Fabio Marri
Probabilmente uno dei podisti più anziani d'Italia, avendo partecipato alle prime corse su strada nel 1972 (a ventun anni). Dal 1990 ha scoperto le maratone, ultimandone circa 280; dal 1999 le ultramaratone e i trail; dal 2006 gli Ultratrail. Pur col massimo rispetto per (quasi) tutte le maratone e ultra del Bel Paese, e pur tenendo conto dell'inclinazione italica per New York (dove è stato cinque volte), continua a pensare che il meglio delle maratone al mondo stia tra Svizzera (Davos e Interlaken; Biel/Bienne quanto alle 100 km) e Germania (Berlino, Amburgo). Nella vita pubblica insegna italiano all'università, nella vita privata ha moglie, due figli e tre nipoti (cifra che potrebbe ancora crescere). Ha scritto una decina di libri (generalmente noiosi) e qualche centinaio di saggi scientifici; tesserato per l'Ordine giornalisti dal 1980. Nel 1999 fondò Podisti.net con due amici podisti (presto divenuti tre); dopo un decennio da 'migrante' è tornato a vedere come i suoi tre amici, rimasti imperterriti sulla tolda, hanno saputo ingrandire una creatura che è più loro, quanto a meriti, che sua.
La “gioia del Vangelo” è anche “dare il meglio di sé”
La presenza su Podisti.net del padre Pasquale Castrilli, missionario Oblato di Maria Immacolata, e corridore anche di lunga lena (13 maratone, una ventina di mezze e tante gare più corte, quando lo permettono i tanti viaggi intercontinentali per missioni), data dal gennaio 2018. La sua rubrica “Correre con lo spirito” (italianizzazione di “Running & Spirit” che era tra le proposte iniziali, insieme a “Il cavallo di S. Francesco”) è diventata un appuntamento, seppure a liberi intervalli imposti dagli eventi.
In attesa che padre Pasquale ci mandi un’altra puntata, abusiamo del suo tag per dire del libretto Evangelii Gaudium. La staffetta dei sacerdoti runners sulle pendici dell’Etna (Roma, Editrice Missionari OMI, maggio 2019, 58 pagine, € 6.50): l’occasione scaturisce dalla vittoria dei parrini, dei tre sacerdoti assemblati e ‘allenati’ da padre Pasquale, alla 12^ edizione della Supermaratona dell’Etna del 9 giugno 2018, col record del percorso (di cui voi lettori sapeste in anteprima). Record che rischia di resistere all’infinito, non solo per il suo valore assoluto ma soprattutto perché, lo scorso sabato 8 giugno, la Supermaratona si è svolta solo come gara individuale e non più a staffetta (153 partecipanti, dominati da Francesco Mangano in 4:19, con 19 minuti di vantaggio su Francesco Cesare; prima donna, l’ungherese Agnes Korodi in 5:22): la presenza dei religiosi era comunque assicurata da una copia del libretto nel pacco-gara dei concorrenti…
La prima parte del testo rievoca, con ricchezza di dettagli, le tre frazioni corse della scalata etnea: a prendere il via per primo (dopo la benedizione a tutti gli atleti, impartita con acqua marina dal terzo staffettista) è don Vincenzo Puccio (cui padre Pasquale, che era stato primo frazionista nell’edizione dell’anno precedente, cede il ruolo), seppur reduce da una pubalgia che l’ha tenuto fermo un anno: soffre, ma conclude i 14,5 km in 1.07, terzo a cinque minuti dalla prima squadra. Dà il cambio a don Gianni Buontempo, molisano, che supera tutti chiudendo i suoi 19 km in 1.35, primo! Ed ecco la novità della staffetta 2019, il prete trentino don Franco Torresani, che copre i quasi 10 km del suo tratto, con pendenze proibitive fin sotto la vetta dell’Etna, col nuovo record parziale di 59:01, ciò che produce un tempo complessivo di 3.41:54, 23 minuti davanti ai secondi!
La vittoria non è però tutto: il libretto prosegue raccontando della messa, celebrata dai tre e da altri confratelli, nella chiesa madre di Linguaglossa, prima delle premiazioni; e di un nuovo incontro, l’indomani, con un gruppo di corridori messinesi cui don Gianni illustra il concetto del “dare il meglio di sé”; come padre Pasquale ha fatto per i frequentatori di Podisti.net il 4 luglio 2018: http://podisti.net/index.php/commenti/item/1919-dare-il-meglio-di-se-lo-sport-e-la-fede.html
Molto interessanti poi, dal lato umano, i ritratti dei tre protagonisti della staffetta: don Puccio, oggi parroco a Barcellona Pozzo di Gotto, ma atleta… fin dalla nascita, che però fu temporaneamente strappato allo sport dal rettore del suo seminario; solo nel 2010 tornò alle corse, con una Roma-Ostia terminata in 1.15. Il 2015 sarebbe stato l’anno dell’esordio in maratona, ma quella maledetta gara di Messina venne sospesa pochi istanti prima del via (c’ero anch’io, che da allora non ho più messo piede a Messina: don Vincenzo invece c’è tornato nel 2019 arrivando secondo alla maratona, e vincendo poi la vicina maratonina dei Nebrodi). Esordio però rinviato di poche settimane, a Treviso nel marzo 2015, dove chiuse in 2.29. Un po’ peggio invece a Milano quest’anno, dove alla partenza l’azzurro Stefano La Rosa gli chiese la benedizione, mentre don Puccio ebbe bisogno di molte preghiere alla Madonna per arrivare in fondo!
Ha sempre fatto sport, invece, don Franco Torresani, il trentino che veleggia verso i 60 anni, attualmente parroco ad Arco (dopo esserlo stato in val di Non), addirittura quattro volte nazionale azzurro di corsa in montagna (dove ha ottenuto 5 titoli mondiali e 4 europei). Corre anche quando visita a casa i suoi parrocchiani, che ovviamente tifano per lui nelle corse ufficiali (chi scrive lo incrociò al giro della Val di Fassa nel 2001): 31:16 nei diecimila, 1.19 nella maratonina (campione italiano M 40 nel 2002); 2.33 in maratona a Reggio, con un’occasione perduta a Firenze nel 1999 quando crollò nel finale; e sembra che questo sia stato il suo addio ai 42 km.
Don Gianni Buontempo invece viene dal mondo delle campestri e delle non competitive, e per scoprire le maratone aspettò l’epoca in cui si trovava a Washington come docente di seminario, nel 2007: lì gli venne chiesto di correre la Marine Corps Marathon, per raccogliere fondi a vantaggio dei seminaristi più poveri. L’entusiasmo degli americani lo contagiò, e don Gianni ha finito per correre cinque volte quella 42, con un miglior tempo di 2.32, a 40 anni. Degli americani gli piace lo spirito pienamente dilettantistico, a volte folcloristico con punte di sconsideratezza (come la ricerca delle corse estreme, le 100 miglia, le 50 maratone nei 50 stati…), certo meno competitivo ed esasperato degli italiani, dove ha l’impressione che chi non è “performante” sia tenuto ai margini della considerazione sportiva. Per don Gianni la corsa deve essere una “dipendenza lieve”, non fine a se stessa, ma capace di insegnarti il sacrificio, le levatacce, la dieta, insomma quello che una volta si chiamava la vita monastica.
Tutto questo, possiamo ben dirlo, è “correre con lo Spirito”, ma senza dimenticare le esigenze materiali di chi ha meno di noi: così la neonata Athletica Vaticana raccoglie scarpe da corsa da inviare in Africa; e il nostro padre Pasquale cerca fondi per le missioni, anche attraverso il suo sito www.pasquale castrilli.it.
In gara, ogni passo ci porta verso il traguardo; nella vita, ogni obolo, anche modesto, può servire a portare qualche altro verso i suoi legittimi traguardi.
Modena, 1° Rugby Run
12 giugno - In un panorama del podismo emiliano orientato più sul levare che sull’aggiungere (è di oggi la notizia dell’ennesima soppressione di gara “per motivi di organizzazione”, all’interno del circuito dei festival dell’Unità modenesi; mentre le statistiche della pur celebrata corsa di Castellarano danno un impietoso -20% dei competitivi), fa piacere segnalare la nascita di una nuova gara, non legata né a fini partitici né alla necessità di mettere a tavola qualche centinaio di persone, ma originata da una società sportiva, a soli fini sportivi: la Modena Rugby 1965, la squadra che ebbe Luciano Gigliotti tra i suoi fondatori e tecnici, e che ha invitato i podisti presso la sua sede, relativamente nuova, in una frazione di Modena (Collegarola) finora trascurata dalle corse, forse a causa dell’essere stretta fra due statali molto trafficate (eppure chi scrive la usa spesso per i propri allenamenti, trovandosi tra immense distese di grano e qualche vigneto, quasi in assenza di traffico ora che l’unica attività commerciale in loco ha chiuso).
Gara non competitiva, prezzo canonico di due euro che ha dato diritto alla confezione di tre piade - ultimamente divenuta il premio tipico del podismo (come sono lontani i tempi della bottiglia di lambrusco o di bianco frizzante!) -, tre percorsi di 1,5 (concepito espressamente per i figli dei podisti, che venivano accompagnati dagli organizzatori in un circuito dedicato), 5 e 10,7 (che poi al Gps risulteranno 11,1).
Malgrado la piaga dei partenti anticipati, già un’oretta prima delle 19,30 indicate (mi sta venendo un’idea, alternativa a quella di instradare i partenti anticipati su strade sbagliate e percorse dai Tir: perché non fare come nelle 6 ore, cioè all’interno di un certo orario ciascuno parte, arriva, si ferma, va al cesso ecc., quando gli pare, ovviamente sotto la sua responsabilità?), al via ufficiale saremo stati almeno 400, che in confronto a recenti esibizioni (a Modena in giugno si corre tutte le sere) era tanta gente.
Dopo un km e mezzo in comune, nell’abitato di Vaciglio (prima mitica stazioncina della defunta ferrovia Modena-Vignola) i percorsi si dividevano: i 5 km restavano più o meno nella periferia di Modena città, mentre gli 11 erano instradati verso sud, lungo la ciclabile dell’ex ferrovia, anch’essa piuttosto trascurata dal podismo, fino a oltrepassare quella che per i vecchi modenesi è la Ciam e per gli altri è Casa Modena (già sede di due simpatiche corse, estinte già a principio del millennio), poi affrontare la nuova ciclabile sterrata del Lungo Tiepido, sottopassare l’autostrada nei pressi del casello di Modena sud, e procedere poi in parallelo all’autostrada, lungo una stradetta mai calpestata dal podismo ufficiale (c’ero passato io una volta, in un vagabondaggio podistico, e siccome non trovavo un ponte sul fiume per tornare verso casa, ero salito sulla corsia d’emergenza dell’autostrada per usare il suo ponte...).
Proprio qui mi dicono della morte, ieri, del vecchio amico podista Paolo Fantoni, che non aveva smesso di correre (persino le maratone) nemmeno quando un tremendo incidente stradale, che l’aveva tenuto in coma per mesi, l’aveva privato di una gamba. Sicuramente Paolo, nei nostri anni giovani, avrà cantato la canzone dei nostri compaesani Nomadi: “Per fare un uomo ci voglion vent'anni - per fare un bimbo un'ora d'amore - per una vita migliaia di ore - per il dolore è abbastanza un minuto”.
Come Ulisse alla morte del suo fido Argo, ci asciughiamo una lacrima ritrovando il cavalca-autostrada nei pressi della Ciam-Casa Modena.
Da qui, ultimi 3 km di nuovo verso il traguardo, allestito in modo suggestivo tra le due porte ad H del campo principale da rugby, erbosissimo e popolato da bambini piccolissimi che si avviano allo sport. Nel sole che tramonta, chiudono gli arrivi le sorelle Gandolfi col loro ‘custode’ Lolo Tiozzo di Ovunque viaggi; a Margherita mettono in mano una palla da rugby, e solo allora suo cognato Italo (fotografo in crisi di identità) estrae il telefonino e riprende la scena.
Ristoro di acqua, tè e agrumi, premiazioni di società con gran dispiego di vini; 'terzo tempo' alimentare, mi dicono, un po' lungagnone. Un bell’esordio, speriamo non finisca qui.
Castellarano (RE), 39^ Le colline del Secchia: ventiseienni fanno il vuoto
9 giugno - Una delle gare più amate dai reggiani e dai modenesi, che la vedono inserita nei rispettivi calendari provinciali di podismo, da 25 anni affianca, alla rituale corsa collinare non competitiva di 12/13 km (nata come “corsa di Tressano”, ai tempi che la società era gestita dal vecchio Bertucci, sempre molto galante con le signore), una competitiva a circuito, quest’anno compresa anche nel campionato regionale Corriemilia Uisp come settima di 15 prove.
Tre giri da 3200 metri, con leggeri saliscendi (per un dislivello totale di 70 metri) e arrivo con giro quasi completo della brutta e inutile pista di bitume dello stadio di Castellarano; cronologia sfalsata di tre quarti d’ora dalla non competitiva (cui sono dedicate le foto 5-86 del servizio di Nerino), ad evitare commistioni e intrufolamenti di podisti risparmiosi, cui secca di pagare i 10 euro dell’iscrizione e pretenderebbero di cavarsela coi 2 euro del calmiere. Nell’intervallo si svolgono, in pista, le gare dei giovanissimi, su distanze differenziate secondo età (foto 87-157).
Ottimamente distribuiti e gestiti i parcheggi in un raggio di 300 metri dal raduno; percorso totalmente chiuso al traffico, con due punti di ristoro e uno spugnaggio ogni giro.
L’ordine d’arrivo subisce un deciso ribaltone, rispetto all’albo d’oro della gara, che negli ultimi 6 anni per gli uomini e gli ultimi dieci per le donne presentava presso che gli stessi nomi ai primi tre posti, magari con oscillazioni tra la vittoria e le piazze d’onore. In questo 2019 invece hanno prevalso due ventiseienni, e davvero ci vuole uno slancio di giovinezza in un mondo podistico che tende a propinare immagini fotocopia degli stessi collezionisti di premi in natura ed eurini.
Abissale il distacco che Francesca Cocchi, gioiello della Corradini Excelsior Rubiera (17:12 sui 5000 e 35:39 sui 10000 in pista, 35:10 sui 10mila in strada, 1.18:22 in maratonina a 21 anni, ma che si è cimentata anche nel salto in lungo e nella corsa a ostacoli) ha inflitto alla sua compagna di società (sebbene oggi presentatasi con tesseramento Uisp) Laura Ricci, vincitrice a Castellarano delle ultime tre edizioni e di un’altra nel 2012: Francesca, undicesima assoluta, ha finito in 36:49 (foto 320 di Domenico Petti, 525 di Nerino Carri), contro i 39:25 della Ricci (foto 543 Carri) che a sua volta ha preceduto di 26” la solita Rosa Alfieri (foto 548: vincitrice nel 2015, terza nel 2009, 2010, 2013, 2017 a confermare quella ripetitività di cui dicevo).
Più ristretto il margine del modenese Tamassia (del tutto nuovo al podio in questa gara, ma che nel Corriemilia 2019 aveva già vinto la tappa di Ferrara il 1° maggio): 34:05 per lui (vedi foto 285 di Petti prima del via, poi in azione foto 513, 515 di Nerino), 16 secondi meglio di Salvatore Franzese (secondo anche l’anno scorso, terzo nel 2014 e 2017), il quale a sua volta ha avuto la meglio per 3 scarsi secondi su Andrea Bergianti, terzo pure l’anno scorso.
I classificati sono 229 di cui 54 donne: tra queste, scopriamo quasi appaiate, in discreta posizione intorno ai 47 minuti, due (si può dire?) cinquantenni, la dietologa modenese Chiara Mezzetti e la reggiolese Antonella Benatti, che ai tempi del primo Podisti.net ci istruì su come lei corse fino all’estremo termine della gravidanza. Poco dietro, ai 48 minuti, altre due coetanee, la modenese Roberta Mantovi (che prima di correre fa sempre un giro fotografico dei partenti) e la ‘nostra’ Valentina Gualandi. Personalmente, taglio il traguardo insieme alla meno giovane del lotto, la prof novellarese Maria Pia Verzellesi (foto di Petti 693), ricordando quando 18 anni fa lei presentò un mio libro (18 anni fa, ripeto!). Mentre ce lo diciamo sul rettilineo finale, un giovanotto correggese quarantenne e poco ‘cavaliere’ ci supera allo sprint; pazienza, perlomeno lasciamo indietro Roberto Manini della Biasola, che insiste a chiamarmi prof sebbene io protesti che in corsa sono ormai peggio di un … ripetente.
Naturalmente, i maschi buoni sono già arrivati da un pezzo, e i Modena Runners hanno consolidato il primato nella classifica di squadra del Corriemilia piazzando sesto Luca Gallinari (davanti al mirandolese Roberto Bianchi, l’ultimo a doppiarmi mentre stavo finendo il secondo giro…), 10° Fabrizio Manni, 16° il ‘sindaco’ Luca Gozzoli che batte allo sprint il più anziano dell’élite, il reggiano Claudio Gelosini, alle soglie dei sessanta; mentre l’altra vecchia gloria Stefano Baraldini, classe 1962, finisce 36°, appena dietro Rosa Alfieri.
Un altro ‘62 di cui sono piene le cronache sportive è Antonio Lo Conte, altro Modena Runner, che con 41:38 precede a spalla il coetaneo e compagno di squadra Giordano Castelli. Appena prima è arrivato il poco più giovane (del ’66) Guido Menozzi da Correggio, che saluto ogni volta come secondo assoluto in una maratona di Tromso in cui gli fecero sbagliare percorso, e qui è 52° in 41:21.
“E via via tutti gli altri” (come dicevano i cronisti di ciclismo delle volate in gruppo), salutati per nome all’arrivo da Roberto Brighenti, filmati e fotografati contemporaneamente da Nerino nel suo personalissimo stile ‘inclinato’, mentre Domenico Petti, dopo aver fornito un’ampia panoramica del ritrovo nelle sue prime cento foto, e ancora dalla 200 alla 260, attende poco prima dell’ingresso nello stadio, dove poi entra per gli arrivi (guardate la foto 707, col giudice Giaroli che quasi frena il rush di Maurizia Gambarelli!).
Di lusso il pacco gara anche per chi non vince niente (i premiati per meriti sportivi saranno una quarantina): salamino, trancio di mortadella, aceto balsamico (la cinquantesima bottiglia da podismo che finisce in un armadio della cantina), asciugamano.
Per i non competitivi, biscotti, che si trovano in abbondanza anche al ristoro finale (foto Petti 222-224), privo però di frutta (ma Petti dimostra che all’inizio gli spicchi di limone c’erano). Beh, anche in queste gare top, qualcosa da ridire c’è sempre…
Eleonora Giorgi (II), nostra ‘cugina’ maratoneta del tacco-punta
Per chi ha passato gli anta, il nome di Eleonora Giorgi richiama l’attrice sex symbol classe 1953, protagonista (immaginate in quali, ehm, vesti) di film come Storia di una monaca di clausura o Appassionata o Conviene far bene l'amore, e senza veli pure sulle pagine di Playboy, poi sposata a un partito decisamente ‘buono’ come Angelo Rizzoli che alla separazione (voluta dalla Giorgi Prima quando Rizzoli cadde dal piedistallo) dovette lasciarle cinque miliarduzzi degli anni Ottanta.
E lasciamo perdere il resto, fino all’annuncio di voler finire i suoi giorni in convento (non è però chiaro se per ‘rifare’ la monaca del suo primo film), spostandoci nel più spirabil aere dello sport all’aria aperta, con la Seconda e più vera Eleonora Anna Giorgi, milanese purosangue, trent’anni non ancora compiuti (li farà il 14 settembre). A quindici anni cominciò col mezzofondo, poi un infortunio la costrinse a optare per la marcia, dove trovò un maestro come Giovanni Perricelli da Quarto Oggiaro (medaglia d’argento nella 50 km ai mondiali del 1995), che l’ha portata al record italiano dei 20 km, fatto scendere da Eleonora tra il 2014 e il ’15 fino a 1h26:17; e al record mondiale dei 5000 in pista (20:01, cioè in pratica quei 4’ a km che costituiscono il sogno di molti podisti). Ultima impresa: il 19 maggio a Alytus in Lituania ha vinto l’oro in Coppa Europa nei 50 chilometri col nuovo record continentale di 4 h 04: 50.
Ma siccome di sola marcia non si vive (tanto più che nella marcia puoi sempre incontrare dei giudici severi, che ti squalificano se non ti vedono affondare il tacco nell’asfalto o nella pista), Eleonora si è laureata a pieni voti in Economia alla Bocconi di Milano, dunque va un po’ sulle orme di Mario Monti (sperando che la sua pensione non sia quella voluta dall’altra prof, Elsa Fornero).
Nel frattempo, sulle sue orme si trova spesso il nostro Roberto Mandelli, ad esempio lo scorso 26 aprile al Walk & Middle Distance night di Milano
https://foto.podisti.net/f741785130
o al Centro federale di Cascina S. Fedele, dove è di casa anche il suo tecnico Perricelli
https://foto.podisti.net/p114753245/h7783e67f#h7783e67f
La marcia non è uno sport tanto lontano dal podismo, capita anzi spesso di incontrare, nelle gare più lunghe, dei tapascio-maratoneti che avanzino di marcia, sia secondo i dettami canonici, sia comunque tenendo sempre almeno un piede al suolo. Dunque salutiamo anche da queste colonne la ‘cugina’ Eleonora Anna, sicuri che se si presentasse a una delle nostre maratone ruspanti ci darebbe la polvere.
E vedremo se tra tanti nani e ballerine che occupano le ribalte (vedi all’inizio), per lei, oltre alle medaglie conseguite sul campo, ci sarà anche quell’Ambrogino d’oro che molti le auspicano.
Eleonora Giorgi (II), nostra ‘cugina’ maratoneta del tacco-punta
Annullata la Porretta-Corno alle Scale 2019: e non è una novità
Ci è pervenuta per conoscenza questa lettera inviata all’Uisp Pistoia il 3 giugno scorso:
La seguente per comunicarvi che:
vista la totale assenza di sponsor, le elezioni avvenute il 26 Maggio nel comune di Lizzano in Belvedere (ove ci è stato un alto rischio di commissariamento) il quale non può purtroppo venirci in aiuto e le difficoltà di permessi per chiusura e/o deviazioni di traffico sulle strade interessate da nostra manifestazione, vi annunciamo che, a malincuore, la manifestazione podistica Porretta Terme- Corno alle Scale in programma il 28 Luglio è annullata. Noi come organizzatori siamo comunque disponibili a cederla se qualcuno volesse farla al posto nostro.
Restando a disposizione per eventuali chiarimenti porgiamo
Distinti saluti
Matteo Giovannelli, Laura Ori
Per chiarire: alle elezioni comunali di Lizzano si è presentato un unico candidato, Sergio Polmonari, sotto il nome di una lista civica, che ha ottenuto il 100% dei 1033 voti validi, senza considerare 250 tra schede bianche o nulle. Ha votato il 66% degli aventi diritto, dunque è stato scongiurato il pericolo della nomina di un commissario prefettizio, che sarebbe scattata se i votanti non avessero raggiunto il 50%.
La gara annullata avrebbe avuto sviluppi di 29,6 e di 15,5 (per il percorso ridotto), ed era organizzata dalla Silvano Fedi di Pistoia. Clamoroso era stato l’episodio dell’edizione 2017, con la “vittoria” dello squalificato Roberto Barbi, cui era stato consentito di correre e che addirittura era stato scortato in gara (fu detto, per errore) da un mezzo dell’organizzazione.
Dopo di che, la gara era stata riproposta per il 2018, ma fu annullata quasi in extremis con un’altra lettera degli stessi due di cui sopra:
I sottoscritti organizzatori Matteo Giovannelli e Laura Ori comunicano quanto segue.
Vista la mancanza di fondi, la manifestazione podistica Porretta Terme-Corno alle Scale del 29 Luglio 2018 per il corrente anno è annullata.
Ci scusiamo per la comunicazione un po' tardiva, ma abbiamo voluto provare ogni strada possibile prima di rinunciare.
Cogliamo l'occasione per porgere distinti saluti.
(Il dopo-Barbi non è ancora cominciato…).
Rieti, “centro d’Italia”, si propone come centro di maratona
Rieti, geograficamente situata a metà dell’Italia sia come longitudine sia come latitudine, si appresta a ridiventare il centro delle maratone di inizio estate.
Il 9 giugno, alle 9 di mattina, prenderà il via dalla zona Vazia (Via F. M. Malfatti, a 455 metri di altitudine) la 4^ Maratona e Mezza maratona del Terminillo Plus, aperta agli iscritti Fidal ed Eps, che dopo 4 km di tracciato ondulato affronteranno 14 km di salita (parzialmente sterrata) fino ai 1620 del Terminillo; seguiranno 6 km ondulati e poi la discesa in senso inverso. La mezza maratona invertirà la direzione a Pian de Rosce, dopo 7 km di salita.
La quota iscrizione è fissata in 35 e 25 euro, rispettivamente; ci si potrà iscrivere anche la mattina della gara con un supplemento di 5 €. Il pacco gara è garantito ai primi 200 iscritti.
Siti utili: www.runnersrieti.it www.dreamrunners.it www.icron.it
Recapito telefonico dell’organizzatore Felice Petroni: 3280825088.
Appena il tempo di riposarsi, e dopo due settimane scattano, dal 21 Giugno al 2 Luglio, le 12 MARATONE in 12 GIORNI, su 12 percorsi diversi (disponibili anche su chilometraggi minori, detti Lunghissimi, Medi e Family Run).
Nel capoluogo si svolgeranno 6 gare, ma si inizierà con le prime 3 tappe (21-22-23 Giugno) a Piedicolle, frazione di Rivodutri, celebre per le Sorgenti di S. Susanna. Le tre tappe restanti saranno in comune di Contigliano (dove si trova il Santuario di Greccio)
Le iscrizioni alle gare si chiuderanno il 20 giugno: l’iscrizione a tutte le 12 maratone costa 300 euro (mentre le gare singole costeranno fra i 30 e i 35 euro); per le gare più brevi oscilla tra i 120 / 150 e i 250 euro.
Per entrare in classifica occorrerà aver completato almeno 6 gare del circuito scelto. Saranno premiati i primi 3 di ciascuna delle 10 categorie maschili e 8 femminili previste.
L’organizzazione offre anche pacchetti “Sport-vacanza in provincia di Rieti”, da prenotare entro il 10 Giugno, con prezzi che per il pernottamento e prima colazione si aggirano sui 25/35 euro a notte.
Passatore: “troppo” più che una corsa normale
25 maggio - 3410 iscritti, 2668 arrivati: tornavo al Passatore dopo 14 anni (dichiaratamente per l’ultima volta come atleta: è bene chiudere da sé certi files prima che provveda madre Natura, e finché i nipotini guarderanno al nonno come a una persona da amare, non un fanatico da baraccone). Nel 2005 eravamo partiti in 1300 e arrivammo in 808: dunque il Passatore è triplicato, quasi esclusivamente per il tributo che gli concedono gli italiani (oltre il 95% degli iscritti), da tutto lo Stivale (frequentissimi in corsa gli accenti romaneschi, napoletani e veneti, oltre ai due ‘di casa’ tosco-romagnoli).
Arrivando in stazione di Firenze verso le 11,30, e poco dopo salendo sul bellissimo nuovo tram per le Cascine, la gente in tuta e scarpette era se non la maggioranza, quasi. I primi che incontro (vedere le foto 1 e 2 del servizio che l’insostituibile Mandelli ha assemblato e continuamente ritoccato) sono Marina Mocellin, una ultramaratoneta bolognese adottiva che invecchiando va sempre più forte e ha da poco finito i 125 km della Via degli Dei; e Armando Rigolli, motore della Abbotts Way, e che pubblicizza la sua maratona-trail di Ferragosto (“ma guarda che non è mica uno scherzo, sono 2000 D+”).
Poi, nell’ottima sistemazione logistica delle Cascine, dove la fila di 200 metri per il ritiro pettorale (foto 3-4) è sbrigata in una ventina di minuti, appaiono uno dopo l’altro i supermaratoneti, dal presidente Paolo Gino alla first lady Laura Failli (che sportivamente ce le suonerà a tutti, per un 14.23 finale: la vedete in azione alla foto 22, quando eravamo ancora insieme, e le proiezioni davano un finale di 13 ore cui ovviamente non credevamo); e ancora (foto 6-10) dal primatista assoluto Piero Ancora al bombardiere Gemma (“chi mi arriva davanti non tr**”), da Fernando Gambelli (26° Passatore) a Roberto Trinelli, a Leo Manfrini (nei cui paraggi mi ritrovai al Passatore 2002, e adesso ha giurato alla moglie che questo sarà il suo ultimo); c’è perfino Carla Gavazzeni appena guarita dalla frattura para-maratonica di Malta, nonché l’indiano Pandian, che sfoggia la maglietta delle 10 in 10 di Orta (foto 8), e solo dal mio stentato inglese apprende che può lasciare un cambio al passo della Colla.
E aveva spergiurato che non sarebbe più venuta, la siora Nadaìna Masiero, invece eccola qua: la sento dire al microfono che quando compirà 70 anni sarà più o meno il suo trentesimo (o quarantesimo?) Passatore; in gara correremo insieme qualche tratto (foto 15-18), ma da Borgo i suoi 40 chili (scarsi) avranno la prevalenza sui miei 76 abbondanti, e alla fine l’ordine d’arrivo la gratifica di un’ampia mezz’ora sul sottoscritto.
Intorno alle 14 ci mettiamo pian piano in movimento verso la partenza di piazza del Duomo, a piedi o col tram gratuito per gli iscritti (foto 11-12: ci sale anche uno dei 27 “Passo Capponi” tutti partiti e tutti arrivati, Andrea Apicella, che alla fine quasi mi raggiungerà); in pratica, occupiamo tutto la parte destra della piazza fino all’abside della chiesa, dove sono opportunamente collocate (già dentro il recinto) toilettes chimiche. Non ci hanno più voluto dalle parti di piazza della Repubblica, peccato per le Giubbe Rosse e ristoranti vicini, che non intascano i nostri eurini (ma se non volete che noi podisti lasciamo i rifiuti in giro, mettete dei cestini per i rifiuti: in piazza Duomo faccio fatica a trovarne uno!).
Temperatura tutto sommato gradevole, specie stando all’ombra; sappiamo che pioverà e molti partono già con l’impermeabile addosso. Partenza puntuale, sebbene chi sta in mezzo al gruppone come me aspetti 2 minuti e mezzo prima di passare sul rilevatore del chip (quando si introdurrà il real time come misura ufficiale?); e anche nel primo km dovremo spesso camminare o addirittura fermarci per la calca.
Il giro urbano è più bello di una volta: mi sembra di riconoscere piazza dell’Annunziata e piazza Savonarola, poi si sale a Fiesole; forse il chilometraggio è diminuito un poco, sebbene l’unico miracolo che non riuscirà agli organizzatori sarà quello di avvicinare Firenze a Faenza fino alla cifra tonda di 100 km. È vero che Google Maps indica un percorso pedonale di 99,9 km, ma si avrebbero se da Fiesole (oltretutto raggiunta senza giri viziosi) si prendesse la strada della Futa fino a San Piero a Sieve, donde poi a Borgo San Lorenzo e poi sempre sulla ex statale Faentina (magari, senza salire in cima a Ronta come invece ci tocca, vedi foto 48). Diversamente, col nostro percorso, i km sono 102; non cito il Gps che è approssimato e supera i 103, ma noto che i cartelli chilometrici della SP 302 sono sfalsati di 2 km fino alla Colla (cioè, per esempio, alla pietra miliare del km 38 corrisponde il km 40 ufficiale del Passatore), poi lo sfalsamento si riduce a un km (cioè il km 69 dell’Anas diventa “solo” 70 per i podisti), e negli ultimi dieci km, ogni nuova tabella è spostata qualche decina di metri in avanti, cioè ogni km diventa di 1050 o più, così da non superare in piazza del Popolo la cosiddetta “soglia psicologica” dei 100.
Miracoli impossibili a parte, l’organizzazione mi sembra migliorata: è vero che il divieto di accompagnamento in auto e di rifornimenti fuori settore è ampiamente trasgredito, e dal km 20 in poi respireremo sempre gas di scarico, col parossismo della Colla (si intravede dalla foto 49) dove sembra di essere sul Pordoi al passaggio del Giro d’Italia, o nei dintorni di viale Ceccarini la notte di Ferragosto; ma noto con piacere che si sta instaurando l’abitudine dell’accompagnamento in bici, non casual come una volta, ma con registrazione, numero di pettorale, ritratto dell’ “accompagnato”: foto 31-32). Le bici non fanno rumore e quando in discesa ti sfrecciano alle spalle ti danno qualche brivido, ma se non altro non inquinano e le loro lucine attenuano il buio della notte senza stelle (qualche volta ho l’impressione che molti ciclisti siano lì non tanto per seguire qualcuno, ma per farsi una biciclettata di 100 km in compagnia: capita di incontrare dieci ciclisti attorno a due podisti).
Mia moglie Daniela, che col Passatore ‘praticato’ ha smesso dopo raggiunta quota 10, vorrebbe tuffarsi nell’atmosfera rifacendo la strada in auto: le do appuntamento non prima del km 65 di Marradi, e solo in prossimità dei ristori (vedi foto da 55 a 59; mentre la foto 54 è della simpatica Ilaria Pozzi, che una settimana dopo la Nove Colli qui si limita a farci il tifo, spostandosi sulla sua auto dove fa bella mostra il regolamentare seggiolino per neonati, foto 36).
Altro mezzo di trasporto è quello che un figlioletto, forse di 4-5 anni, ha ‘scelto’ in compagnia del papà maratoneta: un comodo (per lui) baby-jogger, spinto con allegria nel piano (foto 25-27), con un po’ di fatica tra Borgo e la Colla, ma che poi, debitamente coperto per la pioggia che ha cominciato a cadere, mi sfreccia via dopo Casaglia, spinto da papà Marco Barbieri che lo condurrà a terminare sotto le 14 ore. Ancor più nature è la coppia che corre a piedi nudi (foto 19-24): di lui non leggo il pettorale, ma lei è una appariscente svedese, Sora Enge, che finirà in 16.45. Io che corro ‘ammortizzato’ (plantari sulle stesse scarpette che hanno assaporato l’acqua alta di Venezia), dalla seconda metà avrò una bella sfioppla sotto il piede destro (e l’unghione del sinistro che se ne va), più i quadricipiti delle cosce dalla consistenza del marmo. Che la via ‘giusta’ del podismo sia la loro?
Intanto, ai 920 metri della Colla di Casaglia (qualche km dopo un platonico e inutile, perché non controllato, cartello dei 42,195 m, che non dà ‘punti’ nemmeno al Club Supermarathon), un tendone iperaffollato (fonte delle poche proteste che sentirò durante l’intera giornata dagli atleti) conserva all’asciutto i nostri ricambi: il mio è proprio in fondo, prendo fiato una ventina di minuti sedendomi su un cartone di bottiglie. Quando esco, vi entra Sabrina Tricarico, decisamente infreddolita e un po’ meno pimpante del solito (finirà in 16 ore e mezzo, non lontano dalla Casalinga Disperata che corre in camuffa).
I ristori però sono un km sotto (direi che il primo sia ‘privato’, tant’è vero che ci trovo della birra e poco altro), poi in centro di Casaglia, dopo 5 km: dove finalmente appare il desideratissimo brodo, che da lì in avanti sarà il mio nutrimento principale. Ma per chi ha stomaco più tollerante, c’è di tutto come nella miglior tradizione, grosso modo ogni 4 km dalla partenza all’arrivo: panini e affettato, torte, uova sode (già tagliate a fettine: tenerle in mano è quasi impossibile!), limoni mele e banane, uvetta, acqua liscia e gassata, sali, tè, caffè, coca ecc.). Non trovo più quell’enorme ristoro allestito, un tempo, in un’area di servizio, già nella discesa; né per l’aria aleggia quell’odore di salsiccia grigliata di un tempo; in compenso direi che i ristori siano più frequenti, e omogenei, e insomma, quando dopo dieci ore cominci ad avere nausee, ogni volta puoi variare l’approvvigionamento senza danni.
Da Casaglia in poi, per noi che scolliniamo intorno alle 7 ore (un’ora in più del solito, per il sottoscritto… lasciamo perdere!), comincia una pioggerella che ad intermittenza ci accompagnerà fino a Marradi e poi, quasi impercettibile, al traguardo. Più o meno siamo quei 100 o 200 che si ritrovano (molti amici di Podisti.net degli anni antichi, scusa onorevole Cova se la mia memoria si arrugginisce), fanno insieme qualche mezzo chilometro, poi si salutano, ognuno a rincorrere i suoi guai; o i suoi cespugli per fare pipì.
Ecco il piccolo grande carpigiano Antonino Caponetto, il più anziano in gara coi suoi 88 anni, e un miglior tempo di 9.10: qui un dolore al polpaccio lo rallenta (finirà verso le 15.30), ma non gli toglie la lucidità, da cui proviene una parola di disapprovazione verso il collega podista il quale, inveendo contro un’auto che intralcia, prorompe in una bestemmia. Il vecchio prof di religione non può tollerarlo; e a me viene in mente quando mio figlio, giovanissimo calciatore di serie C, disse a un avversario che aveva sbagliato uno stop e bestemmiava: “che colpa ne ha Dio, se sei un giocatore di m*?”.
A Marradi sono in scia della più volte elogiata mamma Emilia Neviani, presidentessa della Guglia di Sassuolo e reduce dalla 50 di Romagna: inesorabilmente, se ne va via col compagno di squadra Marco Vitelli e alla fine (foto 62-63) infliggerà 18 minuti al mio orgoglioso solipsismo (mai fatta una ultra in compagnia se non nella prima parte dell’UTMB 2007, all’esordio; ricorso ai pacer solo una volta alla maratona di Lucca quando sballarono i tempi: peggio per me). A proposito di compagnia: il mio partner di tanti trail a coppie, quell’Ideo Fantini che mi aveva tallonato due giorni prima nella cronoscalata al Bianello, va via prudente e chiuderà in 16.42. Emilia invece ha fretta di tornare a Sassuolo per spodestare il sindaco-professionista ("nel segreto delle urne Dio ti vede, Stalin no"), ci riesce e così vince due volte.
A Brisighella, ultima crudele salitina ("In Italia ci sono più salite o discese?", mi chiedeva il babbo aspirante farmacista: "Più salite, perché c'è la Salitina MA"), di nuovo in compagnia con Caponetto (che a scortarlo ha la figlia, anche nel ruolo di massaggiatrice); rapido rencontre con Daniela, con l'arrivederci al traguardo. Il cielo si schiarisce, al gracidare delle rane nel corso alto del Lamone si sostituisce il cinguettare degli uccellini e il quaquà delle ochette. Le gambe, indipendentemente dal cervello, provano a spingere, e in quei rari momenti che tocchi gli 8:30 a km ti sembra di volare… Ai meno 3, dove una volta la signora Ariel (già ultraottantenne nei primi Duemila) offriva le sue ciliegie sotto spirito, ora c’è un altro tavolino privato (ma le ciliegie solo sotto… banco), cui ci si ferma per nostalgia.
Un collega che più tardi mi raggiunge (ormai so come è l’andazzo: supero chi cammina, ma chiunque corra va più forte di me) dice che dovremmo già essere all’ultimo km: gli modero l’entusiasmo, indicando il profilo dello striscione del meno 1, ancora avanti qualche centinaio di metri. Poi è la Piazza, un ‘falso’ traguardo cinquanta metri prima di quello vero, e finalmente l’apoteosi. Ci hanno tolto l’obbligo di salire sul palco a ricevere la medaglia (quest'anno, vagamente leonardesca); adesso è tutto rasoterra, compresa la consegna dei diplomi, dei piatti in ceramica per i pluripresenti, delle tre bottiglie di vino, un primo ristoro non abbondantissimo, che sarà poi duplicato nella palestra delle docce. Spola continua di pullmini, sovraccarichi (ma i vigili a quest’ora sono buoni), per la stazione e per il locale docce, a circa un km, molto confortevole e con acqua bella calda.
La logistica funziona egregiamente, c’è anche la spola avant-indré dei pullman dei ritirati (ne conto almeno 5 o 6), i nostri bagagli sono arrivati regolarmente: insomma, all’immortale Passatore c’è molto, anzi troppo di più delle cose che i podisti normali trovano nelle corse normali. C’è, insomma, la ‘perfetta letizia’ di cui parlava frate Francesco.
Cfr. http://www.podisti.net/index.php/in-evidenza/item/4056-xlvii-100-km-del-passatore.html
IX Cronoscalata al Bianello: +30%. Che altro aggiungere?
23 maggio - Al termine della gara, mentre in attesa delle premiazioni allo stand del ristoro si stappava la terza bottiglia di lambrusco e, ridotta ormai alla crosta una fettona di parmigiano, si affettava un bel salame tenero, il “signor Maxent” sponsor della manifestazione mi chiedeva se avrei parlato bene di questo evento.
Ho collegato la richiesta al commento che pochi giorni prima mi ero sentito fare da un organizzatore del Fornacione Trail, a cui il mio relativo articolo del 2018 (intitolato “Segnali di stanchezza”, ovvero, la constatazione che le coppie arrivate erano passate in pochi anni da 145 a 101 - quest’anno 86, + 38 individuali sul percorso corto, ma con la scusante del maltempo - ) non andava a genio, e mi ha in sostanza invitato a stare a casa, se la corsa non mi piaceva (ho obbedito, sebbene la corsa mi piaccia; ma se il termometro dice che hai la febbre, non è accusando l’ingiustizia del termometro che la febbre cala e gli iscritti aumentano).
Bè, non credo che a quelli di Bianello dispiaccia la mia opinione, che ogni anno mi spinge ad affrontare quasi 60 + 60 km per andare da loro, perfino quando ero ingessato, e perfino quest’anno che acciacchi e ‘prevenzione’ dovrebbero indurmi piuttosto a frequentare fisioterapisti. Ma al di là della mia opinione, conta il termometro, secondo il quale, rispetto ai 100 arrivati del 2018, quando mi sono presentato stavolta, con Ideo Fantini, alle iscrizioni del Bianello un’ora prima della partenza, si era già a quota 115, e alla fine si è arrivati a 139 (sebbene poi una decina non abbia preso il via). E in pratica, se il primo nella piazzetta a scendere i gradoni (novità di questa edizione) lo ha fatto alle 19.00, per l’ultima erano scoccate le 20,10, con arrivi ben oltre le otto e mezzo (per fortuna, c’era ancor un bel sole che illuminava questo stupendo angolo di collina reggiana).
Dunque, i fedelissimi ritornano (si è rivisto anche Morselli, quale speaker in bilocazione, prima alla partenza, poi al traguardo ma senza saio matildico, poi di nuovo alla partenza per le premiazioni), e si aggiungono nuovi adepti. Nell’attesa che venisse il mio turno di scattare dai gradoni, ho fatto un po’ da nonno (o da prozio, decidete voi) alle due splendide bambine di Giulia Botti, poi seconda arrivata (dietro l’eterna Morlini in partenza per Lugano): Erika di 4 anni e Greta di uno, ancora sul passeggino ma (assicura Erika) “delle volte la facciamo camminare fino al suo letto”). Mamma Giulia l’anno scorso non era al Bianello, per ragioni immaginabili; quest’anno si è presentata al penultimo momento (con due bimbe piccole c’è sempre qualche imprevisto), ha preso il via col pettorale 139 e ha risalito tutte le posizioni tranne una.
Il primo assoluto, cioè Andrea Bergianti, era già arrivato in cima da un pezzo, riconfermando la vittoria del 2018 anzi migliorandone il tempo di 14” (oggi 16:48 contro 17:02); arriva a 45” Yuri Cornali (16 anni più di lui), che a sua volta rifila altri 40” al terzo, Alessio Basili (due che nel 2018 non c’erano). Da qui cominciano distacchi minimali per le posizioni successive (dal quinto al decimo intercorrono 9 secondi).
Alla partenza di Giulia Botti era già arrivata anche la prima donna , la solita “prof” Morlini , che esibisce uno strano tesseramento Avis Castelnuovo Magra (come farà adesso Alex, l’addetto stampa di Atletica Reggio, a propagandare questo risultato?): Isabella comunque si migliora di 26 secondi, 18:52 contro il 19:18 dell’anno scorso. Mamma Botti arriva in 19:33, precedendo a sua volta di 1’15” la terza, Elisa Fontana Carani (quarta nel 2018), scambiatasi di posto con Eleonora Turrini, terza l’anno scorso e ai piedi del podio (come dicono quelli che sanno scrivere, anche se il podio oggi non c’era proprio) questa volta.
Va ripetuto che la distanza effettiva non sono 4100 (come si ripete sempre il volantino) ma 3850 m, cioè 300 in più delle prime edizioni, quando si entrava direttamente nel castello senza percorrerne il prato sotto le mura; il dislivello resta più o meno di 200 metri, inclusi i 70 che ci fanno scendere tra il km 1,3 e il 2,7 e poi risalire nell’ultimo km, quando finalmente raggiungiamo i 273 metri del castello dopo essere partiti a quota 152.
Alla prova era annessa anche una non competitiva, abbastanza snobbata quanto a partenza di gruppo, che sarebbe stata mezz’ora prima dei ‘cronometrati’: ma quelli col pettorale da 2 euro se ne sono andati su quando gli è parso, in genere con lo scopo di raggiungere la vetta prima che ci arrivasse il proprio partner agonista; uno però ha aspettato la Cecilia all’uscita dalla piazza ed è salito insieme a lei… Poi li ho trovati, loro già in discesa, mentre salivo l’ultimo km agli 8:18, a farmi coraggio dicendo che in quel tratto loro avevano camminato. La classifica ufficiale vede mamma Cecilia terzultima in 35:23, quattro minuti dietro la sorella Margherita; ma l’onore di famiglia è salvato dal figlio di Cecilia nonché di Italo, Gianluca Spina, 34° assoluto in 20:32.
Quanto alle guerre sportive tra quelli del nostro livello (non “tra poveri”, come direbbe ancora un cronista sapiente: perché noi ci sentiamo ricchi, non dei prosciuttini cui non aspiriamo, ma dei due secondi limati al tempo precedente o al vicino di casa), con sorpresa mia, e anche di Christian Mainini che l’aveva fatto partire 30” dietro me “così ti raggiunge”, Ideo Fantini è più prudente di me e perde altri 25 secondi; Gelo Giaroli (che non sapevo fosse della Pro Patria Milano) addirittura un minutino.
Poi c’è qualche piccolo mistero, ma non faremo reclamo per dirimerlo: ad esempio Lucio Casali, il pellegrino di Compostela, che è partito prima di me e io non ho mai sorpassato, come mai mi arriva dietro? Non sarà che si sia appartato nel bosco a …? Oltre a lui, vengono da Formigine (almeno come tesseramento) i due ultimi classificati maschi, il maestro cioccolataio Luigi Bandieri, classe 1937, e la mente della Lega atletica modenese, Maurizio Pivetti. Li ha superati l’altro veterano pluricitato su queste pagine, Giuseppe Cuoghi dalla Cavazzona, appena tornato dal giro a tappe dell’Elba. Posdomani poi, dice Ideo, impareremo chi ha giudiziosamente conservato le sue energie o chi le ha buttate per sfuggire la gogna del Bianello.
Pr confronto, il pezzo del 2018
Ormai il numero cento sembra essere una caratteristica del podismo reggiano serale di collina: eravamo cento coppie a Jano cinque giorni prima, e di nuovo cento singoli (non dirò gli stessi) a Quattro Castella, nome falso-antico al posto di denominazioni locali meno risonanti. Anche il castello di Bianello (l’unico oggi esistente dei quattro di cui si favoleggia) si chiamava “Bibbianello”, rendendo così più evidente la sua parentela con Bibbiano (come, qualche chilometro prima, si trovano Rubbianino e Ghiardello, tutti diminutivi degli agglomerato originari). Comunque, secondo gli storici, non fu a Canossa, ma proprio a Bibbianello che la duchessa Matilde radunò il papa e l’imperatore per la mitica riconciliazione; mentre secondo i folcloristi, nel castello si aggira ancora un fantasma.
Tradotto in termini podistici, il fantasma odierno di Bianello era Stefano Morselli, già tradizionale microfonista in costume al traguardo, e ora costretto nella Bassa da altri doveri meno piacevoli ma più necessari. Riguardando vecchie foto, rivedo Morselli in piena funzione nell’edizione del 2015, dove io venni con un braccio al collo (trasportato sull’auto degli immancabili Cuoghi e Giaroli, siccome non potevo guidare) e poi, tolta la valva gessata e indossato il tutore, mi buttai io pure su quelle rampe badando soprattutto a non rompermi anche l’altro braccio.
La gara da otto anni sostituisce (con altri organizzatori) la cronoscalata delle Tre Croci di Scandiano, su una lunghezza ufficialmente identica di 4100 metri, abbandonata da alcuni anni; a garantire la continuità e la “certezza della pena” è il solito staff dei giudici Uisp, da Mainini junior ai fratelli Iotti (mentre i cugini Giaroli corrono, almeno in parte); e ci aggiungo la signora Flora che provvede a gestire la palestra con docce e custodia borse. Rispetto a Scandiano, qui il percorso è più vario, per quasi due km su sentiero nel bosco, che ti riconcilia con la vita dopo un primo tratto di 650 metri nei quali l’asfalto ti aveva indotto a spingere per ritrovarti sfiatato e pieno di pensieri su “chi me l’ha fatto fare?” alla svolta boschiva a destra, dove forse la metà di noi (la seconda metà, ovviamente) è costretta a camminare sui primi tornanti sterrati. Poi il sentiero spiana e anzi discende leggermente, tra chiazze di fango: i circa 200 metri misurati di salita corrispondono ai circa 120 metri di dislivello tra il municipio di Quattro Castella e il Bianello, più la discesa intermedia di una settantina di metri, infine l’ultima erta micidiale, tra le foto di Nerino al rientro sulla stradina e quelle di Italo al sommo della scalinata, dopo che abbiamo superato un tratto di prato, in salita-discesa appena dentro le mura del castello, che non ricordavo, e infatti prolunga la lunghezza effettiva del tracciato dai 3,550 che il mio Gps misurò tre anni fa ai 3,850 di stavolta.
Qui noi partiti nelle retrovie profonde (e do atto all’organizzazione di aver accettato iscrizioni fino all’ultimo minuto, senza nemmeno l’odioso sovrapprezzo che a molti piace imporre per i ritardatari) incrociamo quelli già arrivati, che stanno discendendo a piedi verso la partenza, la consegna del premio di partecipazione (mezz’ora prima di noi c’era stata anche una non competitiva), il ristoro finale dove appaiono due varietà di ottimo lambrusco reggiano, le classifiche esposte con velocità prodigiosa e le premiazioni.
Noi peones guardiamo veramente dal basso in alto i primi tre che ci hanno messo meno di 18 minuti, incluso Gian Matteo Reverberi che vent’anni fa scalzò Morselli dal trono dei retrorunner; e la prof Morlini che, dovendo risparmiarsi per un chilometro verticale in Svizzera fra due giorni, impiega 19:18 arrivando comunque 14° assoluta.
Ci restano i confronti curiosi tra non-piazzati: mi accorgo di essere immediatamente dietro a una ragazza Fabia da Rubiera (faremmo una squadra equilibrata per un eventuale trail a coppie…), e un minutino dietro pure al mio già-compagno di squadra alla Abbotts, Maurizio Pivetti. Gelo Giaroli invece deve arrendersi, peraltro evitando largamente la “gogna”, scherzosamente ma ingiustamente riservata all’ultimo. Cui invece io darei un premio uguale che per i primi, tanto più che oggi se lo aggiudicherebbe una mia antica e affettuosa scolara di quando l’università era una cosa seria e formava insegnanti di alto livello, che rispettavano e si facevano rispettare.
Abbiamo vissuto, abbiamo dato, ci siamo ancora e non abbiamo perso la fede nel podismo: chissà se il nostro sport vivrà ancora, e fra trent’anni la prof “Matilde” Morlini potrà incoronare al Bianello una propria allieva.
Sassuolo (MO), 6° Saxo Oleum Run – Coursa ed Sasol
12 maggio - Quinta delle dieci prove del 7° campionato modenese di podismo, e seconda tra le cinque maratonine dello stesso Grand Prix, in una giornata piovosa che ha visto l’annullamento di due trail nel raggio di una quarantina di km, la Saxo Oleum Run ha portato al traguardo 213 agonisti (di cui 43 donne), più altri non competitivi che potevano scegliere anche i tracciati più corti di 4 e 11,5 km. È un buon risultato per il gruppo podistico della Guglia presieduto da Emilia Neviani (una reduce dalla 50 di Romagna), che lungo un tracciato tra i più belli della provincia, reso paludoso e pantanoso nei 4-5 km su sterrato, oltre che allagato nei primi e ultimi 2 km (vedere foto 234-235 di Domenico Petti), ha garantito le massime condizioni di sicurezza e – se si può dire così – di comfort per quanti si sono cimentati alla faccia del meteo.
Sui 21,1 km (sostanzialmente confermati dal Gps) ha vinto il quarantatreenne Marco Rocchi della MDS con 1.21:52, una quarantina di secondi davanti all’altro sassolese della Guglia, il quasi coetaneo Claudio Costi, il quale a sua volta ha preceduto di pochi metri il quarantottenne Massimo Sargenti del 3.30: tutti della categoria B, over-40, che ha radunato il maggior numero di partecipanti, 66. Quinto assoluto, e primo degli under-40, Fabio Vandelli della Formiginese; mentre il primo dei 58 over-50, e nono assoluto, è stato il “sindaco” di Spilamberto Luca Gozzoli (1.28:44), appena una trentina di secondi meglio dell’altro “gugliante” Rinaldo Venturelli. Un po’ più indietro si deve scendere per vedere il primo over-60, e non è sorprendente trovarci il 68enne Romano Pierli, 1.38:36, sette minuti davanti al suo più vicino rivale di categoria, oltretutto più ‘giovane’ di 7 anni.
Tra le donne, prima (e 21^ assoluta) la ‘montanara’ Manuela Marcolini, appena sopra l’1.32, tre abbondanti minuti meglio di Bethany Thompson, che ha regolato la terza, Elena Neri, di 2 minuti. La Neri ha prevalso tra le over-40 (la categoria femminile più numerosa, oltre la metà dell’intero lotto), mentre le over-50 sono state regolate da Roberta Mantovi, coetanea del “sindaco” sopra citato. La mancanza di maratone in questa giornata, e la soppressione dei trail, ha convogliato qui vari amici/rivali delle 42, da padre e figlio Malavasi alla Happy Family Bacchi/Mascia, fino a Cecilia Gandolfi che alla fine mi ha praticamente raggiunto, e ha consentito al marito Italo di spendere le ultime foto per noi alle soglie del tempo massimo, sotto la pioggia che aumentava e aveva già suggerito la partenza a Petti. Peccato non avergli chiesto di fotografare le mie scarpe Joma, sì e no 200 km all’attivo, mai una maratona, e che hanno letteralmente perso il rivestimento del tacco (Lupe Lupe, meas liras redde…, diceva Augusto imperatore che non era quello dei Nomadi).
Percorso davvero bello, e sorprendente per chi non fosse mai salito a monte di una città decisamente ‘sfortunata’ come Sassuolo (il nome dialettale “Sasòl”, che tuttavia rimane nell’intestazione della “Coursa”, è stato abolito dall’amministrazione comunale di oggi, che come suo primo atto dopo aver riconquistato il potere fece appunto togliere le targhe stradali bilingui). A un primo tratto di 7 km lungo la ciclopedonale destra del Secchia seguivano 6 km di salite verso la rupe del Pescale (e qui a quelli della mia caratura non era permesso altro che camminare ai 10 min/km, lungo una scalinata a fondo naturale); e poi, dopo il passaggio da una ceramica decorata da scritte sentenziose (tra cui quella celebre tra i podisti, che al mattino nel deserto, che tu sia leone o gazzella, devi comunque correre) un’altra salita verso il Monte Scisso e il piccolo abitato del km 13/14, prima di ridiscendere a San Michele dei Mucchietti e di nuovo alla ciclabile del Secchia per gli ultimi 4 km a ritroso verso il traguardo.
Grande spiegamento di forze organizzative (quando vedo uno come Aligi Vandelli ai lati con la bandierina, mi chiedo perché sono io a correre e lui no: ma non mancheranno occasioni per sorpassarmi, come sempre, al km 32); quattro ristori ben forniti, oltre a quello finale; moltissimi segnalatori e molti ‘consiglieri’ sulla via migliore da seguire per schivare i pericoli del tracciato; traffico ottimamente controllato negli attraversamenti delle strade; giro di pista finale e, per chi lo voleva, salutare tuffo nelle due docce disponibili, in due edifici poco distanti tra loro, con acqua letteralmente ustionante. Venga pur giù tutto il diluvio che vuole, ma la gente non pantofolaia non si lascia impressionare e si diverte ugualmente.
Marina di Campo (LI), 4^ Maratona dell’Isola d’Elba: e l’acqua?
5 maggio - Alla fine, mentre quasi tutta Italia era sommersa dal maltempo, con l’eccidio o il suicidio di parecchie gare, nell’isola napoleonica l’unica acqua che si è vista, alla faccia delle previsioni meteo, è stata l’”Acqua dell’Elba”: la linea di profumi, creme e molto altro (tessuti e biciclette comprese) che ha sponsorizzato la manifestazione animandola colla presenza e il brio di Silvia, ferrarese/romagnola trasferitasi qui da un ventennio, laureata in Lettere che sa vendere case e – appunto – prodotti elbani.
Premio meritato, il bel tempo e l’egregia riuscita dell’insieme, per il gruppo raccoltosi intorno a Damiano Di Cicco, persona che (mi diceva un negoziante locale) fa moltissimo per la sua isola, e al quart’anno di allestimento della maratona ha radunato oltre 700 agonisti più un numero difficilmente precisabile di non competitivi (che alla fine hanno però tutti ricevuto la medaglia). Restando ai dati dei finisher delle tre gare (42, 21, 10 competitiva) siamo a quota 705 contro i 624 dell’anno passato; eppure sono convinto che le fosche profezie dei meteo-astrologi (che da almeno una settimana avevano indicato per l’Elba un fine settimana come non si era mai visto a maggio) abbiano tenuto lontani molti indecisi, spaventati anche dalla possibilità di un mare molto mosso che avrebbe potuto bloccare i traghetti.
Confesso come anch’io, che alle previsioni oltre le 48 ore non credo e dunque non le guardo, ma purtroppo sono costretto a sorbirmele nei tg (propinate prevalentemente da bamboline sexy o maschietti con mossette gaye), dopo essermi registrato e aver fatto tutte le prenotazioni, il venerdì abbia più volte controllato email e whatsapp nel timore di ricevere l’avviso di annullamento, come è capitato a tanti altri colleghi, anche a iscritti ad innocue corse su strada. Già mi era successo a Malta due mesi fa (e lì avevano tutte le ragioni), chissà se questo è un anno-no in cui dedicarsi alle palestre.
Invece, Damiano, Silvia e gli altri non hanno mai pensato ad arrendersi senza combattere; e il bel sole che ci ha accolto sabato al ritrovo in piazza del Comune, poi lo stellato della notte, sono stati la prima ricompensa per chi aveva offerto e per chi aveva nutrito fiducia. Anche il risveglio della domenica ci ha letteralmente rasserenato, e pure gli astrologi avevano fatto retromarcia (ovviamente senza dire “ci siamo sbagliati”), indicando maltempo solo nel pomeriggio. Faceva freschino, ma neanche tanto; la scelta del sottoscritto è stata per pantaloncini cortissimi, calze lunghe contentive (sebbene non raccomandate da Lorenzini, per accontentare il quale calzavo comunque le scarpe della sua fornitura speciale), maglietta leggera ma a maniche lunghe sotto, e canottierina traforata Podnet sopra. Per precauzione, marsupietto contenente impermeabile smanicato e berretto. Quest’ultimo mi sarà utile dopo il km 25, ma per difendermi dal sole che picchiava attraversando l’esile barriera dei capelli improvvidamente accorciati la vigilia.
Si parte all’ora prevista, sotto un vento leggero che soffierà contro nell’andata e a favore nel ritorno; il percorso deve essere collaudato perché sull’asfalto compaiono segnalazioni chilometriche sbiadite e sfalsate di poche decine di metri, evidentemente degli anni passati. Alla fine (udite udite) il mio Gps darà circa 500 metri in meno della distanza canonica (e 380 metri di saliscendi): attribuisco questo guadagno in gran parte alla possibilità di tagliare tutte le numerosissime curve, stante l’assenza di traffico assoluta almeno fino al km 28 (poi, forse, ho visto un’auto a km, notando peraltro un grosso blocco stradale messo su dagli organizzatori e dai vigili quando dalla litoranea siamo tornati nell’area urbana di Marina di Campo, verso il km 32).
Dire che il percorso sia bello, è pleonastico per chi conosce l’Elba; facendo paragoni con maratone, direi che somiglia (ma in meglio) alla 42 della Gran Canaria, anche per la compresenza di quelli della mezza maratona che fanno il giro di boa quando siamo verso il km 13, e si risparmiano le due grosse salite di Pomonte ai nostri km 17 e 25, dai 10 ai 90 metri slm in un paio di km circa ciascuna. Altra somiglianza ‘estetica’ si può trovare nella Nizza-Cannes, dove però l’organizzazione è più spocchiosa - in perfetto stile francese - e offre meno a chi corre, soprattutto all’arrivo. E va detto che gli elbani non si limitavano a offrire pettorale e pacco gara, ma avevano studiato pacchetti comprensivi di viaggio e/o alloggio, sconti sui traghetti e nei ristoranti, ecc.
Abbiamo corso quasi tutto il lato sud e una parte del lato ovest dell’isola, su coste dirupate che lasciavano spazio a spiaggette incantevoli come Cavoli o Fetovaia, e con la visione costante di Montecristo, Pianosa e della Corsica. Certo, chi non c’era mai stato ha un po’ sofferto nella salita di Pomonte (fatta per fortuna solo nell’andata), ma d’altra parte con un nome così non potevi aspettare altro: e l’occhio si ripagava con panorami tra i più belli del giro. Poi, noi scarsi cominciavamo a incrociare i primi, che tornavano indietro dopo il passaggio da Chiessi al km 22 (io ne conto 60 fino a che non ci deviano su a Pomonte; tornato sulla retta via, ne conterò una quindicina che arrancano, loro ancora nella prima metà).
Il primo, Carmine Buccilli già vincitore l’anno scorso, aveva un vantaggio che a occhio appare superiore a un paio di km già a due terzi di gara, e infatti vincerà con 24 minuti sul secondo, Antonio Bucci. Il tempo del vincitore, 2.22:49 (tempi Tds, solo lordi perché mancava il rilevamento alla partenza, o non è stato comunicato), migliora di quasi 5 minuti il crono ottenuto dallo stesso Buccilli nel 2018. Terzo si conferma Matteo Rigamonti, il quarto è Roberto Fani che fu quinto nel 2018.
Intorno alla ventesima posizione vedo passare un maratoneta scalzo, peccato non riconoscerlo ma provvederà Silvia a farne il nome: Francesco Arone, finisce 24° in 3.21. Penso a chi eccepisce sugli aiutini artificiali che riceverà Kipchoge, reclamando il ritorno alla natura, ma senza riflettere sull’aiutone che ci danno le scarpe ultrammortizzate da aria o gel o kevlar o molle o altre diavolerie (il famoso uomo preistorico born-to-run correva scalzo, come ancora Bikila nel 1990!).
Grosso modo trentesima assoluta, arriva anche la prima donna, accompagnata lungo la strada da un ciclista (vedi foto di copertina): è Lorena Piastra, che andrà a vincere in 3.25, due minuti più del suo successo 2018, ma con un margine ‘umano’ sulla seconda, Anna Vimercati compagna di squadra di Mandelli (a due minuti e mezzo; la terza chiuderà a cinque minuti).
Alla fine saranno 174 i classificati entro le 5h30 (ma nel mio ritorno vedo altri podisti dietro la vettura-scopa); non può mancare Mario Ferri, maratoneta pratese e giramondo, che ha smesso di dare i numeri quando ha raggiunto quota 500, ma che fa la spola tra Canarie, Tailandia ecc., con l’obiettivo di correre almeno una maratona in ogni stato del mondo. Fa il pacer delle 5 ore con altri due, decisamente sovradimensionati rispetto al fabbisogno, e che infatti, trovandosi senza nessuno al seguito (come accade anche ad altri colleghi con palloncino), decidono di accelerare finendo in 4.58, mentre Mario solo soletto fa 5.03.
Come minimo orgoglio personale, dirò che nella seconda metà sono tallonato da un Gianni, podista locale come intuisco dal tifo che gli spettatori fanno per lui dopo gli applausi di circostanza (e comunque immeritati) per me; e quando intorno al km 35 mi affianca e supera, nel rientro a Marina, me ne faccio una ragione (è di qua, conosce il percorso, è più giovane ecc.). Vado avanti ai 6:45 / 7 a km, mentre l’amico ogni tanto si mette a camminare. Al 38, nell’avant-indree finale col supplizio di Tantalo del traguardo a pochi metri in linea d’aria ma ancora distante, lo riprendo, e alla fine gli darò un minutino; lo scherzetto non mi riesce con la ragazza che mi precede, una Maria Cristina che ogni tanto passeggia pure lei, ma conserverà un 150 metri di margine.
Per dare un po' di soddisfazione agli astrologi, dirò che proprio durante queste scaramucce tra dilettanti, verso le 5 ore dal via, comincia a cadere qualche goccia di pioggia, ma è una sciocchezza che dopo neanche mezz’ora finisce (ben altra condizione troveremo in serata traversando l’Appennino): a rimetterci sarà il ‘nostro’ pasta-party, che sbaracca in fretta. Vabbè, avevamo usufruito di un happy hour il sabato pomeriggio, e durante la gara i ristori, grosso modo ogni 4 km, erano ben forniti... a parte la mancanza di tè caldo.
Sempre verso la quinta ora salgono sul palco (non parlerò di gradini del podio perché non ci sono) i vincitori delle varie corse: i 10 km si sono risolti in uno sprint tra Juri Picchi e Daniele Conte (33:06, 33:08; gli altri a più di due minuti). Tra le donne, la 51enne Gloria Marconi, come Buccilli 'testimonial' dell'evento, si impone in 38:10, oltre un minuto sulla quarantenne dal volto di ragazzina Laura Ricci (scortata in partenza da papà Dino, che però non vedo in classifica: come dicevano un tempo i politici, mutuando dalla missilistica, una volta esaurita la sua spinta propulsiva si è lasciato andare); mentre la terza finirà a oltre 4 minuti. 104 gli arrivati, quasi ugualmente distribuiti tra uomini e donne, e 29 in più dell’anno scorso.
Nella 21 km, esultanza del nutrito gruppo reggiano, o per essere precisi scandianese, per la vittoria del giovane compatriota Salvatore Franzese, già vincitore ‘morale’ della recente maratonina di Reggio, che chiude in 1.09:38, 34 secondi meglio del marchigiano Antonello Landi; anche qui, staccatissimo il terzo, a oltre 7 minuti. Molto più tranquilla la gara femminile, regolata dalla ciociara D’Orsi in quasi 1.34, oltre due minuti su Laura Scappini. Gli arrivati sono 427, con 144 donne: giusto 60 in più del 2018.
Detto dei primi della 42, chiudo citando lo scandianese Salvatore Costantino, al suo esordio in maratona e capace di 4.40 (ammetto di averlo ‘frenato’ con le mie chiacchiere nei primi 15 km): proprio nei giorni in cui la sua società annuncia la soppressione della maratona a circuito, quella in cui Govi faceva sempre il suo record… (Almeno, resta il Furnasoun notturno).
Mario Ferri aveva tenuto una bottiglia di spumante nella sua reggia sopra Procchio: chi c’è ne approfitta, il resto va in beneficenza come nelle consuetudini del generoso Mitsubishi-man. Il “Corriere elbano” lamenta lo scippo dei “Giochi delle isole” (o meglio, “giochi delle sòle”), che vanno in Corsica, accusando gli amministratori di aver firmato un accordo senza conoscere il francese: e ospita la lettera di un ex pilota di rally che lamenta il mancato sviluppo dell’aeroporto, ciò che costringe i turisti alla dipendenza dai traghetti… o a preferire Fuerteventura.
Appunto, il nostro traghetto prenotato non si presenta in porto: meno male che ci ‘riproteggono’ su un’altra nave, più piccola ma sufficiente. In Italia, dal meteo ai trasporti, è bene non fidarsi mai di nessuno.