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Sabato 20 febbraio. A Tizi Ouzou, 100 km a est della capitale Algeri, va in scena il Campionato nazionale di cross. Nella gara senior femminile di 10 km c’è anche l’italiana Anna Medeossi che si classifica 11^ a 8’ circa dalla vincitrice.

Avevamo già parlato lo scorso anno di questa atleta che vive in Algeria dal 2017 e che pratica la corsa come occasione di amicizia e dialogo. Anna è originaria della provincia di Gorizia, è una consacrata e vive ad Orano, la seconda città dell’Algeria dove lavora nella Caritas Algeria. Nel 2020 si era classificata prima nella sua categoria alla gara valida per il Campionato nazionale algerino di mezza maratona.

https://www.podisti.net/index.php/cronache/item/5918-campionato-di-mezza-maratona-in-algeria-sul-podio-un-italiana-consacrata.html

Quella di sabato è stata una manifestazione di cross (“37mo Cross Country International Cherdioui Said”) e Anna ha partecipato schierandosi sulla linea di partenza con atlete di livello nazionale, alcune delle quali conoscenti e amiche. “E’ stata una bella gara. Ero la più anziana tra le partecipanti!”, dice al termine della prova. E risponde alle nostre domande.

Anna, vivi in Algeria da alcuni anni, Sei una podista di livello e gareggi in gare nazionali con atlete algerine. E’ possibile un’amicizia islamo-cristiana?

Credo di sì. Un’amicizia islamo-cristiana è possibile oggi anzitutto perché un’amicizia è una relazione profonda ed è sempre possibile tra due persone. Un’amicizia è un amicizia, prima ancora  delle religioni. Una relazione di stima, rispetto e anche di curiosità reciproca. Una relazione di lealtà, forte. Questa amicizia è la vita della chiesa cattolica qui in Algeria, perché queste relazioni ci premettono un inserimento nel tessuto sociale che è difficile, per la mentalità diffusa sempre abbastanza diffidente.

Il valore dello sport per costruire relazioni di amicizia. Ci dici qualcosa in più sulla pratica sportiva in questo Paese?

I tempi cambiano e penso che sia un bel segno che l’Algeria, dopo gli anni ’90, provi a trovare una vita normale che preveda anche il tempo libero e lo sport. Lo sport è un ambiente privilegiato per costruire amicizie. Lo sport è ancora un ambiente un po’ di nicchia, un luogo in cui si vive la possibilità di allenarsi insieme uomini e donne, cosa che non succede in altri ambiti della vita. E’ una possibilità di incontrare le persone in maniera semplice: molti mi pongono tante domande sul mio modo di essere. Mi sento accettata e questo fa avanzare le relazioni. Ogni venerdì facciamo anche delle escursioni: pensate che in Algeria non si gira da soli, non si va da soli in campagna… Dopo gli anni ’90 è rimasta la paura di viaggiare da soli. Le uscite sono possibili solamente in gruppo. Ogni venerdì, ormai è un rituale, ci sono escursioni di una giornata nelle zona di Orano. Si esce in una trentina di persone con il bus o anche con le macchine. Sono uscite organizzate: si canta, si gioca insieme: è una maniera di costruire amicizie e vivere dei momenti belli e ‘normali’.

 

 
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30 gennaio - Splendido primo posto nella categoria M60 per padre Sante Ronchi al Chilometro verticale dello Zumbadortrail in Venezuela. La seconda edizione di questa gara, 5 km con 1000 metri di dislivello positivo, si è corsa con partenza ai 1680 metri s.l.m. di Sinaral (Los Laureles) e arrivo a 2680 metri nel paramo di Zumbador, un'area montana dislocata al confine tra Venezuela e Colombia.

Sante è un missionario Oblato di Maria Immacolata, originario delle dolomiti bellunesi. La sua storia è raccontata nel libro 'Preti (sempre) di corsa' pubblicato a maggio dello scorso anno. Per completare questa gara ha impiegato 1 ora e 7 minuti e già pensa alla prossima: “Vorrei partecipare alla gara che organizzano qui il 13 marzo, 29km. E’ dall'altro lato della valle, non so ancora quanta salita è prevista“.

 Il paramo è un altopiano, un ecosistema montano situato ad altitudini superiori ai 2000 metri. E’ caratterizzato da una forte escursione termica tra il giorno e la notte. Il paramo dello Zumbador, dove si svolge questo trail, si trova a San Cristobal, nello stato venezuelano del Tachirà ad una cinquantina di km dal confine con la Colombia. Anticamente il territorio era attraversato dall’unica via di comunicazione tra i due stati. Attualmente si presenta come zona turistica con una flora e una fauna incontaminata, anche a motivo dei pochi insediamenti urbani. Vengono coltivati ortaggi, fiori e piante che a quote più basse non hanno scampo per le altre temperature e l’umidità.

Allo Zumbador si organizzano anche altre gare sulle distanze della mezza maratona (1500D+), della maratona (2480D+) e dell’ultra di 84km (5380D+). Per chi volesse partecipare le date sono 28 e 29 maggio 2021 per la 42km e la 84 km, 4 dicembre 2021 per la 21km.

La possibilità di dialogare con padre Ronchi ci permette anche di conoscere la situazione attuale del Venezuela, da anni difficilissima a livello economico e sociale. “Il punto centrale è che non si vede come possa cambiare in meglio la situazione- - dice - Sembra che tutto sia fermo (o al massimo stia scivolando verso il basso). Alcuni giorni fa è entrata in funzione la nuova Assemblea legislativa: l’opposizione non ha partecipato, vista l’inutilità, giacché si sa in anticipo chi vince. Si dice che vogliono passare ad una struttura di tipo comunale, in sostanza aumentare il controllo sulla popolazione, come se già non fosse sufficiente lo stato attuale”.

A livello economico la novità più rilevante è l’arrivo di altre monete come il dollaro, il peso colombiano e l’euro. “La moneta locale praticamente non esiste più. - racconta Sante - Si parla di togliere altri 5 o 6 zeri. Per anni il presidente Maduro ha tuonato contro il ‘dollaro criminale’: ora dice che è una fortuna che ci sia il dollaro. Ma il dollaro e i pesos non sono per tutti. Qualche dollaro lo riceve chi ha familiari all'estero, molti sopravvivono con queste entrate: sono più di cinque milioni i venezuelani espatriati. Qui tutti cercano di aprire un negozietto, o allestiscono un banchetto per strada, per avere qualche entrata, giacché lo stipendio mensile ufficiale è attorno a 1 dollaro. E la merce non costa poco, dato che la maggior parte deve arrivare dall'estero”.

Chiedo a padre Sante di condividere con podisti.net anche la situazione della pandemia da Covid19 in Venezuela. “Le cifre ufficiali fanno un po’ sorridere: si parla di 3 o 4 morti al giorno, ma solo qui nella nostra zona sono molti di più. Non si fanno tamponi e la gente si cura a casa come può. Tutti hanno il timore di andare in ospedale, perché il più delle volte da lì si esce defunti… La soluzione del governo per combattere il virus è di fare una settimana libera e una no. Praticamente per strada non si nota alcuna differenza”.

E per le attività pastorali nelle chiese come vi regolate? “Le autorità ecclesiali ci dicono di utilizzare lo stesso schema delle settimane alterne. Abbiamo provato ad aumentare il numero di celebrazioni in modo che, con le precauzioni del caso, la gente possa distribuirsi e conservare la distanza... ma nelle celebrazioni dei battesimi, o delle prime comunioni, al termine tutti si accalcano per fare le foto! Stiamo lavorando per rafforzare l’impegno della Caritas. Ci arrivano farmaci dalla Spagna che distribuiamo in maniera oculata”.
Eppure, si corre anche nelle situazioni difficili.

 

 

 
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La grande attesa. I runner hanno cominciato l’anno con la sospensione nel cuore. Scrutiamo il futuro e lo vediamo a tinte scure, ci incolliamo ai siti delle gare per vedere se sono confermate e ogni volta che leggiamo che una manifestazione si è svolta con una certa normalità esultiamo con convinzione. Cominciamo ad essere stufi dei raduni virtuali. Non siamo fissati con la competizione a tutti i costi, ma il desiderio di correre insieme è grande. Ci mancano le sveglie all’alba (o prima) delle domeniche mattina per raggiungere il luogo di gara, il riscaldamento, i ristori, l’incontro con i vecchi amici…

Dobbiamo attendere, non c’è altro da fare. E’ necessario avere pazienza, calma e sguardo lungimirante. Coltiviamo un desiderio di normalità che la situazione dell’emergenza sanitaria sembra aggredire. La chiusura forzata ha modificato la nostra vita, i ritmi e le abitudini. Nei mesi della prima emergenza siamo stati privati di uno dei gesti più naturali che esista: l’attività sportiva, la corsa. Settimane senza allenamenti, con una motivazione calante, senza appuntamenti con gli amici nei fine settimana… Gli allenatori e i preparatori atletici hanno provato a sostenere gli atleti prodigandosi in consigli a distanza su esercizi da fare tra le mura domestiche per non perdere la forma e la forza. Alcuni hanno consigliato anche tapis roulant, ellittica o spin bike.
Ma fare attività all’aperto è un'altra cosa. Lo abbiamo capito nell’estate 2020 che ci ha visti di nuovo liberi (troppo?).

Non è facile entrare in un altro format podistico. Per rintracciarlo, in mezzo alle varie ondate del virus, è utile forse cogliere messaggi e buone prassi che scaturiscono da questa situazione, per trovarci pronti ai nuovi scenari.

Ci insegue un virus piccolo e potente, abbiamo paura, siamo minacciati da qualcosa che è infinitesimale ma molto più grande di noi. La parola virus viene dal latino e significa veleno: siamo ostaggi di un parassita. Abbiamo dovuto arrestare le nostre attività, cercare spazi in casa o in giardino, qualche centinaio di metri da ripetere su e giù continuamente, anche una rampa di scale... Tuttavia questa situazione straordinaria, la prima di dimensione planetaria dopo le due guerre mondiali del secolo scorso, ci fa riflettere sul senso della vita, sull’importanza delle “piccole cose” da non smarrire. Su dimensioni e atteggiamenti virtuosi. Ecco allora che si affaccia un’altra parola che ha una sola lettera di differenza dalla precedente. E’ la parola virtus che, sempre dal latino, indica “la disposizione d’animo a compiere il bene”.

Proviamo allora a raccogliere le virtù del tempo di clausura da Covid-19, a non disperdere il patrimonio di questa situazione nella quale ci troviamo.

L’umiltà: nuove possibilità

Il tempo intenso dell’emergenza rende più umile lo sport, meno frenetico, più lento, più sereno. Le gare virtuali, che non hanno trovato la simpatia di tutti i podisti, sono state una maniera per dare consistenza a questo sguardo un po’ più disincantato. A fine maggio dello scorso anno accompagnavo l’amico don Vincenzo Puccio in una 100km, corsa in due giorni: un atleta di livello che in altre situazioni non si sarebbe mai imbarcato in un’impresa del genere.

La flessibilità: imparare a differenziare

Gli allenamenti vanno differenziati: non possiamo e non dobbiamo spingere sempre al massimo. Bisogna alternare sedute a ritmi cardiaci elevati a sedute di allenamento meno intenso. Nei lunghi mesi di chiusura abbiamo colto l’occasione per curare alcune dimensioni che avevamo forse trascurato, ad esempio la tecnica di corsa, il potenziamento e lo stretching. Gli esercizi di tecnica sono importanti (in ogni disciplina) e non hanno bisogno normalmente di grandi spazi per essere eseguiti. Anche gli stiramenti, che molti trascurano, sono utili prima e soprattutto dopo l’allenamento.

La situazione che viviamo ci obbliga a rivedere pianificazione e preparazione a gare che costituivano probabilmente un importante traguardo stagionale. Però… l’assenza di competizioni non è solo un danno che ci provoca nervosismo. La sosta pandemica ci rende reattivi e pronti al cambiamento, sia mentalmente che fisicamente.

La consapevolezza: no alla paura della solitudine

Correre da soli, osservando il distanziamento, sembra l’unica possibilità per continuare a correre. Chi è abituato alle uscite di gruppo ha forse qualche difficoltà. Ma la solitudine non è solo un problema, un limite: può essere un’opportunità. Ci fa bene di tanto in tanto stare soli con noi stessi nel silenzio. Anche in gara spesso siamo soli; è una grande possibilità per dialogare, incontrare se stessi e conoscersi. Non si tratta di chiudersi rifiutando gli altri in una sorta di ripiegamento egoistico, ma di consapevolezza per trovare la pace e dialogare con la nostra coscienza.

La responsabilità: i comportamenti virtuosi

Lavarsi spesso le mani, evitare gli assembramenti, indossare la mascherina… Ma tra i comportamenti virtuosi vanno inseriti anche comportamenti mentali che ci aiutano a non farci prendere da ansia o disperazione. In questo anno sono circolate tante false informazioni (fake news) sul virus e sui contagi. Abbiamo compreso che è fondamentale cercare un’informazione autorevole fondata su fonti sicure in modo da essere realisti e coltivare speranza e ottimismo.

Guardando al futuro

Vivere bene le vicende ordinarie del quotidiano. L’attività sportiva può senz’altro contribuire ad una ripresa individuale e sociale non solo dopo la pandemia ma anche durante. La corsa (e anche noi che la pratichiamo) esce trasformata dalla ferita della pandemia.
Ci poniamo due domande per concludere. Quali sono state le difficoltà maggiori di questo periodo, nella mia vita personale e sportiva? Ci sono benefici che riscontro e che scaturiscono da questo periodo di “chiusura”? Una sincera risposta ci aiuterà a togliere il veleno e a dare spazio al bene.

 

 
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Domenica, 27 Dicembre 2020 22:39

La corsa purificata dal Covid-19

Se ne va un anno terribile che ricorderemo e citeremo a lungo in futuro. Cosa ha detto il coronavirus al mondo del running? In cosa lo ha messo in crisi?

La pandemia da Covid-19 ha messo in discussione il delirio di onnipotenza e di invincibilità che spesso hanno i runners. E’ stata una sorta di infortunio collettivo, un incontro con il limite. E si sa che il runner infortunato diventa più umile, sensibile, più umano… Capisce che deve avere equilibrio e che non tutto sta nelle sue mani, ma deve mettersi nelle mani di altri (medici, fisioterapisti…), e possibilmente anche di un Altro che governa il mondo. Il corpo è un dono e ha dei limiti che bisogna rispettare.

La pandemia ha contestato l’individualismo facendoci riscoprire comunità. In uno sport individuale per eccellenza come la corsa a piedi, abbiamo recuperato un certo spirito di squadra. Al di là del distanziamento fisico, si sono rotti recinti che separavano mondi (ad esempio i forti e gli scarsi) per riscoprirci ancora di più il ‘popolo del running’. Si è trovata, forse, una comunicazione più sana dove tutti hanno possibilità di espressione e ascolto. Una disponibilità al dialogo più ampio dei singoli orizzonti di sempre, che dà spazio alla sorpresa e alla solidarietà.

La pandemia ha contestato anche una presunzione che porta spesso gli sportivi a dare tutto per scontato: scansione degli allenamenti, programmazione della stagione agonistica, scelta delle gare alle quali partecipare, acquisti da fare… Oppure avere la pretesa (che è un’illusione) di conoscere tutto su argomenti come: i programmi di allenamento, la tecnica di corsa, l’alimentazione... Una rivoluzione che ha trovato disponibili e felici i più flessibili e che invece ha disturbato (molto) i ‘seriali’ e i ‘seriosi’ del running.

La pandemia ci spinge forse a pensare ad un nuovo modello per lo sport che amiamo. Dove niente è scontato, dove le pretese devono essere ragionevoli e dove l’elemento umano conta infinitamente di più di ogni altro criterio. E’ sollecitata la responsabilità individuale come presupposto per un futuro migliore: un’etica del running che rende sensato il nostro sport e la vita stessa.

Insomma vizi sociali e sportivi, prassi spesso malsane, che l’emergenza sanitaria ha smascherato innescando un cammino verso il sano, l’essenziale, l’umano. Forse è utile tenere presente queste lezioni anche nel futuro che ci attende.

“Diciamo che io all’inferno non ci sono stato. Ma ho visto com’è fatto. E come potrete immaginare, non mi è piaciuto neanche un po’, voglio starne alla larga. - scriveva due anni fa Federico Mancin, autore di Corri che ti passa: se devi ripartire, fallo correndo, nel quale racconta di come la corsa l’abbia guarito dal “male di vivere”. E chiudeva, come chiudiamo anche noi il bilancio di quest’anno:
- La terapia del running deve proseguire”.

 
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Don Franco Torresani, il runner parroco a Bolognano di Arco di Trento, è oggi  sulla cresta dell’onda non per i suoi traguardi sportivi (numerosissimi nel corso di una lunga carriera) ma perché scelto come testimonial di una campagna di sensibilizzazione.

Ogni anno la Conferenza episcopale italiana (CEI) indìce una giornata di sensibilizzazione per il sostentamento dei 34 mila sacerdoti diocesani italiani (www.insiemeaisacerdoti.it) e sceglie figure significative di presbiteri impegnati oltre che in ambito strettamente religioso anche sui fronti dell’educazione delle giovani generazioni, del sostegno ai poveri o perché vivono in situazioni piuttosto impegnative. Quest’anno l’attenzione è caduta su questo fantastico atleta capace di una serie innumerevole di vittorie e di podi sia a livello italiano che europeo.

Don Franco è l’unico religioso ad aver indossato la maglia della nazionale azzurra. E’ stato infatti convocato per difendere i colori dell’Italia in manifestazioni internazionali di corsa in montagna, in particolare nella staffetta per la quale ha una predilezione particolare. Nato nel 1962, don Franco è stato ordinato sacerdote nel 1987 per la diocesi di Trento. La passione sportiva lo ha sempre accompagnato ed aiutato a svolgere pienamente la sua missione sacerdotale forgiando anche il suo carattere noto per la determinazione (va fiero di non essersi mai ritirato in nessuna delle gare alle quali ha partecipato…). Anche quest’anno don Franco ha partecipato a numerose gare sempre con ottimi risultati. Il 25 ottobre ottobre ha conquistato con l’Atletica Paratico, la società per la quale è tesserato, il titolo italiano di corsa in montagna a staffetta al 63° «Trofeo Internazionale Vanoni». In questa specialità ha vinto 3 argenti ai Campionati Italiani Assoluti (1998, 2001,2002). Del 2018 è invece la vittoria prestigiosa alla XII edizione della Super Maratona dell’Etna, con il doppio record di staffetta e di frazione in compagnia di altre due atleti sacerdoti di notevole valore: padre Vincenzo Puccio e don Gianni Buontempo.

Don Franco ha risposto prontamente all’invito di essere testimonial di questa campagna di sensibilizzazione. «La mia missione sacerdotale si completa con l’impegno - dice - sia nell’educare i giovani attraverso lo sport che nell’assistenza spirituale agli enti sportivi. In questo periodo di emergenza, poi, lo sport svolge un ruolo di rilievo nella lotta contro il micidiale avversario con il quale sta combattendo il nostro pianeta. Sono stati mesi difficili ma, grazie anche al sostegno di associazioni che operano nel campo della solidarietà, sono riuscito ad assistere le persone più in difficoltà e dare conforto ai malati».

“La Giornata nazionale delle Offerte è una domenica di vicinanza tra preti e fedeli, affidati gli uni agli altri - spiega il comunicato CEI - tanto più nell’anno difficile del Covid, in cui da mesi i preti diocesani continuano a tenere unite le comunità disperse, incoraggiano i più soli e non smettono di servire il numero crescente di nuovi poveri”.

 
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Quattro brevi incontri pomeridiani di riflessione sui valori dello sport e della vita. Allo stadio D’Alcontres-Barone di Barcellona Pozzo di Gotto (Messina) dal 3 al 6 novembre si sono svolti momenti di formazione per i giovani atleti dell’ASD Duilia che lì hanno il proprio quartier generale. Una pista d’atletica che viene frequentata da ragazzi di varie fasce d’età della popolosa città tirrenica. Ogni giorno sono accolti dal vicepresidente Emanuele Torre impegnato a presentare, ai ‘suoi’ giovani atleti, contenuti formativi oltre a quelli squisitamente tecnici.

Al primo incontro si è parlato di generosità proponendo la vita e la carriera del maratoneta etiope Heile Gebresilasie capace di ben 26 record mondiali. Gebre ha sempre pensato alla sua gente costruendo scuole e dispensari medici.
Suor Elsa Pasquali, che il 29 dicembre del 1965 stabilì il record di 15,953 metri nell’ora in pista, ha fatto riflettere sul tema della donazione di sé.
Al terzo incontro si è parlato del ciclista Gino Bartali e del suo impegno di lealtà per salvare vite di ebrei perseguitati nel periodo della seconda guerra mondiale.
L’ultimo incontro ha presentato ai giovani atleti alcuni dei 15 sacerdoti del libro Preti (sempre) di corsa pubblicato quest’anno. Storie di fede e di corsa che hanno come protagonisti sacerdoti di varie nazioni impegnati nel ministero e nel costruire ponti di amicizia attraverso la corsa a piedi, praticata in maniera regolare e in alcuni casi ad alto livello.

http://podisti.net/index.php/commenti/item/6314-preti-sempre-di-corsa-il-libro-continua-in-un-progetto.html

Emanuele Torre, presentando queste quattro riflessioni ai ragazzi della Duilia, aveva scritto: “Andrà tutto bene e noi lo facciamo in sicurezza, affidandoci anche alla riflessione, grazie alla splendida collaborazione di padre Pasquale Castrilli. Le storie che parlano di sport sono quelle che ci insegnano a parlare di vita. ‘Certe medaglie si attaccano all’anima, non alla giacca’, diceva un grande uomo di sport e di vita come Gino Bartali”.
Anche in questo difficile periodo di emergenza sanitaria, allo stadio D’Alcontres-Barone si vive con entusiasmo l’atletica leggera. Gli allenamenti diventano anche un tempo terapeutico per i giovani. Uso della mascherina, gel disinfettanti e distanziamento interpersonale sono osservati scrupolosamente prima e dopo gli allenamenti. 

Gli incontri con i giovani atleti alla pista di atletica si sono svolti nel contesto della settimana missionaria nella parrocchia della frazione Santa Venera, dove è parroco padre Vincenzo Puccio, podista SM45 di livello nazionale.

 
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Il convegno “Sport: ripensando il futuro” organizzato dal Dicastero vaticano per i laici, la famiglia e la vita e dalla Fondazione San Giovanni Paolo II per lo Sport ha visto un’ampia partecipazione da tutti i continenti. Il seminario di studio si è svolto nel mese di ottobre sulla piattaforma ZOOM in quattro tappe con le seguenti tematiche:

  • 1 ottobre: “Lo sport dopo la pandemia: cambierà qualcosa?”
  • 8 ottobre: “Dare il meglio di sé: lo sport come modello di vita”
  • 15 ottobre: “Sport inclusivo: un'opportunità da non perdere”
  • 22 ottobre: “Proposte per una migliore ripartenza: un'ecologia antropologica”

Ciascuna sessione prevedeva un'introduzione, una testimonianza, una relazione principale e una parte conclusiva ‘aperta’, con domande e risposte. A fare gli onori di casa Santiago Pérez de Camino, responsabile della Sezione Sport del Dicastero pontificio incaricato dell’organizzazione.

Tre erano le finalità del convegno: analizzare i valori di cui lo sport può farsi portatore, favorire l’incontro e la conoscenza tra atleti, allenatori, manager e operatori dello sport di vari continenti, condividere esperienze sul campo che promuovono uno sport umano e in stretta relazione con la società.

Concludendo i lavori Santiago Perez ha provato a fare una sintesi sottolineando la ricchezza degli interventi e ringraziando i partecipanti. Ha ribadito l’impegno del Dicastero vaticano, che desidera dare un contributo nell’approfondire il valore educativo dello sport “strumento per la formazione integrale della persona.”

Ha poi indicato tre parole-chiave per costruire lo sport del futuro: Inclusione favorendo partecipazione a tutti i livelli; formazione, il contributo dello sport alla formazione integrale della persona; sostenibilità, appoggiando le sane pratiche sportive. Ha poi parlato del progetto di un futuro convegno sul tema Sport e fragilità. “Lo sport sarà migliore in futuro? - si è chiesto Perez in conclusione. Invitando i partecipanti alla riflessione personale e condivisa, perché “senza pensiero non ci sarà innovazione”.
Una delle idee che è emersa in varie occasioni nel corso del seminario è che lo sport del futuro non deve ripetere quello del passato, ma provare ad essere migliore. Dunque il periodo di crisi che viviamo con la pandemia va visto come opportunità e non solamente nelle sue dimensioni limitanti.

 
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Martedì, 13 Ottobre 2020 19:23

La vita da film di padre Puccio oggi a TV2000

13 ottobre. Si è parlato di corsa, dei valori dello sport, della forza della vita, della fede cristiana e di tanto altro stamattina a “Bel tempo si spera” il programma mattutino di TV2000.  In studio, intervistato dalla conduttrice Lucia Ascione, c’è in clergyman e scarpe da running un emozionato padre Vincenzo Puccio, parroco a Santa Venera (Barcellona P. G., Messina). Un segno di attenzione e stima del canale televisivo della Conferenza episcopale italiana (CEI) per il forte atleta master siciliano.

La storia di Vincenzo è la trama di un film. La partecipazione ai Giochi della gioventù, il padre che lo affida a Tommaso Ticali, allenatore di atleti siciliani di razza, poi la vocazione, lo stop alla corsa ordinato dai superiori negli anni di seminario, la passione per il running che ritorna, le affermazioni da master…

Mentre risponde alle domande si alternano i titoli: “Don Puccio il prete maratoneta”, “Il prete più veloce d’Italia”, “Don Vincenzo, il prete che corre con la benedizione del Papa”. La conduttrice è colpita da questa presenza singolare nel mondo dello sport. Una presenza di grande qualità. Parlano i personal best di questo prete volante: 2.29'10'' in maratona (Treviso 2015), 1.12'25'' nella mezza maratona (Roma-Ostia 2019), 32'40'’ nei 10km (Aspra, Palermo, 2015).

Nonostante lo stop da coronavirus Vincenzo è riuscito a correre quest’anno numerose gare su pista e su strada. Ricordiamo il tempo di 16’15’’ sui 5000 metri nel mese di agosto, una 50km con quasi 1000 metri di dislivello positivo a fine giugno (3.58’42’’) e una 100km (in tre sessioni, tempo finale 7’38’17’’) a fine maggio. La storia di Vincenzo è stata narrata recentemente nel libro “Preti (sempre) di corsa”, editrice Missionari OMI (www.pretisempredicorsa.it).

E’ possibile rivedere l’intervento odierno di Vincenzo nei minuti iniziali della puntata del 13 ottobre di “Bel tempo di spera” al link www.tv2000.it/beltemposispera

 
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Martedì, 06 Ottobre 2020 22:11

Al Giro in Sicilia sognando una maratona prossima

6 ottobre - Ultimo chilometro, a destra e sinistra le transenne con i pannelli pubblicitari. L’asfalto è fresco di stesura; corriamo con Giovanni, come in tante altre occasioni, parlando di una possibile ripresa dopo la pandemia da coronavirus. Il vento, il mare e le isole sono sulla destra, pensieri e sogni sono nel cuore.

Non è il finale di una maratona (magari), ma solo quello che tra poco diverranno gli ultimi due chilometri della tappa odierna, la quarta, dell’edizione 2020 del Giro d’Italia. Siamo a Villafranca Tirrena, cittadina tirrenica di 8mila abitanti in provincia di Messina: non mancano a terra le scritte tifose inneggianti allo “squalo dello Stretto”, Vincenzo Nibali.

Fra qualche ora sfrecceranno su questo asfalto i corridori del Giro, a 55km/h. Noi andiamo molto più piano e ci godiamo l’atmosfera pre-gara: le troupe della RAI che allestiscono telecamere e palchi per le dirette, i gonfiabili degli sponsor, la preparazione delle transenne e del palco della premiazione. Qualche ciclista amatore sul percorso tenta invano di arrivare sotto l’arco di arrivo, la gente inizia a popolare le strade, tutti con mascherina e relativo distanziamento.
La speranza è di una ripartenza anche per le gare podistiche su strada. Qui in Sicilia qualche timido accenno di ripresa c’è, molti podisti hanno virato in questi mesi sulle gare su pista: soprattutto 3000 e 5000. E sono sempre parecchie le gare su strada rimandate o annullate. Palermo (22 novembre) e Catania (13 dicembre) ci credono con convinzione e lavorano per le rispettive maratone, giunte rispettivamente alla ventiseiesima e alla terza edizione (della nuova serie), e per altre distanze in programma.

Per la cronaca del Giro, sul traguardo di Villafranca Tirrena vittoria oggi al fotofinish del campione nazionale francese Arnaud Demare (Groupama-FDJ), e invece transenne addosso a due atleti della Vini Zabú-Brado-KTM: l’italiano Luca Wackermann, costretto al ritiro, e l’olandese Etienne van Empel. Al momento in cui scriviamo non sono ancora state accertate le cause di questo incidente: si fa strada l’ipotesi che sia stato il vento, provocato da un elicottero in volo per le riprese tv, a sollevare le transenne.

 
 
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C’è la mezzofondista Camille Chenaux in copertina del libro di papa Francesco sullo sport, in uscita in questi giorni. Raffigura il momento quando, in piazza San Pietro lo scorso anno, il Santo Padre le consegnava la fiamma olimpica in vista delle Universiadi di Napoli.

Mettersi in gioco. Pensieri sullo sport, dell’Editrice Vaticana (124 pagine, 5 euro) raccoglie discorsi che Francesco ha pronunciato nelle occasioni di incontro con atleti e dirigenti del mondo sport. In un appello dell’aprile 2019 in occasione della Giornata mondiale dello sport per la pace e lo sviluppo indetta dalle Nazioni Unite aveva affermato: “Lo sport è un linguaggio universale, che abbraccia tutti i popoli e contribuisce a superare i conflitti e a unire le persone. Lo sport è anche fonte di gioia e di grandi emozioni, ed è una scuola dove si forgiano le virtù per la crescita umana e sociale delle persone e delle comunità. Auguro a tutti di mettersi in gioco nella vita come nello sport”.

Nella prefazione al libro del curatore Lucio Coco, pubblicata da Avvenire questo 29 agosto, leggiamo tra l’altro: ”La pratica sportiva educa ad essere leali, onesti, a coltivare la semplicità, il senso di giustizia, l’autocontrollo, tutte virtù non solo di chi fa sport ma più propriamente dell’uomo. In tal modo viene reso un importante servizio all’umanità e «i valori di rispetto, coraggio, altruismo, equilibrio e dominio di sé, appresi nello sport, sono una preziosa preparazione per una buona riuscita nella corsa della vita».

La presentazione del libro è prevista lunedì 7 settembre, alle 11.30, presso lo stadio “Nando Martellini” di Roma.

Una soddisfazione e una responsabilità per la Chenaux. La forte atleta di Athletica Vaticana si è migliorata in questi mesi e vanta personali di tutto rispetto: 4’27’’88 sui 1500 metri, 9’33”59 sui 3000 metri, 16’35”44 sui 5000 metri. La vedremo all’opera nei 10000 metri ai Campionati italiani di Conegliano il 27 settembre, nei 1500 e 5000 metri il 18 ottobre a Modena. Correrà certamente seguendo i consigli di papa Francesco.

 

 
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“Don Vincenzo Puccio. Lo sport educa alla fatica e alla fede” è il titolo dell’articolo a firma di Rossana Campisi pubblicato dalla rivista settimanale Credere (n. 34 del 23 agosto 2020). Nell’articolo Vincenzo ripercorre la sua storia di fede e di sport. “Da piccolo volevo diventare un grande atleta, ma la chiamata al sacerdozio è stata più forte” dice. Il parroco di Santa Venera racconta gli inizi con il professor Tommaso Ticali, l’entrata in seminario, lo stop con l’atletica e la ripresa molti anni dopo tornando a standard molto alti. “Correre per me è una grande sorgente di equilibrio umano e spirituale” - afferma Vincenzo, che in questo mese di agosto è tornato a gareggiare in pista ottenendo ottimi risultati: 9’27” il 2 agosto sui 3000 metri, 16’15” il 10 agosto sui 5000 metri.
Nei mesi di chiusura causa emergenza sanitaria si era invece misurato su distanze lunghe correndo gare ‘virtuali’ sui 50km (3.58’42” con 750 d+) e sui 100km (7.38’17”, in tre sessioni). Anche in quelle gare aveva mostrato tenacia e ottime condizioni atletiche.

A pagina 22 dell’articolo di Credere, un box è dedicato al libro, che racconta la vittoria di una “speciale staffetta” di sacerdoti (Puccio, Buontempo, Torresani) alla Super Maratona dell’Etna del giugno 2018. La foto di quella staffetta, riportata in evidenza sulle pagine di Credere, con il trofeo e le magliette ufficiali della manifestazione, ricorda un evento davvero memorabile che stupì tutti.

(Su queste colonne se ne era già parlato: http://podisti.net/index.php/commenti/item/4210-la-gioia-del-vangelo-e-anche-dare-il-meglio-di-se.html )

Credere. La gioia del Vangelo è una rivista settimanale dei Paolini nata nell’Anno Santo della misericordia (2015/2016). Racconta l’attualità ecclesiale riportando in ogni numero le parole di papa Francesco, storie e testimonianze di fede di personalità note al grande pubblico e di gente comune, approfondimenti sui “perché” della fede. In ogni numero la rubrica Itinerari della fede permette di visitare chiese, monasteri, santuari, feste care alla tradizione cristiana della nostra Penisola.

 

 
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La prima edizione del Campus running è andata in scena dal 2 al 10 agosto. Il Centro Agape dei Missionari Oblati di Maria Immacolata di Messina-Gesso è stato il luogo di ritrovo e partenza per le attività in programma. I contenuti del Campus, organizzato da un gruppo di runners di Villafranca Tirrena (ME) nel mese di gennaio, hanno subito vari cambiamenti a causa dell’emergenza sanitaria. Il programma è stato quindi ridotto, ma non per questo meno interessante. Il gradimento dei partecipanti lo testimonia.

Il 4 agosto, un pellegrinaggio a piedi con partenza dal Centro Agape e arrivo al santuario mariano di Dinnammare a 1100 metri s.l.m. ha portato in vetta undici runners  che hanno percorso i 14km con 900 metri circa di dislivello in quasi tre ore di cammino. All'arrivo, la celebrazione della messa presieduta da mons. Cesare Di Pietro, vescovo ausiliare di Messina, e lo splendido panorama sull'area dello Stretto.

Domenica 9 agosto i partecipanti al Campus si sono recati all'Etna per partecipare al Trail della Galvarina (18,5 km con 750D+) e ad un walktrail di 8 km. Un avvincente percorso su sabbia, sterrato e cenere lavica che è stato teatro anche di un’ultramaratona di 60km. https://podisti.net/index.php/cronache/item/6385-l-etna-accoglie-i-podisti-trail-dell-etna-e-della-galvarina.html

Tre allenamenti mattutini hanno consentito di visitare luoghi davvero unici. La zona dello Stretto, Capo Peloro e i laghi di Ganzirri, Capo Milazzo con splendido panorama sulle isole Eolie, infine Baia del Tono e la riviera di ponente che da Milazzo conduce su un lungomare infinito verso Terme Vigliatore, con il santuario di Tindari sullo sfondo.

I podisti hanno goduto della bellezza di località come le isole Eolie, il santuario di Tindari, l’entroterra della provincia di Messina, Cefalù. A conclusione la partecipazione (da spettatori) al Meeting di san Lorenzo svoltosi allo stadio D’Alcontres-Barone di Barcellona Pozzo di Gotto.
E già si pensa ad una nuova edizione del Campus nel mese di agosto 2021 con un programma articolato e una manifestazione podistica conclusiva.

 

Paolo da Roma, uno dei partecipanti, al termine del Campus running condivide alcune considerazioni:

“Il viaggio Roma-Villa San Giovanni è stato tranquillo: l’era della costruzione della Salerno Reggio Calabria è terminata. Il traghetto in pochi minuti ci porta a Messina. L’accoglienza è stata calorosa e amichevole, caratteristiche che si sono sentite nell’intero periodo da tutte le persone che hanno partecipato a questo Campus. Durante il tragitto da Messina a Gesso, dove è la casa che ci ha ospitato, non puoi fare a meno di meravigliarti della natura che ti circonda; un verde intenso e rigoglioso. Non meno importanti sono stati i recovery meal. E dopo le passeggiate o le corse di allenamento non sono mancate le granite con brioches, l’arancino (mi raccomando: a Messina con la ‘o’ finale) e poi i cannoli. La cucina della cuoca della casa è stata semplice ma ben curata e con prodotti dell’orto a ‘metri zero’. Tutto molto buono, dalla colazione alla cena. Il giorno della partenza, dopo i saluti, ti prende per un attimo un nodo alla gola: sembra che saluti i tuoi familiari o gli amici più intimi che forse, a Dio piacendo, rivedrai il prossimo anno. Un Campus all’insegna della fraternità, semplicità e accoglienza (in questi momenti che viviamo ce n’é veramente bisogno), gli allenamenti in luoghi meravigliosi: insomma una bella vacanza di riposo. E se andando via sembra che lasci un pezzettino del tuo cuore, vuol dire che sei stato molto bene”.

 

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Sono due le idee dentro il progetto “pretisempredicorsa” che ha visto la luce nel mese di maggio.

Da una parte creare una community di sacerdoti che hanno la passione per la corsa a piedi. Sono più di quanto si possa immaginare. Ho cominciato a conoscerli anni fa, a ‘stanarli’ e a farli incontrare seppur virtualmente. Si va da padre Sante al confine tra Venezuela e Colombia al fortissimo don Puccio in Sicilia, dai luoghi di San Francesco di Assisi dove vive don Federico a padre Alberto nella periferia di Madrid, da don Marco in Uruguay a padre Zweli in Sudafrica, dal campione di corsa in montagna don Torresani di Arco di Trento a padre Jacopo in Irlanda…

La seconda idea che sostiene il progetto è creare un luogo, una piazza di incontro, per conoscere questi “uomini di Dio” che hanno inserito la corsa a piedi nel proprio programma di vita settimanale come spazio salutare di riflessione, riconciliazione con il mondo e con se stessi, dialogo con il Creato e con il Creatore. Non mancano le sorprese, anche perché alcuni di loro vantano ottime prestazioni cronometriche.

Tassello iniziale del progetto è il libro Preti (sempre) di corsa (Missionari OMI editrice 2020, 11 euro) al quale ho lavorato soprattutto nel periodo di chiusura forzata causa emergenza sanitaria da coronavirus. Un modo per continuare a correre, seppur attraverso la tastiera di un computer, riordinando appunti e materiali raccolti negli ultimi anni. Nella fase finale dell’elaborazione del libro ho trovato la disponibilità del direttore Marri che ha scritto una stupenda postfazione e di Dario Marchini di Runner’s World Italia che ha invece scritto la prefazione. Sulla copertina del libro, Michele Amato ha fissato l’arrivo di padre Vincenzo Puccio e Francesco Ingargiola alla mezza maratona dei Nebrodi 2020 di Sant’Agata Militello (Messina).

C’ anche un sito Internet (www.pretisempredicorsa.it) che arricchisce e amplia il libro presentando fotografie e una scheda di ciascun sacerdote podista. Troviamo anche un notiziario mensile con novità sui “preti di corsa”. Veniamo così a sapere che don Marco ha corso nel mese di maggio la Milla latinoamericana in Uruguay, che don Puccio è stato impegnato a giugno in due gare virtuali in Sicilia: una 100km e una 50km http://podisti.net/index.php/cronache/item/6251-don-puccio-dedica-ad-alex-zanardi-la-sua-pistoia-abetone-virtual.html

che don Torresani ha corso una staffetta, assieme agli atleti della sua società, l’Atletica Paratico, conclusa a Mezzoldo in onore di Raimondo Balicco.

Una delle scintille iniziali del progetto “Preti (sempre) di corsa” va rintracciata nella partecipazione della staffetta Evangelii Gaudium alle edizioni 2018 e 2019 della Super Maratona dell’Etna. Partecipazione raccontata nel libro “Evangellii Gaudium. La staffetta dei sacerdoti runners sulle pendici dell’Etna” (Missionari OMI editrice 2019, 6,50 euro) presentato lo scorso anno in 14 occasioni e di cui si era parlato anche su queste pagine:

http://podisti.net/index.php/commenti/item/4210-la-gioia-del-vangelo-e-anche-dare-il-meglio-di-se.html

Entrambi i libri contribuiscono alla creazione di un fondo denominato “Sport in missione” per avviare al gioco e allo sport ragazzi che vivono nei paesi del Sud del mondo. I libri (anche gli altri del sottoscritto) sono acquistabili su Amazon: https://www.amazon.it/Libri-Pasquale-Castrilli/s?rh=n%3A411663031%2Cp_27%3APasquale+Castrilli

 

 
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Un’edizione davvero speciale per la Pistoia-Abetone che si era corsa la prima volta nell’ottobre 1968. E un altro bel traguardo per don Vincenzo Puccio: 3.58’42’’ il tempo con il quale il parroco ed atleta siciliano ha portato a termine la “50km Pistoia Abetone Virtual - Il sapore della sfida”, sabato 27 luglio, replica virtuale della prestigiosa gara appenninica. Anche questa gara storica, che si corre ogni anno a fine giugno, ha subito la sorte di tante altre annullate a causa dell’emergenza sanitaria.
La prova di don Puccio è stata impegnativa non solo per il chilometraggio, ma anche per i 750metri di dislivello positivo richiesti dal regolamento per entrare in classifica.
Il percorso scelto per la “sfida” partiva dal lungomare di Villafranca Tirrena (Me) per salire sulla SS113 verso le Quattro strade (Don Minico) e proseguire più in alto, oltre Borgo Musolino. Vincenzo ha affrontato la frazione in salita di circa 14km alla media di 5’15’’/km. Il tragitto è proseguito poi verso Portella Castanea, a seguire la lunga discesa che conduce in località Marmora sulla litoranea passando da Salice. Discesa che è stata affrontata alla media di 4’31’’/km. Gli ultimi 11km Vincenzo li ha corsi sulla litoranea per concludere di nuovo a Villafranca Tirrena in zona ex Pirelli.
Al termine della gara il primo pensiero di don Puccio, che svolge il ministero di parroco a Santa Venera di Barcellona Pozzo di Gotto, è stato per Alex Zanardi. “Ho cercato di correre con prudenza: 50km sono tanti e il dislivello di 750 metri è molto impegnativo. Dedico questa 50km ad Alex Zanardi, un uomo che ci ha dato sempre la forza di rialzarci dopo i vari incidenti che ha avuto e anche quest’ultimo. Insieme a molti sacerdoti di Athletica Vaticana stiamo pregando per lui. Oggi durante questi 50km mi veniva in mente spesso Alex e la sua forza di non arrendersi. Molte volte noi ci arrendiamo mentalmente, ci scoraggiamo, invece dobbiamo avere questa grinta e dire: possiamo rialzarci e andare avanti”.
Padre Vincenzo ha poi sottolineato il caldo degli ultimi chilometri e ringraziato la comunità dei Missionari Oblati di Maria Immacolata (OMI) di Messina-Gesso, e Carmelo Cisto, l’atleta messinese che lo ha accompagnato negli ultimi 11 chilometri. “Attraverso i paesaggi sono riuscito a meditare - ha poi concluso - Si vedeva la perfezione di Dio. Ho pregato durante la strada: siamo partiti da una cappellina della Madonna del Tindari che ci ha accompagnato in questo viaggio”.

La Pistoia Abetone Virtual ha visto la partecipazione di 450 atleti divisi nelle due distanze previste di 50km (750D+) e 30km (500D+). E’ stata allestita dall’ASD Silvano Fredi organizzatrice della Pistoia Abetone, e dal gruppo Facebook “100km di Passione”. Era possibile correre ciascuno individualmente e nel rispetto delle norme e decreti nazionali e regionali vigenti. Al termine della prova ogni atleta ha comunicato agli organizzatori il proprio tempo e percorso attraverso le applicazioni Strava e Garmin. Le classifiche saranno disponibili tra alcuni giorni.

 
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Martedì, 23 Giugno 2020 15:10

A Gesso (ME) un Campus Running ‘di comunità’

Un Campus running “modello africano”. E’ quello che con un gruppo di amici podisti messinesi avevamo sognato e iniziato a concretizzare lo scorso gennaio. Poi la chiusura causata dall’emergenza coronavirus ci ha impegnati a tutti i livelli. Riparlandone insieme qualche giorno fa, ci è sembrato di poter organizzare una versione ridotta… Siamo in Sicilia, dove i numeri dell’epidemia sono stati bassi, e da inizio giugno si può entrare tranquillamente nell’isola (senza quarantene).
Seguendo le norme e con le dovute cautele è possibile organizzare un evento come questo.   

Si tratta di un mix di allenamento e vacanza per appassionati di corsa su strada di ogni livello e per i loro familiari. La passione per la corsa migliora la nostra vita. Vogliamo condividere questo 'bene' e imparare gli uni dagli altri. E’ una prima edizione da costruire insieme.
L'atmosfera del Campus vorrebbe essere familiare nell’ottica di una condivisione che ci permette di tenere bassi anche i costi. Il Campus Running 2020 desidera sostenere progetti di sviluppo nei paesi del Sud del mondo.

Dove: Centro Agape, Missionari OMI Messina-Gesso

E' una casa ubicata sulle colline alle spalle della città di Messina a 250 metri sul livello del mare, dotata di 11 stanze al primo piano (bagno in camera) che offre un'ospitalità essenziale. A piano terra la sala mensa, la cucina e un salone. Ogni partecipante (o nucleo familiare) ha a disposizione una stanza autonoma con bagno. Vorremmo realizzare una sorta di autogestione preparando insieme le cene e le colazioni e provvedendo alla sistemazione quotidiana della casa. L’idea è realizzare un campus dove tutti collaborano.

Quando

Da domenica 2 (arrivo in serata) a venerdì 7 agosto 2020. E’ possibile partecipare anche per un periodo più limitato.


Cosa faremo

Allenamenti quotidiani in gruppi di due o più livelli. Gli allenamenti sono guidati da Vincenzo Puccio, istruttore tecnico di atletica leggera. Ci saranno anche riunioni tecniche per condividere le nostre conoscenze su tecnica di corsa, alimentazione, cross training, motivazione e altro. Nel corso del Campus programmeremo insieme qualche gita-escursione al mare e in montagna.

Guida tecnica 

Vincenzo Puccio, maratoneta e istruttore Fidal. Vincenzo corre da molti anni. Nel 2019 ha corso in 1.12' la mezza maratona Roma-Ostia e in 2.35' la maratona di Milano. E’ un sacerdote, parroco a Barcellona Pozzo di Gotto (Me), già noto ai lettori di queste pagine.

Costi

I proventi dell'ospitalità del Centro Agape sono utilizzati per le spese vive e la manutenzione della struttura. Eventuale surplus viene inviato annualmente ai Missionari Oblati di Maria Immacolata in Africa, Asia e America latina, per sostenere progetti educativi e sanitari in aree povere del pianeta. Non c'è una quota fissa procapite. Ci si può comunque regolare sui 30 euro al giorno tutto compreso.

 

Informazioni

Pasquale Castrilli - Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

 

Gruppo organizzatore

  1. Castrilli, V. Puccio. C. Picciolo, S. Miduri, D. Lepore, J. Di Dio., C. Cisto
 
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Mercoledì, 10 Giugno 2020 23:44

I "nove colli" del Coronavirus

Si sono concluse domenica scorsa le “11 maratone della speranza”, iniziativa singolare (una delle prime nel periodo della chiusura forzata causa emergenza sanitaria) promossa dal Clubsupermarathon del presidente Paolo Gino. Si trattava di rimpiazzare le prove previste in calendario e impedite dal coronavirus con ‘gare’ che ciascuno correva da solo sulla distanza che più gradiva. Scopo principale delle maratone della speranza: raccogliere fondi a favore di istituzioni impegnate nell’emergenza. La prima delle maratone virtuali si era svolta il 5 aprile in coincidenza della data della Milano Marathon, l’ultima è andata in scena domenica scorsa in coincidenza con la maratona di Suviana.

Raccontavamo di queste maratone nel post del 15 maggio con un diario personale delle prime sette maratone.

https://www.podisti.net/index.php/in-evidenza/item/6154-maratone-della-speranza-7-su-11-per-ora.html

E’ arrivato il momento di raccontare le altre quattro. Ma prima è utile menzionare alcuni numeri. I partecipanti complessivi alle 11 prove sono stati 1283, la somma raccolta finora ammonta a 22.223,08 euro. Da menzionare anche il libro (in corso di realizzazione) che conterrà i racconti dei partecipanti. Ce ne sono attualmente 381 di 82 autori.

17 maggio. CORONAVIRUS: NOVE COLLI DA SUPERARE - 16,4 km

Domenica bella e serena. Un caldo un po’ sopra le righe, una giornata luminosa nella quale corro l’ottava “maratona della speranza”. Lo scirocco annebbia la vista. In quest’ultima settimana è stato potente e fastidioso. Nove colli da scalare, nove prove da superare come quelle vissute nel periodo più intenso dell’emergenza sanitaria che non è terminata, ma che forse stiamo oltrepassando. Allo stesso tempo nove tesori da conservare per gli anni a venire, che sono penetrati in maniera precisa nella nostra vita.

Primo colle. Il distanziamento. Ci siamo ritrovati (e ci troviamo) distanti, senza la possibilità di una stretta di mano, di un abbraccio. Qui al sud il peso del distanziamento fisico è forse ancora maggiore. Alle volte le relazioni interpersonali della nostra vita sono dispersive. E’ utile stare un po’ di più con sé stessi, imparare a parlarsi, a perdonarsi.

Secondo colle. La paura. Talvolta il terrore. Ogni sera a controllare i numeri, in TV o sui social, per capire l’andamento generale e locale. La paura è utile se non diventa terrore. Se non ci deprime, se non ci paralizza, ma ci aiuta a pensare, valutare, relativizzare. Un po’ di prudenza non guasta mai (ma solo un po’).

Terzo colle. Il contagio. I numeri sono stati spietati soprattutto in Lombardia e in altre zone del nord del paese. Siamo stati martellati sulle norme igienico-comportamentali da osservare per limitarlo. Ma abbiamo notato anche un contagio di bene e di solidarietà. Come quello che stiamo vivendo nelle “11 maratone della speranza”.

Quarto colle. La scuola. Le giovani generazioni sono il futuro di ogni nazione. La scuola si è trasformata, con le lezioni in videoconferenza e il ruolo fondamentale dei genitori a casa. Si apprende dalla storia, ma anche dall’esperienza. Questa situazione resterà per sempre nel vissuto dei nostri ragazzi.

Quinto colle. Le fake news. Soprattutto nelle due settimane di fine marzo/inizio aprile siamo stati inondati di notizie, ma anche di false notizie, di bufale, sul virus e sui rimedi. L’informazione è una risorsa delle società civili, come il sangue che circola nel corpo. Va mantenuta sana, senza speculazioni.

Sesto colle. I parrucchieri, i barbieri. Siamo diventati barboni impresentabili. Capelli lunghi, capelli sbiancati senza le opportune tinte. C’è forse un decoro interiore che va coltivato così come facciamo con il nostro aspetto esterno. Chi e cosa abita il nostro cuore?

Settimo colle. Gli spostamenti. Reclusi nelle nostre case, abbiamo subito una gran confusione e una certa pressione. E’ utile distinguere gli spazi e il tempo per ogni cosa: il lavoro, la famiglia, le passioni, le relazioni sociali... Ogni cosa al posto giusto e al momento giusto, dentro e fuori di noi.

Ottavo colle. L’attività sportiva. Con la sottile distinzione tra essa e “l’attività motoria”… Abbiamo corso nei giardini, sui balconi, nei parcheggi, in poche decine di metri. La corsa come resistenza sociale, come “disobbedienza” alla logica imposta dal virus. Ci siamo attaccati a lei, la nostra compagna di sempre, e alle sue endorfine.

Nono colle. La morte. Le immagini dei camion dell’esercito a Bergamo ci resteranno dentro per sempre.  Una nazione intera li ha pianti. Il pensiero della morte può qualificare la vita. Non siamo i padroni di niente e di nessuno, speriamo di essere solo buoni amministratori di noi stessi e di quanto ci è affidato.

Dopo i nove colli sono andato nel nostro orto a mangiare nespole.

23 Maggio. PASSATORE SALESIANO - 14km

Un gara mitica che quest’anno ha condiviso la sorte di centinaia di competizioni: cancellazione o rinvio. Il Passatore è legato ad alcuni nomi. Senz’altro Giorgio Calcaterra, re Giorgio, che l’ha vinta 12 volte tra il 2006 e il 2017, ma anche altri personaggi sono degni di nota. Tra questi un sacerdote salesiano, don Piergiorgio Tommasi. Classe 1940, l’ha corsa 34 volte ed era pronto a correre l’edizione 2020, la 35ma! Direi che meriti una doverosa citazione. C’è anche la sua storia nel mio ultimo libro che esce proprio in questi giorni dal titolo Preti (sempre) di corsa (Missionari OMI editrice, 11 euro). 15 storie di sacerdoti podisti in tanti angoli di mondo. Piergiorgio racconta il Passatore come nessun altro. Metro per metro. Molti lo conoscono come il buon samaritano perché si ferma ad aiutare tutti. La sua miglior prestazione in 12 ore e 37 minuti la stabilì il 28 maggio 1989. Ci siamo incontrati l’anno scorso a Verona dove vive da pensionato dopo lunghi anni di docenza in varie scuole salesiane del Veneto. Parlerebbe giornate intere del “suo” Passatore: i compagni di corsa, i contrattempi, le persone conosciute sul percorso, la gioia e l’emozione dell’arrivo a Faenza…

Ma in questo fine settimana la 100km l’ho vissuta, oltre che correndo i miei 14km, accompagnando in bici l’amico padre Vincenzo Puccio. Il sacerdote siciliano ha corso 100km in tre sessioni: 45+25+30. Qui il racconto di questa piccola impresa:

https://www.podisti.net/index.php/cronache/item/6172-il-passatore-virtuale-e-stato-la-prima-cento-per-padre-vincenzo-puccio.html

31 maggio. RECORDANDO LA STRADA - 16,2km

Questa ce l’ho! Avevo corso la maratona a Torino il 4 ottobre 2015. Ricordo il bel panorama innevato delle Alpi una volta usciti dalla città e naturalmente il lungo rettilineo finale. Fu una bella maratona e oggi l’ho “recordata” con piacere. Alle strade che abbiamo percorso nella vita (sia quelle fisiche che quelle simboliche) abbiamo consegnato in qualche modo un pezzo di noi: pensieri, ricordi, persone, affetti… Ad una gita negli ultimi anni di Liceo sulla Costa Azzurra ci dissero: “Oggi andiamo a Monaco”. Una volta sul posto, ci furono date un paio d’ore di visita libera… Mi ritrovai su una discesa, tornante a sinistra e, dopo la curva a destra, l’inizio del lungomare e una lunga galleria. Avevo la sensazione di essere già stato su quella strada… Ma com’era possibile? Era la prima volta in vita mia che entravo in Francia e di lì a Monaco! Un po’ preoccupato di questa sensazione lo ero. Dieci minuti dopo, la soluzione: ero sul circuito d Montecarlo che avevo visto tante volte in TV per il Gran Premio di Formula1. Ci avevano parlato di “Monaco”, che io non avevo associato a “Montecarlo!”.

Alle volte ci sono segni che ci ricordano i percorsi e gli eventi della vita. Ad esempio le cicatrici che portiamo sul corpo: segno di una caduta, di un intervento chirurgico... Poi ci sono le cicatrici dell’anima e qui il discorso diventa più personale e complesso. Che segni ci lascia dentro l’emergenza sanitaria? Tanti. Tra questi ce n’è uno molto bello: le 11 maratone della speranza. Credo le “recorderemo” anche in futuro.

7 giugno. SUVIANA. L’ultima (per ora) - 14,2km

E’ finita col vento. A Suviana come qui al sud… Le 11 maratone della speranza sono terminate. Mi mancheranno, e mancheranno anche i bei racconti, desiderio di condividere non solo sensazioni, ma anche riflessioni profonde, umane, vere. Due mesi in compagnia delle “maratone della speranza” per sconfiggere la solitudine, mettere in campo la solidarietà, mantenersi in forma, coltivare sogni.

Devo dire che le prime sette/otto hanno avuto davvero un sapore speciale. Sarà stato sicuramente a causa della chiusura forzata e dell’impossibilità di uscire. Siamo stati privati del gesto più naturale che ci sia e soprattutto della libertà. Forse possiamo dire, con altre parole, che ci siamo esercitati a costruire e coltivare la vera libertà che è anzitutto interiore. Anche se fossimo rinchiusi in pochi metri quadrati, potremmo avere orizzonti ampi e un cuore generoso; e questo ci rende liberi, ci rende esseri umani.

Per festeggiare la libertà, di recente ho fatto un mini tour in bicicletta. Tre giorni da Messina a Palermo sulla costa tirrenica passando per bellissimi posti: il santuario della Madonna del Tindari, Patti, Capo d’Orlando, Cefalù… Un percorso lento e meditativo, drizzando i sensi per cogliere particolari, soprattutto incontrare e ascoltare le persone. La voglia di normalità è tanta. I siciliani aspettano i turisti fonte di un’economia che, come in tante altre zone della Penisola, è in grande sofferenza. I lidi sono quasi pronti, le spiagge pulite, i paesi si rifanno il trucco per una rinnovata dignità.

A questo link, un diario minimo del mio viaggio: http://www.pasqualecastrilli.it/i-miei-trekking/biking-messina-palermo

 Il cammino delle “maratone della speranza” prosegue con altre 9 maratone a partire da domenica prossima. “Non essendoci agli inizi di giugno 2020 la possibilità di programmare l’attività agonistica e societaria, - scrive il presidente del Clubsupermarathon - per continuare a mantenere un legame forte tra noi in questi giorni di emergenza che sembra non finire mai, l’unica cosa che possiamo fare è continuare a stare insieme virtualmente allungando la serie degli 11 eventi portandoli a 20”. Per il regolamento si può consultare il sito del Club. Ecco le date:

  • 14 Giugno: Stop alle Cozze
  • 21 Giugno: La Vallée ci aspetta
  • 28 Giugno: Abetone mon Amour
  • 5 Luglio: I Conti tornano
  • 12 Luglio: Magica Romaaa
  • 19 Luglio: Il ritorno della Sibilla
  • 26 Luglio: Gransasso c’è
  • 2 Agosto: Lago Dorato forever
  • 9 Agosto: Venti di speranza - Venti di dono

 

 
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Un assaggio della 100km, un sogno coltivato da anni. Per Vincenzo Puccio è arrivato l’esordio nell’ultramaratona. 100km, sebbene in tre sessioni (in un giorno e mezzo) in occasione della “100km di Passione”, il 23 e 24 maggio. La gara virtuale è stata proposta in coincidenza con la “100km del Passatore”, la storica gara da Firenze a Faenza, che quest’anno non si è disputata, come molte altre competizioni, per l’emergenza sanitaria da coronavirus.

Teatro del tentativo riuscito di Puccio un percorso tra Barcellona Pozzo di Gotto, Milazzo e Tonnarella, in provincia di Messina. 45 i chilometri corsi sabato 23 mattina, 25 i chilometri di sabato pomeriggio, domenica i restanti 30. Tempo totale 7.38’15’’, la media complessiva dei 100km è stata 4’34’’/km. Un risultato di grande spessore tecnico e umano per questo prete-podista con una passione infinita per la corsa. Per una trentina di chilometri Vincenzo è stato affiancato da Francesco Nastasi, forte atleta della Ortigia Marcia di Siracusa. Le eccellenti condizioni climatiche, con leggero vento di maestrale, hanno reso la fatica più sostenibile.

“Ringrazio la mia società, Athletica Vaticana, il mio vescovo mons. Accolla che mi ha incoraggiato nella mia attività pastorale, accademica e sportiva, i missionari Oblati di Maria Immacolata della comunità di Gesso (Messina), e tanti amici che mi hanno sostenuto”, ha detto Vincenzo al termine del lungo percorso. All’arrivo  di domenica ha trovato ad attenderlo, come in tante altre occasioni, alcuni parrocchiani di Santa Venera (Barcellona Pozzo di Gotto) dove svolge il ministero sacerdotale.
Vincenzo ha ottenuto numerosi podi in carriera su gare dai 3000 su pista alla maratona. Ha un personale di 2.29’15’’ sulla maratona (Treviso 2015) e di 1.12’35’’ sulla mezza maratona (Roma-Ostia 2019). Al palmares mancava un’ultramaratona, e la singolare edizione 2020 del Passatore ha offerto questa possibilità.

Gli iscritti al “Passatore virtuale” sono stati in totale 1819 (386 singoli e 1433 atleti staffettisti) numerosi anche dall’estero.

Ecco un estratto dal comunicato degli organizzatori.

Non ci sono parole se non “passione” per descrivere le tante iniziative e contributi dedicati alla Firenze-Faenza nella giornata del 23 maggio 2020, sabato nel quale si sarebbe dovuta correre la 48esima edizione della 100 km del Passatore, rinviata al 2021 causa pandemia Covid-19. Ben 1800 le persone che hanno intrapreso la “100 km di casa” per dare un segnale forte e chiaro dal “popolo della Cento”. Un mare di runner e appassionati tutti accomunati dal desiderio di condividere un evento universale, in grado di unire persone di ogni provenienza, ceto ed etnia, tutte accomunate dal grande senso di fratellanza e genuina competizione che da sempre hanno caratterizzato la Firenze-Faenza sin dalla prima edizione del 1973.             

Tra le iniziative effettuate il 23 maggio citiamo la staffetta curata dalla polisportiva Ellera che ha visto runner (tra cui Luigi Pecora, al quale è stato affidato lo step finale) darsi il cambio da Firenze a Faenza trasportando una bandiera recante il giglio di Firenze. Pecora è giunto in piazza del Popolo a Faenza alle 20,45 applaudito da tifosi e appassionati radunatisi mantenendo le distanze di sicurezza.

Il tutto è stato chiuso dall’evento serale “100 km virtuale” (dalle 21 alle 22,15) su @100kmpassatore: sono intervenuti il presidente dell’Asd 100 km del Passatore Giordano Zinzani, lo storico direttore di gara Commendatore Pietro “Pirì” Crementi, l’instancabile segretaria della Cento Tatiana Khitrova, i vincitori delle due ultime edizioni della Cento, rispettivamente Andrea Zambelli (2018) e Marco Menegardi (2019), la cinque volte vincitrice in campo femminile (terza assoluta nel 2018 e detentrice del record femminile) Nikolina Sustic, la quattro volte vincitrice della Firenze-Faenza e pluricampionessa italiana 100 km Monica Carlin (apparteneva a lei il record femminile del Passatore prima che lo conquistasse la croata Sustic), Federica Moroni (sesta assoluta e seconda tra le donne nel 2019), Luigi Pecora (4 partecipazioni alla Cento, primo tra i faentini al traguardo lo scorso anno), Marco Serasini (vincitore Trittico di Romagna 2017), Marco Boffo (secondo assoluto  nel 2008 e terzo nel 2012) e tanti altri ospiti. Tutti i personaggi intervenuti nel corso della trasmissione hanno raccontato cosa significa per loro la storica ultramaratona, condividendo aneddoti e pensieri.
Concludiamo citando la 100 km corsa da Don Luca, con il sacerdote (storico amico della Cento) impegnato in un pellegrinaggio spirituale in terra romagnola per esprimere la propria vicinanza al personale sanitario duramente colpito in questi mesi di pandemia Covid-19. Don Luca ha fatto tappa in importanti santuari e siti ospedalieri lungo la via Emilia, nel forlivese e nel faentino.  

 

 
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Una bella storia di solidarietà, in questo tempo difficile causa emergenza sanitaria, ci arriva dalla Nuova Atletica Isernia (NAI), società sportiva molisana. Il 19 maggio sono stati consegnati tre tablet a tre giovani atleti FISPES (Federazione Italiana Sport Paralimpici e Sperimentali; una di origine venezuelana) per facilitare l’attività scolastica e mantenersi attivi.
“I ragazzi ringraziano tutti coloro che hanno voluto contribuire a questo piccolo gesto di aiuto in questo particolare momento della nostra vita - dice il presidente della società Agostino Caputo - Io ringrazio voi tutti che avete dimostrato una sensibilità unica nei confronti del prossimo”.
I donatori sono stati numerosi e hanno contribuito alla creazione di un fondo, consegnato all’associazione NAI che ha poi provveduto all’acquisto e alla consegna dei tablet.
Una delle ragazze che ha ricevuto il dono ha detto: “Ringrazio il presidente della Nuova Atletica Isernia, Agostino Caputo insieme alla mia allenatrice Ivana Di Pilla. Loro non solo si occupano del nostro allenamento e del tifo quando andiamo nelle gare, ma vogliono anche che studiamo per un futuro migliore. Vista la situazione attuale, ci stiamo ancora organizzando al meglio per ricominciare ad andare allo stadio più carichi di prima. Approfitto per salutare i miei compagni atleti, nonostante le distanze, e sperando che tutto passi il più presto possibile per poterci riabbracciare domani più forte di prima”.

“È stato bello anche l'incontro tra noi dopo tanto tempo. Speriamo di poterci rivedere allo stadio il più presto possibile”, ha concluso il presidente Caputo al momento della consegna.

Tra gli atleti NAI ricordiamo Giovanni Grano, che ha corso quest’anno al campionato italiano di mezza maratona di Verona il 16 febbraio in 1.04’06’’ (primato personale e sesto italiano al traguardo), e la maratona di Francoforte il 27 ottobre 2019 in 2.16’02’’. Nel collage fotografico, l’immagine che lo riguarda (in basso al centro) è stata ovviamente scattata prima dell’epidemia.

Una società che si fa valere sia a livello tecnico che a livello umano. Fantastico!

 
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Venerdì, 15 Maggio 2020 22:15

Maratone della speranza, 7 su 11 (per ora)

La Milano resisti marathon è stata la prima di 11 maratone definite della “speranza”. Un’iniziativa davvero singolare escogitata dal presidente Paolo Gino e dal Direttivo del Clubsupermarahon (CSMI) in questi mesi di emergenza sanitaria da Covid-19. “Abbiamo ricevuto la richiesta di mantenere un legame forte tra noi in questi giorni di emergenza. Tra le molte iniziative che abbiamo varato, questa speriamo aiuti a passare qualche momento felice e dare speranza a tutti noi e i nostri amici cercando di fare del bene a chi è in prima linea. - scrivevano gli organizzatori - Si tratta semplicemente di correre insieme le maratone che sono state spazzate via dal coronavirus stando rigorosamente a casa, con i mezzi che si hanno e sulla distanza che ci si sente”.

Le maratone della solidarietà si corrono praticamente nelle date degli eventi podistici cancellati. La partenza è data in diretta Facebook alle ore 9 dalla pagina di Daniele Alimonti, runner dalle imprese impossibili (https://www.facebook.com/juan.kappacinque.9). Ognuno può correre una distanza a piacere. L’iscrizione consiste nel versare un’offerta libera alla Protezione civile o ad un ente impegnato nella lotta al Covid-19. Ogni partecipante invia tramite mail o w/app il proprio chilometraggio e qualche fotografia. Dunque nessuna classifica, nessuna competizione, ma solo il piacere di correre e di documentare la propria ‘gara’. Prova ne sono i numerosissimi racconti arrivati al club, che ha intenzione di pubblicare un libro. E’ possibile anche scaricare dei pettorali predisposti per l’occasione.

 

Personalmente ho pensato di aderire a questa serie di ‘maratone’ correndo rigorosamente a domicilio nella prima fase, e dal 4 maggio su percorsi più lineari. Condivido i racconti delle mie prime sette ‘maratone della speranza’.

 

MILANO MARATHON  5 aprile. La reclusione è più leggera / 12,2km

Avevo corso la Milano Marathon il 2 aprile 2017. Una delle mie 13 maratone. Ho bei ricordi di quella giornata in un contesto nuovo per me: conosco poco Milano e la Lombardia… Correre oggi la Milano resisti marathon mi ha riportato inevitabilmente a quel giorno. Solo che oggi ho corso i miei 12km in casa, o meglio nel giardino di casa, in Sicilia, dove vivo da sei anni. La reclusione di questi giorni è un po’ più leggera con questa bella iniziativa delle 11 maratone. Spero di correrle tutte. Un pensiero per i medici e gli infermieri e per quanti sono in prima linea per contrastare il coronavirus. Ho fatto la mia parte donando qualcosa all’Ospedale Papa Giovanni XIII di Bergamo.

 

LAGO D’ORTA MARATHON 13 aprile. Donando sul Lago dorato / 18km

Sono stato una sola volta a Gozzano (Novara), sul lago d’Orta. E’ stato per correre la maratona, il 9 agosto 2018. Una bella giornata sul percorso collaudato con partenza dal lido di Gozzano, passaggio a Pella, giro di boa a Ronco. Una giornata di immersione, per me, nella logica del Clubsupermarathon alla quale mi sento vicino. Prima di quel giorno avevo avuto modo di conoscere questa interessante kermesse solo via web. Sul percorso alcuni personaggi mitici come Piero Ancora, una caduta causa radici (se non ricordo male verso il km 39), all’arrivo una stretta di mano (allora si poteva) e due chiacchiere con Giorgio Calcaterra. In quei due giorni a Gozzano avevo avuto l’opportunità di conoscere la comunità dei missionari Comboniani che risiedono in una casa ricca di storia; anticamente fu un collegio che accoglieva le giovani leve. Anch’io, missionario (Oblato di Maria Immacolata, OMI), ho trascorso alcuni momenti a dialogare e conoscere i missionari di quella casa, alcuni dei quali giunti in prossimità del traguardo finale. Edificato anche dal vedere che una parte della struttura fosse a disposizione della Caritas e un’altra di migranti provenienti dal continente africano.
Tutto mi è tornato alla mente correndo quest’oggi i miei 18 chilometri della “Donando sul Lago dorato. Lago d’Orta Marathon”, la seconda delle 11 maratone. Ho riletto con piacere anche l’articolo che avevo scritto due anni fa sulle chiese che si incontrano lungo il percorso della maratona sul lago dorato. http://www.clubsupermarathon.it/maratone/4182-orta-10-in-10-idea-azzeccata-e-tante-belle-chiese-da-vedere.html

 

PADOVA 19 aprile. Che il Santo ci aiuti! / 15km

Oggi per la maratona di Padova ho un dedica ad un amico, un frate francescano del convento di Padova che sta combattendo contro l’infezione da COVID 19. Ha fatto già due tamponi, ma il virus è ancora all’opera… Non è anzianissimo, ma nemmeno troppo giovane. Ho pregato per lui e gli ho inviato la forza e la vita di cui facciamo esperienza ogni volta che facciamo chilometri. Dal primo all’ultimo metro di oggi (15km con vento di scirocco a 35km/h) la memoria e i ricordi mi hanno fatto rivivere ritiri e incontri che abbiamo condiviso con lui e altri religiosi. Il mio amico è un uomo saggio con tanta esperienza e buon senso. Ha viaggiato molto in Italia e in Europa insieme alle reliquie di sant’Antonio che ha portato anche a latitudini estreme. Il Santo lo aiuterà senz’altro a superare questo difficile momento.

 

50KM DI ROMAGNA 25 aprile- Romagna senza fretta / 10km

Confesso di conoscere poco la Romagna. Più che altro per me è stata terra di passaggio per raggiungere il Veneto e le montagne delle Dolomiti sulle quali sono andato più volte per campi estivi con i ragazzi. Dal centro Italia salivamo per la Orte-Ravenna e poi la Romea… Una volta ci siamo persi nella zona del delta del Po. A gennaio avevo pensato di correre la maratona a Rimini programmata per il 22 marzo, ma poi cancellata. Ho letto della 50km di Romagna soprattutto nelle cronache di chi corre il Passatore a fine maggio e reputa questa gara un’ottima preparazione, alla giusta distanza temporale, dalla 100km Firenze-Faenza. Correndo oggi mi sono lasciato cullare da questo elogio della Romagna scritto da Giovannino Fabri: “La Romagna è terra dolce di gente un po’ matta ma piena di calore, sempre disposta a sorridere e scherzare, capace di lavorare e produrre anche più di qui, ma senza fretta, perché la fretta serve a vivere male. Le colline sono dolci e piene di paesi antichi, tenuti come salotti e il panorama è rasserenante, il vino è sincero come i suoi abitanti, e un bicchiere di vino non si nega a nessuno”.

 

SANTHIA’ / VERCELLI 1 maggio. Maratona del riso (amaro) / 14km

“Le consiglio un buon Barbera”. Il proprietario dell’enoteca del centro di Santhià è convinto e sicuro. E’ l’abbinamento migliore per la cena della sera a base di arrosto di carne. Giuliana si fida del consiglio di un esperto. Due bottiglie e via, rientriamo insieme a casa, poco meno di un chilometro dall’enoteca. Sono a Santhià da un’ora e mi sembra di conoscere Giuliana da una vita. E’ venuta in stazione a prelevarmi con due biciclette: la sua e una per me. Siamo andati a casa a depositare lo zaino e poi insieme a fare compere (tra queste il vino Barbera). L’indomani avrei corso la maratona del Riso. Era il 30 aprile di pochi anni fa. Giuliana mi ospita per due notti nella sua casa. L’ho contatta non ricordo più su quale piattaforma… e l’ho trovata subito reattiva e ‘positiva’. Passiamo dalla chiesa a salutare il ‘don’ locale (che non troviamo), diamo uno sguardo all’ostello parrocchiale e poi rientriamo a casa per non perdere troppe energie. Mi racconta di Santhià: è la prima volta che arrivo da queste parti. In serata mi invita a cenare insieme: siamo in tre. Mi astengo dal Barbera, ma mangio volentieri l’arrosto e un po’ di riso bianco scondito. E’ la vigilia e bisogna mangiare equilibrato e caricare un po’ di carboidrati. L’indomani la maratona scorre tranquilla, super piatta tra le piantagioni di riso e i canali dell’acqua per l’irrigazione. Se non ricordo male solamente un cavalcavia a metà gara e un sottopassaggio verso il 37° km. All’arrivo trovo Giuliana pronta a mettermi la medaglia al collo. E’ andata dagli organizzatori dicendo loro che arrivava un amico e voleva premiarlo lei. Fantastico!

Il ricordo della maratona del riso, una delle mie poche maratone, solo 13 finora, era inevitabile in questo primo maggio un po’ amaro, ma reso senz’altro più lieto correndo i 14km della “resisti marathon” di turno. Oggi ho corso pensando di essere di nuovo a Santhià. Con Giuliana ci siamo sentiti poche volte in seguito: sono quegli incontri fugaci che restano dentro per sempre.

 

BARCHI-FANO 3 maggio. Barchi, su e giù / 11km

Già da un paio d’anni avevo “messo in canna” questa maratona marchigiana. Ma per varie coincidenze non è stato possibile partecipare. Oggi ho corso con il desiderio di poterla correre presto, magari nel 2021. Dai racconti dei runners e dalle cronache degli anni passati, leggo di una gara ricca di saliscendi, ma anche di tanta simpatia e accoglienza da parte degli organizzatori e di chi si prende cura dei podisti lungo il percorso e all’arrivo.

Mi piacciono i percorsi “mossi” (soffro un po’ le discese), perché mi sembra ricalchino il cammino della vita che è fatta naturalmente di alti e bassi. La salita ci richiama l’esigenza di elevare la nostra esistenza, la discesa ci aiuta a capire che quando la velocità aumenta non dobbiamo perdere il controllo della situazione. Il giro casalingo che ho allestito per queste prime maratone è stato abbastanza variegato: cemento, terra e tappeto, per quanto riguarda il fondo, breve discesa al 10%, due salite anch’esse brevi, tre giri di boa, per quanto riguarda il percorso. La vita è così. Oggi abbiamo superato la metà delle 11 maratone della speranza: felice di far parte del gruppo.

 

6 ORE DI FOIANO 10 maggio. Evviva i donatori! / 13km

Prima ‘maratona’ esterna quest’oggi. Giornata calda: le temperature sono salite decisamente nel corso dell’ultima settimana. La Sicilia è illuminata in tutto il suo splendore. Senza strafare, oggi ho pensato di allungare. Nelle settimane di clausura causa coronavirus, ho corso 200km su un percorso casalingo da criceti (in una ‘maratona della speranza’ ho fatto 18km su questo mini-anello!). Oggi non mi sembra vero poter assaporare chilometri distesi, senza giri di boa e cambi di ritmo. Sullo sfondo il golfo di Milazzo e le isole Eolie. In genere non scatto foto durante l’allenamento, quest’oggi a maggior ragione: vento di scirocco (non fortissimo questa volta) che rende tutto meno nitido. Il panorama meriterebbe di essere immortalato, lo conosco bene…

Il titolo della sei ore di oggi (il donatore) mi fa pensare a quanti in questo periodo hanno veramente donato: tempo, energie, preghiere, lavoro, denaro… Abbiamo vissuto in queste settimane alcune dimensioni che ci rendono più umani: la compassione, la solidarietà… Tratti fortemente italiani, distintivi che ci vengono riconosciuti anche a livello internazionale.

 

Un totale di 93km corsi per queste prime 7 ‘maratone della speranza’. Ne restano altre 4 che vi racconterò.

 
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Si è concluso il 7 maggio un interessante convegno promosso dall’Ufficio per lo sport della Conferenza episcopale italiana (CEI) sul futuro dello sport dopo l’emergenza sanitaria. Il tema: “Sport ritorno al futuro. Percorso di riflessione online sul futuro dello sport dopo la pandemia di Covid 19” è stato affrontato in quattro incontri serali svoltisi su una piattaforma Internet. Significativi i contenuti e la partecipazione.

“La pandemia di Covid19 cade in un periodo storico di trasformazione sociale profonda. - scrivono gli organizzatori - Nel discorso alla Curia romana del 21 dicembre 2019 papa Francesco ha dato evidenza che «quella che stiamo vivendo non è semplicemente un'epoca di cambiamenti, ma il cambiamento di epoca». Un'epoca di globalizzazione, interconnessione, esplosione del digitale, profondi cambiamenti climatici…

Sentiamo spesso dire che il coronavirus cambierà il mondo e le nostre vite. In realtà la diffusione del coronavirus, così capillare e veloce, è una conseguenza del cambiamento in atto. Più che causa di cambiamento, la pandemia sta svolgendo il ruolo di acceleratore del cambiamento. Una macchina del tempo che ci sta facendo fare un balzo in avanti nel futuro, in termini di consapevolezza, stili di vita, modo di lavorare e relazionalità”.

La prima serata, il 27 aprile, ha avuto come tema: “Lo sport come fenomeno storico e sociale”. Gli interventi e la discussione hanno ruotato attorno all’idea che lo sport “si è sempre mostrato permeabile alla storia del proprio tempo” mostrandosi al tempo stesso come “amplificatore della cultura e degli stili di vita”. A questa serata è intervenuto Giovanni Malagò, presidente del CONI.

La seconda serata, il 30 aprile, ha visto una riflessione sul tema “Lo sport come fenomeno antropologico”. La relazione principale è stata tenuta dal prof. Luigi Alici, docente di filosofia morale preso l’Università di Macerata. Centro della serata l’idea che “lo sport, come categoria del gioco, affonda le proprie radici nella dimensione arcaica e profonda dell'umanità”.

Il 5 maggio, la terza serata ha avuto come tema “Lo sport come fenomeno corporeo”. I presenti hanno riflettuto sui temi della digitalizzazione e della virtualizzazione delle relazioni interpersonali. Aspetti già presenti nel tessuto della vita odierna, che hanno subito un’accelerazione nel tempo della pandemia. La relazione centrale: “Lo sport e la sfida della digitalizzazione” è stata proposta dal prof. Fausto Colombo, docente di Teoria della comunicazione all’Università cattolica del Sacro Cuore.

L’ultima serata, il 7 maggio, è stata piuttosto una tavola rotonda di sintesi dal titolo “Idee e stimoli per la ripartenza”. Lo sport non può riproporsi come in passato, ma deve interpretare velocemente i tempi nuovi. In questo incontro è stata significativa la presenza del ministro dello sport, onorevole Vincenzo Spadafora.

Lo scopo del convegno è stato offrire una riflessione sulla ripartenza dello sport dopo la pausa dovuta all’emergenza sanitaria, indagando in particolare le dimensioni antropologica e valoriale della pratica sportiva. I partecipanti si sono posti anche la domanda su come lo sport possa contribuire alla ripresa individuale e sociale e su come esca trasformato dalla ferita della pandemia.

 
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Sabato, 02 Maggio 2020 18:53

La corsa del futuro: individuale e solidale

Si avvicina il 4 maggio, data attesa da tanti italiani e da tanti podisti. I cambiamenti non saranno sostanziali, ma per chi corre ci sarà la possibilità di allontanarsi da casa ed entrare nei parchi o nel territorio comunale confinante. Riprenderemo a solcare strade seguendo con attenzione le norme previste nella “fase 2”, a cominciare dall’evitare gli assembramenti e tenere la necessaria distanza.

In questi giorni cerchiamo risposta a due domande che si rincorrono e in parte sovrappongono.
Come esce la corsa da questo periodo di chiusura forzata e inaspettata?
La seconda domanda potrebbe essere: quale e come sarà il futuro della corsa a piedi?

La chiusura di strade, parchi, impianti sportivi, ha messo ruggine nelle gambe che va smaltita. Molti hanno corso nei giardini di casa, sui balconi, in piccoli parcheggi. I più fortunati su un tapis roulant (le case costruttrici hanno avuto un’impennata di vendite). Parecchi podisti si sono dedicati ad allenamenti di forza soprattutto per gambe e addominali. Potremmo dire che, da un punto di vista fisiologico, c’è molto da ricostruire. Con l’umiltà e la pazienza esercitate in tante occasioni, i podisti si rimettono a lavorare per raggiungere un livello di forma accettabile.

La corsa, come tante altre dimensioni della nostra vita, esce dalla pandemia con maggiore consapevolezza e umiltà. Parole impegnative. La consapevolezza ci fa comprendere il beneficio che l’attività sportiva porta nella nostra vita quotidiana. La corsa è inserita nello schema ordinario della vita di un podista come lo sono il lavoro, il riposo, gli affetti, l’alimentazione... Viene programmata nei piani settimanali come punto importante, non occasionale. Consapevolezza rimanda a responsabilità, perché questo bene possa durare nel tempo.
Per questo, nella fase di ripresa una parola chiave sarà “gradualità”: ci vorrà almeno un mese per raggiugere i livelli di forma del mese di febbraio. La pandemia ci fa riflettere anche sull’umiltà, virtù sempre necessaria in tutti i settori della vita umana. Non siamo invincibili o immortali, cerchiamo di fare del nostro meglio e di ripartire dopo ogni caduta dalla quale è utile imparare. Anche dalla recente caduta, questa volta globale, impariamo a mettere più ordine nella gerarchia dei valori.

Possiamo anche domandarci quale sarà il futuro della corsa? Come saranno le competizioni? Se lo è chiesto anche Cesare Monetti sul “Corriere dello sport” del 30 aprile anticipando un documento della Fidal dal titolo “L’Italia torna a correre”. Notiamo il sottotitolo che è forse ancora più interessante del titolo: “Sicuri e liberi, perché correre è una richiesta sociale per stare bene”. Partendo dallo stesso documento, Roberto Annoscia (figura notevole della Fidal pugliese) su Podisti.net ha invece esternato perplessità che sconfinano nel pessimismo: http://podisti.net/index.php/in-evidenza/item/6115-l-italia-torna-a-correre-o-si-dovra-attendere-il-vaccino.html

In questa fase di ripresa ci sembrano rintracciabili almeno due dimensioni. Anzitutto quella individuale. Uno dei diktat delle settimane passate (e dei prossimi tempi) è stato il distanziamento interpersonale. Bisogna correre rigorosamente da soli. Chi non è abituato farà fatica, sia in allenamento che in gara. Ci mancheranno le uscite in gruppo, occasione di condivisione, sorrisi e sostegno. Mancherà la scia di chi corre davanti a noi nel corso della gara. Ancor di più il podista vivrà la “solitudine del maratoneta”, ma va bene così. Gli sport di squadra saranno decisamente più penalizzati soprattutto se giocati al coperto.

Un secondo aspetto della corsa del futuro è probabilmente la dimensione virtuale. Negli ultimi 40 giorni abbiamo assistito al moltiplicarsi di proposte di gare virtuali, spesso abbinate ad iniziative solidali per la raccolta fondi in favore di ospedali o enti impegnati nella lotta all’infezione da Covid-19. Il volume del virtuale (le comunicazioni sociali via Internet) è cresciuto parecchio, ce lo dicono anche i dati dei fornitori della rete Internet. Dovremo tenerlo presente per il futuro delle relazioni e della pratica sportiva. In una gara virtuale conta meno la prestazione cronometrica e si sperimenta forse una maggiore solidarietà. Conta il sentirsi uniti nonostante la distanza, il correre per una causa nobile. Per questo motivo, nei prossimi mesi sarà probabilmente meno importante misurarsi con il cronometro, con la competizione a tutti i costi, con gli avversari e i podi. Sarà utile concentrarci maggiormente sulla pratica sportiva, sulla comunità dei runner, sulla solidarietà.

La pandemia da coronavirus si sta delineando come una purificazione planetaria. Anche la corsa a piedi può trarre qualche beneficio da questo processo.

 

 
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Lunedì, 27 Aprile 2020 17:44

Prete e runner al tempo della COVID 19

La vita di un sacerdote-podista è parecchio, direi doppiamente sollecitata in queste settimane.

Sono pienamente d’accordo sulla tempistica e sui contenuti del messaggio che i vescovi italiani hanno indirizzato al governo ieri sera, 26 aprile, a proposito del nuovo DPCM che non prevede la possibilità di celebrare messa se non per i funerali (ai quali sono ammesse 15 persone). Non si capisce perché possano riaprire fabbriche, esercizi commerciali, mezzi di trasporto, musei e librerie, ma non si possa, con le dovute accortezze e rispettando il distanziamento, celebrare l’eucaristia. ”Una scelta miope e ingiusta”, la definisce Marco Tarquinio, direttore del quotidiano Avvenire.

Le sofferenze di questo periodo sono state numerose per tutti. Le famiglie con bambini piccoli o con persone disabili confinate negli appartamenti, la solitudine degli anziani, la perdita di un reddito per i lavoratori precari… Tutti ci siamo impegnati in una situazione che ci ha trovati impreparati ed ha instillato nel nostro vissuto paura e diffidenza.

Alle norme che hanno vietato la frequentazione delle scuole, degli ambienti di lavoro, dei parchi pubblici, ai divieti per la corsa e l’attività sportiva fuori casa, si è affiancata, in questi mesi, anche l’impossibilità di incontrarsi come comunità di fede, per pregare e celebrare, ascoltare insieme la Parola di Dio e nutrirsi dell’Eucaristia. Non c’è stato nessun periodo della storia della nostra Penisola in cui i credenti siano stati privati dei sacramenti per un tempo così lungo. Anche durante le guerre si celebrava messa. L’emergenza sanitaria ha motivato queste restrizioni, che sono state rispettate e assunte. Ma la situazione odierna non giustifica più le misure di ristrettezza, soprattutto nel Sud del Paese meno colpito dall’epidemia.

A nostro avviso, sarebbe stata intelligente e matura la ricerca di soluzioni pratiche osservando su questo argomento quanto sta succedendo anche in atri stati europei. Non sono senz’altro pensabili messe con centinaia di persone che stiano fianco a fianco, ma sono praticabili alcune soluzioni:

  • rispettare nella maniera più assoluta il distanziamento di almeno due metri tra le persone indossando l’opportuna mascherina;
  • prevedere un numero di fedeli proporzionato alla dimensione del tempio;
  • favorire le celebrazioni all’aperto;
  • moltiplicare il numero delle messe festive per dare possibilità di partecipazione ad un numero maggiore di persone;
  • autorizzare le messe feriali, dal lunedì al venerdì, che hanno, già in condizioni normali, una presenza limitata di persone;
  • sanificare le chiese con cadenza regolare.

Con l’aiuto di tutti, ci si può arrivare.

 
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Domenica, 12 Aprile 2020 23:32

Don Marco: il maratoneta del Venerdì Santo

11 aprile - Un colpo d’occhio unico: piazza san Pietro, a Roma, completamente vuota. Le fiaccole sono disposte a terra in ordine, a disegnare il percorso della Via Crucis attorno all’obelisco. Venerdì sera molti davanti alla TV hanno pregato con papa Francesco in questo tempo difficile. Una piazza deserta come la sera del 27 marzo quando Francesco aveva pregato per la fine della pandemia da coronavirus, emergenza sanitaria mondiale. Un piccolo gruppo di persone procede nella piazza e porta la croce nelle quattordici stazioni previste: medici, infermieri del Gemelli, personale di un istituto di pena. Tra loro anche un prete dal fisico atletico in jeans e scarpette. E’ don Marco Pozza, cappellano del carcere “Due Palazzi” di Padova. Marco corre le maratone sotto le tre ore, ma con il desiderio di “scendere sotto le 2 ore e 40”, dice consapevole della proprie possibilità.

I testi di questa Via Crucis sono stati curati da lui. «Al Santo Padre piacevano i miei racconti sull’universo carcere: non solo i detenuti, ma tutti quelli che operano per far riemergere persone che hanno sbagliato, certo. Però restano sempre persone. - spiega sulla Gazzetta Sportiva del giorno di Pasqua (pagina 27) -Spesso con loro uso un esempio: nel salto in alto si può vincere la medaglia d’oro anche dopo due errori. Mai arrendersi. Ecco, papa Francesco mi ha detto: “Sono storie di una moderna Via Crucis, facciamola”. E così sono stati i detenuti e le persone che ruotano attorno al mondo del carcere a preparare i testi per le meditazioni e le riflessioni di preghiera della stazioni della Via Crucis 2020.

Nel 2009 don Marco corre la sua prima maratona a Padova in poco più di 3 ore. Al traguardo incontra Alex Zanardi che lo incoraggia a continuare e scriverà la prefazione al suo libro “Asini dalle matite colorate” (2010); a Venezia in ottobre scende verso le 2.51. Nel 2010 è la volta Roma (2.49:32), e sei mesi dopo di New York (2.48:58), con allenamenti a Roma e in Veneto (Marco è vicentino), e la Ascoli-San Benedetto del Tronto, il 26 settembre, come gara intermedia. Nel 2012 partecipa ancora alla maratona di Venezia che chiude in 2ore e 47 minuti, 27° assoluto e primo di categoria.
“La corsa mi aiuta a tenere ordinati i pensieri che ho in testa così non ho mai fatto fatica ad allenarmi”, dice, raccontando che negli anni passati, in alcune settimane è arrivato anche a correre un totale di 120, 130km. Ama le storie di riscatto e crede nelle infinite possibilità dell’essere umano, don Marco, che ha proposto il “percorso maratona” ad alcuni detenuti della casa di reclusione “Due Palazzi” di Padova. “Per me e per loro è una bella sfida. E’ il modo per riscattarsi ma è anche un insegnamento. Uno dei più grandi problemi nella vita in cella è l’ozio. Allenarsi e preparare la maratona significa ribaltare questa logica, significa rimettere in piedi il fisico, ma anche il cuore e la testa. Serve a capire che per arrivare al traguardo ci si deve preparare con passione, un mattoncino al giorno. Ed è un metodo che poi ti porti fuori”.
E questa storia don Marco l’ha racchiusa in un libro del 2012 dal titolo davvero simbolico, «Contropiede». “Si chiama così - dice - perché io amo i gol fatti in questo modo. Sono una metafora. Quante volte capita che ci sia una squadra più forte di un’altra, che domina tutta la partita e poi all’ultimo minuto gli avversari la battano con un gol in contropiede? Come nella vita. La partita non è mai finita. Anche i ragazzi che hanno fallito hanno in tasca la possibilità di ribaltare la loro partita. Sempre”. Concetti simili aveva già espresso nel romanzo precedente “Penultima lucertola a destra. La sconfitta è l'arma segreta dei vincitori”, uscito con prefazione di Magdi Allam.

Forse qualcuno ricorderà la polemica alla vigilia della maratona di Padova del 2011 quando un politico propose di non finanziare e sponsorizzare la manifestazione “perché partecipano e vincono atleti africani o comunque extracomunitari in mutande”. Al dibattito intervenne anche don Pozza che in una lettera pubblicata sul sito della maratona di Padova scriveva: “Sarebbe un po’ come boicottare la teoria della relatività solo perché firmata da Albert Einstein che, non ci stupiremmo, potrebbe di questo passo essere definito “sporco nazista” solo perché tedesco. O ignorare le poesie di Marquez solo perché “terzomondiale”, scriveva con tono accorato. “Un giorno la politica capirà - magari dando l’esempio pure alla Chiesa - questa nuova religione laica che è la pratica della corsa, una forma di ascesi che costringe l’uomo ad andare alla ricerca delle motivazioni più profonde per risalire verso l’alto delle sue capacità e raggiungere quella forma di estasi sportiva che, fosse anche solo per un secondo, ripaga di mille sacrifici fatti sotto il sole d’agosto o il ghiaccio dicembrino. Forse non c’è nessun altro popolo oltre quello africano che nella maratona possa dare ragione di una bellissima frase del film “Momenti di gloria” quando il protagonista esprime in un concetto il senso stesso della sfida: “credo nella ricerca della perfezione e io porto l’avvenire con me”.

E’ nato nel 1979 questo prete, che oltre ad essere maratoneta è anche appassionato di bicicletta, giornalista, conduttore televisivo e autore di libri. Parlando dell’esperienza alla Via Crucis dice: “Vuota e solitaria [la piazza]: di quella solitudine che pare abbandono, ma non lo è per nulla. Questa volta il papa ha chiesto al mondo del carcere, l'emblema dell'abbandono massimo, di prestargli la voce per dialogare con il cuore dell'uomo e della donna”.
Marco che dà del “tu” a papa Francesco (col quale ha firmato il libro “Quando pregate dite: Padre nostro”), descrivendo sé stesso dice: “Nel poco tempo libero che gli rimane ha già iniziato ad abbozzare la sua prima enciclica, qualora gli toccasse la dura avventura d'essere eletto papa. L'incipit è già stato messo nero su bianco: «Ho odiato ogni minuto di allenamento ma mi dicevo: non rinunciare. Soffri ora e vivi il resto della vita da campione» (M.C. Clay)”. Auguri!

 

 

 
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Domenica, 05 Aprile 2020 12:24

La settimana santa. Come una maratona

La domenica delle Palme inaugura la settimana santa. E’ una settimana importante, celebriamo il cardine della nostra fede cristiana: Gesù Cristo, crocifisso e risorto. Ripercorriamo spiritualmente gli ultimi giorni della vita di Gesù, figlio di Dio e nostro fratello. Il suo ingresso a Gerusalemme, oggi domenica delle Palme; l’ultima cena il giovedì santo, la salita verso il calvario e la morte in croce il venerdì santo, la resurrezione il giorno di Pasqua.
La domenica delle Palme ci riporta all’entrata trionfante di Gesù a Gerusalemme, acclamato e osannato dalla gente come re d’Israele. Gesù umile fa il suo ingresso, a dorso d’asino, e la gente canta “Osanna al figlio di Davide. Benedetto colui che viene nel nome del Signore…”. Tutti noi desideriamo ogni anno celebrare questa giornata insieme. Il segno delle palme, il ramoscello d’ulivo, è molto caro ai cristiani di tutti i continenti. Qualche anno fa, nella piccola chiesa dove celebravo messa, ho voluto anch’io fare qualche centinaio di metri a dorso d’asino proprio per ricordare questo ingresso di Gesù a Gerusalemme pochi giorni prima della sua morte e risurrezione.
Nella celebrazione odierna si legge anche il lungo racconto della passione di Gesù come è narrata dal vangelo di Matteo: il processo, la condanna, il tradimento di Giuda, la salita al Calvario… Ma quest’anno viviamo purtroppo una novità: non abbiamo la possibilità, infatti, di uscire da casa nostra per andare nella casa di Dio, date le disposizioni attuali per l’emergenza sanitaria. Possiamo senz’altro seguire la messa in televisione e unirci spiritualmente alla celebrazione. Ci manca la messa domenicale, ci manca l’Eucaristia. Non è la stessa cosa la messa in televisione… perché alla messa non si assiste come ad un film o ad un concerto, ma si partecipa, si celebra insieme, sacerdote e fedeli. Non un rito, ma un evento. Speriamo di poter tornare presto a varcare la porta, ciascuno della sua chiesa parrocchiale.
La settimana santa ha delle attinenze con la maratona. Forse il paragone è un po’ azzardato, ma forse no. Abebe Bikila, campione olimpico in maratona a Roma 1960 e Tokyo 1964, diceva: “Corro scalzo per sentire meglio cosa mi sussurra la strada”. Sentiamo cosa ci vuole dire, cosa vuole sussurrarci la settimana santa.

La domenica delle Palme è l’inizio del viaggio. Ci siamo preparati per parecchie settimane, allenamenti in ogni condizione meteorologica, sacrifici, forse anche qualche contrattempo… Ma siamo alla partenza. Sorridiamo come Gesù quel giorno che entrò a Gerusalemme. Forse anche lui aveva dormito poco e male la notte precedente. Abbiamo preparato tutto con cura (le scarpe, la canotta con il pettorale, i gel…) e nella nostra mente ricordiamo il percorso che ci attende e la strategia di gara che abbiamo previsto. Gli applausi delle persone alla partenza e nei primi chilometri di gara assomigliano a quelli della gente festosa che accolse Gesù pochi giorni prima della sua condanna.

I primi 20 chilometri della maratona scorrono discretamente tranquilli. Il passo regolare, i ristori, qualche battuta con chi corre accanto a noi…  Arriviamo alla mezza maratona con il tempo che più o meno avevamo previsto. Il lunedì, il martedì e il mercoledì santo, la chiesa ci fa leggere brani del profeta Isaia (dai capitoli 42, 49 e 50) dove ascoltiamo di un “servo sofferente”, il “servo di Jahvè” che piega la sua schiena e presta il suo volto. Il servo è fiducioso nel Signore e “non teme di soccombere”.
La fatica comincia a farsi sentire nelle gambe e arriviamo attorno al chilometro 30. Sicuramente siamo stati attenti a non saltare nessun ristoro: acqua, sali, qualche gel per avere le energie giuste. Ma è qui che comincia la maratona. Qualcuno ha detto che la maratona è una competizione di 10/12 chilometri prima dei quali ne hai corsi altri 30!

Il giovedì santo è un importante ristoro. Fondamentale. Gesù istituisce l’Eucarestia: “questo è il mio corpo, questo è il mio sangue”. L’Eucaristia, il pane del Cielo è un ‘alimento’ essenziale per il cristiano, un balsamo, la presenza reale di Cristo: entriamo in comunione con lui per dare forza e speranza ai nostri giorni, alle nostre fatiche, al nostro impegno…

La crisi che avvertiamo in genere attorno al km 34, chi prima chi dopo, assomiglia ad un calvario. Il venerdì santo Gesù sale carico della croce verso il Golgota. Spesso in quei chilometri del “muro”, incontriamo podisti piegati in due dalla fatica, alcuni camminano, altri sono fermi… Anche noi cominciamo ad avvertire un calo fisiologico: le gambe diventano pesanti, sentiamo dei brividi nonostante siamo accaldati, la mente si annebbia un po’, il traguardo sembra lontanissimo. Ci concentriamo su noi stessi, dialoghiamo con noi stessi, cerchiamo le energie più nascoste da mettere in strada. Anche Gesù era solo, molto solo, con la sua croce: una condanna ingiusta e superficiale. Un cammino in salita, sbeffeggiato e accusato. La corona di spine… la morte in croce come un bandito che si è macchiato di crimini orrendi.

Nei chilometri che seguono procediamo con il pilota automatico. Il sabato santo è il giorno del grande silenzio… Tutto tace. Anche attorno a noi tutto tace: la vista e l’udito si accorciano per concentrarsi e sognare il traguardo, immaginare l’arrivo, la fine della fatica.

Al chilometro 41 i più spregiudicati tra noi iniziano già a pensare alla prossima maratona. Ma molti dicono a sé stessi: “è l’ultima: mai più una cosa così! Con la maratona ho chiuso…”. Il traguardo è vicino, vediamo l’arco di arrivo davanti a noi, ancora poche centinaia di metri… La resurrezione di Cristo è la fine del percorso. Una buona notizia. La morte è stata sconfitta, la luce ha vinto sulle tenebre. La vita di Cristo non termina il venerdì santo, ma si compie pienamente al mattino di Pasqua. Noi cristiani non siamo uomini e donne del venerdì santo, ma gente di Pasqua. Abbiamo una speranza; ce la dà Cristo con la sua resurrezione.

La gioia all’arrivo è tanta, le lacrime a volte scendono sul viso, riceviamo una medaglia, un ristoro… Ringraziamo il cielo per avercela fatta. La corsa ci purifica, uccide il peggio dell’essere umano e valorizza il meglio di noi. Paula Radcliffe, atleta britannica capace di correre la maratona di Londra nell’aprile 2003 in 2.15’25’’ (tempo che è stato record mondiale e attualmente record europeo) scriveva qualche anno fa: “La maratona rappresenta l’esistenza: ha punti bassissimi che devi superare e momenti d’estasi che ti sforzi di prolungare. E’ un’esperienza spirituale attraverso la quale entri più profondamente in contatto con te stessa, trovando le risposte che cercavi”.

In questi giorni di clausura, sono tanti gli atleti che hanno corso una maratona nel giardino di casa, sul balcone o in un cortile di poche decine di metri. Uno sportivo argentino ha corso in casa addirittura un mezzo Ironman, una podista francese ha fatto 100km in 22 ore nel suo giardino. Possiamo discutere sull’opportunità di queste ‘imprese’. Sono proprio necessarie? E’ conveniente girare praticamente su sé stessi rischiando tra l’altro un grande mal di testa? E poi: farlo proprio in questi giorni?
Mi piace interpretare ciascuna di queste “gare”, di queste “imprese”, come un forte desiderio di vivere, la forza del bene che vuole sconfiggere il male. Il non arrendersi davanti al contagio e ai problemi di questi giorni. E’ come se volessimo urlare: “siamo più forti, ce la faremo”. In fondo correre è un po’ sconfiggere la morte per respirare pienamente la vita. Non vi sembra?

 

 
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Podi e successi a valanghe per il prete trentino specialista di corse in montagna. Don Franco Torresani anche nel 2020 ha collezionato prestigiosi risultati alle competizioni alle quali ha partecipato nei primi mesi dell’anno. Nono posto assoluto alla 47ma edizione della Ciaspolada Val di Non (Tn) il 5 gennaio, primo posto di categoria alla 43ma edizione del Cross di Vallagarina (Tn) il 19 gennaio, secondo posto di categoria alla 88ma Cinque Mulini di S. Vittore Olona (Mi) il 26 gennaio.
Anche lui, che ama definire se stesso “assistente spirituale degli sportivi”, vive con apprensione questa fase di emergenza legata al contagio da coronavirus. “Ogni giorno che le lancette o, meglio, il display del cronometro indicano che è giunto il momento di ripartire per una nuova giornata - dice - si percepisce sempre di più che anche lo sport fa parte integrante della lotta contro il micidiale avversario con il quale sta combattendo il nostro pianeta”.

E’ difficile rimanere al chiuso in questi giorni?

II piacere, la gioia del movimento e del confronto fisico, oltre ad essere funzionali alla sopravvivenza e parte della natura dell'uomo, sono ingredienti costitutivi dello stesso DNA sportivo. A maggior ragione appare contro natura come, nell'attuale contesto, nello spazio temporale di alcuni giorni si siano ribaltate le prospettive. Provocati, nostro malgrado, ad un addestramento intensivo, per imparare che si può essere veri sportivi anche nella capacità di controllare ogni gesto atletico verso l'altro, proprio per il bene del prossimo. Operazione non certo agevole, pure per il sottoscritto, che ritiene il risultato più significativo di oltre 40 anni di impegno nello sport, unitamente alla nazionale assoluta, proprio il non aver mai abbandonato l'impegno atletico se non dopo aver superato il traguardo. 

88^ Cinque Mulini

Verrebbe voglia di buttarsi giù e di deprimersi. Come reagire?

Anche se gli stessi Giochi Olimpici di Tokyo 2020 hanno annunciato la resa, verbi come “ritirarsi” non fanno parte del vocabolario dello sportivo, neppure in questo momento anomalo nel segno del “contro tutto e tutti”.  Una provvidenziale occasione ci viene offerta, per vincere la tentazione della resa e dell'abbandono da ogni impegno. Imparare ad allenare innanzitutto la mente pensando, come si suol dire, in positivo. Oltre alle fibre muscolari imparare a potenziare l'anima, facendola respirare e correre con più forza, specie verso quelle situazioni dove la fatica e la sofferenza sono arrivate ai massimi livelli di sopportazione. Certamente da buoni sportivi. Occasione preziosa anche per assimilare le più diversificate tecniche a domicilio per il mantenimento della forma fisica.

E’ un tempo, questo, in cui stiamo rivalutando anche le nostre relazioni sociali, il nostro rapporto con il prossimo. Non ti sembra?

Quanto stiamo vivendo può diventare un'occasione irripetibile, per imparare che il cosiddetto avversario assegnatoci dalla competizione sportiva e dalla vita non è, comunque, un nemico da cui tenere le distanze o da abbattere. Piuttosto una straordinaria possibilità, una risorsa che, anziché ostacolare, stimola a ritrovare il meglio di sé stessi e degli altri aiutando ad elevare, unitamente alle prestazioni atletiche, la qualità della nostra esistenza. Nella mia stessa, limitata, esperienza in competizioni sportive ufficiali, in diversi frangenti ho potuto constatare che la soddisfazione maggiore, prima ancora che dalla vittoria, viene magari da un decimo posto alle spalle però di campioni, che con la loro presenza hanno motivato il miglioramento della prestazione personale. 

 

 
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L’uomo più forte di sempre in maratona, il keniano Eliud Kipchoge, attuale detentore del record del mondo sulla distanza (2.01’39’’ stabilito a Berlino il 16 settembre 2018) e primo uomo della storia a correre una maratona sotto le due ore (1.59’40’’, Vienna 12 ottobre 2019) si trova nella sua casa di Eldoret, in Kenya, dove è arrivato puntuale il contagio da Covid 19.
Il rinvio dei Giochi Olimpici obbliga lui e tutti gli atleti di élite a rivedere i propri piani di allenamento e di partecipazione alle gare di questi prossimi mesi. Tutti aspettavamo la maratona di Londra di fine aprile per vederlo gareggiare insieme all’altro grande interprete, l’etiope Kenesisa Bekele (2.01’41’’ a Berlino il 29 settembre 2019).

https://www.podisti.net/index.php/in-evidenza/item/5484-2020-si-prospetta-una-leggendaria-maratona-di-londra.html

E tutti ugualmente aspettavamo la maratona olimpica prevista il 9 agosto a Sapporo: invece, gli atleti dovranno attendere con pazienza la fine di questa emergenza per tornare alle gare, e il 2021 per i Giochi.
In questo tempo di incertezza, i podisti di tutti i livelli stanno riformulando i propri obiettivi e conseguentemente i piani di allenamento. Kipchoge continua a lavorare duro e a mantenere lo spirito positivo che lo ha sempre caratterizzato.
Come in tutto il mondo, anche il Kenya ha previsto misure per arginare il contagio da Covid 19. Le gare sono sospese, non si può correre in gruppo, ma alcuni impianti restano aperti. Possiamo immaginare il disagio di Kipchoge che ha ritenuto sempre importati gli allenamenti in gruppo. Anni fa aveva detto: “il 100% di me non è niente, se confrontato con l’1% della squadra con cui mi alleno ogni giorno”.
“Esco ogni mattina a correre da solo alle 6. - ha detto Eliud in un’intervista qualche giorno fa - E’ duro per me allenarmi da solo perché ritengo molto utile l’allenamento in gruppo. In squadra viviamo un interesse vicendevole e questo aiuta molto. Vivo la quarantena stando con la mia famiglia e con l’attenzione a non frequentare troppe persone. Cerco di mantenere la forma”.
Ha spiegato come si è adattato alle misure restrittive mantenendo comunque un volume di allenamento di circa 160 km settimanali; tuttavia, in questa fase, è importante che tutti gli atleti keniani si allenino rigorosamente da soli.
Da un punto di vista tecnico Kipchoge in queste settimane non effettua lavori qualitativi, come le ripetute, ma corsa lenta (per lui!) attorno ai 3’45’’/km. Ricordiamo che Eldoret, dove vive, si trova a 2000 metri sul livello del mare e dunque consente i benefici degli allenamenti in altura.
Trascorre tempo con la moglie e i tre figli, legge buoni libri, si dedica alla fattoria di famiglia, una delle sue grandi passioni. “Dobbiamo essere tutti disponibili in questo periodo. - conclude - Io e la mia famiglia ci impegniamo a stare in casa il più possibile. Sto sperimentando nuovi modi per allenarmi. Forse ora più che mai siamo una squadra”.

 
 
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Giovedì, 19 Marzo 2020 22:48

Fuorilegge come sul Mekong?

19 marzo - Sembra di essere in un film. Di genere molteplice: drammatico, surreale, horror. La Campania, l’Emilia Romagna, alcune zone della Sicilia hanno già vietato espressamente passeggiate e corse all’aria aperta. In realtà da stasera (19 marzo) la sensazione è che ci sia stato un forte giro di vite da parte delle autorità. Il ministro per le Politiche sociali e lo sport, Vincenzo Spadafora ha provato fin dalla sera del 18 a preparare il popolo degli sportivi prima della stangata finale, il divieto assoluto: “Credo che nelle prossime ore bisognerà prendere in considerazione la possibilità di un divieto completo anche all’attività all’aperto”. Minaccia analoga era venuta il giorno prima dall’assessore ff  alla Sanità dell’Emilia Romagna.
Mi domando quale regista avrebbe potuto dirigere un film di questa portata, e soprattutto chi lo avrebbe mai finanziato. Fra qualche anno, quando usciranno nelle sale cinematografiche film (che saranno certamente realizzati) su questo soggetto: “il mondo ai tempi del coronavirus”, appariranno anche i podisti impauriti, imbavagliati, menomati… perseguitati.
E dire che in altre circostanze passate, una delle immagini più usate per sottolineare la ripresa della normalità dopo un cataclisma, un terremoto, una guerra, è stata proprio quella dei podisti di nuovo all’aria aperta. Un’immagine dinamica che sottolinea serenità, voglia di vivere e in qualche modo sguardo positivo al futuro.
Veniamo privati del gesto più naturale che esista. Un’azione, la corsa, imparata in maniera spontanea da piccoli, perfezionata e affinata in età adulta per farla diventare un beneficio totale, una cura del corpo e dell’anima. Gli allenatori, i preparatori atletici, in questi giorni sono prodighi di consigli su come fare esercizi tra le mura domestiche per non perdere la forma e la forza. Alcuni consigliano tapis roulant, ellittica o spin bike. Ma correre all’aperto è altro.
Ricordo quando ho corso sulle sponde del Mekong, il fiume che per centinaia di chilometri segna il confine tra la Tailandia e il Laos. Un corso d’acqua con il profumo della morte addosso, come quello che respiriamo in questi giorni. Tanti sono stati ‘eliminati’ proprio nel gesto dell’attraversamento, di corsa e a nuoto, che li avrebbe portati verso uno stato più democratico e tollerante. Calpestando i fondi di sabbia compatta per qualche chilometro mi sembrava di intravedere volti, di intercettare speranze, di udire colpi… fuorilegge, ma con un sogno nel cuore, inseguiti e ammazzati.
Noi sogniamo in questi giorni una qualche normalità. Ci insegue un virus piccolo e potente, sembra anche a noi di essere minacciati, di avere gli occhi addosso, di non avere scampo. Corriamo in casa o in giardino, cerchiamo un chilometro (ma anche 500metri) da ripetere su e giù continuamente, va bene anche una rampa di scale... Continueremo a sbuffare e sognare.

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Ain Defla (Algeria), 14 marzo -  Al campionato 2020 di mezza maratona algerino, disputatosi lo scorso sabato 14, vincono ex aequo Maamar Bengriba e El Hadi Lameuche in 1h05.31. In campo femminile si impone Riham Sennani in 1h14.33, con un cospicuo vantaggio sulle altre.
Ma la notizia è un’altra. Nella categoria veterane over 35 vince l’italiana Anna Medeossi con il tempo di 1h32’11’’. Anna, originaria di Lucinico (Gorizia), è architetta e ha un passato di livello in atletica. Dal novembre 2019 è una consacrata dell’Ordo Virginum e vive in Algeria dal 2017.
Le donne che ricevono questa consacrazione vivono in appartamenti o case private, svolgono un’attività lavorativa e si mantengono da sole (cfr. https.ordovirginum.org). A differenza delle suore, la vergine consacrata non ha connotati esteriori che la caratterizzino, non c’è un Istituto o delle Costituzioni, un abito che la distingua, o l’obbligo della vita comunitaria, un carisma uguale per tutte cui riferirsi: non ha superiori, e il suo riferimento è il vescovo della Chiesa particolare, dal quale riceve pubblicamente la consacrazione. Nel caso di Anna, si tratta del vescovo-maratoneta di Orano Jean Paul Vesco, domenicano francese: una ragione di più per praticare anche il podismo!
“Ain Defla è sulla strada da Orano ad Algeri. Abbiamo fatto un viaggio di tre ore in bus con la squadra”, dice Anna a Podisti.net. “Un percorso veloce, con qualche saliscendi e cavalcavia. Partenza dallo stadio e conclusione sul boulevard principale della città”.
Alla mezza maratona, che quest’anno si correva per la seconda volta, hanno partecipato in totale 574 atleti di cui 38 donne in rappresentanza di 75 società.
Il giorno dopo, la Federazione algerina di atletica leggera (FAA) ha comunicato che “le attività sono sospese fino a nuovo ordine a causa della pandemia di coronavirus”.

Classifica uomini

  • Maamar Bengriba (CN Nounou) 1h05.31
  • El Hadi Lameuche (CRPESM) 1h05.31
  • Youcef Addouche (CRPESM) 1h06.16

Classifica donne

  • Riham Sennani (PC Alger) 1h14.33
  • Malika Benderbal (CP Alger) 1h16.06
  • Halima Boughazi (CN Nounou) 1h22.38


Anna si è calata pienamente nel contesto algerino. Nei fine settimana -  dice - “partecipo ad escursioni naturalistiche, con diverse associazioni locali, o ad eventi sportivi. Sono iscritta ad una società podistica. Un modo per immergersi completamente nella società (e nella lingua) algerina, vivere delle sue mode, dei suoi gusti e dei suoi ritmi… lenti!”. Altro apprendiamo da una sua intervista rilasciata a “Voce Isontina”: “In Algeria ho scoperto che c’è sempre bisogno di lasciarsi prendere per mano da un altro. Di fronte alle ferite della storia coloniale, di fronte al muro delle incomprensioni in materia di religione, di fronte alla barriera della lingua e di codici sociali diversi, in un mondo apparentemente impenetrabile e che non conosce l’idea d’integrazione, ci si deve fidare e affidare ai consigli e alle iniziative della gente del posto. In Algeria siamo qualche centinaio di cristiani cattolici su 40 milioni di abitanti, quasi esclusivamente mussulmani. Noi siamo una Chiesa di gente di passaggio, ma veramente una famiglia e un punto di riferimento per ciascuno, accolto con tutta la sua storia e presto reso protagonista della vita della comunità. Una Chiesa paradossale, dove il "popolo di Dio" sono i mussulmani! Corsi di cucito, cucina o altre attività femminili, corsi di lingue, centro estivo, ludoteca, biblioteca, conferenze, casa di riposo, escursioni... tutte le attività della parrocchia sono rivolte alla popolazione locale. In più, lavoro al progetto di restauro e animazione del santuario Notre-Dame di Santa Cruz a Orano, ma più in generale, dando una mano e offrendo una presenza amica, credo di vivere qualcosa dell’amore di Dio, amore senza un perché”.

 

 

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Sabato, 07 Marzo 2020 23:25

Onore alle donne della maratona

8 marzo. In questo giorno della Festa della donna vogliamo rendere onore a cinque fortissime donne. Ricordando che la storia delle donne in atletica risale a meno di un secolo fa. Nelle Olimpiadi di Amsterdam del 1928 furono infatti ammesse, per la prima volta ai Giochi, 300 donne. Un’inclusione che ha portato nell’ultimo secolo a progressi fenomenali in tante discipline dello sport, dell’atletica e della vita. Lo sport ha riconciliato nazioni, fatto progredire il genere umano, ha permesso di eliminare stereotipi.  Compreso quello della presunta inferiorità femminile.

Ma torniamo alle nostre cinque.

Kathrine Switzer e Bobbi Gibb

Non potevamo non cominciare da lei. Maratona di Boston 1967. Uno degli atleti iscritti regolarmente risulta “KV Switzer”. Le donne non erano ammesse alle maratone, ritenute troppo esigenti per un fisico delicato. Kathrine quel giorno si camuffa da uomo, ma nel corso della gara viene riconosciuta da un giudice che le si para innanzi per toglierle il pettorale numero 261 e fermarla. Alcuni atleti, tra cui il fidanzato Thomas Miller, le fanno da scudo e la Switzer termina la gara.
In realtà si scoprì anni dopo che un’altra donna aveva corso a Boston già nel 1966, ma senza pettorale dunque non risultando regolarmente iscritta alla gara. Si tratta di Roberta (Bobbi) Gibb, che corse poi anche nel 1967 e nel 1968 con tempi più veloci della Switzer. Nel 1996, trent’anni dopo, la Boston Athletic Association conferì alla Gibb un riconoscimento per essere stata la prima donna al traguardo nelle edizioni 1966, 1967 e 1968.
Al di là degli intenti femministi delle protagoniste, le immagini di queste atlete americane si sono trasformate in un’icona della parità dei diritti e dell’uguaglianza sociale. 4 ore e 20 minuti per la Switzer, un’ora in meno per la Gibb, per entrare per sempre nella storia.

Edna Kiplagat

Mondiali del 2013. Al microfono della Rai la medaglia d’argento Valeria Straneo parla di “una ragazza” che l’ha superata nei chilometri finali della maratona. Non sa nemmeno come si chiama. L’italiana era partita sicura di vincerla quella gara, non erano contemplati avversari. Peccato che Edna non fosse una sconosciuta di giornata, l’atleta che fa l’exploit della vita. Era arrivata a quell’appuntamento con la medaglia d’oro in maratona ai mondiali di Taegu nel 2011, il terzo posto alla maratona di Londra sempre nello stesso anno, Il secondo posto alla maratona di Londra nel 2012 e nel 2013. Carriera continuata con altri splendidi risultati in quella Londra che è diventata la sua città di adozione: primo posto alla maratona del 2014, argento ai Mondiali sempre a Londra nel 2017. Nel 2017 vince anche la maratona di Boston all’età di 37 anni.
La “sconosciuta” keniana è stata una delle più forti maratonete di questi ultimi decenni. Esponente di quella schiera di atleti degli altipiani africani che hanno sconvolto la maratona al maschile e al femminile. Cinque figli, un lavoro da poliziotta, Edna vive a Iten dove è considerata "un modello”.  “Ho incoraggiato le ragazze a studiare in Kenya e le donne a formare associazioni” - ha detto - “Aiuto anche le famiglie meno fortunate pagando le tasse scolastiche dei figli”.

Rosa Mota

Piccola, leggera. Uno scricciolo di 1 metro e 57centimetri per 45 kg di peso. Ricorda la nostra Annarita Sidoti, marciatrice di origine siciliana che ci ha lasciati nel 2015. Alle Olimpiadi di Seul del 1988 Rosa vince la maratona con un attacco decisivo al chilometro 40 che la porta al traguardo con 13 secondi di vantaggio sulla seconda, Lisa Martin. Una medaglia storica, la prima al femminile nei Giochi olimpici per la sua nazione, il Portogallo. Tra l’altro non avrebbe dovuto partecipare a quella gara per una squalifica. Oltre a quel risultato Rosa è riuscita in altre imprese: campionessa mondiale (Roma 1987) e tre volte campionessa europea (Atene 1982, Stoccarda 1986, Spalato 1990).
Una vera e propria eroina nazionale che ha vinto 14 delle 21 maratone corse in carriera tra il 1982 e il 1992. Chissà cosa ha pensato nel 1988 quando è stata insignita del Premio Abebe Bikila per lo sviluppo degli allenamenti sulle corse di lunga distanza. Lei che da bambina, nella periferia di Porto dove era nata, correva e combatteva con problemi di anemia e asma.

Grace Sugutt

Chi è costei? La meno nota delle cinque che oggi menzioniamo. Vienna, 12 ottobre 2019. Eliud Kipchoge corre la prima maratona della storia sotto le due ore. Una competizione organizzata appositamente per lui, un tempo non omologabile come record del mondo. Eppure, “In questo giorno storico volevo la presenza di mia moglie e dei miei figli”, ha avuto modo di dire Kipchoge. Pochi metri dopo aver chiuso la prova in 1 ora, 59 minuti e 40 secondi, il primo abbraccio è a lei. Grace Sugutt è la moglie di questo campione keniano, il più forte di sempre sulla maratona. Eliud ha più volte espresso la sua ammirazione per la fermezza della donna che vive al suo fianco e che si prende cura amorevolmente dei tre figli a Eldoret, la città keniana dove vivono. “Eliud saluta tutti nel nostro villaggio - ha detto Grace - non è uno distante, ‘arrrivato’. E’ una persona ordinaria come tante”.
E a chi le chiede il segreto delle vittorie del marito, risponde: lavoro duro e disciplina combinati con cibo sano.

 

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I numerosi interventi sui siti (podistici e no) a proposito del Coronavirus 19 e di come esso stia di fatto modificando consuetudini e ritmi di vita, permettono anche a noi alcune riflessioni su questo mese di paventato stop forzoso dalle gare. E’ la prima volta che ci troviamo in Italia ad affrontare un’emergenza di queste dimensioni. Ne verremo fuori senz’altro. Nel frattempo possiamo cogliere qualche opportunità e farci trovare preparati alla ripresa agonistica. Si aprono comunque davanti a noi numerosi scenari per non farci prendere da disperazione o nervosismo. Vediamone alcuni.

Uno stop benefico

Il mondo del pallone non può permettersi quel lusso che abbiamo noi e altre persone che praticano sport meno danarosi: noi possiamo prenderci una pausa rigenerante. Sappiamo che il riposo è allenante quanto le sedute di allenamento vero e proprio. Possiamo forse allentare la presa, staccare i gps per qualche settimana, prenderci una pausa benefica e utile. Anche mentalmente. La corsa, che dovrebbe liberarci dallo stress, rischia talora di diventare essa stessa uno stress. Approfittiamo del periodo per riconciliarci con la vera essenza della corsa: correre perché ci piace e ne traiamo grandi benefici.

Un maggiore carico di lavoro?

Allo stesso tempo potremmo approfittare di un mese senza gare per fare una programmazione di allenamenti con un maggiore carico di chilometri, per poi fare uno ‘scarico’ in vista di qualche gara dopo Pasqua (quest’anno cade il 12 aprile). La nuova situazione ci obbliga a rivedere certamente piani e preparazione a gare che avevamo programmato e che costituivano magari un importante traguardo stagionale. Però… l’assenza di competizioni non è solamente un danno che ci fa perdere la calma. Possiamo risistemare in qualche modo la nostra pianificazione.

‘Congedo parentale’

Può darsi che abbiamo figli minorenni e ci tocchi qualche giorno casalingo in più rispetto al solito. Potremmo approfittarne per qualche corsa in orari non consueti, portando magari con noi i figli rimasti a casa dalla scuola. Nelle prossime settimane le temperature dovrebbero pian piano riscaldarsi, e andremo incontro alle prime giornate primaverili con una marcia in più. Naturalmente teniamo d’occhio i comportamenti virtuosi che ci sono abbondantemente suggeriti. E poi, spazio alla creatività!

Una maggiore solitudine

Evitare luoghi affollati, tenere il conclamato metro di distanza di sicurezza, e tutte le altre precauzioni consigliate, ci costringono a correre un po’ più soli. Soprattutto quelli di noi abituati ad uscire in gruppo soffriranno di più la solitudine. Si tratta, in verità, di un’opportunità. Ci fa molto bene stare soli con noi stessi nel silenzio mattutino o anche nel caos del tardo pomeriggio. Chi fa gare lunghe è in realtà abituato a parlarsi, a conoscersi, a stare con sé stesso. Possiamo approfittare della corsa in solitudine per fare un esercizio di pacificazione con noi stessi e con il mondo intero. Anche Sant’Agostino insegnava: “non uscire fuori: rientra in te stesso. Nell’intimo dell’uomo abita la verità”.

 

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