alle nostre statali o ex statali, del Brennero e delle Radici, dovrebbe far arrossire tutti gli amministratori nostrani se messi al paragone soprattutto coi cattocomunisti di qua, da Nilde Iotti a Graziano Del Rio (lo dico senza ironia; ironia che invece metto ricordando le cinque pappine dell'Italia femminile di calcio allenata dalla reggiana Milena Bertolini, che adesso sta studiando il capitolo dei manuali dedicato ai corner).
Un politico, anzi, una famiglia di politici o politicanti come i Prodi (oggi è annunciata la morte di Vittorio, un altro fratellone con molte mani in pasta) noi modenesi non l’abbiamo di certo, specie da quando il Partitone ha preso l’abitudine di paracadutare nei nostri “seggi sicuri” degli estranei come la Lorenzin o i Soumahoro (“seggio sicuuuro?”: mi sembra di sentire Sordi nei Vitelloni rivolto ai “lavoratori”, e di rivedere il suo gesto; oppure, di fronte agli onorevoli nostrani, viene in mente l’apostrofe di Totò all’onorevole Trombetta: “onorevole lei? Ma mi faccia il piaceeere!”).
Insomma, a Cortogno si arriva in due e due quattro; meno della metà del tempo che avrei impiegato per andare all’altra località podistica modenese della giornata, Piandelagotti, in fondo a due ex statali da percorso di guerra.

Bando ai cattivi pensieri, e rassereniamoci in questa deliziosa frazioncina, un zinzino abbandonata da Dio a giudicare dal cartello della nostra foto 40 secondo cui oggi non c’è la messa, e la graziosa chiesetta in posizione panoramica resta sprangata. Ma podisticamente siamo all’avanguardia, sia per le gare competitive per bambini (divisi in ben 5 categorie, con partenze separate), sia per l’incredibile prezzo di 2 euro richiesto paritariamente tanto per la competitiva adulti quanto per la non comp. Frugando nella memoria, una cosa del genere la trovo solo nella 21 di Soliera di molti, molti anni fa: roba da archeologia, quando corse una maratona perfino uno degli onorevoli modenesi di cui sopra (non nominato), che poi si presentò in un “seggio sicuro” a casa sua ottenendo l’effetto di far vincere le destre, e in vista della successiva elezione si fece mettere nella segreteria che compilava le liste elettorali ottenendo, chissà perché, di figurare nei primi posti della lista in modo da essere eletto comunque. (Ma perché mi vengono in mente queste cose? “nulla, è il vino che mi suggerisce”, disse Turiddu alla mamma).

Dunque, partenza delle gare bambini dalle 9, a scaglioni; e alle 9,20 per noialtri (a parte i tanti che sono andati via alla chetichella: deplorevole abitudine importata dal mantovano e modenese), col quasi-obbligo per i competitivi di andare nelle prime file: cui si sottrae Cecilia Gandolfi in Spina, che asserisce di aver preso il pettorale competitivo solo per essere “tracciabile”, e comunque pianifica l’accoppiata con un’altra gara nell’appennino reggiano alle 17: ovviamente marito, figlio e nuora si accodano ai suoi voleri (manca la sorella, già trionfatrice al trail della Pinetina di Vezzano); e al coniuge Italo appartengono le foto dalla 3 alla 10 del servizio messo pazientemente insieme da Roberto Mandelli. Podisti.Net Photo Gallery | 30.07.2023 Cortogno (RE) - 45^ Marcia della Val Tassobbio - foto di Fabio Marri (zenfolio.com)

Con noi parte anche, lemme lemme, Paolo Giaroli (foto 6), di cui solo da Fb apprendiamo che oggi compie gli anni in cifra molto tonda: ovviamente gli va tutto il nostro affetto, che comincia da quella volta, diciamo pure un quarto di secolo fa, che accettò di sostituire all’ultimo minuto un nostro compagno di staffetta alla notturna di Barco.
Là davanti i giochi sono fatti secondo copione, e d’altronde fra soli 33 aderenti alla competitiva è difficile avere sorprese. Doppietta dell’Avis Novellara (prima anche nella classifica a squadre) in campo maschile, con Boureima Sissoko, classe 1995, che prevale sul compagno Giuseppe Rini (1981: al momento, i tempi non sono comunicati); tra le donne, assenti Morlini e Marcolini che erano a Piandelagotti, scontato l’ordine Fiorenza Pierli – Laura Ricci, due quasi coetanee da poco oltre gli anta, rispettivamente al 5° e 7° posto assoluto. Ma lasciate che le mie simpatie vadano alle due ultime, la prof novellarese Pia Verzellesi, classe 1953 (compiuti o no i fatidici?), e la già citata Cecilia classe 1959.

Mentre noi para-agonisti, dopo un km di asfalto, siamo dirottati a destra nel bosco, per un percorso dichiarato di 8 km ma, diciamo pure di 7.5, con 250 metri di dislivello tra i 435 e i 570 slm. Sentiero ottimamente tenuto e segnalato (foto 29-30), con vista iniziale su Cusna e Ventasso, ed una deliziosa seconda parte caratterizzata da tanti ponticelli sul torrente (che peraltro si poteva tranquillamente guadare); dove le mie lungaggini fotografiche ottengono l’effetto di essere raggiunto da Cecilia, di cui sarò la scopa (non pensate male e guardate le foto 11-16) fino allo stupendo mulino a un paio di km dal traguardo.

Qui la lascio andare ed entro per una visita al mulino, ottimamente ristrutturato (con ampie sovvenzioni pubbliche), e oggi sede di un ristorante che ha fama di essere molto buono e anche molto “salato” (foto 17-28). Un aficionado di questi luoghi, Giuseppe Cuoghi dalla Cavazzona, più tardi ci assicurerà che "mi sono sempre trovato benino, sia come qualità che come prezzo".
Uscendo, quasi tra gli ultimi del lotto (il direttore Casotti della foto 4 è già arrivato, ma almeno la Brunetta Partisotti, con cane al guinzaglio, è dietro e fa in tempo a raccomandarmi il segreto su una sua grammatica latina in corso di stampa: chi lo dice che i podisti sono tutti ignorantoni?).

Sull’ultima salita, raggiungo Nerino con relativa telecamera, apprendendo da lui (che può esibire foto di sue partecipazioni in loco addirittura del 1993) che una volta venne qui a cavallo, poi corse a piedi, infine tornò a casa a cavallo, quasi come Fanfulla da Lodi.

Ristoro finale delizioso quanto casalingo, con torte al cioccolato al cui appeal cedono perfino Pierli e Ricci (e con molti meno scrupoli il sottoscritto, il cui peso certificato attuale espresso in etti coincide esattamente col nome di un pres** che andava di moda negli anni d’oro); in aggiunta c’è il premio di una confezione di biscotti con tre gusti a scelta.

Quadretto familiare idillico, una coppia che si fa la doccia autogestita, previo pompaggio da una tanica (foto 34-37, per gentile concessione degli interessati), sotto la protezione di uno storico aratro che chissà quanti solchi avrà tracciato senza trovare una spada che li difendesse, e col panorama lontano di Cusna e Ventasso (foto 38, 42-43).

Da Cortogno (dialettalmente Curtogna: cercansi proteste ellegibitiquplas per questo sessismo nel cambio di nome) credo che possa bastare.

29 luglio (nessuno lo ricorda, ma è l’anniversario dell’uccisione di re Umberto I nel parco di Monza) - In un fine mese insolitamente denso di eventi nell’area modenese-reggiana, il sabato pomeriggio siamo tornati a Montorso, 650 metri slm, sulla costola dell’Appennino pavullese che si apre alla valle del Panaro, e di là al crinale di confine con Bologna (Guiglia-Zocca, dove l’indomani è programmata un’altra classica). Abbiamo ritrovato gli stessi motivi di fascino e di plauso che descrivemmo cinque anni fa (28.7.2018, seppure senza più tracce della stupenda signora visionata, all’epoca, oltre 4200 volte)

https://podisti.net/index.php/cronache/item/2090-montorso-e-zocca-mo-bei-giri-e-belle-signore-di-qua-e-di-la-del-panaro.html.

Se, col traino della signora, vi andate a rileggere quel resoconto, potreste dire di sapere quasi tutto anche della corsa di oggi, cui posso fare solo aggiornamenti e attualizzazioni. A Modena stavamo sui 32 gradi, divenuti 26 a Montorso; i partecipanti hanno superato abbondantemente i 200, con la conferma di una sezione ragazzi partita separatamente su percorso ovviamente ridotto, mentre gli adulti hanno goduto del consueto tracciato di 8,600 con 330 metri di dislivello, con un paio di km sterrati, anche suggestivi per il tratto dell’antica “Grotta”, cioè il sentiero antico (dai 580 agli 820 metri di altezza):  il tutto molto panoramico, con sguardi sulle vicine torri pavullesi e la poco più lontana rocca di Semese a picco sulla Valpanaro, al di là della quale si erge il solitario campanile di Montespecchio che fa da guardia al confine coi bolognesi.

In più va detto che non mi erano mai capitati, in una gara che chiedeva 2 euro per l’iscrizione offrendo in cambio una confezione di rinomate crescentine locali, ben tre ristori nei primi 6 km, dove l’ultimo ristoro, accanto agli usuali acqua tè e frutta, offriva una serie di torte casalinghe tali da eccitare perfino l’appetito di Giangi (che, disceso dalle Dolomiti e venuto qui in camper, dormirà in zona per essere pronto l’indomani alla gara di Zocca, e pare che abbia persino comprato il pettorale sebbene non lo esibisse in gara).

Ultimo ristoro al traguardo, dove era poi disponibile la cena all’aperto, rinomata per l’eccellenza dei cibi e frequentata da una lunghissima fila di adepti, ovviamente non solo podisti. L’occasione del ritrovo era la sagra locale, intestata a san Vincenzo Ferrer (un valenciano!) sebbene la chiesa sia dedicata a santa Margherita: ma san Vincenzo sarebbe passato di qua (zona ricchissima di uomini di Dio, da padre Sebastiano e fratelli Bernardini a padre Berardo Rossi dell'Antoniano a padre Gianaroli dell'Osservanza di Bologna, ecc.), e continua a fare miracoli, testimoniati non solo dai commoventi ex-voto in chiesa, ma anche da eventi attuali. Negli ultimi tre mesi, mi confidava l’onorevole Podestà Pattuzzi (che vedete ritratto nel collage in basso a dx), ben tre miracoli: gente salvata dal ribaltamento del trattore o da aneurismi galoppanti, come negli ex voto appaiono gli scampati dalle cadute da cavallo, dallo schiacciamento sotto i carri o dal letto di morte. Importante invocare questo san Vincenzo e non gli altri, allo stesso modo di quel tale che stava cadendo e invocò Sant’Antonio ma confondendo quello del deserto con quello di Padova, e allora una manina lo salvò ma poi si aprì lasciandolo rovinare a terra (et t’ee sbaglièe, l’era cl’èter!). Quando sarà canonizzata santa Schleinia del Nasino, secondo l’Evangelio di Rubberte Saviane, magari andrà ancor meglio e non ci saranno distinzioni classiste contro gli orfani dei navigators, che tutti arriveranno alle tigelle del premio finale.

Intanto, a Montorso 2023 ci accontentiamo della presenza di Micio Cenci, di Enrico Zanella, dei fratelli Baldini (nel senso di Morena & Loriano) e dell’intera famiglia Spina, servizio fotografico incluso e convenientemente collagiato dal Mandelli monzese ma non regicida. C’è bisogno di ritrovi come questo per non disperdere il patrimonio del podismo popolare e insieme di una terra per tanto tempo avara, ma ricca di storia e di umanità.

 

Volentieri rilanciamo la richiesta rivolta alla nostra testata da Davide Borroni, studente laureando al terzo anno di fisioterapia presso l’Università degli Studi Dell’Insubria di Varese, il quale ci chiede

se gentilmente potreste fornire il vostro aiuto a sostegno del mio progetto di tesi dal titolo "La sintomatologia dolorosa nei runners: studio osservazionale con survey", cui è responsabile la Dott. Elisa Ravizzotti.

L’intento è di somministrare un questionario ai runners, redatto dopo un’analisi preliminare della letteratura scientifica, al fine di acquisire dati epidemiologici riguardo ai possibili sintomi dolorosi, ed approfondire l’impatto del dolore nella vita quotidiana. Dall’analisi dei risultati ottenuti, si potranno sviluppare eventuali strategie preventive e di gestione dei sintomi.

Il questionario può essere compilato in modo autonomo da tutte le persone maggiorenni che praticano attività di corsa ad ogni livello, sia i professionisti che gli amatori.

Ecco il link diretto al questionario compilabile in modo tale che possiate, a vostra discrezione, riempirlo o condividerlo: https://forms.office.com/e/bJaSE11TY4

PS [F. M.]. Chi scrive ha già compilato e inviato, per prova, il questionario, abbastanza semplice e significativo, e a totale controllo della privacy. Fatelo anche voi!

26 luglio – Se guardo i calendari podistici per questi stessi giorni di qualche anno fa, sono preso dalla nostalgia: per Sant’Anna era tutto un proliferare di corse, dal campionato nazionale di retrorunning a Poviglio, alle varie camminate per le sagre patronali delle frazioni con questo nome, alle corsette del festival del giornale che c’è ancora ma di un Partito che non c’è più perché nessuno “lo vede arrivare” al traguardo delle elezioni.

Adesso niente, per fare un po’ di moto collettivo ci si deve affidare a iniziative, diciamo, exlege, fuori dai circuiti consueti: e se nella bassa bolognese c’è Alessio Guidi, a Castelnuovo Rangone (una dozzina di km a sud di Modena, centro mondiale o quasi dei salumifici) c’è Lord Colombini, coalizzatore di gruppi come “Movimento è salute” o “Muovi Castelnuovo” che quasi quotidianamente allestiscono i “treni del buon risveglio” (niente a che vedere con le speculazioni commerciali e becere delle cinquettrenta) o la ginnastica posturale nel parco, e tutti i mercoledì sera alle 20,30 mettono su camminate per le frazioni del paesone, facendo conoscere o vedere sotto una luce diversa luoghi che (visti di giorno) giustificano la loro assenza dalle guide turistiche.

La sera di S. Anna a Castelnuovo era l’ultimo appuntamento prima del rompete le righe agostano, e ad occhio eravamo in centocinquanta radunati attorno al maialino, il monumento in bronzo tra la chiesa e la torre, dedicato al principale sebbene involontario e poco consenziente protagonista dell’economia locale (in realtà, con un maialino di quelle dimensioni si fanno più selfie che prosciutti).

Lord arringa la folla da un piccolo balcone, quasi piazza Venezia, illustrando il percorso che ricalca in parte le Camminate dei Salumifici tradizionali il 1° maggio: dopo un paio di km su stradetta tranquilla, preceduti da staffette ciclopedonali e con addetti ad ogni incrocio o deviazione (tutti diretti da Lord con autorità da Pari d’Inghilterra, cui Harry e Meghan fanno giusto un candido baffo), si entra nella zona-Tiepido, ottimamente servita da una ciclopedonale sterrata sulla quale solo il sottoscritto, ormai, ricorda che decenni fa venne fatta una corsa ufficiale la domenica pomeriggio.

Oggi la consegna sarebbe di camminare, non correre: però i pacemaker sono due atleti di lusso, il Dino delle scarpe chiodate e il Nube produttore di marmi e graniti, e la loro “marcia” puntatacco si estende a 6:30 /km, andatura che perfino qualche tapascione faticherebbe a raggiungere. Chiesta licenza a Lord, ottengo di poter correre, anche se alla fine una amabile signora mi accuserà di tradimento sia pure risparmiandomi la fucilazione alla schiena.

Il percorso “lungo” supera di poco i 10 km, portandosi sulla riva sinistra del torrente attraverso il ponticello già reso famoso da camminate ora non più esistenti in servizio al suddetto Partito non più esistente (anzi nemmeno più nominabile perché la prendono come un’offesa): siamo a Portile, paese che ha ottenuto di poter cambiare nome dall’originario Porcile che meglio rispecchiava la sua vocazione produttiva (anche noi liceali sessantottini ma perbene, per non cadere nel turpiloquio, dicevamo ”che portata!” quando il prof ne diceva una grossa). L’orizzonte si fa rosso, quando si passa da un agriturismo pieno imballato (ah, la crisi, l’inflazione, le famiglie che non arrivano alla fine del mese, il governo della malavita che affama i percettori del Reddito…), poi un breve tratto, sempre guidato da staffette a loro volta messe in riga dal Lord, per strada asfaltata, fino a tornare al ponticello ligneo (bè, si potrebbe anche guadare i 10 cm d’acqua) e riprendere la carraia in senso opposto.

Nel frattempo, è arrivato il più bel chiaro di luna, come diceva Manzoni stemperando l’angoscia nella notte degli imbrogli (e voi leggete Saviano e la Murgia? Vergognatevi); accendiamo le lucine mentre lontano, alle nostre spalle, si vedono lampi e fulmini che dall’alto Micio Cenci riprende e posta. Come ulteriore atto di indisciplina mi permetto di allungare il percorso fino alla pieve romanica di Santa Maria sul Tiepido, certamente il monumento più notevole della zona sebbene inglobata e recintata in una megavilla dalla quale forse esala il profumo dei salumi.

Era un altro dei percorsi colombiniani, che in breve riporta ai marmi & graniti Nube ed al maialino. A fianco, nella sede del circolo Caos (che credo voglia dire Cultura Ambiente Opportunità Solidarietà), c’è un gradito ristoro con tè saporito e anguria a gogò: lo stesso luogo dove, anni fa, il ristoro dopogara lo serviva una apprezzatissima signora di una terra confinante, che forse non del tutto amabilmente mi rimproverò per aver espresso dubbi, su queste pagine, a proposito del suo malfidente fidanzato di allora. Ma la apprezzatissima ex stasera non c’è, e dobbiamo farcene una ragione: ci basta un nostalgico saluto a William Mazzi, ex maratoneta di lungo corso di cui è rimasto in una cassetta VHS il video dello sprint, sulla pista di Klagenfurt al termine della Woerthersee Marathon, nientemeno che con Ross Brevini reduce da un’altra notte degli imbrogli in un albergo dalla popolazione “strana”.

Grazie a Lord Colombini e alle sue entusiaste collaboratrici, il fine luglio di Castelnuovo ci ha regalato un confortevole arrivederci, al pio colono augurio di un più sereno dì.

22 luglio – Nona edizione della gara classica sui 60 km + 4000 metri D, e ottava della versione “light” (si fa per dire), di “soli” 35 km con “soli” 2000 m D+. In comune alle due gare la salita alla cima più alta dell’Appennino Modenese, il Cimone, coi suoi 2165 metri da raggiungere in 13 km partendo dai 625 metri di Fanano; dopo di che, circa 6 km di crinale con vetta più alta il Libro Aperto a 1937 metri, poi discesa di 700 metri fino al rifugio dei Taburri, da cui i due percorsi si dividono e, mentre ai “light” restano meno di 400 metri verticali, gli altri sono a meno di metà della fatica che si spingerà fino all’area bolognese del Corno alle Scale (senza salirlo tutto) e poi un altro bel po’ di ventoso crinale fino al ricongiungimento coi “light” a 4-5 km dall’arrivo (che riserva per tutti una trentina di metri di vertical, peraltro su un sentiero nuovo e ottimamente curato), fino al rientro nella piazza Odoardo Corsini da dove si era partiti alle 7 per consentire un arrivo con la luce del giorno anche agli ultimi del “lungo”. La Cima Tauffi (1800 mt) fa parte solo del percorso maxi, che poi ridiscende a 1300 per risalire di nuovo a 1800 e, con un ultimo paio di dentini, si butta infine verso l’agognato torrente già noto ai frequentatori della storica Fanano-Capanna Tassoni.

Nella gara corta, successo quasi annunciato per il fortissimo trailer dei Modena Runners Saimir Xhemalaj, classe ’94, unico a stare sotto le 4 ore (3.58:19, 6:48 a km!), otto minuti meglio di Daniele Montecalvo, ventiseienne di nobile schiatta podistica della provincia bolognese, che a sua volta ha preceduto di un minuto scarso Thomas Cazzaniga da Como.

Sesta assoluta e prima donna la 34enne Chiara Lelli (Cometa, 4:23:27), oltre mezz’ora sulla ventisettenne Anna Sarti del Mud&Snow, la realtà modenese che ha dato un’impronta decisiva al trail in provincia: e non sarà un caso che il boss Checco Misley (anni 45) abbia personalmente corso in poco più di 5 ore e mezzo, e soprattutto abbia portato qui una bella serie di protagonisti. 121 gli arrivati, sui 127 partiti; a chiudere la graduatoria l’immarcescibile Cecilia Gandolfi in Spina, che ha trascinato qui il marito Italo come fotografo (sono sue, per gentile concessione, le foto 34-39 del nostro album), e il figlio Gianluca, classe 84, che ha chiuso in 12h15 la gara dei 60 km.

Il cui vincitore è stato Simone Corsini, quarantenne della Panaria da 2.26 in maratona (e vincitore nel 2019 del Dolomiti Extreme Trail di 53 km), con la stessa media chilometrica di 6:48 del Saimir primo nei 35 km, il che produce un 6.48:50 nel totale; e 21 minuti di vantaggio sul secondo, il 23enne Killian Luison, nonché  quasi 40 minuti sulla gloria locale, il fananese Giulio Piana (Mud& Snow come il quarto, Roberto Gheduzzi).

Alla stessa società by Checco appartiene la prima donna, Dinahlee Calzolari, 28enne (9.21:50, un’ora esatta sulla seconda Antonia Rinaldi, che ha preceduto quasi allo sprint la bolognese Milena Mazzini): 99 gli arrivati su 100 partiti.

Che dire della corsa? Preambolo un po’ difficoltoso, con lo spostamento alla vigilia delle operazioni di iscrizione (che prevedevano anche un meticoloso controllo del materiale obbligatorio, senza il quale il pettorale non era consegnato) e del briefing (altrimenti scritto breefing e breafing: la moglie di Giulio Piana, che sa di lingue e a suo tempo studiò lo 'stile' delle cronache podistiche, obietterebbe qualcosa), a causa dell’occupazione del destinato Palaghiaccio, e nonostante le piazze centrali del paese fossero occupate da una manifestazione folcloristica.

Ma al mattino ogni cosa è funzionata alla perfezione cominciando dal sapiente speakeraggio di Daniele Menarini: al via tutti insieme, con qualche inevitabile tamponamento nelle retrovie per le prime centinaia di metri, ma poi ognuno ha potuto gestirsi come riusciva (approssimativamente, metà avevano i bastoncini e metà no). Non difficilissima la salita al Cimone, per un sentiero Cai diverso dal solito che si fa, salvo gli ultimi 50 metri verticali abbastanza improbi: è lì che ho visto andarmi via l’ammirabile Ermanna Boilini, anni 66, una leggenda dell’ultratrail modenese (la Natalina ed nuèter) targata Mud& Sbow, che naturalmente ha corso i 60 km chiudendoli in 13.23.

Sul crinale successivo al Cimone, spazzato dal vento che spirava da sud e minacciava di precipitarci sul versante fananese, qualcuno ci aveva illuso sulla presenza di un punto acqua, che però non era previsto dal regolamento e infatti non c’era (per fortuna, avevamo riempito le borracce al ristoro ufficiale del km 9, già quasi a quota 2000); ci siamo dissetati al successivo rifugio dei Taburri, solo al km 23,5, dove però c’era la presenza qualificante di Micio Cenci, carpigiano ma fananese d’adozione, trailer con cui corsi la prima edizione di questa 60 km (21.7.2012), che faceva foto e collaborava (mi ha persino inseguito per darmi la borraccia dimenticata sul tavolo). Da Paradiso terrestre la fontanella, un paio di km sopra i Taburri: pur avendo la borraccia piena, mi ci sono buttato sotto e penso che morirei felice se su di me scorresse quest'acqua.

(Taburri: era la parola magica che insegnai a mia figlioletta decenne quando, ai primi passi sugli sci, cadevamo sempre con gli sci incrociati e senza riuscire più a frenare; parola con l'effetto di attutire la caduta e provocare un pronto rialzo, nonché smorzare la rabbia contro il fratellino di 6 anni che  filava via come se fosse nato con gli sci ai piedi).

Da questi Taburri (a monte di Fellicarolo, raggiungibili in vari modi) siamo allora risaliti, trovando un delizioso caffè alla penultima asperità del giro light, il monte Colombino, e allacciando nuove amicizie, come con le due mamme modenesi Patrizia Albertini (classe 1960;a parte l'Ermanna, la donna più stagionata del lotto) e Lisa Vincenzi, che ha l’età di mia figlia e come mia figlia sta avviando allo sport la sua bimbetta di 8 anni.

Nella discesa finale, molto pendente, talora con un'erba tagliata di fresco e alquanto scivolosa, e nel tratto sassoso poco corribile per chi aveva ormai i muscoli irrigiditi, le due salutano e se ne vanno, come impongono classe ed età (a proposito, scorrendo l’elenco degli arrivati nella 35 trovo che il secondo più attempato aveva 10 anni meno del sottoscritto, risultando coetaneo della Patrizia di cui sopra. E’ ora che smetta?).

Ristoro finale ottimo e abbondante, con grande dispiego di torte, prugne, arance e di fette di cocomera, come già nei ristori precedenti: cocomera quanto mai gradita dato il caldo (solo temperato dalle faggete d’alta quota); in più, un bicchierone di birra a testa (il secondo bicchiere costava 5 euro, a differenza della promessa di 6 bicchieri a testa fatta nel briefing...). Per le docce, ampie, linde e alla temperatura giusta, si è reso disponibile il vicino Palaghiaccio che ci aveva sfrattato la sera prima, e ci ha concesso gli spogliatoi degli hockeisti con in evidenza le multe comminate (50 euro per chi fa pipì nelle docce…). Non essendo stabilita la distinzione tra spogliatoi maschili e femminili, era possibile anche qualche gradita sorpresa, come quelle che capitano per esempio nelle maratone tedesche (ma non è stato il caso mio).

I numeri degli arrivati non sono enormi, ma certo la stagione, anche per le sue concomitanze, non aiuta. Ma la soddisfazione di tutti era palpabile.

Che fare il 16 luglio per chi non è nelle isole greche o ichnusiche o peloritane per correre alla maniera di Filippide sconfinando a casa del commissario Montalbano, o non è un supertrailer da Piz Boè o da Civetta, o un appassionato delle dighe in val Venosta nonché con ampia disponibilità monetaria?? Bisogna rovistare nei calendari locali, tra le gare “della Quercia” sopravvissute a Colei che finora gli elettori non hanno visto arrivare, o le competizioni appenniniche da 8 km dove impieghi due ore di stradacce per arrivarci…

Zummando all’area bolognese, oggi fino a qualche anno fa c’era una gara montanara dalle parti di Porretta, e una collinare a Savigno: la prima non è nemmeno più calendariata, la seconda è stata annullata pochi giorni fa, allo stesso modo della vicina camminata di Quartesana (FE). Allora?

Per fortuna che Alessio c’è: scontata la lunga sospensione (lunga e suina e condita di acido lattico, ma pare che quelli là non se la stiano passando benissimo), il Guidi fondatore, presidente, trascinatore del “Passo Capponi”, nonché sgradito rivitalizzatore del morente podismo bolognese (“fai un piacere all’asino, e ti ricambia con un calcio”, diceva mia suocera), non passa giorno che non proponga un evento, saltabeccando da Brescia a Milano a Ravenna ma senza trascurare la sua provincia.

Ecco dunque che, in questo torrido e desertico 16 luglio (neanche un prete per chiacchierar), Alessio di punto in bianco allestisce una bellissima camminata semiufficiale da Crespellano (o se volete pignoleggiare, da Pragatto, patria del celebre dantista Tommaso Casini), su per i colli lungo la via Pradalbino, 3 km di falsopiano, poi salita più ardua (diciamo da Casaglia-San Luca, per citare l’esosa competizione in arrivo) fino al resort Guardastelle, andando insomma dai 54 metri slm della partenza a quota 370, con deviazione facoltativa per i calanchi a sud, con visuale su Monteveglio e la renitente Savigno, mentre in fondo troneggiano alquanto sfumati nei vapori Cimone e Corno alle Scale.

Qui c’è un ristoro e un agguato fotografico (uno staff auto e ciclo-trainato ci sorveglia discretamente), poi lo scollinamento con varie opzioni lasciate ai concorrenti, per un percorso che alla fine assommerà a 15,8 km più 400 m D (al netto delle private libidini): o deviare verso il centro di Oliveto dove c’è una fontana di acqua fresca, o prendere la via sterrata del Balcone (attenzione ai due molossi, nel senso di cani, che passano la rete di recinziione), o stando nel sicuro proseguire costeggiando il cimitero di Oliveto, lungo la strada asfaltata interrotta da una frana (ma a piedi si passa), poi da lì via Puglie con qualche mangiaebevi che in parte coincide con una recente competitiva, o con la vecchia corsa del festival cara persino a Giangi; e da lì la discesa dove chi non ne ha più cammina, e si può chiacchierare allegramente col medico condotto della zona Gianluca Ognibene (che ha fatto esperienza perfino al Tor des Géants), o coi due neosposi Michele e Laura (sposi da giovedì scorso 13 luglio), che volentieri replicano il bacio nuziale al ristoro conclusivo, con tanto di bomboloni alla crema e altre leccornìe contribuite dai partecipanti. (Siccome Laura Bertacchini, concittadina e compagna di scuola di mia figlia, dice che nelle mie cronache sono sempre cattivo, lamenterò la mancanza degli spumanti usuali al ristoro privato di Alessio nella camminata di Santo Stefano).

Ci saranno 33 o 35 gradi, che importa, la salita è in parte ombreggiata, in discesa andando ai 6 a km ci si fa un po’ vento, e i tanti ciclisti che incrociamo fanno sicuramente più fatica di noi; ma la facciamo tutti volentieri.

Nelle rituali foto di gruppo, io conto almeno 42 partecipanti, addirittura forse più donne che uomini. Trovo allegria, scambi di esperienze, altruismo, progetti: in poche parole, che il fotocollage di Roberto Mandelli condensa con la sua arte, trovo la contagiosa leggerezza dell’essere di Alessio Guidi, più rinato che mai tra i suoi 4389 amici di Fb: ai quali sono sicuro che già domani proporrà una nuova, sana e imperdibile (l’aggettivo stavolta non è sprecato) follia. https://www.facebook.com/alessio.guidi.3

 

6 luglio – Su questa ennesima creazione del primario hub del podismo italico, Scandiano, non ho altro da aggiungere a quanto dichiaro annualmente e (si potrebbe dire) quotidianamente, peggio che Travaglio su Conte: qui il resoconto dell’anno scorso https://podisti.net/index.php/cronache/item/9006-nessuno-ferma-la-scandiano-castellarano.html

Come aggiornamento, dirò che l’edizione 2023 ha registrato 238 classificati contro i 181 del 2022 (aumento del 31%), avvicinando il record dei 284 dell’ultima edizione pre-Covid (2019). Totalmente cambiato l’ordine d’arrivo, che vede al primo posto assoluto il ventenne reggiano Nicolò Cornali in 53:28, quasi un minuto sul 24enne Marco Casini (Delta Sassuolo) e quasi due su Roberto Ferretti, 22enne della Corradini Rubiera. L’onore dei veci è salvato dal quarto e quinto, il maestro di corsa Andrea Baruffaldi (costellazione-Morlini) e il sempreverde Emilio Mori da Campogalliano, rispettivamente anni 36 e 44, giunti a 6” l’uno dall’altro.

Tra tutti i comprimari, segnalo il 18° posto in 1.00:55 di Zeno Vistoli, classe 1993: lo vedevo bambino con una gran chioma bionda, ai tempi che guidai suo padre (insigne psichiatra) alla sua prima maratonina in quel di Fusignano. Moriremo come persone fisiche, ma i nostri eredi manterranno sempre qualcosa di noi, e tanto basti.

L’esperienza ha invece dettato legge tra le donne, col successo di Rosa Alfieri siculo-reggio-parmense, anni 53, in 1.06:23, quasi otto minuti su Caterina Filippi che ha la metà dei suoi anni e sulla terza, Lorena Belli compagna di squadra del vincitore assoluto.

Tra le società, prime a pari merito Sportinsieme e Interforze Modena con 14 iscritti, seguite con 12 dai Modena Runners che però, in una ipotetica classifica a punti basata sui piazzamenti, dovrebbero essere in testa con due uomini nei primi 9 (Xhemalaj e Sargenti), sette nei primi cento.

Quanto alle impressioni di corsa, sono le stesse di sempre, in una magica notte che invano i meteoastrologi bonacciniani avevano dichiarato da allerta gialla per temporali intensi: il risultato è stata invece una deliziosa temperatura di 19 gradi a Castellarano, luogo in cui – come ha notato il sempre informatissimo dicitore Brighenti – sono crollate le vendite dei condizionatori. Caldino, ma non insopportabile, alla partenza sotto la Rocca Boiardo di Scandiano, dove le funzioni burocratiche sono state sbrigate al meglio sia dal Sassi-Manelli-staff sia dall’agguerrito gruppo di giudici reggiani come Paolo Giaroli e Claudio Iotti; e mentre stavolta Nerino si riposava facendo il fotografo stanziale (però accolgo la sua rettifica secondo cui alla fine ha fatto anche il giudice: una mano sulla telecamera, una sulla macchina fotografica, una per firmare i verbali), Giaroli dopo la partenza ha inforcato la moto per salire alle Tre Croci in soccorso di Cinzia Manelli al primo ristoro. Più su aspettava Mr. Manelli col consueto “gavettone” di acqua nebulizzata, e insomma quando si va a Scandiano sappiamo che saremo sempre trattati da re.

Personalmente, la partecipazione non era in programma dopo la “tanta roba” di 4 giorni prima; ho deciso alle 16 dopo una pennichella apportatrice di buoni sogni. “Tu sei pazzo”, mi ha detto al primo annuncio dell’idea colei che Guareschi avrebbe definito “l’autrice del mio matrimonio” o “la dolce signora che il Cielo sparse a profusione sulla mia vita”; salvo poi prestarsi al consueto autotrasporto evitandomi la navetta organizzativa per il rientro.

Incerottati ben bene i piedi, e tirato fuori dall’armadio dei ricordi un flacone di olio canforato dei tempi che militavo tra gli Amatori della Uisp, ho fatto un po’ di stretching sotto la Rocca, vedendo se almeno riuscivo ad arrivare alle Tre Croci (sono solo 4,1 km, mi dicevo ricordando gli antichi fasti della cronoscalata, e pensando al tanto più fatto due settimane prima con Paolino Malavasi: l’è trii or ch’an vàdd èter che di trii cros e di furnasoun!). Ero rassegnato al sorpasso da parte di Cecilia-in-Italo, che invece stranamente non si è verificato, a differenza di quello del glorioso Elvino Gennari, classe 1946 (“ho fatto la 100 di Asolo in macchina e mi sono stancato solo a guidare”), che in salita più o meno mi affianca ma in discesa mi darà 7 minuti.

Scontato il sorpasso da parte di mamma Emilia Neviani e del quartetto femminile che la segue, guidato dalla prorompente Simonetta Silingardi (tutte sull’1.37/1.38), al traguardo non mi resta che aspettare Giuseppe Cuoghi, più “giovane” di Gennari di un anno, che dopo l’arrivo si appoggia alle transenne, diciamo in meditazione senza parole.

Pacco gara con la novità di una minidose di lambrusco della stessa ditta e qualità (8,5 gradi: e lo chiamano vino??) che a Nashville si vende per 14 dollari, e del consueto asciugamano “Ag l’ho cavèda” reduce dalla maratona di Reggio (che l’ultimo anno non ho corso, ma di asciugamani ne ho già tre). Succulento il ristoro finale; premiazioni, come sempre ricche per gli under e punitive per gli over 50: e chi vecc chi serchen i parsòtt, ch’i staghen a cà.

Ho sott’occhio i due ultimi numeri di una rivista relativamente all’esordio (siamo al numero 3 datato aprile e al numero 4 datato giugno, la cui copertina Mandelli si è divertito a moltiplicare: il periodico è bimestrale, il prossimo numero è in uscita per il 20 luglio; ne esiste anche una versione online, muoversimagazine.it, e per acquisti c’è shop.editorialecec.com).

La fucina da cui l’opera viene fuori è quella rinomata di Luca Speciani, podista, medico, dietologo, giornalista e tante altre cose, che già edita altre riviste non banali ed ha almeno una pagina Fb con cinquemila amici (https://www.facebook.com/luca.speciani). Dunque ci si può aspettare uno stile rigorosamente argomentativo, ma piano e accattivante, fatto meno per gli specialisti da 3’30”/km che per i profani, i sedentari che decidono di “muoversi”, di svolgere attività fisica, senza puntare come prima tappa alla maratona di New York o all’UTMB.

Perché muoversi è salute (correre, senza estremismi, lo è ancora di più), è il recuperare la vita sana, non dirò del Neanderthal o dell’Homo sapiens - comunque born to run -  ma quella dei nostri progenitori, che si spostavano a piedi, mangiavano i prodotti della natura e andavano a letto con le galline. Abitudini che la nostra civiltà evoluta ha smarrito, coi risultati che si vedono: la vita media aumenta, ma soprattutto perché si inventano sempre nuove medicine e terapie che ti tengono in vita a qualunque costo e senza dignità.

Appunto al “correre o camminare” è dedicato il prologo del direttore editoriale Speciani nel n. 3: non c’è contraddizione tra le due cose, occorre solo “muovere il proprio corpo nel modo più gioioso e stimolante che madre natura concede”, per “divertirci e stare bene con noi stessi, con il nostro corpo, con i nostri cari (condividendo il muoversi come attitudine sociale vera, non artificiale) e a contatto stretto con la natura”.

L’arte del “correre in modo nuovo e divertente” è declinata nel fascicolo in varie articolazioni, come le corse a ostacoli (soprattutto quelle in ambienti naturalmente selvaggi), il fartlek, il nordic walking, l’orienteering, il cammino di Santiago e le ascensioni alle Grigne, il triathlon e la tapasciata col solo scopo di arrivare in fondo buttando giù forse qualche etto. Arte sorretta dal Pilates (purtroppo noi podisti-podisti ci accontentiamo di correre e basta) e coadiuvata dalla sana alimentazione, il tutto ad accrescere anche il nostro potere immunitario facendo a meno della chimica (come da anni raccomanda Speciani).

Il numero 4 arricchisce e completa i temi accennati sopra: “perché muoversi fa bene”, “la corsa è meglio di una medicina”; fisioterapia, pesi e cardiofrequenzimetro, i sentieri delle Orobie, il nordic walking sulla spiaggia e la continuazione del cammino di Santiago (ovviamente ce ne sarà per parecchie altre puntate, ora con Riccardo Bianco, economista che a 58 anni ha deciso di “rimettere ordine nella propria vita”, siamo solo alla prima notte in ostello con francesi rumorosi e maleducati).

Se posso esprimere preferenze soggettive, dirò che di questo fascicolo mi hanno preso di più (dopo Santiago il cui espletamento rimane per ora la mia voglia inappagata) i resoconti di Guido Farina (professionalmente, un geologo) sul suo orienteering nei boschi cuneesi, e di Chiara Sacco (cultrice di alpinismo e di yoga) sul suo anello orobico.

Ma istruttivi in ben altro senso sono i pezzi di Guido Marini (gastroenterologo, ecografista ecc.) sulle medicine di cui possiamo fare a meno grazie alla pratica fisica, di Massimo Ranica (fisioterapista e riabilitatore) sul rinforzo muscolare, e infine la risposta di Speciani sul superallenamento. Siamo insomma in buone mani.

Denuncio un conflitto d’interesse: in questo n° 4 ho scritto qualcosa anch’io. Saltatelo pure, ma purtroppo preparatevi che nel prossimo numero ce ne sarà l’ultima puntata.

Dire che sia “la più bella del mondo”, come appare sul sito degli organizzatori, ha la stessa attendibilità di chi dichiara il medesimo per la Costituzione italiana (bisognerebbe vedere tutte le altre…): prima della partenza, un amico mi raccontava di essere reduce dalla 100 di Biel-Bienne, e non poteva che collocarla su un piedistallo, sopra tutte le altre Cento sedicenti più belle del mondo.

Sta di fatto che questa decima edizione della corsa del Monte Grappa ha segnato un record di iscrizioni così imponente da… lasciare senza medaglia parecchie decine di arrivati: la promessa è di spedirle a casa, e per ora ci fidiamo, **  anche perché ce ne convince la grande Natalina, che di queste dieci edizioni ne ha corse undici (cioè ha fatto per conto suo anche la gara annullata per Covid), ed è stata la principale responsabile della mia folle scelta, a quattro anni dall’ultima Cento e a due anni dall’ultima ultramaratona. Se no i xe mati no i  ge volemo.

Ma al lettore interessa anzitutto sapere i fatti, cioè chi ha vinto: le opinioni possono venire dopo e si ha diritto di sospendere la lettura a quel punto. Ha stravinto Massimo Giacopuzzi (Dolomitica Asd) con il tempo pazzesco di 7:49:22, media 4:42 a km. Vabbè, magari un tantino più alta dato che i Gps sentenziano una distanza reale di 96,5 km dovuta alla sostituzione forzata della strada per salire sul Grappa con circa 3 km di sentiero EE, presumibilmente più corto sebbene da percorrere con cautela, causa certi strapiombi che a volte suggerivano l’uso delle mani (oltre tutto, pioveva e dunque c’erano anche tratti scivolosi).

In ogni caso, il campione (che già al rilevamento di metà gara aveva 19 minuti di vantaggio) ha inferto 37 minuti al secondo, Marco Visintini dell’Aldo Moro di Paluzza (benemerita società che durante il lockdown ha saputo allestire squisite gare di montagna), che col suo 8.26 ha staccato di cinque minuti scarsi un altro specialista di queste gare, l’altoatesino di Laives Christian Hofer. Le premiazioni sono nelle ultime foto del servizio messo insieme come sempre da Roberto Mandelli (con cui mi collegavo ogni tanto via whatsapp, insieme ad Angelo Giaroli: sebbene i due mi garantiscano che non riescono proprio a immaginare imprese del genere. E chissà se le immaginano i miei nipotini, Davide il grande e Alex il tennesseano, nel farmi gli auguri telematici).

Si scende dalle alte cime col nome della vincitrice, Annarita Azzolini (Marathon Club Imperia, 10.29:15), appena quattro minuti meglio di Monica Affaticati (Up & Down) che a metà gara la precedeva di 23”. Non molto lontana la terza, l’altoatesina Julia Fatton (Rheinau, 10.43:43): le prime tre donne stanno tra il 15° e il 20° posto della classifica assoluta. Che, su 320 iscritti e 307 partiti, vede al traguardo 260 atleti (di cui 46 donne), più altri 10 che si sono fermati ai 50 km; è probabile che anche il primo cancello (inserito ex novo… contro il parere di Natalina, a Possagno dopo 33 km) abbia fatto una discreta scrematura.

D’altronde, la 100 di Asolo non è il Passatore dove riescono quasi tutti, compresi quelli che salgono in auto quando sono stanchi: qui le macchine degli accompagnatori (fortunatamente pochi: ho spesso incrociato la Golf che seguiva due cremonesi, ma rimasti molto indietro dal “Sàoto dea Cavra”, quando il gioco si è fatto duro) erano “schedate”, e a un certo punto impossibilitate a salire (“Mi dite dove c** devo andare per arrivare al Grappa senza prendere questa strada di m*?”, è sbottata coi vigili una pingue gentildonna, evidentemente ignara degli avvertimenti plurimi degli organizzatori). E nella meravigliosa discesa dal Grappa, praticamente in assenza di auto, il traffico si è fatto un po’ più intenso da mezzanotte in poi, solo per “merito” dei giovinastri che scorrazzavano schiamazzando a finestrini aperti e strombazzando: poi la domenica sera faremo la conta della consueta strage impunita ma continueremo a permettere lo sballo.

E torniamo al mezzogiorno di sabato 1, orario di partenza non troppo adatto per una corsa a luglio che per i primi 35 km si svolge tra i 100 e i 360 metri: per fortuna, la vigilia è piovuto e la temperatura non supererà i 27 gradi, ma con un tasso di umidità pazzesco, e i vapori che si sollevano dalla terra umida (ti sembra di essere nel bagnoturco).

Ottima collocazione logistica del ritrovo, l’impianto sportivo a un paio di km dal centro cittadino, con un servizio continuo di navette (magari, se mettevano qualche freccia per arrivarci in auto evitavo quel paio di inversioni a U causa strade a fondo cieco); buona disponibilità di parcheggi, perfetta la distribuzione pettorali e la ripartizione delle sacche di ricambio che ognuno di noi può lasciare ai tre punti chiave dei km 45, 55, 80.

Mi viene in mente che pure il 1° luglio di 55 anni fa faceva caldo, mentre cominciavo gli esami di maturità con la prima delle quattro prove scritte (ultimo anno che la maturità fu un esame tosto, con tutte le materie del triennio; adesso è una buffonata che crea soltanto illusioni e pretese in “maturati” senza qualità, quelli che poi scorrazzano giù dal Grappa o a Casal Palocco). Ai nostri tempi studiavamo che Bembo ha ambientato ad Asolo i suoi dialoghi sull’amore, e che quattro secoli dopo D’Annunzio ci ha vissuto (e raccontato nel "Fuoco") una storia intensa d’amore con la Divina, che qui è sepolta. E il mio povero padre aggiungeva i suoi ricordi della guerra, in questo scenario che sembrava tener lontani i pensieri cupi. Appena presi la patente, volle che lo accompagnassi qui, alla sua vecchia caserma dove dopo l’8 settembre gli uccisero il capitano, e i soldatini sbandati fuggirono verso casa: mio padre, in bicicletta, con un coetaneo modenese, che si chiamava Franco Anderlini, e più tardi vinse tutto come allenatore di pallavolo, e volle mio padre come testimone di nozze.

Asolo, borgo bellissimo (mi ricorda Gemona), e degnamente percorso dall’”Urban Trail” di 10 km che parte alle 19, quanto al podismo non lascia spazio per trucchi da sboroni della tacca: i quattro cancelli ammoniscono a badare subito al sodo, anche nei primi 10 km che saranno i più antipatici, ai bordi di una strada dal traffico intenso (quando si può, si usano i marciapiedi o le corsie ciclabili a lato; un vigile mi esorterà a rispettare il codice vedendomi tagliare una curva a destra).

Prima del via non può mancare una visita al duomo, di fianco alla piazza della partenza: una collega podista in arancione, Veronica della Franciacorta (foto 65 e 68), è assorta in raccoglimento. Uscendo le dico della mia preghiera nell’imminenza del via al primo UTMB: Signore, so che di queste cose non ti deve importare, ma se mi permetterai di arrivare qui tra due giorni, verrò a ringraziarti. Veronica mi fa venire un groppo alla gola rispondendo: “Tranquillo, Lui c’è sempre, anche qui”. Finirà in 12 ore e mezzo, al decimo posto: il Signore sia sempre con te.

Prima salitina verso quota 150 appunto attorno al 10: se non altro si va in stradetta senza traffico e con un po’ d’ombra. Nella discesa mi prende la Natalina, e dopo qualche km di elastico mi molla e non la rivedrò più se non in classifica, dove sta avanti un’ora, e nella foto del premio che riceve (“pesa più di me!”) in omaggio alle sue 10+1 partecipazioni.

Non faccio in tempo a riavermi del sorpasso (e comincio a chiedermi: ma io qua ci arrivo in fondo? - e rispondermi: Soldatino, non farti ammazzar!) quando una voce amica alle spalle mi dice: “Io parto piano, ma poi…”): è l’altra veneta Daniela Lazzaro, prof di matematica e fresca campione italiana di categoria sulle 12 ore. Il suo destino sarà di superare la stessa Natalina finendo in 14.47 (sono accomunate nella foto 66): ah già, ma è la più giovane del terzetto, non ne ha ancora 70…

Una zona industriale non troppo attraente ci porta a Possagno (ricordo un arbitro molto rigorista degli anni Sessanta), proprio davanti al museo di Antonio Canova (siccome sono in vantaggio sul tmax, due minuti per una visitina me li prendo) e poi su fino al tempietto-sacrario. Salita duretta, ma ne vale la pena: poi giù al primo cancello (“Dio vi benedica”, sussurro ai due rilevatori), e adesso si fa moolto seriamente, come Maestra Natalina mi aveva anticipato: in 10 km vai su di quasi 1000 metri, per una carraia in parte cementata o coperta di grossi lastroni. Profumo di Grappa (inteso come monte), fresco di bosco, panorami, ristori frequentissimi: si alternano ogni 3 km punti acqua e rifornimenti completi, dove troviamo fette tostate con marmellata, torte, biscotti, panini al salame o prosciutto, uova sode, patatine, angurie, mele, limoni, tè caldo e freddo, caffè forte, coca, acqua liscia e gassata, birra, prosecco. Tranne quest’ultimo, prenderò di tutto, e la varietà mi salverà dalle nausee incombenti.

Secondo cancello al km 43/45 (ci sarà sempre differenza tra i cartelli ufficiali e i nostri Gps), ristoro e recupero degli abiti di ricambio, l’avvocato Reali se ne va, la bella segretaria supermaratoneta Carla Ciscato arriva: il cielo si è fatto cupo, raccomandano di metterci della roba addosso perché sul Grappa piove. Magari!, mi dico, così ci rinfreschiamo un po’, e continuo con la maglietta a maniche corte sulla nuda pelle: per i tre o quattro sguazzarotti di un quarto d’ora l’uno basterà il cappellino. E siccome deve piovere, la borraccia non serve più: la lascio nello zaino che ridiscenderà poi per i fatti suoi.

E si va sul monte sacro alla Patria, una quindicina di km dalla bellezza assoluta, prati, scampanare di vacche al pascolo, fattorie, qualche discesina ristoratrice ogni tanto, fortini distrutti che emergono tra le nuvole, trincee, le grandi croci sul crinale (coglionazzo chi le vuol togliere), poi lo sbarramento sulla strada degli alpini, il sentiero da fare in fila indiana dalla Val Vecia. Dietro a me una coppia apparentemente di Latina: Barbara fa l’andatura e suggerisce a Luigi dove appoggiare il piede. Insieme, facendoci anche qualche foto, percorreremo tra le nubi il monumentale sacrario fino al doppio controllo del km 54 (due ore abbondanti di margine sul tmax!) e al ricambio, prima dei 25 km di discesona (25 km? - mi chiedo -. Ma riesco a concepire una distanza del genere?).

Sono le 9 di sera e pioviggina: ancora l’avv. Reali si stupisce che resti in maniche corte, solo aggiungendo una canotta sotto la maglietta. Ma io penso all’afa appena sotto, che si ripresenterà puntuale già al cartello altimetrico dei 1000 metri. La prima parte della discesa la faccio con una bella ragazza di Mestre, ma originaria di Boion (ostrega, cognostu el Boldrin?): Angela è alla sua prima Cento, dopo non aver mai superato i 25 km, però pensa già alla UTMB e alla IUTA. Pagherà un po’ lo scotto nel finale, concludendo comunque in 17.20 che non è male per una esordiente così giovane. Mentre la scafata Daniela Lazzaro mi manderà le sue impressioni matematiche:

Che dire? E’ stata dura, ma in fondo il tempo ha tenuto, molto meglio delle previsioni. Certo che se la visibilità dall’ossario fosse stata diversa, …, ma non è così facile sul Monte Grappa, già dal pomeriggio. E ci siamo consolati con la traversata nella verdissima, ancora di più con le nuvole basse, Val delle Mure.

E poi durante la discesa, con la visione da alcuni tornanti della luna piena in alto e le mille luci di Romano D’Ezzelino, anche se mancavano ancora più di 20 km all’arrivo.

La strada invita a correre, che per quelli del mio calibro significa i 6 a km; ma cuore e polmoni, il ”cavallo” inguinale che brucia dai primi km, e forse anche la testa dicono di camminare ogni tanto. Ma se cammini, le vesciche che si stanno gonfiando fanno ancora più male, e allora ci si barcamena.

I ristori adesso sono regolarissimi ogni 5 km, e per fortuna ci stanno anche sedie e tavoli, dove ci servono di maccheroni o riso all’olio; e se la coca scarseggia, birra e prosecco non mancano mai.

Le luci della pianura verso Bassano ti incantano e distraggono (un paio di volte, nel guardare giù, finisco contro il guardrail: e meno male che c’è!): ed ecco Romano, km 80, che mi illudo essere l’inizio della spianata finale. Macché: ricomincia la salita, vigliacca, titolata “via del Grappa”, verso Borso; ristoro degli 85 davanti alla chiesa, condiviso con amici vecchi e nuovi tra cui Luca Spaggiari, parmense di Torrile che sarà con me (si capisce, facendo l’elastico) fino al ristoro dei 95 alla macelleria di Castelcucco, e alla salita finale su Asolo: un po’ corsa e molto camminata, perlomeno da me che a forza di voltarmi indietro per capire se sono sul tracciato giusto (le frecce bicolori sull’asfalto, fedeli compagne di ogni incrocio, a volte latitano, e di cartelli “verticali” non se ne vedono quasi più) mi faccio superare quasi allo sprint da uno di Pordenone. Eppure, le classifiche sanciranno che nella seconda metà (9 ore per salire al Grappa, 7.20 per scenderne) ho recuperato 14 posizioni: faccio pietà – ne convengo – ma non sono ancora pronto per l’ospizio.

Arrivo nel cuore della notte, foto di rito, solo bottigliette d’acqua con la promessa che al campo-base ci sarà di tutto (dimenticano di dire che le bevande saranno a pagamento); spola di navette, spogliatoi, saluto con Daniela Lazzaro, recupero bagagli nello spogliatoio femminile (me ne scuso con le occupanti raccontando quella volta negli spogliatoi di Buhlertal…: mentre arriva anche Angela la mestrina di Boion); ricarica del cellulare morto al 95°, docce caldissime e shampoo offerto da un Bergamo Runner fedele di don Gregorio; maccheroni (questi, gratis) al sugo di carne, saluti ai colleghi e “arrivederci alla prossima”.

Per me, al momento, una prossima non è prevista: ma questa ne vale… cento.

** Aggiornamento alle 9,25 del 4 luglio sul problema-medaglie. Email ricevuto dai partecipanti:

abbiamo avuto dei problemi di produzione con il nostro fornitore di medaglie e non siamo riusciti a ricevere il quantitativo necessario di medaglie entro i tempi previsti.

Ci scusiamo profondamente per questo inconveniente e siamo molto dispiaciuti  di non essere in grado di consegnarti la medaglia all'arrivo come da tradizione.
Vogliamo però rassicurarti che stiamo facendo tutto il possibile per risolvere il problema e consegnarti la tua medaglia al più presto.

Per poter organizzare la spedizione della medaglia, ti chiediamo gentilmente di compilare il seguente modulo con i dati di spedizione:

RACCOLTA INFO MEDAGLIE 2023

Una volta ricevute le tue risposte, organizzeremo la spedizione della medaglia il prima possibile. Faremo tutto il possibile per fartela avere nelle prossime settimane. 

 

 

Ospitaletto (MO), 28 giugno – Ufficialmente è stata presentata come terza edizione, ma io rubando il mestiere di statistica a Isabella Morlini dirò che è almeno la settima, e non ripeterò le considerazioni fatte, da partecipante mai mancante, uno e più anni fa

https://podisti.net/index.php/cronache/item/8940-vertical-di-ospitaletto-mo-morlini-nel-diluvio-dei-modena-runners.html

Certamente è la terza edizione in grande stile, sotto l’egida permanente di Sonia Del Carlo e famiglia, e della Fratellanza di Bonfiglioli & C., più l’apporto in grande stile della Formiginese, di Modenacorre e direi di tutto il movimento podistico modenese, grazie all’inserimento della gara come tappa della Five Road Race.

https://podisti.net/index.php/notizie/item/9815-dal-25-maggio-riparte-il-circuito-five-road-race.html

Risultato numericamente straordinario, con 189 arrivati, un aumento del 70% rispetto a un anno fa; ed anche sigilli qualitativamente di valore assoluto, su questo tracciato ‘scoperto’ dalla Fratellanza e Gigliotti per la preparazione olimpica di Baldini, e il cui record di 25 minuti ufficiosi (una volta dipinto in partenza, adesso scrivono che c'è anche un 24:52 di P. Selvarolo) ormai barcolla sotto i colpi del pluricampione nazionale Alessandro Giacobazzi, oggi primo in 25:50 (rammento che ci sono 375 metri D+), con un abisso sul secondo Luca De Francesco (che però è un M 40: 27:31), vincitore l’anno scorso e che oggi si è migliorato di un minuto. Ma è bastato solo per dare 25 secondi al terzo, Nicolò Cornali, in un vero e proprio parterre de roi, coi primi 12 sotto i 31 minuti, e tra loro tanti titolati a cominciare da Fabrizio Gentile, fresco campione italiano Fidal M 50 sui 5000, e qui soltanto nono, davanti a Emilio Mori che solo tre giorni fa avevamo visto sul palco delle premiazioni a Campogalliano, ma in qualità di “datore”, non “percettore” come invece oggi.

Tanta roba, direbbe lo speaker Brighenti come al solito impeccabile persino nel distinguere i due Marri Fabio al traguardo in una manciata di metri. Tanta roba anche fra le donne, dove a fare notizia è il mancato successo di Isabella Morlini dopo le vittorie di sabato e domenica: ma anche gli dei dell’Iliade si stancavano di vincere, e questa sera il parterre des reines, ovvero i cosiddetti tre gradini del podio, mette in cima tre “Fratelle”, tra cui Martina Cornia (22 anni, già nazionale under 20 e pure schiacciatrice di pallavolo) con un grandioso 32:14 dà 25” alla compagna di squadra Francesca Badiali e un minuto alla terza Fratella Aurora Imperiale. Un arrivo davvero in sorellanza, come piacerebbe scrivere a quelle dello schwa. E mamma Isabella è subito dietro, quarta assoluta e straprima di categoria, davanti alle storiche rivali Rosa Alfieri e Laura Ricci che, quando c’è la Morlini, sanno che si lotta per le piazze d’onore.

Poi ci siamo noi: come diceva Brighenti quando correva con me le Tre Sere di Carpi ai 4:30 a km, non siamo gli ultimi dei primi o i primi degli ultimi: siamo quelli che ci sono sempre. E il sottoscritto ha visto andar via dopo 500 metri Giorgio Gaetani (pensare che correvo con suo padre negli anni Settanta), altro “fratello” da 42:38; e Maurito Malavasi, figlio d’arte pure lui (43:15). Irraggiungibili anche quattro signore di lusso, Carmen Pigoni, Rossana Montorsi (che un tempo, dopo le gare serali, andava a scatenarsi al Picchio Rosso fino all’alba), Barbara Giovanelli, Mara Fornasari specialista del Fassa Running, tutte finisher sui 45 minuti.

Scatenato anche Paolino Malavasi (incoo t’em ciap, in salida an vagh ménga: busièrd d’un busèder), che al primo tornantino del km 4 saluta il sottoscritto e la Simona Malavasi e va a finire in 49:12. Puntuale al km 5 esatto arriva il sorpasso di Angelo Giaroli, cui resisterò sì e no 500 metri e poi (per usare una pietosa bugia) “lo lascerò andare”; sebbene a tifare per me fosse anche il cugino Paolo, oggi in veste di giudice quasi-imparziale.

Cosicché la diretta di Brighenti sotto la chiesa di Ospitaletto non ha potuto che sancire l’ordine d’arrivo, nel raggio di una cinquantina di metri, Marri Fabio-Giaroli Angelo-Marri Fabio, con avvertenza che “l’originale” (come dicono a Campogalliano) era l’ultimo dei tre, accompagnato negli ultimi 400 metri dai tre meravigliosi nipotini, una “Coppa del nonno” che non cambierei con nessuna vittoria al mondo. E cmq il chip testimonia che ci ho messo lo stesso tempo di un anno fa, sebbene il cronometro luminoso avesse illuso su una prestazione ancora migliore.

E non sono riuscito a vietare a Roberto Mandelli di mettere in copertina l’arrivo e il postarrivo a quattro, immortalato nell’immediato da Italo Spina (in dolce attesa della moglie Cecilia, sempre presente e mai ultima).

Un po’ di sconcerto solo dopo, quando si è capito che il ristorante Spino dove si svolgevano le premiazioni ci aveva tirato un bidone, e chi voleva cenare ha dovuto cercare (su consiglio della tabaccaia di Ospitaletto) nella vicina San Dalmazio, dove la padrona-cuoca-cameriera che porta ancora la mascherina ma a naso scoperto, ci ha ammannito il menù unico di squisiti tortelloni burro e salvia, poi gnocco fritto dalle dimensioni di palloni da calcio, e un pignoletto fresco in caraffa che più lo mandi giù più ti tira su. Chiamiamola serendipity.

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