Direttore: Fabio Marri

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Fabio Marri

Fabio Marri

Probabilmente uno dei podisti più anziani d'Italia, avendo partecipato alle prime corse su strada nel 1972 (a ventun anni). Dal 1990 ha scoperto le maratone, ultimandone circa 280; dal 1999 le ultramaratone e i trail; dal 2006 gli Ultratrail. Pur col massimo rispetto per (quasi) tutte le maratone e ultra del Bel Paese, e pur tenendo conto dell'inclinazione italica per New York (dove è stato cinque volte), continua a pensare che il meglio delle maratone al mondo stia tra Svizzera (Davos e Interlaken; Biel/Bienne quanto alle 100 km) e Germania (Berlino, Amburgo). Nella vita pubblica insegna italiano all'università, nella vita privata ha moglie, due figli e tre nipoti (cifra che potrebbe ancora crescere). Ha scritto una decina di libri (generalmente noiosi) e qualche centinaio di saggi scientifici; tesserato per l'Ordine giornalisti dal 1980. Nel 1999 fondò Podisti.net con due amici podisti (presto divenuti tre); dopo un decennio da 'migrante' è tornato a vedere come i suoi tre amici, rimasti imperterriti sulla tolda, hanno saputo ingrandire una creatura che è più loro, quanto a meriti, che sua. 

4 febbraio – La dicitura “1°” non inganni, perché qui a Pomponesco (sulla riva sinistra, lombarda, del Po esattamente di fronte a Boretto) si corre da vari anni, sempre col patrocinio dell’Atletica Viadana: si conserva memoria di una “Corsa di Pomponesco” su strada del marzo 2018, poi di un “Cross in Garzaia” (la riserva naturale nel greto del Grande Fiume) nel febbraio 2020, che per poche settimane schivò il Covid ma non la piena del Po che costrinse a percorsi ridotti; poi un “Garzaia Cross” nel 2022-2023, e infine questo di oggi, probabilmente n° 1 perché per la prima volta con un percorso competitivo dichiarato di 10 km (ma in realtà di 11,5), valevole come seconda prova del Criterium provinciale mantovano Fidal.

A questo si sono aggiunti tre percorsi non competitivi Fiasp, di 5, 11 (uguale all’agonistico) e 14 km dichiarati (in realtà 15,4: l’aveva anticipato Dervis Montanari!), di cui forse una dozzina sterrati, su stradelli e sulla sabbia del Po, in un paesaggio reso ancor più suggestivo da una nebbia come noi che stiamo 50 km più a sud non ricordiamo da almeno un ventennio. Nebbia pascoliana e felliniana, che impronta anche i versi dialettali di un eroe di queste parti, Cesare Zavattini, non a caso intitolati La basa:

O vést an funeral acsé puvrét - c’an ghéra gnanc’al mort - dentr’in dla casa. 
La gent adré i sigava. - A sigava anca mé - senza savé al parché - in mes a la fümana. (Ho visto un funerale così poveretto che non c’era neanche il morto dentro la cassa.

La gente dietro piangeva, piangevo anch’io senza sapere il perché in mezzo alla fumana).

Navigando con prudenza, si arriva di misura per la partenza, lasciata libera tra le 8.30 e le 9 per i non competitivi, e unica alle 9 per gli agonisti. Fila, sebbene non lunghissima, per noi imprevidenti che non ci siamo pre-iscritti; disponibilità di spogliatoi e docce a circa 200 metri dalla partenza, collocata nella bellissima piazza centrale di Pomponesco (quanti gioielli sono nascosti in questa Bassa, operosa e prospera ma col gusto del pubblico decoro).

Come in tante gare di qua e di là del Po in questa zona (Guastalla e Tagliata, Gualtieri, Scorzarolo, Cesole, Luzzara…), appena si esce dal centro si va subito sull’argine, se ne percorre un po’ sull’asfalto (i resti delle antiche strade statali su cui don Camillo e Peppone si rincorrevano in bicicletta), si saluta la Teida sorprendentemente venuta fin qui, per discendere presto nella golena, inizialmente lungo strade bianche, poi per caradoni e sentieri, talvolta affondando nella sabbia, mentre il sole stenta a perforare la nebbia e i pioppi dei saldini proiettano flebili ombre.

Il corso del fiume si renderà visibile solo dopo il km 11, cioè dopo che i competitivi (e gli aggregati al giro degli 11, come Paolo Giaroli che però dichiara di averne fatti 3 di più causa mancanza di frecce segnaletiche) svoltano a sinistra scendendo in paese.

Sono in tutto 91 uomini e 22 donne ad essere classificate: e se tra le donne non potevano esserci dubbi sulla vittoria di Isabella Morlini, con 49:41 vale a dire 2 minuti di vantaggio sulla seconda Alessia La Serra (che ha 18 anni meno di lei) e più di 3 sulla terza, Galina Teaca, tra gli uomini la gara è stata più combattuta con Alberto Marogna (quasi coetaneo della Morlini) che con 42:40 ha distanziato di 39” Marcello Mastruzzi e di 43” Luca Galvani.

Mentre dalla sottostante piazza giungono le voci della competizione, noi appassionati senza mire di classifica tiriamo dritto sull’argine per un paio di km scarsi, scendendo infine nella zona industriale e, alla chiesetta “tomba della Rosina”, indirizzandoci verso Pomponesco di cui finalmente vediamo il campanile (sono già suonate le 10, poi le 10,30, ma chissà se erano le campane di Pomponesco o quelle degli altri paesoni che punteggiano la campagna). Una scena curiosa: stanno erpicando un campo, e dietro l’erpice una decina almeno di trampolieri (saranno le garze o qualche affine?) camminano beccando quello che vien fuori dalle zolle rivoltate e spezzettate.

Suggestiva la sequenza di case dai diversi colori nel vialone, grosso modo parallelo all’argine, attraverso il quale torniamo nella piazza della partenza-arrivo. Stranamente il ristoro e il sacchetto-premio non sono di fianco all’arco del traguardo, e per trovarli mi serve l’indicazione di Paolo Giaroli che decanta la bontà del gnocco luadèl in omaggio (mentre, ahinoi, non c’è niente di caldo, e il ristoro rimasto consiste in acqua e patatine-pai).

Però il forno a fianco è preso d’assalto, e quanto al pranzo domenicale per recuperare le 1560 calorie bruciate in corsa, stante il tutto esaurito nella centralissima trattoria “d’ol sindic” e in quella nel greto di Viadana (cittadina dove però vale la pena di entrare nella monumentale chiesa ricca di pitture cinquecentesche), i cugini Giaroli sono concordi nell’indicarmi “La Locanda del peccato”, con annesso ristorante gestito da 60 anni dal cavalier Arneo, nella vicina Villastrada (esattamente di fronte a Luzzara). Rane, lumache, zucche nei più vari allestimenti, e per finire torta sbrisolona e zuppa inglese: peccato dover rinunciare a tanti altri “peccati”, ma si potrà rimediare un’altra volta.

Giovedì, 01 Febbraio 2024 12:41

La Corrida resta sempre la più amata

31 gennaio – Nel giorno in cui Modena diventa la capitale italiana del podismo (perché si corre solo qui, dove è festa, e perfino Gian Carlo Chittolini risale da Tirrenia per respirare l’aria buona della storia atletica nostrana) in 605 sono venuti per correre la gara competitiva, targata con la cifra tonda 50 anche se bisognerebbe farci la tara, come già spiegavo – da veterano che ne ha corse 40 – l’anno scorso:

https://podisti.net/index.php/cronache/item/9736-una-corrida-di-nuovo-italiana-grazie-a-aouani-e-palmero.html.
Certo, dalla prima edizione del 1973 al 2024 sono passati 51 anni, dunque 52 edizioni teoriche: ma nel 2021 non si è fatta per Covid, nel 2022 si è fatta ad aprile su un percorso ridotto a 8 km e per 86 partecipanti; e se andiamo più indietro, nel 1993 e 1994 la Corrida era proprio morta, tant’è vero che al suo posto si fece una “Camminata di S. Geminiano” non competitiva. Dunque facendo le sottrazioni arriveremmo a 48; sebbene, per noi modenesi la corsa del 31 gennaio è sempre la Corrida, e le mie sunnominate 40 partecipazioni comprendono anche (per esempio) i famigerati 1993 e 1994 (una delle volte per cui grido, nonostante tutto, viva Roncarati!); più altre 5 in cui avevo il pettorale non competitivo. Dunque, facciamo pur finta di credere che questa fosse la Corrida n. 50, e anche la n.1 d.B.M. (dopo-Brighenti-Marescalchi, la coppia storica di speaker sulla cui assenza ci si interrogava). E facciamo anche finta di credere che i non competitivi fossero 4500 come recita il comunicato ufficiale della società organizzatrice (che peraltro quantifica in oltre 6000 la presenza annuale dei non competitivi suddetti).

https://www.lafratellanza.it/la-corrida-rimane-italiana-con-ursano-e-del-buono/

A occhio, non mi sembravano né 6000 né 4500: certo, c’erano 500 cadetti o giù di lì (paganti?); ma devo dire che a mia memoria non siamo mai andati così forte nel 1° km, quando si corre tra le bancarelle, e negli altri anni ci si fermava o procedeva di passo. Ma se davvero ci fossero stati tanti non comp, malgrado il prezzo esoso di 7 euro (+2 sull’anno scorso), cui si aggiungono i 20 € dei competitivi (+5 sul 2023, e con ulteriore aggiunta del sovrapprezzo-Endu), vorrebbe dire che la Fratellanza ha fatto dei calcoli giusti, allo stesso modo delle società che mettono in vendita le loro azioni al massimo prezzo compatibile con l’assorbimento del mercato. Il numero dei classificati è cresciuto di una settantina di unità, questo è un fatto non contestabile:  aggiungo che comunque tutti, comp e non comp, hanno ricevuto buoni spesa per 10 euro, la maglietta celebrativa, le piade e la rituale bottiglia di aceto balsamico (sebbene Giangi abbia da eccepire sulla sua qualità), e i comp uno zampone in più.

Facendo dunque tutte le tare possibili sui grandi numeri, i fatti dicono che, in una corsa non propriamente classificabile come parterre de rois, i vincitori sono stati Luca Ursano e Federica Del Buono (29enne figlia di un eccellente mezzofondista degli anni Sessanta e allenata da Massimo Magnani), secondo i dettagli raccontati nel comunicato stampa ufficiale (da cui attingo).

E’ Luca Ursano, portacolori dell’Atletica Vomano, a raccogliere l’eredità di Iliass Aouani conquistando la ventiduesima vittoria italiana alla Corrida di San Geminiano. L’atleta che per qualche anno ha vissuto e si è allenato a Modena ha vinto per distacco una gara che nei primi due chilometri ha visto Moslim Labouiti, sesto alla fine, fare l’andatura staccando gli avversari. Lo stesso Ursano è stato il primo a riportarsi sul battistrada seguito poi dal campione italiano in carica di maratona Francesco Agostini e dal burundese Jean Marie Vianney Niyomukiza. Per tutta la fase centrale della gara è sempre stato Ursano a fare il ritmo per poi stroncare le resistenze prima di Agostini e poi di Niyomukiza. L’atleta classe 1999 si è presentato solitario sul traguardo all’interno del Parco Novi Sad fermando il cronometro sull’ottimo tempo di 39’12”, con 24 secondi di vantaggio sul burundese dell’Unicusano Livorno e 50 su Agostini. Ai piedi del podio il primo modenese, Alessandro Giacobazzi, che non riesce così a confermarsi sul podio come un anno fa. Ottimo decimo posto anche per l’altro portacolori della Fratellanza Alessandro Pasquinucci che ha chiuso le sue fatiche in 41’39”.

Federica Del Buono, invece, è la nuova regina della Corrida di San Geminiano al femminile che raccoglie lo scettro da Elisa Palmero. La rappresentante dei Carabinieri Bologna si conferma in un ottimo stato di forma chiudendo con il tempo di 44’26” e infliggendo quasi due minuti di distacco alla prima inseguitrice, la keniana Emily Chepkemoi Cheroben che aveva preso le redini della gara nei primissimi chilometri. Partenza un pelo più conservativa, invece, quella della Del Buono che ha poi presto accelerato e fatto il vuoto alle sue spalle. Terzo gradino del podio, poi, per Sara Galimberti, mentre al quarto posto si è classificata la russa Mariya Reznichenko.

Bel pomeriggio soleggiato, come quasi sempre succede per San Geminiano (chissà se ha il suo effetto la benedizione con indulgenza plenaria impartita a mezzogiorno dal Vescovo, con la mediazione televisiva di don Alberto Zironi e di suor Federica Galli, che ha rilanciato l'omelia secondo cui, essendo Modena “la Venezia della via Emilia”, deve usare le sue pietre per costruire ponti e non muri). I podisti più competitivi scelgono addirittura la canottiera, quelli mezzani la maglietta a maniche corte (molti quella celebrativa). Stando alle foto e alla personale visione, non sono molti quelli che, per star leggeri, rinunciano anche a… indossare il pettorale: ma qualcuno c’è, almeno un paio di appartenenti a una rinomata società e noti per correre preferibilmente in compagnia di donne, e siccome stavolta non ne hanno trovate forse si vendicano rinunciando anche al pettorale. Boccaccia mia statte zitta: già c’è uno che, beccato pubblicamente senza pettorale in una Corrida del 2015, da allora non mi saluta più, lui e i suoi ascendenti (è presente pure stavolta, chissà se pagante o no); un altro ha ripreso a salutarmi, ma anche oggi persiste nel correre senza contrassegni e agguanterà la donna (lei, con pettorale) solo nel dopogara.

Si parte, come premesso, senza il rituale grido brighentiano “ed è Corrida!”; Angelo Giaroli mi segnala “il mio amico”, in fascia tricolore, sul podio, e gli rammento quell’anno pre-elettorale in cui c’erano tutti gli aspiranti onorevoli, compresa la transfuga catapultata Beatrice Lorenzin. Il primo curvone è insolitamente privo della consueta sosta da traffico (addirittura il primo km sarà tra i miei migliori, a 5:25); un po’ più stretto Canalchiaro, e mi chiedo: ma perché non mettono le bancarelle sul lato destro, acciottolato secondo la vigente propensione al falso archeologico, lasciando a noi podisti la parte lastricata della strada?

Ma arriva presto via Luosi, l’incrocio con via Barozzi dove Gianni Ferraguti (una istituzione) segnala la possibile svolta a destra per la mini-Corrida. Quasi tutti tiriamo dritto, e mi piace ricordare una giovane mamma che farà tutto il giro, più o meno alla mia andatura, spingendo la carrozzina col suo bimbetto cui insegna a leggere i cartelli chilometrici (come al solito, l’ultimo km è molto più lungo…).

Due ristori, di sola acqua; il massimo del tifo è concentrato sullo storico cavalcavia autostradale di Cognento da fare due volte, dove come sempre c’è Fabio Marranci da Firenze, e più avanti, occasionalmente, l’elegante dietologa Chiara Mezzetti, quest’anno appiedata da problemini e a riposo prudenziale in vista della sperata laurea a campionessa regionale di cross tra dieci giorni. Il ponte, negli anni antichi era teatro di qualche inversione di marcia da parte di chi voleva accorciarsi il percorso di un km abbondante (ricordo le rampogne comuni con Brighenti, a suo tempo valido corridore); ma da qualche anno c’è un controllo chip al km 7,5 e allora non si sgarra più, e comunque il saluto tra chi risale e chi scende in senso opposto è uno dei momenti più belli della Corrida (ciao, Paolo Giaroli; e chissà se c’è ancora Gianluigi Fiori che col suo bandierone rallegrava le corride dei Settanta/Ottanta, e finì perfino sulla copertina del calendario podistico).

Filano via in fretta le gemelle ‘apuane’ Lucaci (dietro c’è anche una terza sorella), poco dopo la veterana siculo-reggio-parmense Rosa Alfieri (che arriverà seconda nella sua categoria, poco dietro la bolognese Francesca Battacchi); poi un nugolo di ragazze della Fratellanza dietro cui si affretta l’elegantissima Elisa Ragazzi, il cui coniuge Fabrizio Gentile sta volando verso il secondo posto M45. Il maratoneta mirandolese Manuel Guerzoni, di conserva col compagno di squadra Antonio Botte, è ampiamente sotto la prospettiva fatidica dell’ora (quella che distingue i fortissimi dagli altri); per 11 secondi ci starà dentro pure l’altro compagno Paolo Pedrielli, reduce da New York.

Irrimediabilmente fuori da quella linea siamo noi che ci sorpassiamo scambiando qualche impressione volante: puntuale il sorpasso partito al km 3 da Maurito Malavasi ed Emilia Neviani, al 5 da Angelo Giaroli, al 7 da Vanni Casarini (“caro Marri…!” è il suo saluto usuale nel ricordo di uno sprint sul lago di Garda), al 10 da Paolino Malavasi, all’ultimo km da due ragazze del Torrile, Maddalena e Marzia: competitivi o no, siamo tutti nella stessa barca. Mentre incalzano i plotoni dei cadetti coi loro canti bellicosi che promettono di morire per la patria sui campi di battaglia.

E dopo il periglioso sottopasso delle Costellazioni e il rientro in città col fiato in gola (Caco Borsari, perché non ti vedo più nel tuo punto prediletto sotto il semaforo?), alla spicciolata arriviamo noi dalla lunga fedeltà alla Corrida: in 1h10 Maurizio Pivetti, 1.11 Guido Menozzi già eroe di Tromso, 1.13 Angelo Giaroli, 1.16 il superfedelissimo Elvino Gennari tante volte protagonista al Passatore (un altro po’, e quasi mi prendeva), 1.40 Ideo Fantini, fino al sempre presente Giuseppe Cuoghi che chiude gli arrivi, di fianco alla pista da hockey che lo vide protagonista negli anni Settanta, in 2.01:40.

Solo acqua e una mela al ristoro finale (Giangi sogghigna via whatsapp), compensano varie società con dispiego di bevande e dolciumi davanti alle rispettive tende (la sopraggiunta dott. Mezzetti vigila che la sangria sia analcoolica, e mi fulmina vedendomi addentare un cioccolatino). Lunga la fila e poco organizzata (come l’anno scorso) la distribuzione del premio ai non competitivi, malgrado l’abnegazione degli addetti (tra cui la campionessa e organizzatrice Monica Barchetti).

Premiazioni non più all’interno del Palasport, ma sul posto, più sobrie e non infestate dai compunti saluti dei poltronari del comitato d’onore. Ci si attarda lì fuori, nei festeggiamenti e nei complimenti, finché il sole tramonta, per la cinquantesima volta (o giù di lì) sulla corsa - nonostante tutto - più amata dai modenesi.

21 gennaio – Cinquantadue edizioni, le prime in altra collocazione, ma poi stabilmente qui, a una dozzina di km da Bologna, dove le due ferrovie “direttissime” (quella del 1931 e l’AV) si biforcano per valicare l’Appennino. Come nella tradizione, freddo barbino (-4 alla partenza) ma il sole: 4 percorsi, con leggera riduzione del chilometraggio complessivo causa una frana che ha interrotto il giro tradizionale della seconda parte, dopo il ponte di Pianoro Vecchio; i due tracciati più lunghi erano dati di 16 e 20 km, il mio Gps alla fine segna 19,100 per il maggiore, con 578 metri di dislivello complessivo.

Gara non competitiva come sempre, prezzo d’iscrizione che più basso non si può (2,50) soprattutto se commisurato ai 4 ristori intermedi (con tanto di torte casalinghe) e al ristoro finale, che a me (alla 13^ partecipazione, malgrado i 60 km da fare per arrivare là) è parso più ricco e gustoso che mai.

Ma non credo che le migliaia di podisti e camminatori venuti qui perfino da Desio (ancora a 10 minuti dalla partenza, la fila al tavolo delle iscrizioni superava la cinquantina di metri) puntassero soprattutto ai ristori, e al premio finale (6 “peschine”, come quelle che nella mia infanzia le suore dell’asilo vendevano per 30 lire la domenica davanti alla chiesa): è il fascino dei panorami, quelli vicini di calanchi e vigneti, quelli più all’orizzonte come il Monte Cimone e le Prealpi veronesi, che si godono dalle prime due alture, ai km 5 e 13 (come detto, ci è mancata la terza salita, col discesone ora ghiacciato ora infangato da fare per ridiscendere al piano); ed è anche la non eccessiva difficoltà del tracciato, non a caso affrontato (almeno il  “medio” dei 10 km) anche da giovanissimi, per i tre quarti asfaltato e per il resto su comode carraie, con un po’ di fango da scioglimento ghiacci solo intorno al km 15.

Meno belli il km di strada statale e la zona industriale degli ultimi km, sebbene coronata da un ristoro-super, comprendente, oltre alle torte, anche la cioccolata calda: poi, il grande parco abitato da anatidi vari, e l’abbuffata finale col clou delle cotiche nel brodo di fagioli, ma pure dei maccheroni col ragù alla bolognese, del vin brulé e altre leccornie che si trovano solo alla “Galaverna” e sono l’ideale per scacciare il freddo (“sai quanta gente ha fatto il bis e il tris?”, mi diceva la erogatrice di mestoloni).

Disponibile, per ripararsi, anche una sala-teatro, dove, oltre ai servizi igienici, era allestito perfino un deposito borse (cosa inaudita in una non competitiva). Usciti alfine allo scoperto per il via, qualcuno si è spazientito perché la sindaca la tirava in lungo con la sua concione, oltre tutto inascoltabile causa la povertà dell’altoparlante, mentre noi zampettavamo cercando le rade lame di luce nella strada gelata: finalmente alle 9.08 ci hanno lasciati partire, e solo dopo un paio di km, quando la strada finalmente saliva, la temperatura corporea è divenuta accettabile e abbiamo potuto godere la festa, sia chi più o meno correva (qualcuno aveva pianificato questa corsa come tappa di avvicinamento alla maratona di Bologna), sia chi camminava, magari tenendosi delicatamente per mano tra partner, anche stagionati, o raccontandosi tra amiche le ultime vicende del marito di quella o del proprio figlioletto sciatore impaurito o dei genitori morti di Covid uno a un mese dall'altro.

La “Galaverna” è questa: sport, solidarietà (un contributo era promesso al settore oncologia dell’ospedale S. Orsola), affetti, chiacchiere… e alla fine, pieno soddisfacimento del palato.

Forte dei Marmi, 7 gennaio – Si è chiusa anche la terza edizione della Forte Sea Front, una delle più giovani tra le numerose gare, allestite o coordinate dal Club Supermarathon Italia, che prevedono maratone in serie di 3, 4, fino a 10 giorni consecutivi, su circuiti di qualche sviluppo chilometrico (non quelli asfittici prediletti per le competizioni a tempo dalle 6 ore in su); con l’aggiunta di gare più corte, mezza maratona o anche pochi chilometri, così da invogliare pure i famigliari dei maratoneti e indossare le scarpette e, magari, solo camminare così da illudersi di smaltire i succulenti pranzi imbanditi ogni sera.

Naturalmente, là davanti, gli atleti semi-professionisti o gli amatori evoluti fanno la loro gara, e nella parte bassa del proprio palmarès (quella assente dalle classifiche Fidal o World Athletics) potranno annoverare anche questi successi. Gli altri aggiungeranno qualche tacca al calcio del loro fucile maratonico, da rendere più spazioso ad ogni nuovo record conseguito: se nei primi tempi per iscriversi al Club occorrevano cento maratone ultimate (poi abbassate a cinquanta), ormai il traguardo delle mille è stato raggiunto da vari, complice il proliferare di queste 42 in serie, con tempi massimi che non negano a nessuno di apparire in classifica.

Doverosamente diciamo del risultato complessivo, cioè dei vincitori assoluti della 4 giorni, peraltro già intuibili dai risultati del primo giorno, che, coi successivi, è apparso tempestivamente su queste colonne, corredato da tutte le classifiche divulgate da Timing Run. Ha vinto con largo margine Gianluca Coniglio, un M 50 vincitore delle prime tre tappe e secondo solo al “giornaliero” M 35 Lotti l’ultimo giorno (aggiunto da Roberto Mandelli al collage della foto 1). Il suo tempo è 12h14:06, con la miglior prestazione nella prima tappa, 2h57:43. Alla piazza d’onore è Alessio Grillini, M45, a 18 minuti; terzo l’affezionato Giorgio Calcaterra a 52 minuti, mentre il quarto, Giorgio Grassi, sconta quasi un’ora dal vincitore. 38 i classificati.

Tra le 14 donne sempre presenti, scontata vittoria della romana Sara Pastore, vincitrice con 14h51:20 (miglior tempo 3h35:09 il primo giorno; l’unica di tutte le contendenti a stare ogni giorno sotto le 4 ore), che ha rifilato ben due ore alla seconda, la F 55 Morena Cerchiari, e quasi tre alla terza, la francese Marie-Noelle Lamer. Peccato che l’unica ragazza che sembrava tecnicamente in grado di contendere il successo a Sara (pure lei F 35… e vegana), Francesca Scola, avesse partecipato alla sola terza tappa, giungendo a cinque minuti dalla vincitrice.

Ma è pittoresco scorrere la lista fino in fondo; sebbene quest’anno la partecipazione abbia dovuto subire la concorrenza del “recupero” della maratona di Crevalcore, prevista per il 16 aprile 2023 e rinviata al giorno della Befana, in quella che è stata dichiarata (non per la prima volta…) l’ultima edizione: molti supermaratoneti, già iscritti per l’aprile scorso, o semplicemente desiderosi di non perdere the last dance, sono andati a Crevalcore, imprimendo il segno più, coi 192 arrivi (più 344 della maratonina) sulla sconfortante cifra di 103 + 200 della precedente edizione 2022.

A Forte dei Marmi, se la cifra di quanti hanno completato tutte le quattro maratone si attesta sui 52, la partecipazione di ogni giornata ha oscillato tra i 73 e i 76 per la corsa più lunga, più una ventina di iscritti alle due competizioni minori: il tracciato misurava approssimativamente km 8,600 dei quali due a fronte mare, tra le cabine e la battigia, e il resto sulla grande pista ciclopedonale lungo viale della Repubblica nell’immediato entroterra, con passaggio avanti e indietro (dribblando due ‘panettoni’) davanti alla storica “Capannina” che dal 1929 ha visto le esibizioni dei cantanti più famosi, da Ray Charles a Gino Paoli, Ornella Vanoni, Edoardo Vianello ecc. Controllo chip ad ogni passaggio dalla partenza-arrivo, e spunta manuale dei nomi all’estremo opposto: in entrambi i luoghi, ristori molto forniti di bevande (birra inclusa), frutta, formaggi e altri generi mangerecci.

La mia esperienza si limita al giorno della Befana, con un’anteprima alla vigilia del 5, culturalmente santificata con la visita alla grandiosa grotta del Corchia di Levigliani (25 km a monte, verso le Apuane, foto 9-10), e chiusa dall’immersione nella cena ‘befanesca’ al ristorante dell’hotel che ospitava la più parte degli iscritti. Era assente, la sera, il presidente Paolo Gino, per ragioni di autentico lavoro trovandosi a Roma per definire, coi pubblici amministratori, il tracciato della maratona prevista il 28 gennaio in occasione dell’assemblea annuale del Club; e la gestione materiale è toccata a Sergio Tempera alias Arrotino (foto 3,4,14), che dal primitivo ingaggio quale fotografo si sta trasformando in maestro di cerimonie, lasciando solo la parte economica a Massimo Faleo (a sinistra nella foto 12). Mi sono trovato seduto nella stessa tavolata di Giorgio Calcaterra e Sara Pastore (foto 11 e 13), che mentre i piatti dei commensali si riempivano di maccheroni col sugo di pesce, poi di tagliata di manzo e filetto di branzino, annaffiata da gradevoli rosso e nero, consumavano piatti vegani e poco dopo le 21 salutavano la compagnia: questo si chiama essere atleti&asceti. Meno problemi si faceva il resto della compagnia, trascinata alla fine dall’Arrotino (omaggiato di una torta per il suo non-compleanno) in un vorticoso trenino di ballo tra i tavoli.

Fuori pioveva, e le previsioni per l’indomani erano per una maratona che avrebbe ripetuto in peggio il clima piovoso del 5: e invece, San Paologino e San Vitopiero regalavano una mattina del 6 con una falce di luna che forava le nubi, e partenza alle 9 tra le nubi, che però solo dopo le 13 regaleranno quella che i meteorologi definiscono “debole pioggia”. Temperino, appostato nella zona del molo, tentava di indurre i podisti a sguazzare nelle grandi pozzanghere che costellavano il tratto sterrato, in modo da produrre foto con gli spruzzi volanti, mentre a volare era il drone di Filippo Carugati (foto 15), alle prese anche con la videocamera manuale.

E noi continuavamo a incrociarci e salutarci (salvo casi di antipatie personali: su un paio di persone che si voltavano dall’altra parte ogni volta che le incrociavo, tengo per me le ipotesi di spiegazione); i saluti più affettuosi, di tutti, erano verso un corridore fuori classifica, il vecchio campione Gianfranco Toschi col quale c’è sempre qualcosa di umanamente interessante da dire. Un altro abbraccio affettuoso e generalizzato andava a Massimo Morelli, redivivo - e noi sappiamo bene da cosa -, scortato alla fine da Enzo Maria Caporaso, qui anche nelle vesti di organizzatore.

Mentre l’elegante incedere della chioma mora di Sara Pastore e delle trecce bionde di Francesca Scola (in gara, come si è detto, solo oggi) attiravano sempre sguardi ammirati. Mi capitava pure, ad ogni giro, di informare Cristina Terenziani del suo distacco dal marito Giorgio Saracini, che verso la metà pareva sul punto di colmarsi: arriveranno a poco più di un minuto, e lui vincerà la categoria M75 (per sua fortuna, mi diceva a cena, quest’anno è passato di categoria dunque non deve più temere la mia concorrenza…).

Faceva la sua gara Roberta Pruzzo, figlia del rey di Crocefieschi (sfondatore di reti con Genoa, Roma e Fiorentina), che prima della partenza (foto 4 e 5) aveva dato appuntamento a tutti nella sua casa di Camaiore, per un altro party befanesco. Più indietro, facevano le loro camminate ‘conservative’ il primatista italiano come maratone corse, Vito Piero Ancora (1609 gare concluse entro l’anno), Massimo Faleo (645; nella foto 12 a tavola con Ancora e il “trombettiere” Lorenzo Gemma) e Pandian Sivalaban, probabilmente il socio dalle origini più lontane (attualmente iscritto al corrispondente club austriaco), e che negli ultimi dieci anni è arrivato a 754 tra maratone e ultramaratone.

Riprendendo la classifica complessiva, noterò la curiosità di due signore che hanno atteso l’ultimo giorno per compiere la loro miglior prestazione: la quinta, Lucia Candiotto (4.18:08), e la nona, nonché prima F 70, Rosa Lettieri, che solo al quarto tentativo è scesa sotto le 6 ore. Tra gli uomini, impresa analoga è riuscita a Gabriele Grassi, il cui 3.10 dell’ultimo giorno gli ha fatto grandemente avvicinare Calcaterra; al sesto, Giulio Civitella (3.46); al settimo, il lituano Arunas Dubinskas (3.48) e all’ottavo, Bassit Briguech. Ma anche ai romagnoli Roberto Bolognesi e Yuri Fabbri, quest’ultimo addirittura con una progressione costante che l’ha portato dal 5.54 del primo giorno al 5.10:50 dell’ultimo (progressione che Fabbri conferma anche giro dopo giro: nella terza tappa aveva cominciato poco sotto 1h15, scendendo poi a 1.08, 1.06, 59’ e 55:18). Miglior tempo l’ultimo giorno anche per Zerbinati,  Ancora, Pandian, Ganzerli, finiti nell’ordine, mentre chiude le danze Massimo Faleo con una media di 7h20 a gara e l’invito a unirsi alla sua comitiva per l’imminente maratona di Ragusa (quella alla cui prima edizione arrivammo tenendoci per mano e il cronometrista ci distaccò di un minuto l’uno dall’altro). E una settimana dopo Ragusa, a Roma chez Calcaterra, per una inedita sede del ritrovo & maratona sociale.

31 dicembre 2023 – Correva il 31 dicembre 2010, e noi modenesi sgambettavamo a “Crevalcorre”, salvo i pochi fanatici andati a Calderara per la maratona con pranzo incorporato. (Il resto, alla fine). In questo cambio d'anno, Crevalcore promette gli ultimi botti per il giorno della Befana (“E ancora il mondo percorrerà - gli spazi di sempre - per mille secoli almeno…”,  poi come finiva l’ultimo verso?), e i modenesi si trovano per la quarta delle loro corse della mutua (detto nel senso più nobile del termine, come quattro settimane fa: https://podisti.net/index.php/cronache/item/11108-portile-inaugura-le-corse-di-quartiere-del-dicembre-modenese.html). Siamo in quella che una volta si chiamava Salséda Panèra e adesso è stata raggiunta dalla città: chiesa parrocchiale malinconicamente sbarrata, campo di calcio invaso dalle erbacce, e tiremm innanz.

Lasciamo ai giooovani stooorici di Paolo Mieli decidere se è la 43^ edizione delle camminate di quartiere (come troviamo scritto sull’elegante pettorale) o se è la 44^ come dice il calendario comunale. Atteniamoci all’iscrizione gratuita (inclusiva di pacco di pasta e buono sconto-spesa da 5 euro), al percorso collaudato da decenni, ogni Natale e Pasqua, alla chiusura al traffico garantita da uno stuolo di vigili, per distanze da 3 a 10 km; c’è perfino la nebbia che sfuma poeticamente l’infinita serie di capannoni industriali, non ci lascia vedere se in quella certa casa è ancora affissa la bandiera di Cuba, ma non induce in alcun modo a deflettere dalla canottiera nera il podista cui per scaldarsi basta la vicinanza femminile in gara, prima che la moglie alla tenda gli rimetta il guinzaglio. Né può mancare Italo che, dopo un po’ di desnòmm, ci regala alcuni dei suoi scatti ora confluiti nel collage di Mandelli.

L’occasione è buona per bilanci (a volte di un’annata, a volte di una vita) e preventivi, come quello di Nube Montecchi che invoglia alla maratona di Carrara dalle medaglie marmoree, o quello di Mastrolia con cui ci chiediamo quale delle podiste oggi in gara rimpiangerà l’imminente chiusura del Lovecraft in piazza stazione. Mohamed Moro, di cui porto all’esordio le scarpe appena acquistate, e che qui fa da chaperon a un numeroso gruppo di entusiaste atlete del suo clan (una delle quali ha esordito in maratona a Reggio con 3h30), annuncia che dalla Befana il suo negozio farà una liquidazione, e mi garantisce scarpe da trail a 80 euro.

I chilometri si snodano veloci (o lenti: non cambia niente, se è l’occasione per un saluto affettuoso a Vittorio da Campo Imperatore o a mamma Emilia da Sassuolo), ed ecco profilarsi lo Stradello Romano più o meno sorvegliato da Felice Romano (battutaccia: non facciamogli il saluto romano); sul rettilineo finale mi affianca Claudio Iotti, atleta e giudice reggiano che mi ha appena “giudicato” al castello di Casalgrande. Poi traguardo, tè caldo e spicchi di panettone (già largamente usufruiti da quel tal podista bolognese che parte all’alba in modo da non trovarsi sprovveduto di ristori e di fotografie), pasta e buono sconto, spumante e dolci supplementari alle tende più cameratesche. Dicembre, andiamo, è tempo di migrare. E come dicevamo all'inizio...
Correva il 31 dicembre 2010, e il sottoscritto, tornato a casa da “Crevalcorre”, a mezzogiorno fu raggiunto da una telefonata da Bologna: “è nato Paolino”. Fatta la doccia, corsi all’ospedale S. Orsola a vedere questo frugoletto dalla pelle paonazza. Adesso parto per Bologna a festeggiare il 13° compleanno: Paolo è un ragazzone che fa la terza media con tutti 10, gioca in porta con la fama di para-rigori, e in molti dicono che è il ritratto del nonno.

Buon anno a tutti voi, ma se permettete, doppio buon anno al mio Paolo.

26 dicembre – Cinquantacinque edizioni le contano pochi, in Italia: qui a S. Agata (detta “Bolognese” per distinguerla da quella sul Santerno, che sta in provincia di Ravenna e “tiene botta” come può dopo la recente alluvione), considerando le due edizioni saltate per Covid, si dovrebbe scendere per gli inizi al 1967, mentre la Polisportiva Victoria organizzatrice quest’anno ne ha compiuti sessanta.

È una gara “di confine”, tra Modena e Bologna, e negli anni ha dovuto subire concorrenze dall’uno e dall’altro capoluogo: da Bologna, per una centralissima supercompetitiva, e da Modena per le periferiche camminate di quartiere: ma se a Bologna di quella gara si ricordano solo i più anziani, a Modena nel 2023 hanno pensato saggiamente di non fare concorrenza, spostando la loro quartieriade al 31 dicembre, data in cui viceversa sono sparite sia la camminata di Crevalcore sia la maratona di Calderara (sostituita da una 7 km). Dunque oggi tutti a S. Agata, con un clima fresco ma non gelido e un sole che consentiva di mettersi in topless nel dopocorsa per cambiarsi d’abito.

Come succede da un trentennio, alla tradizionale corsa competitiva su circuito di quasi 2,7 da ripetere tre volte, si è aggiunta la serie di non competitive con lunghezza massima di 10 km, il cui valore aggiunto era rappresentato dal ritorno in grande stile dell’eroe locale Alessio Guidi, che oltre a far correre i suoi Capponi e le Galline in fuga, ha ripristinato per tutti il leggendario ristoro con spumante, che fino all’anno scorso avevamo rimpianto (vedi https://podisti.net/index.php/cronache/item/9622-ritorna-in-allegria-il-santo-stefano-santagatese-le-classifiche-possono-attendere.html). Davvero, è un bel Natale, senza Maiale.

L’impressione è stata che il più dei camminatori o non comp sia giunto da Modena, a giudicare dai tendoni soliti di Cittanova e Guglia, e quello più nuovo ma pieno di gente e di entusiasmo di Run & Fun.

A disposizione, vicino all’area tende, la palestra intitolata a “Gino Bartali – Giusto tra le Nazioni”, come se ci fosse bisogno di specificare chi era Bartali, o – addirittura – dare a intendere che la palestra gliel’hanno dedicata perché “Giusto”, altrimenti i Giri e i Tour vinti non sarebbero titolo sufficiente. Anzi, un commentatore maligno direbbe che un mezzo prete come Bartali, che offriva le maglie gialle alla Madonna, non avrebbe meritato palestre tra le Terre Rosse, specialmente perché il suo Tour vinto nel 1948 fece annullare la Rivoluzione Proletaria indetta dopo il “famoso pasticcio di luglio”, come diceva don Camillo esattamente 75 anni fa (Giovannino Guareschi La cellula di mezzanotte, 26 dicembre 1948, poi in Tutto don Camillo, 1998, pp. 315-320). Per fortuna, il Ginettaccio si è salvato in corner salvando le vite degli ebrei (e, aggiungo personalmente, salvando anche la vita di Giletta da Rovereto Secchia, col portargli in bici la medicina miracolosa), e allora, tutto finisce in gloria anche a S. Agata, e magari Elettra Lamborghini gli avrà pure concesso un reel.

Quanto alle glorie competitive, chi girava ai 5:15 /km e 180 di battito dopo 5 km (cioè quasi alla fine del secondo giro) si è visto sorpassare da un gruppetto assatanato di sei o sette ragazzotti, che filavano sotto i 3’ e stavano arrivando al traguardo dopo tre giri: ha vinto Giovanni Filippi (25 anni, Fratellanza Modena) in 23:59, 8 secondi davanti a Luis Matteo Ricciardi (imolese trentenne, già vincitore a Castel Maggiore 9 giorni fa), e 13” su Riccardo Tamassia, modenese tesserato Treviso. Il primo over 45, Fabio Perazzini da Castel S. Pietro, è 22° assoluto in 27:33; tra i 19 over 65 ha prevalso Ugo Moroni, sempre del Castel S. Pietro, in 30:26.

Prima donna assoluta in 27:59 la ventenne reggiana Elena Fontanesi (Self Montanari Gruzza), 9” davanti alla 32enne Alice Sotero (Brancaleone Asti), e 15” sulla 35enne Barbara Bressi compagna di squadra della vincitrice. C’è stata gloria anche per la reggiana Rosa Alfieri, vincitrice con 31:06 della categoria F 45-60, e la sua damigella sul podio Chiara Mezzetti, la dottoressa dietologa modenese che ha limato 14 chili ad Alessio Guidi.

Si nota un certo calo nel numero di classificati, 212 (più che dimezzati rispetto al 2017), con l’aggiunta di 80 ragazzi delle categorie giovanili, a cominciare dai nati nel 2016-2018 per finire ai più che adolescenti nati nel 2006. Qui le classifiche: https://podisti.net/index.php/classifiche/23985-55-podistica-di-s-stefano-gare-giovanili-sant-agata-bo.html?date=2023-12-26-00-00

Successo di squadra, tra i competitivi, per i Modena Runners, che con 14 hanno sopravanzato di uno i Cagnon di Pieve di Cento e il Pontelungo di Bologna, di 2 la Fratellanza Modena.

Per chi non ha vinto (danneggiato anche dalle categorie molto accorpate secondo la prassi locale: un mucchio solo per under 40, poi da 45 a 60, infine over 65; e premiazioni molto a rilento col risultato di qualche posto vuoto sui podii), gli adulti in gara nella competitiva per 10 euro hanno avuto il 40° scaldacollo personale (però griffato per l’occasione) e la 50^ bottiglietta di aceto balsamico, più un gel energetico; tradizionale la confezione di detersivo per i non competitivi da 2,50 euro. Per tutti, un buon ristoro dove i bomboloni andavano a ruba, e restava tanto gnocco, grissini, spicchi d’arancia, acqua e tè; a cui aggiungere, sui tavolini di varie società (cominciando da quelle di Alessio e da Peppino Valentini), panettoni, spumanti e bevande varie.

Adesso, cinque giorni di astinenza dagli asfalti, finché sarà un S. Silvestro moderatamente corsaiolo (qui, ma i super andranno a Bolzano o almeno... a Calderara) a instradarci adeguatamente per il cenone e i botti.

24 dicembre - È un’antica consuetudine modenese (e, sicuramente, di altri cento posti d’Italia) ritrovarsi alla vigilia di Natale per una camminata/corsa autogestita, preferibilmente sui colli, fuori dall’orgasmo mercantile delle città. Scomparsi, ormai da tempo, i ritrovi allestiti dal compianto Gianni Vaccari, da qualche anno (Covid permettendo) il testimone è stato raccolto da Stefano Cappelli, col generoso apporto di tanti amici e di varie società della provincia, per un appuntamento dove il comprensorio ceramico cede il posto alle prime dolci colline che salgono verso il Frignano: in comune di Fiorano, per l’esattezza alla chiesa di Spezzano quest’anno abbellita da un monumentale presepe in legno a grandezza naturale, e con lo sguardo rivolto verso le alture di Nirano e il parco naturale delle “salse”,  i vulcanetti che si innalzano a vista d’occhio anche se non fumano più, e non si può nemmeno più salire in cima buttandoci dentro fiammiferi accesi. In compenso, il parco è stato messo a posto, con strade, parcheggi, viottoli, pontili e sentieri ben curati, cartelli e centri museali; e continua ad essere meta di allenamenti individuali e di gruppo (anni annorum fa, il ristorante alla base delle salite fu anche luogo di una gara ufficiale, che se ricordo bene ebbe un epilogo drammatico).

A questo “XMastrail 2023”, per essere annoverato tra le corse canoniche del coordinamento mancava solo la quota di iscrizione, perché il resta c’era tutto, compresi i vigili urbani che disciplinavano partenza-arrivo e attraversamenti delle poche strade con traffico; in aggiunta, un certo numero di volontari sul percorso, una segnatura mediante fettucce degna dei veri trail da un euro a km, e un ristoro finale (senza lesinare su panettoni e  spumanti) tanto abbondante che ne è avanzato, come nelle famose moltiplicazioni evangeliche, tanto da poterlo devolvere alla Caritas locale.

Percorsi alla portata di tutte le gambe, da 5 a 17 km (in realtà, un paio in meno), con salita iniziale al castello di Spezzano, alias Rocca Coccapani, dove passava le vacanze estive il sommo Lodovico Antonio Muratori: e piace immaginare che i sentieri di oggi abbiano conosciuto all’epoca anche le passeggiate del Padre della storia. Dopo 5 km l’itinerario ridiscendeva a Torre delle Oche (da dove un’antica strada conduce in territorio di Serramazzoni) e da lì, passato il ponte sul torrente Fossa, si poteva salire alle Salse, non più di un centinaio di metri in verticale per 3-5 km di lunghezza a seconda del percorso scelto, infine rimettersi sulla stradetta di partenza e concludere nella piazza del ritrovo, scaravoltata da lavori in corso e del tutto insufficiente per il paio di centinaia di auto (a occhio) convenute.

Tempo sereno, appena più fresco del clima tropicale di ieri, qualche gloria del podismo e del fotografismo podistico (ringraziando, come sempre, Italo Spina), fascino femminile garantito da Alessandra Fava (che qui organizza abitualmente i suoi ritrovi), Sonia Del Carlo (“la trail runner della porta accanto”), e sicuramente tante altre; in campo maschile, alcuni reduci da Casalgrande del giorno prima (la famiglia di Italo in testa-coda), con l’aggiunta di Micio e Lorella Cenci in discesa da Fanano, e Maurito & Paolino Malavasi, il quale ultimo si è prestato, in onore al Natale, a riprendere in mano gli antichi attrezzi di lavoro per confezionare prodotti d’arte pellettiera come ormai non se ne fanno più.

Le armi del podismo saranno affilate, e le lancette del cronometro messe in posizione di sparo, posdomani al Santo Stefano santagatese: per ora, e di tutto cuore, Buon Natale.

23 dicembre – Come sanno bene i lettori di queste pagine, quando si va a correre dalle parti di Scandiano si è sicuri di imbroccare bene: alle tante iniziative già andate in porto (ultima, la maratona di Reggio, che a Scandiano è stata concepita), l’antivigilia di Natale ha aggiunto l’ “Assalto al Castello”: intendendosi il castello di Casalgrande Alto, poco e niente pubblicizzato dalla segnaletica stradale, eppure un eccellente balcone, a meno di un km dalla trafficata statale Sassuolo-Scandiano-Albinea ecc., da dove la vista spazia dall’Appennino emiliano alle Alpi veronesi fino all’estremo ovest del Monte Rosa. Complice, s’intende, la giornata limpida e leggermente ventosa, per una temperatura che ha raggiunto i 20 gradi rendendo inutili tutte le bardature invernali che avevamo precauzionalmente messo in borsa.

Alla novità del percorso (che tocca luoghi vicini ad altri ben noti, come il Furnasoun Trail, ma non esattamente gli stessi), si sono aggiunti la collocazione in un giorno dove tutto in regione sembrava tacere, le eccellenti condizioni climatiche, la distanza non insormontabile (11 km, forse qualcosa in meno stando ai Gps) sebbene il dislivello fosse relativamente oneroso (700 metri dichiarati, ma forse 750, quasi tutti nei primi 6 km).

Morale della favola: il numero chiuso delle iscrizioni, fissato a 150, è stato elevato in corso d’opera a 200, e alla vigilia della gara è stato concessa l’iscrizione anche ad altri in lista d’attesa; poi qualcuno (approfittando del fatto che le iscrizioni con Irunning non contemplano il pagamento anticipato) ha dato forfeit, per cui l’ordine d’arrivo ufficiale elenca solo 183 atleti (due ritirati), comunque una bella cifra in rapporto alla data.

Il percorso, piuttosto tortuoso, con tre salite principali più l’ultimo km che crudelmente ci ha portato ai piedi del castello obbligandoci a riguadagnarlo, se guardate il profilo sembra quasi uno struzzo (o comunque un grosso gallinaceo coricato), con la testa in alto a destra corrispondente al castello, e le zampe in basso a sinistra, dove la base piatta è costituita dalla strada di fondovalle – in cui si trovava il ristoro – con le due discese e le due salite per raggiungerla e ripartirne alla volta della “cima Coppi”.

In prevalenza era costituito da sentieri, parzialmente sassosi e in misura pressoché uguale traversante deliziosi boschetti di latifoglie; il resto erano stradine bianche, in minima dose asfaltate; il tutto ottimamente segnato e con numerosi segnalatori umani (tra cui non poteva mancare Paolo Manelli).

Incredibile il tempo dei primi due, rimasti sotto l’ora: ha vinto Luca Carrara, 46enne bergamasco, in 56:35, davanti al 31enne reggiano Riccardo Gabrini (58:09), mentre il terzo, il modenese quasi cinquantenne Matteo Pigoni, ha impiegato 1 ora e 4 secondi.

Nessuna sorpresa tra le donne, regolate ancora una volta da Isabella Morlini con 1.10:37, quattro minuti meglio dell’altra reggiana Alessia Rondoni (classe 2000, quasi trent’anni in meno della vincitrice), a sua volta avanti mezzo minuto sulla terza, Maddalena Pradelli classe 1999.

Con calma, entro il tempo massimo di due ore e mezzo (umanamente elasticizzato per gli ultimi) sono arrivati, al cospetto dello speaker Brighenti e del giudice-capo Mainini, tanti nomi storici delle gare nostrane o perlomeno di queste cronache: da Gianluca Spina (figlio del fotografo Italo che ci ha ceduto alcuni dei suoi scatti) ad Attilio Acito (in Annamaria Cavallo), da mamma Francesca Braidi al glorioso Ideo Fantini (classe 1949), che ha battuto allo sprint Lucio Casali da Formigine; per chiudere con Cecilia Gandolfi (in Italo Spina, per intenderci) e l’accoppiata Paolo Giaroli – Giuseppe Cuoghi, quest’ultimo il più anziano in gara (due anni più di Ideo) ma senza timore reverenziale verso questi tracciati. (Non siamo come a Bianello dove per l’ultimo c’è la gogna…).

Oltre ai premi per i primi cinque, per tutti c’è stato (di fronte a un corrispettivo di 10 euro per l’iscrizione) un sacchetto con due bottiglie di ottimo lambrusco reggiano. Direi che ci si possa largamente accontentare.

10 dicembre – Ritorno a Reggio dopo otto anni, per quella che è diventata la nostra maratona di casa dopo l’ingloriosa fine di Carpi (che tempi: il 1996 quando iniziò la maratona ”del Tricolore”  di Reggio, e il 1997 quando appunto nel bicentenario della bandiera anche la maratona di Carpi partì da Reggio!).

Ventisette edizioni (più quella in circuito, riservata agli 84 élite nello sciagurato 2020 del Covid), con un immediato successo crescente di simpatia tra gli amatori – perché è una maratona creata e curata da amatori, non da organizzazioni d’affari – cui tuttavia  è seguito un calo attuale di partecipazione che sembra inarrestabile. Nel 2015 arrivammo in 3006, e Reggio si trovò a ridosso quantitativo delle maratone metropolitane; nel 2019, ultimo anno pre-Covid, furono in 2454; alla ripresa del 2021 si sfiorarono i 2000, calati però a 1371 l’anno scorso, con un’ulteriore lieve riduzione oggi, già rilevata da Maurizio Lorenzini https://podisti.net/index.php/in-evidenza/item/11129-reggio-emilia-27-maratona-doppietta-italiana-con-gerratana-e-sucamiele.html.

Emorragia leggermente frenata dai trecento della Dieci miglia (su un numero massimo fissato a 500), che per essere classificata come corsa “goliardica” sembrava alquanto cara (30 euro di iscrizione, cioè la stessa cifra che con certe convenzioni si poteva spuntare per un pettorale di maratona).

Sulla “qualità” dei partecipanti, invece, non mi formalizzo: lascio alle organizzazioni d’affari il calcolo se avere una mezza dozzina di mercenari africani, non ancora incappati nell’antidoping, attrae gli sponsor monetari o le dirette televisive; ma certo, sapere che alla tua gara sarà presente un qualche Kip (ma anche, con rispetto parlando, un Calcaterra) non incide sulla decisione di partecipare degli amatori, e semmai allontana gli élite italiani che vedono sfumare eventuali premi.

Può darsi che il pubblico dell’ultimo chilometro sia attratto da gare combattute, con sprint finale, ma questo vale sia per gli arrivi in 2.05 che per quelli in 2.20, e comunque il pubblico delle maratone non paga il biglietto. In ogni caso, a Reggio 2023 è mancata tutta la suspense dato che il vincitore Gerratana, appena sotto le 2.14, ha dato quasi 11 minuti al secondo, che a sua volta ha preceduto l’over quaranta Simukeka, ruandese di stanza in Toscana, affezionatissimo e sempre piazzato in questa maratona (oltre che in gare minori nella zona).

Il primo dei nostri amici amatori locali, Simone Corsini della MDS di Sassuolo, arrivando quarto assoluto, è stato l’ultimo sotto le 2.30. Tre minuti dopo di lui è arrivata la prima donna (sesta assoluta), Federica Sugamiele, una ventisettenne proveniente dalla pista e in particolare dallo sprint, con una presenza in maratona a Milano otto mesi fa, più un 1.12 nella mezza a Verona dello scorso novembre. Anche in questo caso, la seconda, la trentacinquenne keniana (ma tesserata a Siena e habituée delle maratonine italiane) Lenah Jerotich, è arrivata a più di 10 minuti, a sua volta avanti di 8 minuti sulla terza. Ma questo servirà solo alle complicate alchimie federali per l’assegnazione del cosiddetto “label”; agli spettatori reggiani e a noi podisti emiliani ha scaldato di più il cuore il settimo posto di Tommy Manfredini (quarantenne MDS) o l’undicesimo di “Fillo” Capitani (Modena Runners) quasi allo sprint sul titolato Marco Menegardi. E tra le donne, l’ennesimo piazzamento della cinquantenne romagnola Federica Moroni, quarta assoluta per quello che rimarrà uno degli ultimi trofei in bacheca della sua società Gabbi prossima allo scioglimento. Entusiasmante pure l’arrivo, nello spazio di 27 secondi (cioè 150 metri), intorno alle 3.12, di tre ragazze locali o naturalizzate, Galina Teaca, Bethany Jane Thompson e Lorena Belli, con l’aggiunta della carpigiana Silvia Torricelli che ha anticipato la festa per il 40° compleanno col ventesimo posto sotto le 3.18. E c’è stata festa anche per la bella Daniela Slotova, slovacca residente nell’appennino reggiano, trailer, scalatrice, scialpinista, oggi seconda F 55 con 3.52.

Ma circa questi tempi “mediocri” mi permetto di fare una tara, su cui appaiono concordi tutti quanti hanno corso la maratona con un Gps: il percorso risulta lungo tra i 42,600 e i 42,750, dunque nella più ottimistica delle ipotesi eccedente di 400 metri la distanza canonica. L’ottimo Paolo Manelli, che come sempre è al traguardo ad applaudire fino all’ultimo arrivato, ha la legge dalla sua parte quando mi esibisce l’omologazione firmata da una giudice ufficiale, ma se tutti (ripeto, tutti) i molti colleghi che ho consultato mi danno, non cento, ma 4-500 metri in più (il più 'avaro' dei Gps, quello di Daniela Slotova, dà 42,490), non possiamo tirar fuori la storia che i Gps esagerano per illuderci di aver migliorato i tempi al km.

Nella Reggio 2015 il mio gps diede 42,360, cioè… aveva ragione Manelli; qui i dubbi si fanno più consistenti. Lo "sbaglio" deve essersi verificato nel tratto urbano, perché già al km 5, uscendo dal centro città, avevamo 200-250 metri in più, che erano 350-400 al km 10, rimanendo poi invariati fin dopo il km 35, quando la differenza ricominciava ad aumentare fino all’esito finale. Si aggiunga poi il dislivello, che il sito della maratona riduce ottimisticamente a un centinaio di metri, quando ci sono 90 metri verticali solo tra Reggio e Montecavolo, ma per arrivarci si affrontano salite e discese, che si ripresentano tra il km 25 e 30, senza dire che anche i chilometri sulla pista del Crostolo fra il 36 e il 40 sono ondulati: ma quest’ultima cosa è sempre stata così, malgrado qualche aggiustamento di percorso specie ai km 10-15; fa parte del fascino della gara, e gli amatori “evoluti” potrebbero anche trarre vantaggio dalla discesa prevalente (ma non esclusiva) dal km 22 in poi.

Disquisizioni numeriche a parte, tutto il resto conferma Reggio come la maratona più organizzata e confortevole che esista (a pari merito, secondo la mia opinabile classifica 2023, con Padova): ottimo ritrovo al Palasport che a sua volta sta a 100 metri da un grosso parcheggio gratuito, in aggiunta agli altri parcheggi stradali che la domenica sono gratis. Servizi burocratici espletati con grande precisione: la giovane addetta che mi consegna il pettorale chiede il documento, perché evidentemente non era ancora al mondo quando io correvo lì le prime maratone (le ho fatte quasi tutte tra il 1996 e il 2005); invece dietro lei, il più stagionato Cristian Mainini non ha difficoltà a consegnarmi, senza ricorrere a controlli, l’attestato per le 10 Reggio concluse. Il pacco gara mi viene dato dall’Orietta, ricordando quando corremmo la maratona di Carpi insieme alla campionessa Rosa Alfieri (che trovo invece sul traguardo, sempre cordiale e simpatica); gli altoparlanti diffondono la voce dei due speaker ormai stanziali, Brighenti e Marescalchi, mentre Italo fa fotografie, come le farà il giorno dopo, addirittura poco oltre il traguardo malgrado un certo embargo che in anni passati era più rigido.

Alla maratona di Reggio, tradizionalmente, fa freddo ma c’è il sole: i termometri segnano 5 gradi alla partenza e 10 al mio arrivo, insomma ci si può man mano spogliare di guanti e copriorecchie, magari anche rimboccare le maniche lunghe.

Percorso segnatissimo, con fettucce a delimitare le svolte ‘proibite’, e frequenti indicatori umani (che ci tolgono il dubbio sul km 32 che viene poco dopo il 15): ristori sempre ricchi, più o meno alle distanze canoniche, con l’aggiunta dell’attesissimo doppio ristoro di “Arsura” sulla base di carne di maiale, vino e birra.

Un curioso avant-indree transennato all’ingresso di Montecavolo (per farci acquistare quei contestabili 300) è presidiato da Nerino, nella doppia veste di giudice e videomaker; lo ritroverò poi con la sua Tetyana in un altro miniristoro verso il 35 (residuo di quello allestito per le 10 miglia), un km dopo l’altro fotografo abituale Domenico Petti (s’intende che oltre ai fotografi dilettanti c’è la ditta dell’appalto ufficiale, con spiegamento numeroso – addirittura in un punto controsole usano anche il flash – ma che come sempre non avrà i miei 29,99 euro sollecitati).

Abbondante schieramento di pacemaker, il cui seguito diminuisce con l’aumentare del tempo indicato: i tre delle 4.45 quando mi raggiungono trascinano un solo podista (che poi perderanno), i tre delle 5 ore non hanno nessuno già al km 32: ma se le disposizioni sono quelle di andare al ritmo indicato a tutti i costi, così sia. I miei pacemaker occasionali sono i compagni di tante strade, Werter papà di Silvia Torricelli (che mi istruisce sulla gradazione dei vini, poi si stacca per arrivare esattamente millesimo), Claudio Morselli (che mi sorpassa e poi perdo, salvo ritrovarlo alla fine nella bionda compagnia di Greta Massari), Angelo Mastrolia, “senatore” di 27 Reggio, con cui ricordiamo i tempi che correvamo insieme Padova, spingendo un baby jogger e arrivando sulle 4 ore: oggi all’arrivo si china a baciare il lastricato di piazza della Vittoria.

Altre compagnie di vecchi amici si trovano ai ristori, che gestisco in modo ‘ascetico’, senza trasgressioni, fino al 25, quando non posso resistere all’erbazzone offerto come sempre da Brunetta e i suoi dei Cavriago, incluso Bien Sen Du reduce da ritrovi transoceanici. Dopo di che, dal km 29 si annuncia una voce femminile che magnifica il ristoro gestito dal Correggio, con lambrusco, salumi e una polenta fritta alla quale non posso dire di no; poi si arriva al 32 con il bis di Arsura, e stavolta (siccome i sacri testi prescrivono anche di assumere sale) prendo due assaggi di ciccioli secchi, un culetto di salame e… il vino no, ma la birra sì! Su questi bei fondamenti, accetto il tè di Tetyana vicino al sottopasso, e a questo punto posso anche sperimentare il gel alla caffeina omaggiato all’expo (quello che non uccide, aiuta).

Ecco il Lungocrostolo che a me ricorda una lontana camminata organizzata da Nerino e le riprese video di Prodi 2005; poi la risalita a livello città, i sorpassi subiti dall’inaffondabile Michele Rizzitelli, dalla bella segretaria Carla Ciscato, dalla matematica veneziana Daniela Lazzaro che va a vincere le F 70. Qualche centinaio di metri sui vialoni in compagnia delle due ragazze del Montestella, Elena e Antonella, col supporto del torrilese Stefano Banzola, poi il cinque con Mohamed Moro (qui a scortare i suoi 26 adepti modenesi dei Runners & Friends, che in campo femminile si aggiudicheranno il titolo nazionale Uisp) e Paolo Giaroli (non dimenticato "autore" dello spugnaggio caldo dei bei tempi), fino ad arrivare, poco davanti a Sir Marathon Fausto Della Piana, al marciatore Franco Venturi Degli Esposti cui ci lega il ricordo della povera Lorella (una che, pensate un po’, fu testimone della già citata maratona di Prodi 2005), e risalire la strada per il palasport salutando gli ultimi metri dei supermaratoneti che chiuderanno gli arrivi: la fornaia di Cernusco Rita Zanaboni, la bolognese-bergamasca Marina Mocellin, e Massimo Faleo che non dimentica il nostro arrivo mano nella mano a Ragusa, quando Govi arrivò nel senso opposto.

I tifosi di Alessio Guidi, tornato a pieno regime maratonico (alla faccia di chi sappiamo noi) possono stare tranquilli: vedendomi alla partenza aveva promesso di smettere di correre se l’avessi battuto, ma siccome mi ha dato un’ora potrà continuare a catalizzare e rallegrare schiere di gente che “arriva piano ma arriva”.

L’album di fotografie assemblato da Roberto Mandelli e qui linkato mette insieme foto del sottoscritto e di sua moglie, di Italo, Nerino, del Modena Runners Club, più l’ultima del comitato organizzatore. Non sarà roba professionale, ma è gratis.

Aggiungiamo ora il comunicato ufficiale dell'Uisp, giunto in redazione alle 17,41 di lunedì 11, che informa sul campionato nazionale Uisp abbinato alla maratona.

A Reggio Emilia si è corso il Campionato Nazionale UISP 2023 di Maratona

La “Maratona di Reggio Emilia-Città del Tricolore” di domenica 10 dicembre, valida come Campionato Nazionale UISP di Maratona, ha chiuso l’annata sportiva 2023 della UISP APS-SdA atletica leggera grazie all’organizzazione di Tricolore Sport Marathon a.s.d. in collaborazione con UISP Emilia-Romagna APS e UISP Comitato Territoriale di Reggio Emilia APS.

Le classifiche di categoria del Campionato nazionale hanno premiato Fabia Maramotti (AF-ASD Team Marathon Bike 3:37:59), Francesca Rimonda (BF-ASD Podistica Valle Vairata 3:04:58), Bethany Thompson (CF-Circolo Minerva asd 3:12:17), Elehanna Silvani (DF-Azalai asd 3:12:40) e Paola Bertolucci (EF-Atletica 85 3:38:14), mentre tra gli uomini hanno primeggiato Federico Ganassi Spallanzani (AM-Ass. Pol. Scandianese 2:42:17), Simone Corsini (BM-Atl MDS Panariagroup 2:28:33), Jean Baptiste Simukeka (CM-APD Virtus VII Miglio 2:25:09), Enrico Rivi (DM-Amorotto asd 2:38:17), Fabio Martinuzzi (EM-Montelupo Runners 3:19:03) e Luciano Balzani (FM-ASD Daunia Running 3:31:12).

Nelle classifiche per società il GP Avis Novellara con 92 punti si impone davanti a ASD Podismo & Sport Saracena (59) e a Stone Trail Team asd (58). Nel femminile solo Asd Runners&Friends ha portato il minimo di Atlete all’arrivo.

Per consultare le classifiche del Campionato Nazionale UISP 2023 di Maratona collegamento al link https://www.uisp.it/atletica2/files/principale/campionati-nazionali/2023/maratona/class-maratona-2023.pdf

3 dicembre – E siano benedette le camminate di quartiere! Anche se il nome è ormai un eufemismo, ricordo di una stagione gloriosa quando i quartieri di Modena, e le relative camminate, erano 8 o magari anche 12, facendo perno sulla Ghirlandina, e nelle fredde domeniche invernali ci si riappropriava della città, di via Verdi, di piazza S. Agostino, del Tempio, di piazza Roma, delle mura… Adesso, delle quattro camminate programmate per tutto dicembre, fino all’ultimo dell’anno, nessuna si svolge in centro, l’unica urbana è nel quartiere San Faustino – zona artiglieria e Parco Ferrari, insomma media periferia – le altre si svolgono in frazioni (Cognento, Saliceto Panaro) staccate dalla città (oltre la cerchia delle tangenziali), a cominciare da questa inaugurale che, partendo da una località che si è fatta cambiare il nome rispetto a quello ufficiale di “Porcile”, addirittura si dipana per la maggior parte fuori del territorio modenese, in comune di Castelnuovo Rangone.

Felix culpa, si commentava lungo la ciclopedonale del Tiepido (sponda castelnovese) con Max Nube e Lord Colombini, che questi percorsi ha inventato per la sua camminata del 1° maggio e settimanalmente li pratica in affezionata compagnia serale di camminatori: “ma sì, gliel’abbiamo concesso”, diceva il Lord. E meno male, perché il giro lungo di 10,3 è molto gradevole nel tratto di Castelnuovo, e se non altro diverso dai soliti nella prima e ultima parte modenese, assolutamente tranquilla e senza traffico: i più anziani lo ricordano anche per le camminate del salumificio di Paganine e di un festival dell’Unità anch’esso consegnato alla memoria dei tempi duri e puri.

Iscrizione gratuita, partenza nell’ora civile delle 9,30, baciata dal sole (anche se i tanti vecchiardi insonni partono mezz’ora e più prima), e al traguardo ti danno addirittura mezzo kg di pasta e un buono-spesa da 5 euro (dunque, per chi fa il conto della serva, spendi di più se resti a casa). Oltre tutto a metà – per la cronaca, in territorio di Castelnuovo – c’è un ristoro con tè bello carico e caldo: mi sono chiesto come avrebbe fatto Giangi a chiedere il rimborso della quota di iscrizione… Ma per evitare imbarazzi Giangi aveva scelto altri lidi.

Supporto tecnico agevolato dal vecchio campione, ora scarparo di classe, Pietro Boniburini da Cavriago, che ha fornito l’arco gonfiabile del traguardo (e poco importa se glie l’hanno montato alla rovescia, cioè si parte sotto la scritta “arrivo” e si arriva sotto la scritta “partenza”): non ha ancora digerito la sconfitta della Reggiana a Modena, ieri, e si consola con una pagina falsa e ruffiana della “Gazzetta dello sport” che proclama la Juventus capoclassifica.

Disponibili a fianco un utile parcheggio (però non segnalato sulla via principale) e spogliatoi riscaldati, con possibilità di fare la doccia e di leggere le tattiche dell’Allegri di Portile in un tabellone murale che Mandelli (juventino pure lui, ma combattuto nell'amore della natia Monza) ha inserito nel collage qui sopra: un 4-2-3-1 dove i due centrocampisti arretrati Giovanni e Dade devono allargare su Ivan e Patta, i quali scatteranno alle estreme e crosseranno per Fausto, con Domenico appena dietro pronto a riprendere le respinte della difesa (l’ha copiato Mazzarri in serata, mettendo Raspadori dietro Osimhen, coi mirabolanti risultati che sappiamo). Quelli molto, molto vecchi ricordano quando DS del Portile era Emilio Ghelfi, ex “ciabattino del Modena” (come si definiva, perché aveva fatto le scarpe su misura a Brighenti e Pagliari, Ottani e Goldoni), la cui botteguccia di Corso Vittorio era la sede principe per il Processo del Lunedì; mentre qui vicino sta la fabbrica Richeldi il cui custode era Elio Grani da Vignola, roccioso stopper di Torino e Catania (in coppia col reggiano Fantazzi). Quanto all’attualità, è presente a Portile il quasi-direttore della tribuna del Braglia, nonché speaker di lusso (altrocché il povero Stefano della Nasi…), Giorgio Reginato, pure lui custode di memorie storiche del podismo. Come ne custodiscono Emilio Borghi e Vittorio Collese: insomma, anche a Porcile/Portile si ravviva la storia del nostro sport umile e ricco.

Oltre tutto, la lochèscion della corsa è utilissima per la tappa successiva (chissà se qualcuno l’ha fatta di corsa, in preparazione alla maratona di domenica prossima), fino al centro di Castelnuovo dove, all’ombra (si fa per dire) del monumento al maiale si svolge l’annuale fiera gastronomica, con l’ennesimo zampone da Guinness e soprattutto distribuito gratuitamente insieme ai fagioloni, che sono “la sua morte”, e a un ottimo grasparossa fermo. Eccellente organizzazione anche qui, come conferma (ma guarda un po’) la presenza di Giangi, che a Portile non si è nemmeno fermato e qui raggiunge il suo domenicale appagamento dei sensi.

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